La Cassazione risponde al quesito con la pronuncia in commento.
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Firenze ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna alla pena di anni due di reclusione, pronunciata all'esito di giudizio abbreviato, del commercialista D. L. per aver concorso, in qualità di extraneus, nel reato di bancarotta fraudolenta documentale in concorso con R. G. (nonché con vari prestanome utilizzati da
quest'ultimo), amministratore di fatto e di diritto (per alterni periodi) della "Bar Pasticceria il B." srl, società dichiarata fallita il 27 maggio 2015.
La medesima sentenza, in ossequio alla pronuncia della Corte costituzionale n. 222 del 2018, ha rideterminato in anni quattro la durata delle pene accessorie di cui all'art. 216 u.c. legge fall..
2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato, tramite il difensore, articolando sette motivi, arricchiti dal deposito di una memoria, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo del ricorso principale e il primo motivo della memoria ex art. 585, comma 4 cod. proc. pen., si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta configurabilità del reato in contestazione.
2.1.1. L'imputato è stato ritenuto colpevole del delitto di bancarotta fraudolenta documentale per aver "omesso di consegnare" quasi tutte le scritture contabili della società fallita, che, pure, conservava nel proprio studio.
I giudici di merito hanno tratto prova del fatto dagli esiti della perquisizione effettuata il 23 settembre 2015, nel corso della quale gli investigatori rinvenirono e sequestrarono presso lo studio professionale dell'imputato varia documentazione contabile della fallita fino all'anno 2014.
Tuttavia l'omessa consegna non rientrerebbe in alcuna delle ipotesi previste dall'art. 216 legge fall., che concernono solo la sottrazione, la distruzione e la falsificazione; in difetto, peraltro, di qualsivoglia indice di fraudolenza (che i giudici di merito ricaverebbero da una errata lettura della e-mail del 17 luglio 2015) e in assenza, in capo all'imputato, di un obbligo giuridico di consegna.
2.1.2. Inoltre la sentenza impugnata ricostruirebbe il "concorso" in difetto della attività tipica di almeno un soggetto che rivesta le qualità previste dalla legge sul fallimento (Sez. 5 n. 29795 del 26 ottobre 2020).
Al di là della individuazione dello R. quale concorrente nel reato, non vi sarebbe traccia di alcuna attività tipica da quest'ultimo posta in essere ed alla quale la condotta dell'odierno assistito avrebbe dovuto accedere "in termini concorsualmente rilevanti".
Né risulterebbe provato un accordo con lo R., se non sulla base di mere congetture formulate dal Tribunale e specificamente criticate in sede di gravame, senza trovare adeguata risposta nella sentenza impugnata.
2.2. Con il secondo motivo si deducono analoghi vizi sul tema della inoffensività della condotta.
La Corte di appello avrebbe errato nella individuazione del bene giuridico protetto dalla norma; avrebbe, inoltre, omesso di apprezzare in maniera adeguata quanto riferito dal curatore e cioè che: "la documentazione contabile della fallita di cui era in possesso l'imputato, essendo troppo risalente rispetto alla data dell'intervenuto fallimento, era priva di qualsivoglia utilità a fini ricostruttivi e priva di valore significativo ai fini del fallimento".
2.3. Con il terzo motivo del ricorso principale e il secondo motivo della memoria ex art. 585, comma 4 cod. proc. pen., si contesta la sussistenza del dolo specifico del reato.
2.3.1. Sarebbe impossibile configurare in capo all'imputato la consapevolezza e, soprattutto, la volontà di apportare un contributo causalmente rilevante alla sottrazione della documentazione idonea alla corretta ricostruzione del patrimonio dell'impresa destinato a soddisfare le ragioni creditorie; in sede di gravame la difesa aveva evidenziato una serie di elementi di fatto contrastanti con una simile volontà (il contenuto della e-mail del 17 luglio 2015, la trasmissione della situazione contabile al 30 settembre 2014, la condotta collaborativa osservata dall'imputato durante la perquisizione presso il proprio studio), completamente ignorati dalla Corte di appello.
2.3.2. Il giudice di merito ravvisa l'elemento soggettivo del delitto nella intenzione di "nascondere le violazioni commesse nella gestione della società, giungendo a distrarre l'azienda"; scopo che, tuttavia, essendo privo di contenuto economicamente apprezzabile, non potrebbe rientrare nella nozione di "profitto".
La sentenza, inoltre, colorirebbe il dolo della bancarotta documentale facendo leva sulla consapevolezza di concorrere con l'intraneo in una condotta distrattiva, che tuttavia non risulta addebitata all'imputato, il quale non è mai stato neppure iscritto nel registro degli indagati per tale titolo.
2.3.3. Inoltre le condotte distrattive sono state commesse dall'amministratore dopo il 2014, quindi la documentazione detenuta dal D. sarebbe irrilevante, non potendo occultare operazioni sino a quel momento non commesse.
2.4. Con il quarto motivo si lamenta la mancata derubricazione del fatto nella ipotesi di cui all'art. 220 legge fall.
2.5. Con il quinto ci si duole del diniego della circostanza attenuante di cui all'art. 219, comma terzo, legge fall., avuto riguardo alla mancata verifica della sussistenza di un effettivo danno alla massa dei creditori.
2.6. Con il sesto motivo si contesta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; con il settimo la eccessiva durata delle pene accessorie ex art. 216, u.c., legge fall.
3. Si è proceduto a discussione orale su richiesta delle parti.
Il difensore della parte civile ha inviato, tramite posta elettronica certificata, dichiarazione di revoca della costituzione.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
2. Si contesta al commercialista D. L. di aver concorso con R. G. (amministratore, anche attraverso prestanome, della società "Bar Pasticceria il B." srl, dichiarata fallita il 27 maggio 2015) nella sottrazione dell'intera documentazione contabile della società relativa agli anni fino al 2014 (punto n. 3 della imputazione).
L'azione penale è stata esercitata, in modo unitario, anche nei confronti di R., al quale viene addebitato l'ulteriore delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale perché, attraverso la creazione di apposite società schermo e vari passaggi negoziali, ha distratto dalla fallita il patrimonio aziendale del valore di un milione di euro. In conseguenza della scelta del giudizio abbreviato da parte di D., le posizioni di questo e di R. hanno seguito procedimenti distinti.
Secondo la ricostruzione dei fatti, operata in maniera conforme dalle sentenze di primo e secondo grado, la condotta di "sottrazione" è stata materialmente posta in essere da D., il quale, interpellato dal curatore del fallimento, sia per contatto telefonico diretto sia tramite posta elettronica, in merito al possesso di documentazione contabile della fallita, ha espressamente negato di detenerla, mentre invece la conservava ancora "in rilevante quantità" come si è appurato all'esito della perquisizione eseguita a carico del D. stesso il 23 settembre 2015.
Grazie a quell'atto "a sorpresa" gli inquirenti hanno rinvenuto e sequestrato presso lo studio professionale dell'imputato: «oltre a molti documenti risalenti agli anni 2011, 2012 e 2013, tutti gli atti relativi al passaggio della società dallo R. alla M. in data 10 ottobre 2014, tre diverse cartelline contenenti la contabilità degli anni 2012, 2013 e 2014 (con fatture di vendita e di acquisto, pagamenti vari, liquidazioni) i verbali di assemblea e del CdA, il libro degli inventari, i registri Iva e il libro giornale del 2011, 2012 e 2013, le dichiarazioni fiscali fino all'anno 2013» (pag. 3 sentenza impugnata).
Secondo i giudici di merito le prove raccolte hanno dimostrato che D. ha tenuto tale condotta in accordo con l'amministratore R., allo scopo di procurare a quest'ultimo un ingiusto profitto, consistente nel tenere occultato alla curatela fallimentare il reale patrimonio della fallita, fittiziamente trasferito ad altre società.
3. Anzitutto va rilevata la inammissibilità di quelle censure che, pur enunciando formalmente vizi della motivazione (in particolare sub specie di travisamento della prova), si risolvono nella rilettura del materiale probatorio e che offrono al giudice di legittimità frammenti probatori o indiziari, sollecitando una rivalutazione o una diretta interpretazione degli stessi (Sez. 5, n. 44992 del 09/10/2012, Aprovitola, Rv. 253774; nella medesima prospettiva Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, Ienco, Rv. 236540).
4. Il primo motivo del ricorso principale e il primo motivo della memoria ex art. 585, comma 4 cod. proc. pen., che contestano la configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, sono infondati.
4.1. L'art. 223 legge fall. punisce i fatti di bancarotta fraudolenta e.ci. "impropria", tale in quanto posta in essere da persone diverse dall'imprenditore, vale a dire amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società dichiarate fallite.
La norma, al suo primo comma, stabilisce che si applicano le pene stabilite nell'art. 216, quando le figure indicate commettano alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo.
L'art. 216 legge fall., nella parte che qui interessa (comma primo, n. 2), sanziona l'imprenditore e, in virtù del citato richiamo, gli amministratori e gli altri soggetti indicati dall'art. 223, che hanno sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, i libri o le altre scritture contabili, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori.
Per "sottrazione" si intende qualunque azione diretta ad impedire che le scritture contabili cadano nelle mani degli organi fallimentari.
Alla nozione di sottrazione è riconducibile ogni forma di occultamento.
A differenza di quanto sostenuto in ricorso, l'imputato non si è limitato a una condotta omissiva, ma ha rifiutato la consegna dei libri e delle scritture contabili della fallita che erano in suo possesso, dichiarando al curatore fallimentare di non detenerli. La tesi difensiva di un "fraintendimento" è confutata, con ampiezza di argomenti, dalla Corte di appello e non può essere rivisitata in questa sede, implicando valutazioni di merito estranee al perimetro del giudizio di legittimità.
Rientra certamente nella condotta di "sottrazione" sub specie di "occultamento" negare al curatore fallimentare l'accesso alla contabilità che documenta quattro anni di vita della società fallita, interessando attività compiute fino a pochi mesi prima del fallimento.
4.2. Sulla base dei principi che regolano il concorso di persona nel reato (e dunque anche nel reato proprio), non è dubbio che in materia di reati fallimentari, nell'ipotesi di fatti di bancarotta fraudolenta documentale, e con riferimento alla partecipazione dell'extraneus nel reato proprio dell'amministratore di società, il soggetto esterno alla struttura sociale concorre ex art. 110 cod. pen. allorché, in modo consapevole, ponga in essere una condotta che eserciti una influenza causale sulla sottrazione, distruzione o falsificazione della contabilità.
4.2.1. Nella specie, come risulta in maniera evidente dalla ricostruzione offerta dalla Corte di appello, il reato proprio di bancarotta fraudolenta documentale è stato commesso dall'extraneus D. in concorso con l'intraneus R., avendo il primo occultato la contabilità d'intesa con il secondo che, in veste di amministratore della fallita, rientra nel novero dei soggetti qualificati ex art. 223, comma primo, legge fall.
Di talché, a differenza della ipotesi decisa da Sez. 5 n. 29795 del 26 ottobre 2020 (in quel caso l'amministratore non aveva commesso il fatto), non sorge alcun problema di tipicità.
4.2.2. Al riguardo va snidato un equivoco di fondo che permea il motivo di ricorso.
Diversamente da quanto mostra di opinare il ricorrente, non è richiesto che sia l'intraneus a porre in essere materialmente la condotta tipica: è sufficiente che egli abbia commesso il reato eventualmente avvalendosi dell'extraneus anche sotto il profilo esecutivo e materiale.
È pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, che il professionista risponde dei delitti di bancarotta quale concorrente vuoi per l'apporto materiale offerto alla realizzazione del reato, vuoi per il contributo morale (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 18677 del 08/02/2021, Angelini, Rv. 281042; Sez. 5, n. 8276 del 06/11/2015, dep. 2016, Curtopelle, Rv. 267724; Sez. 5, n. 10742 del 15/02/2008, Cattoli, Rv. 239480).
È del pari incontroverso che la condotta tipica può essere realizzata anche dal solo commercialista, purché d'intesa con l'amministratore; è il caso deciso da Sez. 5 n. 13115 del 18 dicembre 2000, De Maggio, che ha ritenuto colpevole del delitto di bancarotta fraudolenta documentale il commercialista il quale, in accordo con gli amministratori, aveva predisposto scritture contabili con annotazioni non veritiere miranti a occultare fatti di distrazione; nel medesimo senso si pongono quelle pronunce che hanno affermato la responsabilità degli amministratori di società, in concorso con il commercialista cui era stata affidata la contabilità risultata falsa «dovendosi logicamente presumere che la contabilità stessa sia stata redatta secondo le indicazioni fornite dagli amministratori che restano, perciò, sempre responsabili di una regolare e veritiera contabilità» (Sez. 5, n. 2055 del 15/12/1993, 1994, Decenvirale, Rv. 197268; conf. tra le ultime Sez. 5, n. 12200 del 22/02/202, Di Cristofaro, n.m.; Sez. 5, n. 34807 14/06/2021, Tonellotto, n.m.; Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, non massimata sul punto).
4.2.3. In sintesi basta il concorso, morale o materiale non fa differenza, dell'extraneus con l'intraneus.
Nella fattispecie, dato che l'extraneus è l'autore materiale della condotta, occorre il previo accordo con l'intraneus.
La sentenza impugnata trae prova del concorso morale dell'intraneus da molteplici e convergenti elementi, senza incorrere in cadute logiche:
- tra la documentazione contabile sottratta vi erano tutti gli atti relativi alla prima di una serie di operazioni volte a distrarre l'azienda della fallita, vale a dire la cessione di quote, in data 10 ottobre 2014, da R. alla prestanome M. M. al prezzo, mai incassato, di 700mila euro; con contestuale formale investitura della donna nella carica di amministratrice;
- D. è stato personalmente presente, quale consulente dello R., alla costituzione della GF U., società creata il 5 agosto 2015 al dichiarato fine di mantenere il possesso e la gestione del bar pasticceria Il B. nelle mani di R., sottraendolo alla massa fallimentare (la GF U. rilevava l'azienda dalla G. srlcui la stessa era in precedenza pervenuta attraverso vari negozi fittizi ripercorsi ai punti 1 e 2 dell'editto accusatorio);
- nel novembre 2015 D. ritira l'intera documentazione contabile della GF U. srl, quindi registra, presso la camera di commercio, il cambio di amministratore in favore di R. con la propria smart card;
- nel gennaio 2016 accompagna R. in banca per aprire un nuovo conto corrente intestato alla GF U..
Da tali emergenze la Corte di appello trae il ragionevole convincimento che l'intera operazione sia stata condotta da R. in accordo con D., il quale "è rimasto il commercialista di fiducia del primo anche dopo la formale cessazione dall'incarico in favore del bar-pasticceria "Il B." srl" e ha continuato ad assistere R. nelle attività via via poste in essere al fine di sottrarre l'azienda alla procedura fallimentare (pagg. 7 e 8 sentenza impugnata); in tale complessiva condotta, realizzata di concerto con R. e nell'interesse di questi, si inserisce anche la sottrazione della documentazione contabile che avrebbe consentito alla curatela di ricostruire la reale entità del patrimonio aziendale della fallita.
5. Il secondo motivo sulla inoffensività della condotta è manifestamente infondato.
L'imputato ha sottratto l'intera documentazione contabile, relativa agli anni 2012, 2013 e 2014, di una società che è fallita qualche mese dopo: fatture di vendita e di acquisto, pagamenti vari, verbali di assemblea e del CdA, libro degli inventari, registri Iva, libro giornale, dichiarazioni fiscali.
La condotta è fortemente offensiva del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, avuto riguardo al numero e alla natura delle scritture sottratte, senza dubbio fondamentali per la ricostruzione del reale patrimonio della fallita.
È privo di consistenza l'argomento secondo cui l'azione di D. sarebbe stata ininfluente perché: il curatore avrebbe dichiarato di aver fotografato la situazione alla data del fallimento senza necessità di risalire indietro nel tempo; la contabilità non consegnata sarebbe slegata dall'attività distrattiva posta in essere dopo il 2014.
Al contrario, va osservato:
- che per conoscere le consistenze patrimoniali di una società occorre seguirne l'evoluzione nel corso degli anni;
- D. ha occultato, tra gli altri, tutti gli atti relativi al passaggio della società dallo R. alla M. in data 10 ottobre 2014, che, come detto, costituisce il primo di una serie di negozi volti alla distrazione di azienda.
6. Il terzo motivo del ricorso principale e il secondo motivo della memoria ex art. 585, comma 4 cod. proc. pen., che contestano la sussistenza del dolo, sono nel complesso infondati, pur presentando profili di inammissibilità.
6.1. La sottrazione deve mirare a procurare all'intraneus o ad altri un ingiusto profitto ovvero recare pregiudizio ai creditori.
I giudici di merito ricostruiscono in maniera corretta il dolo specifico della tipologia di bancarotta documentale in rassegna e ravvisano nella condotta di D. l'intenzione di procurare allo R., suo cliente, un profitto consistente nel tenere indenne dalla procedura concorsuale l'azienda del valore di un milione di euro (pag. 7).
Solo come ulteriore argomento la Corte di appello accenna alla "probabilità" che D. intendesse anche celare una gestione scorretta della società (pag. 7); il riferimento di mera probabilità (criticato dal ricorrente) attiene a una considerazione a fortiori che non intacca l'autonoma tenuta dell'argomento principale.
6.2. La condivisione di un disegno criminoso, diretto a garantire all'amministratore un profitto, viene desunta da quegli stessi elementi già sopra indicati a proposito dell'esistenza di un accordo (cfr. paragrafo 4.2.3.).
Osserva la Corte di appello: «L'imputato D. è rimasto il commercialista dello R. e soprattutto ha continuato ad assisterlo nell'attività di gestione della medesima azienda, passata senza [ ...] un pagamento dalla fallita alla GF U., quest'ultima costituita appositamente, con la sua consulenza, per proseguire tale gestione nonostante l'intervenuto fallimento della società proprietaria dell'azienda stessa» (pag. 8).
6.3. La circostanza che D. non sia stato sottoposto a procedimento penale anche per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale è irrilevante ai fini in rassegna, poiché non vi è alcun rapporto di dipendenza strutturale tra le due fattispecie.
Quel che rileva sono gli elementi di fatto accertati nel processo (e non rivisitabili in questa sede) che servono a illuminare il foro interno dell'agente, secondo un ragionamento congruo e lineare.
7. Il quarto motivo, che invoca la derubricazione del fatto nel reato di cui all'art. 220 legge fall., è manifestamente infondato alla luce delle considerazioni che precedono, essendo il fatto riconducibile al più grave delitto di bancarotta fraudolenta documentale.
8. Gli ulteriori motivi (quinto, sesto e settimo) sono inammissibili, perché meramente riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito (si veda, in particolare, pag. 9 su diniego della circostanza attenuante di cui all'art. 219, comma terzo, legge fall. e delle circostanze attenuanti generiche; sempre pag. 9 sulla rideterminazione delle pene accessorie fallimentari in misura superiore alla durata della pena principale).
9. Consegue il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 16/09/2022