Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Torino, in riforma della sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Torino, in data 29.6.2023, decidendo in sede di giudizio abbreviato, all'esito dell'udienza preliminare, aveva condannato M.E. alle pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia, in relazione ai reati di bancarotta fraudolenta documentale e di ricorso abusivo al credito, di cui ai capi C) e D) dell'imputazione, in relazione al fallimento della società "(OMISSIS) S.r.l.", dichiarato dal tribunale di Torino con sentenza pubblicata il 7.11.2016, assolveva l'imputato da entrambi i reati con la formula per non aver commesso il fatto.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il procuratore generale della Repubblica presso la corte di appello di Torino, lamentando erronea applicazione della legge penale e illogicità della motivazione, posto che la corte territoriale, da un lato, si è limitata a ritenere fondati i motivi appello articolati dall'imputato in ordine alla contestata fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale, riferendosi a un'ipotesi di bancarotta documentale caratterizzata da assenza o distruzione delle scritture contabili, laddove, nel caso in esame, era stata contestata la falsità del loro contenuto; dall'altro, ha escluso la responsabilità dell'imputato per il reato di cui al capo D), su una serie di presupposti che, in realtà, non escludono la sussistenza del reato di ricorso abusivo al credito.
2.1. Con requisitoria scritta del 13.6.2024 il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, dott. G.S., chiede che il ricorso venga accolto.
Con conclusioni scritte del 4.7.2024, pervenute a mezzo di posta elettronica certificata, il difensore dell'imputato, nel replicare alla requisitoria del pubblico ministero, chiede che il ricorso venga rigettato.
3. Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto, disponendosi, per le seguenti ragioni, l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Torino, per un nuovo giudizio.
4. Con particolare riferimento al delitto di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo C) non può non rilevarsi come in una serie di recenti e condivisibili arresti si sia precisato, che, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l'occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all'art. 216, comma primo, lett. b), I. fall. - rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest'ultima integra un'ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (cfr. Cass., Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Rv. 269904; Cass., Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, Rv. 276650; Cass., Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838).
Orbene, essendo stata contestata la falsificazione delle scritture contabili rinvenute dal curatore, che non avevano consentito a quest'ultimo la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, come sottolineato dal pubblico ministero ricorrente, essendo del tutto inattendibili in ragione della loro falsità, risulta del tutto apodittica la motivazione della corte territoriale (che la stessa difesa dell'imputato nella memoria di replica giudica "fin troppo sbrigativa") secondo cui, essendosi il M.E. attivato attraverso i propri legali per assicurare l'integrità della documentazione della società fallita e non dovendo rispondere di alcuna condotta distrattiva, non vi sarebbe alcun elemento per affermare , "ogni oltre ragionevole dubbio, che lo stesso non abbia tenuto fino al 5.8.2015, data in cui ha cessato di essere amministratore di (OMISSIS), le scritture contabili o le abbia tenute in modo tale da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari" della società fallita.
Siffatta motivazione appare in netto contrasto con il principio più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, alla luce del quale il giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado sulla base del medesimo compendio probatorio, pur non essendo obbligato alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, è tenuto ad offrire una motivazione puntuale e adeguata che dia razionale giustificazione della difforme decisione adottata, indicando in maniera approfondita e diffusa gli argomenti, specie se di carattere tecnico-scientifico, idonei a confutare le valutazioni del giudice di primo grado (cfr., ex plurimis, Sez. 4, n. 2474 del 15/10/2021, Rv. 282612; Sez. 4, n. 24439 del 16/06/2021, Rv. 281404).
Né va taciuto l'errore di diritto in cui cade la corte territoriale nell'attribuire una sorta di effetto esimente della responsabilità del prevenuto alla scelta di quest'ultimo di rivolgersi ai propri legali allo scopo di preservare l'integrità delle scritture contabili, senza tuttavia riuscire nell'intento ("i soggetti da lui allertati non avevano fatto nulla", annota senz'altro aggiungere il giudice di appello), in quanto, come affermato da tempo dall'orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l'imprenditore non è esonerato dall'obbligo di vigilare e controllare le attività svolte dai delegati, il cui inadempimento non può essere di per sé invocato per escludere la propria responsabilità (cfr. Sez. 5, n. 36870 del 30/11/2020, Rv. 280133; Sez. 5, n. 44666 del 04/11/2021, Rv. 282280).
Identiche considerazioni valgono anche per il reato di ricorso abusivo al credito di al capo D), in relazione al quale risulta del pari violato l'onere di motivazione rafforzata, posto che la corte territoriale si è limitata a condividere le argomentazioni difensive, senza confrontarsi con il percorso motivazionale seguito dal giudice di primo grado, ipotizzando, al tempo stesso, in ordine all'operazione relativa all'immobile di Cernusco sul Naviglio, un interesse del "sistema bancario.....a convertire un suo credito non garantito in un credito ipotecario ventennale", che, secondo l'impostazione seguita dal giudice di appello, non consentirebbe di qualificare persona offesa l'istituto bancario erogatore del credito.
Si tratta di un'affermazione non solo del tutto apodittica, ma anche confliggente con la struttura del reato, come ricostruita dalla dottrina e dalla giurisprudenza, in termini di reato di pericolo plurioffensivo e a condotta mista, volto a tutelare sia il patrimonio del creditore che fa credito all'imprenditore, ignaro del suo dissesto, sia l'interesse dei creditori concorsuali al fine di impedire che il dissesto venga aggravato da operazioni rovinose e l'interesse generale alla regolarità e alla sicurezza del traffico giuridico.
In quanto tale, dunque, il reato di ricorso abusivo al credito richiede che il creditore, quale soggetto passivo del reato, non sia, al momento della concessione del credito, a conoscenza dello stato di dissesto dell'imprenditore, perché in caso contrario viene meno la dissimulazione di un fatto ignoto (cfr., Sez. 5, n. 23796 del 04/05/2004, Rv. 228906; Sez. 5, 18.10.2002, Vignoli).
In altri termino solo la conoscenza dello stato di dissesto del debitore da parte dell'ente erogatore al momento della concessione del credito non consentirebbe di configurare la fattispecie delittuosa di cui all'art. 218, I. fall.
Deve, tuttavia, osservarsi che, allo stato, risulta decorso il termine massimo di prescrizione del reato in questione, tenuto conto della pena edittale e del fatto che, come affermato dall'orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, richiedendo il ricorso abusivo al credito, per la sua configurabilità, che il soggetto al quale viene addebitato sia successivamente dichiarato fallito, il termine di prescrizione decorre dalla data della dichiarazione di fallimento (cfr., ex p/urimis, Sez. 5, n. 25224 del 14/07/2020, Rv. 279451), che, nel caso in esame, è stata individuata nel 7.11.2016.
Sarebbe, pertanto, venuto meno l'interesse del pubblico ministero ricorrente, in presenza di una causa sopravvenuta di estinzione del reato, per compiuto decorso del termine massimo di prescrizione.
L'uso del condizionale è d'obbligo, posto che, non risultando trasmessi a questa Corte, nonostante siano stati richiesti, i verbali del giudizio di primo grado, non è stato possibile accertare l'eventuale adozione di provvedimenti dichiarativi della sospensione del decorso del termine di prescrizione, che abbiano impedito la perenzione del suddetto termine.
Sarà, dunque, compito del giudice del rinvio, individuato, come si è detto, in altra sezione della corte di appello di Torino, procedere a un nuovo giudizio, non solo per risolvere le indicate aporie e lacune motivazionali uniformandosi ai principi di diritto in precedenza indicati, ma anche per verificare l'eventuale compiuto decorso del termine massimo di prescrizione, relativo al reato di ricorso abusivo al credito, di cui al capo D).
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della corte di appello di Torino.