Svolgimento del processo
M. S. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma, Roma Capitale e la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Roma, per sentirle condannare, in via solidale o ciascuna per quanto di spettanza, al risarcimento di tutti i danni sofferti per la morte del proprio convivente, P. L., avvenuta, presso l’ospedale San G. di Roma, il 20 dicembre 2006, in seguito all’aggressione da parte di A. M., nel corso di una lite insorta tra i due, l’uno conducente di taxi e l’altro noleggiatore di auto con conducente, per l’accaparramento della clientela nell'ambito dell'espletamento del servizio di trasporto pubblico non di linea di persone.
Nel giudizio penale che ne era seguito per omicidio preterintenzionale a carico di A. M., conclusosi in primo grado con la condanna dell’imputato alla pena di 12 anni e 3 mesi di reclusione, a M. S., che si era costituita parte civile, il GUP aveva accordato il diritto al risarcimento del danno e riconosciuto una provvisionale provvisoriamente esecutiva di euro 100.000,00.
La sentenza era stata confermata in grado d'appello e successivamente dalla V sezione penale della Corte di Cassazione, con la decisione n. 12049 del 16 dicembre 2019.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 7331/2015, condannava in via solidale Roma Capitale e la Camera di Commercio di (omissis) al pagamento a favore di M. S. dell'importo di euro 197.904,00, oltre agli interessi ed alle spese di lite, per non avere adempiuto agli obblighi di vigilanza cui erano entrambe tenute; obblighi che, ove adempiuti, avrebbero certamente impedito, secondo il giudice di prime cure, la manifestazione dell'aggressività di A. M. nel contesto professionale.
In particolare, il Tribunale riteneva che: i) l'obbligo di vigilanza di Roma Capitale trovasse la sua fonte nell’art. 14 della legge regionale del Lazio n. 58/1993, che prevedeva l'obbligo dei Comuni di regolare «i requisiti e le condizioni per il rilascio della licenza per l'esercizio del servizio di taxi e della autorizzazione per l'esercizio di noleggio con conducente», nonché nel Regolamento approvato dal Comune di Roma (214/1998), il quale prescriveva che ai titolari di licenze ed autorizzazioni si applicassero le sanzioni individuate dal Codice di comportamento degli operatori del settore; ii) detto obbligo era stato violato da Roma Capitale che, nonostante plurime segnalazioni sul comportamento di A. M. e la sua precedente condanna, con sentenza passata in giudicato, per furto aggravato non aveva adottato alcun provvedimento nei sui confronti, se non dopo l’uccisione di P. L..
Per il Tribunale un obbligo di vigilanza gravava anche sulla Camera di Commercio di (omissis) che era tenuta, in virtù dell’art. 17 della legge regionale 58/1993, a gestire l’iscrizione all’albo provinciale dei soggetti titolari di licenze e di autorizzazioni al trasporto pubblico di persone, condizionandola al possesso di precisi requisiti di idoneità morale ed escludendola espressamente nei confronti di chi avesse riportato una condanna con sentenza passata in giudicato ad una pena detentiva per delitti contro il patrimonio; obbligo che la Camera di Commercio non aveva osservato perché non aveva provveduto a cancellare dall’albo A. M., nonostante la sua precedente condanna, prima dei fatti per cui è causa.
Roma Capitale proponeva appello in via principale, sostenendo l'inammissibilità della nuova richiesta di risarcimento, avendo M. S. già ottenuto, in sede di procedimento penale, l'integrale ristoro dei danni con l'assegnazione della provvisionale di euro 100.000,00 a carico di A. M.; negava l'esistenza di un qualsiasi obbligo da parte sua di verifica e di vigilanza in relazione al possesso dei requisiti morali per l'esercizio del servizio di conducente di taxi e di auto con noleggio e deduceva che tale obbligo era posto esclusivamente a carico della Camera di Commercio di Roma, competente nella tenuta dell'apposito ruolo.
La Camera di Commercio di (omissis) proponeva appello incidentale, chiedendo che fosse dichiarata nulla o annullabile la sentenza del Tribunale per la mancata partecipazione al giudizio di A. M., litisconsorte necessario, o, in subordine, che la pronuncia fosse riformata, respingendo tutte le domande nei suoi confronti avanzate da M. S. e, in via gradata, domandava di rigettare l’appello di Roma Capitale nella parte in cui aveva insistito perché fosse dichiarata la sua responsabilità, contestava, infine, anche la quantificazione dei danni.
M. S. chiedeva il rigetto di entrambi gli appelli.
La Corte d'appello di Roma, con sentenza n. 4591 del 5 luglio 2019, in parziale riforma della pronuncia impugnata, ha respinto la domanda risarcitoria avanzata da M. S. nei confronti della Camera di Commercio di (omissis) ed ha condannato la sola Roma Capitale al pagamento in favore della appellata, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del congiunto, dell'importo di euro 97.904,00, determinato sottraendo la somma oggetto della provvisionale a carico dell'autore del reato.
Segnatamente, la sentenza di appello ha confermato la ricorrenza di un obbligo di vigilanza a carico di Roma Capitale sullo svolgimento del servizio di trasporto pubblico non di linea, svolto da Taxi ed NCC, pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato tra l'amministrazione e l'esercente del trasporto stesso; ha condiviso con il Tribunale il convincimento che tale obbligo non fosse stato adempiuto, perché nessun provvedimento, neppure di tipo cautelare, era stato adottato al fine di impedire la permanenza in servizio di A. M., nonostante plurime segnalazioni fossero pervenute all'amministrazione riguardanti condotte di forte disvalore professionale e sociale poste in essere dal tassista (denunce per truffa presentate da alcuni clienti, denuncia per aggressioni verbali e fisiche, ecc.); ha accolto l’appello incidentale della Camera di Commercio, perché ha ritenuto che l’obbligo di provvedere alla cancellazione dall’albo sussisteva solo in caso di sentenza irrevocabile di condanna a pene detentive per reati contro il patrimonio e non anche nel caso di condanna pecuniaria, sia pure sostitutiva di quella detentiva, come quella che era stata comminata ad A. M..
Roma Capitale ricorre per la cassazione della sentenza n. 4591 del 5 luglio 2019 della Corte d'Appello di Roma, formulando due motivi.
Resistono con separati controricorsi la Camera di Commercio di (omissis) e M. S..
Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo Roma Capitale denuncia l'”illegittimità della sentenza per violazione delle legge quadro n. 21/1992 e della L.R. Lazio n. 58/1993 ex art. 360, n. 3 c.p.c.”, per avere ritenuto sussistente a suo carico uno specifico obbligo di vigilanza sullo svolgimento del servizio di trasporto pubblico non di linea, svolto da Taxi ed NCC, pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato con l'esercente del trasporto
La ricorrente sostiene che la competenza del Comune si limita al rilascio delle licenze ed autorizzazioni, successivamente all’avvenuta iscrizione del richiedente nell'albo dei conducenti istituito presso la Camera di Commercio che sostituisce la certificazione comprovante il possesso dei requisiti di idoneità professionale e morale, già accertato dalla Commissione competente per la formazione e la conservazione del ruolo;
di conseguenza l’amministrazione non solo non avrebbe alcun obbligo di verifica, ma sarebbe tenuta solo ad accertare l’effettiva iscrizione del richiedente all'apposito ruolo tenuto dalla Camera di Commercio, cui spetterebbe valutare il possesso dell'idoneità psico- fisica dei soggetti registrati al momento dell'iscrizione ed anche successivamente, al momento del rinnovo della licenza e/o dell’autorizzazione; di sicuro, Roma Capitale non avrebbe alcun potere discrezionale in ordine al rilascio ed al rinnovo della concessione.
Il motivo non merita accoglimento.
Roma Capitale riproduce le stesse argomentazioni che aveva posto a fondamento dei motivi di appello e non si confronta affatto con la sentenza impugnata che, allo scopo di disattenderli, ha fornito una articolata spiegazione logico-giuridica che non è stata confutata dalla ricorrente, alla quale spettava, stante la deduzione quale vizio cassatorio di un error in iudicando, dimostrare in che modo e con quale affermazione la Corte territoriale si fosse posta in contrasto con le norme regolatrici della materia indicate nell’epigrafe del motivo, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte conclusioni.
La ricostruzione dello statuto normativo e regolamentare ha consenti alla sentenza impugnata di ritenere: i) che il Regolamento di vigilanza e controllo poneva a carico del Comune un generale controllo sull’operato dei tassisti e dei conducenti di auto con noleggio, da esercitare attraverso un apposito Ufficio di controllo costituito con delibera della Giunta Municipale (art. 37); ii) che detto controllo spettante al Comune non si esauriva affatto nella verifica che il tassista e il conducente di auto con noleggio avessero ottenuto e conservato l’iscrizione all’albo tenuto dalla Camera di Commercio; iii) che, infatti, in sede di rinnovo della licenza di tassista ad A. M. era stato precisato che l’amministrazione comunale avrebbe potuto, per ragioni di pubblico interesse e a suo giudizio insindacabile, essere sospesa o revocata;
iv) che non rilevava il fatto che il Comune avesse rinunciato ad avvalersi degli strumenti di cui agli artt. 21 quater e 21 quinquies della l. n. 241/1990 e, quindi, non avesse previsto nel regolamento preposto strumenti specifici volti a sanzionare le condotte degli esercenti il trasporto non di linea; v) che le numerose segnalazioni pervenute all’amministrazione comunale sulla condotta di A. M. avrebbero dovuto indurre all’applicazione delle sanzioni previste dal Codice di comportamento, adottato con delibera della Giunta n. 1895/1999.
Le argomentazioni di Roma Capitale che, invece, come già si è detto, sostiene, sulla scorta di una propria, unilaterale interpretazione del quadro normativo e regolamentare, di non avere alcun obbligo di vigilanza sull’operato di tassisti e conducenti di auto noleggiate, omettendo di confrontarsi e confutare le argomentazioni della sentenza impugnata, non offre ragioni per inficiarle.
2. Con il secondo motivo è lamentata l’”Illegittimità della sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5 c.p.c.”.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto il Comune tenuto ad adottare misure di tipo cautelare "al fine di impedire la permanenza in servizio del M., a fronte di plurime segnalazioni pervenute all'amministrazione, inerenti a condotte di forte disvalore professionale e sociale poste in essere dal tassista (...) segnalazioni che avrebbero dovuto attivare il Comune ad adottare anche sanzioni pecuniarie sulla base del Codice di Comportamento
Trattandosi di provvedimento lesivo degli interessi e delle posizioni giuridiche soggettive di colui nei cui confronti va irrogato, il provvedimento di sospensione o di ritiro della concessione avrebbe dovuto essere adeguatamente motivato e, una volta verificata la sussistenza di tutti i presupposti, non avrebbe contenuto discrezionale ma vincolato.
Allo stesso modo, perciò, anche la valutazione dei requisiti morali (presupposti per il rilascio della concessione) non avrebbe potuto essere frutto di valutazione discrezionale, ma avrebbe dovuto avvenire alla luce della normativa vigente che, secondo Roma Capitale, non avrebbe consentito di negare ad A. M. la licena di tassista non ricorrendo nei suoi confronti alcuna delle, ipotesi ostative tassativamente previste dall’art. 17, comma 3, della LR 98/1993: condanna definitiva alla pena detentiva di almeno due anni per reati non colposi; condanna definitiva a pena detentiva non inferiore ad un anno per reati contro il patrimonio, la fede pubblica, l'ordine pubblico, l'industria e il commercio nonché per quelli previsti dal Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di dipendenza; condanna a pena detentiva per reati relativi allo sfruttamento della prostituzione altrui; sottoposizione alle misure di prevenzione previste a carico delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità; condanna a pena detentiva non inferiore ad un anno per i reati di cui agli articoli 581, 582, 609-bis, quater, quinquies, ed octies cod.pen.
Secondo il Comune, quand’anche avesse avuto una competenza in ordine alla verifica dei requisiti di idoneità morale di A. M., non ricorrevano i presupposti per ritirare o sospendere la licenza taxi di cui A. M. era titolare, non essendo egli incorso in alcuna delle condanne di cui all’art. 17 del regolamento comunale.
Non avrebbero potuto essere considerate cause ostative alla permanenza in ruolo né la condanna detentiva ad un mese di reclusione per furto aggravato, atteso che essa era stata sostituita dal giudice con la multa di euro 1161,00, né le segnalazioni sulla condotta di A. M., palesemente non sufficienti ai fini della sua cancellazione dal ruolo dei conducenti o anche ai fini della sospensione o revoca della licenza.
La Corte territoriale non avrebbe neppure considerato che il reato era stato commesso da A. M. fuori dallo svolgimento del servizio di conducente taxi, nella sua veste di privato cittadino, quando non sarebbe stato esigibile da parte del Comune l’esercizio di alcun obbligo di vigilanza.
Il motivo è inammissibile nella misura in cui non si è confrontata e quindi non ha confutato la decisione impugnata nella parte in cui ha stabilito che il Comune aveva un generale dovere di vigilanza e controllo sull’operato dei tassisti e dei conducenti e che gli competeva l’adozione di misure necessarie affinché il servizio di trasporto si svolgesse in condizioni di sicurezza sia per gli utenti sa per la collettività, che gli era imputabile la mancata previsione di “strumenti regolamentari specifici, cogenti e penetranti, idonei a sanzionare condotte delle quali si fossero resi responsabili gli esercenti il trasporto pubblico non di linea” e che tale scelta non lo esonerava affatto dall’obbligo di attivarsi al fine di interdire lo svolgimento del servizio di trasporto a soggetti reiteratamente segnalati come pericolosi, avvalendosi degli strumenti previsti dagli artt. 21 quater e 21 quinquies l. 241/1990 “ (p. 11 della sentenza). Pertanto, non può affatto sostenersi che la Corte d'Appello sia incorsa nell’omesso esame di un fatto decisivo, come sostenuto da Roma Capitale, peraltro, senza neppure soddisfare gli oneri di allegazione gravanti su chi fondi il proprio assunto cassatorio sull’art. 360, comma 1°, n. 5 cod.proc.civ. e senza neppure misurarsi con la preclusione processuale di cui all’art. 348 ultimo comma cod.proc.civ., stante che, per la parte che ha riguardato la ricorrenza della responsabilità del Comune, la sentenza impugnata è da ritenersi conforme a quella di primo grado; senza considerare che ciò che non sarebbe stato esaminato non che costituisce un "fatto", agli effetti dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: fatto, infatti, non una "questione" o un "punto", ma un vero e proprio "fatto", in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass., 6/09/2019, n. 22397; Cass. 8/09/2016, n. 17761; Cass., Sez. Un., 23/03/2015, n. 5745; Cass. 4/04/2014, n. 7983; Cass. 5/03/2014, n. 5133). Non costituiscono, viceversa, "fatti", il cui omesso esame possa cagionare il vizio di cui alla richiamata norma del codice di rito le argomentazioni, supposizioni o deduzioni difensive (Cass. 18/10/2018, n. 26305; Cass. 14/06/2017, n. 14802); gli elementi istruttori (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053); una moltitudine di fatti e circostanze, o il "vario insieme dei materiali di causa" (Cass. 21/10/2015, n. 21439; Cass. 29/10/2018, n. 27415), sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo al mancato esame dei suddetti profili (Cass. 14/09/2022, n.27076). Alle stesse ragioni di inammissibilità si espone la censura volta a contestare che il giudice a quo non abbia tenuto conto che la lite che aveva provocato la morte di P. L. era avvenuta fuori dallo svolgimento del servizio di tassista.
3) Il ricorso è dunque inammissibile.
4) Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
5) Seguendo l'insegnamento di Cass., Sez. Un., 20/02/2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna Roma Capitale al pagamento delle spese in favore di ciascuna delle parti controricorrenti, liquidandole in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Quanto liquidato a favore di M. S. va distratto a favore dell’avvocato G. L. G., suo rappresentante legale in questo giudizio.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.