Svolgimento del processo
1. Con sentenza 1.06.2021, il tribunale di Bologna, dichiarava B. M. colpevole del reato di cui all'art. 659, c.p. (per aver, nella qualità di titolare del pubblico esercizio B., più volte posto in essere una condotta idonea a turbare la quiete pubblica, non impedendo schiamazzi e rumori provocati dagli avventori dei locali,· anche in ragione dell'orario notturno fino al quale tali rumori si protraevano), in relazione a fatti contestati come commessi dal 2016 ed accertati nel dicembre dello stesso anno, con condanna del medesimo alla pena di 200 euro di ammenda ed al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite da liquidarsi in separata sede, oltre ad una provvisionale di 2000 euro, con i doppi benefici di legge.
2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il difensore fiduciario ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un unico, articolato, motivo, di seguito sinteticamente indicato.
2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 40, cpv, c.p. 110 e 659, c.p. e correlato vizio di travisamento probatorio. In sintesi, richiamate le risultanze istruttorie sommariamente trascritte in ricorso, la difesa riporta poi le conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito, censurandole sotto due profili:
a) anzitutto, laddove il giudice avrebbe addebitato al ricorrente la rumorosità eccessiva non legata al suo locale mai misurata da alcuno né collocata in un orario sensibile, diversamente riconosciuta dai testi e dai tecnici Arpae come originata non solo dal suo locale ma anche da tutti quelli esistenti nella zona, e soprattutto dalla folla circolante sulla strada pubblica. Ciò avrebbe determinato il travisamento della prova, finendosi per attribuire al B. la sommatoria di tutte le fonti sonore rilevate sul posto, quando era solo quella riferibile al suo locale ad assumere rilevanza. Peraltro a lamentarsi della misura sarebbero state solo le tre parti civili costituitesi e che vivevano nelle strette adiacenze del suo locale e nessun altro, avendo peraltro il ricorrente sempre rispettato l'orario di chiusura né potendosi addebitare la condotta al B. ex art. 110 c.p. in concorso con altri soggetti non identificati, in assenza di prova peraltro che la quota di incremento di rumorosità derivante dal suo locale avesse attinto di per sé la soglia di rilevanza penale;
b) in secondo luogo, laddove il giudice avrebbe addebitato al ricorrente ai sensi dell'art. 40, cpv., c.p., la responsabilità di non aver sputo far fronte a tale situazione, adottando adeguati rimedi, essendo invece risultato pacifico che egli avesse fatto tutto quanto era nelle sue possibilità anche chiedendo la collaborazione del Comune che non era intervenuto. I. non avrebbe assunto né una posizione di controllo né una posizione di protezione e, in ogni caso, avrebbe dovuto essere individuata la fonte legale dell'obbligo di garanzia, non derivante dal semplice regolamento comunale, indicando anche quali fossero i poteri di intervento ed imperio che ne derivavano. Il giudice avrebbe confuso 1-'obbligo di vigilanza generale rilevante ai fini della responsabilità penale omissive, con quello della sorveglianza particolare, il cui inadempimento assumeva rilievo solo rispetto ai suoi clienti, non avendo comportato alcun turbamento alla pubblica quiete ma solo ai tre vicini costituitisi parte civile né essendo richiedibile al medesimo di attivarsi verso la folla sulla pubblica via o verso gli avventori di altri esercizi, avendo in tal senso richiesto l'intervento del Comune in una concertazione mediatrice, restando inascoltato. In sostanza, secondo la difesa, il B. non avrebbe potuto essere chiamato a rispondere degli schiamazzi posti in essere da persone transitanti e in sosta lungo tutta la via, né da avventori di altri esercizi ovvero da consumatori di bevande alcoliche smerciate dagli ambulanti presenti in quella zona.
3. Con motivi aggiunti depositati in data 18.05.2022, unitamente ad allegati, la difesa del ricorrente ha ulteriormente ribadito quanto già sostenuto con il secondo profilo di doglianza supra illustrato, eccependo peraltro l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione.
4. Infine, in data 7.06.2022 è pervenuta a mezzo deposito telematico una memoria difensiva nell'interesse delle parti civili, con le correlate conclusioni scritte e nota spese.
Motivi della decisione
1. Il ricorso, trattato in presenza, a seguito di istanza, accolta, ai sensi dell'art. 23 del D.L. n. 137 /2020, è inammissibile perché generico per aspecificità e comunque per manifesta infondatezza.
2. In particolare, lo stesso non si confronta con l'ampia e puntuale motivazione del giudice di merito che ha esaminato (v. pagg. 18 ss. della sentenza impugnata) analiticamente gli elementi di prova, logicamente argomentando in merito alla responsabilità penale del B., valorizzando adeguatamente le dichiarazioni dei tre testimoni costituitisi parti civili, sulla cui credibilità non ha sollevato dubbi anche in ragione della circostanza di aver gli stessi reso dichiarazioni anche favorevoli al ricorrente, con ciò evidenziando la loro piena credibilità sotto il profilo oggettivo e soggettivo, dichiarazioni peraltro riscontrate dalle prove dichiarative e documentali riportate a pag. 19 (esposti degli abitanti di via (omissis) al Comune; esiti dei rilievi tecnici ARPAE in ordine al superamento dei limiti di immissione assoluti; irrilevanza delle dichiarazioni testimoniali a difesa), nel contempo destituendo di fondamento, in quanto affidate alle mere labiali affermazioni del ricorrente, le giustificazioni addotte dal medesimo in sede di esame.
3. La sentenza si pone, peraltro, a dispetto di quanto sostenuto dal ricorrente, il problema della "rumorosità d'insieme" della pubblica via escludendo che quanto dedotto valga ad escludere la responsabilità del ricorrente, essendo emersa dai testi escussi, in ordine all'identificazione delle sorgenti rumorose, la riferibilità al B. di specifiche condotte idonee al turbamento della quiete pubblica, descritte dettagliatamente alla pag. 20 della motivazione, avendo infatti confermato i tre testi, parti civili, la presenza di rumori molesti provenienti dall'interno e dall'esterno del locale, evidenziando come il B. fosse solito attardarsi al pianoforte anche in orario notturno senza tenere le porte chiuse, così come previsto dal regolamento comunale per la disciplina delle attività rumorose temporanee.
Inoltre, il giudice di merito, quanto ai rumori esterni al locale, ha evidenziato come il B., a differenza dei titolari degli altri tre locali attenzionati, non avesse adottato misure idonee a contenere il fenomeno del disturbo della quieta. pubblica arrecato dagli avventori del locale che stazionavano all'uscita del bar, non emergendo la realizzazione di interventi preordinati alla dispersione di assembramenti molesti dinanzi al locale e/o ad evitare il consumo di bevande all'esterno, né è emerso che fossero state promosse iniziative di informazione e/o di sensibilizzazione degli avventori sull'esigenza di adottare, all'uscita dal locale e nelle immediate adiacenze di esso, comportamenti rispettosi dei diritti dei residenti e tali da non arrecare pregiudizio alla quieta pubblica e privata, né, infine, che per fronteggiare situazioni di intemperanza e/o contrastanti con le norme poste a tutela della tranquillità pubblica sia stato richiesto l'intervento delle forze dell'ordine.
Il giudice di merito si è poi soffermato anche, alle pagg. 23 ss., sul tema dell'idoneità delle immissioni rumorose e musicali ad arrecare disturbo alla quiete di un numero indeterminato di persone, fornendo sul punto motivazione del tutto logica, richiamando quanto riferito dal teste A. e dal teste S., escludendo potessero sussistere dubbi sulla potenziale offensività delle condotte accertate, tenuto conto dell'intensità e della diffusività del rumore, delle emissioni sonore e degli schiamazzi, prodotti peraltro anche in orario notturno, con conseguente idoneità a disturbare il riposo e il sonno di una pluralità indeterminata di persone.
4. In diritto, peraltro, la motivazione è assolutamente ineccepibile avendo richiamato puntualmente la giurisprudenza di questa Corte circa la configurabilità del reato sotto il profilo oggettivo e soggettivo (Cass., n. 14750 del 22.01.2020; Cass. n. 34283/2015; Cass., n. 48122/2008), correttamente peraltro individuando la fonte dell'obbligo legale costitutivo della posizione di garanzia nell'art. 15, co. 2, lett. a) e b) del Regolamento comunale di polizia urbana del Comune di Bologna (sulla possibilità che detta fonte possa essere anche regolamentare, si v., implicitamente: Sez. 2, n. 4633 del 01/10/2020 - dep. 05/02/2021, Rv. 280569; Sez. 4, n. 10773 del 28/06/2000 - dep. 20/10/2000, Rv. 217624), e ritenendo dimostrata la configurabilità del reato sulle convergenti e credibili dichiarazioni dei tre testi, parti civili, pur in assenza di specifiche indagini tecniche e dalla mancata irrogazione di sanzioni amministrative per violazione degli orari di chiusura e/o per violazioni del regolamento predetto (Cass. n. 11031 del 5.02.2015), né essendovi dubbio della configurabilità, come detto, del reato sotto il profilo dell'elemento psicologico del reato (Cass. n. 33627/2013).
5. Quanto alla eccepita prescrizione, è sufficiente richiamare il consolidato principio secondo cui l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 - dep. 21/12/2000, Rv. 217266 - 01).
6. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
7. Segue, infine, anche la condanna alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate, ai sensi del DM n. 55/2014, come da dispositivo (€ 3510,00, somma aumentata del 30% ex art. 12, comma secondo, DM citato, per la difesa di più parti).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi euro 4.550,00, oltre accessori di legge.