Ciò in ossequio a quanto stabilito dalla Consulta con la sentenza n. 125/2022, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, comma 7, secondo periodo, dello Statuto dei lavoratori con riferimento alla parola «manifesta».
Il Tribunale accertava l'avvenuta violazione dell'obbligo di repêchage e l'illegittimità del licenziamento del lavoratore, il quale dapprima era stato addetto alle dipendenze di una società e in seguito di altra società ma, alla cessazione del contratto di appalto, egli era stato licenziato. A seguito di gravame, la Corte d'Appello aveva ritenuto...
Svolgimento del processo
1 (omissis) convenne in giudizio la (omissis) s.p.a. esponendo di aver lavorato quale addetto alla mensa prima alle dipendenze di (omissis) s.p.a., dal 1996 al 2006, e poi alle dipendenze della convenuta che in data 10.3.2015, quando era cessato l'appalto con (omissis) s.p.a., lo aveva licenziato. Dedusse l'illegittimità del licenziamento stante la manifesta insussistenza del fatto, la mancata utilizzazione dei criteri di scelta ex legge n. 223 del 1991 e la violazione dell'obbligo di repechage tenuto conto delle nuove assunzioni intervenute e del ricorso al lavoro supplementare.
2. Il Tribunale, all'esito della fase sommaria, accertava l'illegittimità del licenziamento per avere la società applicato i criteri di scelta nell'ambito del personale in servizio sull'appalto cessato e non anche con riguardo all'intero complesso aziendale. Inoltre, accertava l'avvenuta violazione dell'obbligo di repechage.
3. All'esito dell'opposizione, invece, la domanda del (omissis) venne rigettata, essendo stata accertata la legittimità del recesso.
4. La Corte di appello di Salerno, investita del reclamo da parte di (omissis) , invece, ritenne illegittimo il licenziamento in quanto - pur provato il giustificato motivo oggettivo posto a fondamento del recesso e infondata la censura avente ad oggetto l'utilizzazione dei criteri di scelta per individuare il personale da licenziare - non era stata offerta la prova della impossibilità di ricollocare il lavoratore in altre mansioni anche in ambito extraregionale. Pertanto, in riforma dell'ordinanza del Tribunale, ferma la risoluzione del rapporto di lavoro la società venne condannata al pagamento di un'indennità risarcitoria che fu quantificata in 20 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto percepita oltre agli interessi legali ed alla rivalutazione monetaria fino all'integrale soddisfo.
5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso (omissis) affidato a due motivi. La (omissis) s.p.a. ha resistito con controricorso eccependo l'inammissibilità del ricorso principale con il quale erano state semplicemente reiterate le obiezioni mosse nei gradi di merito e comunque la sua infondatezza. Inoltre, la società ha proposto ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.
Il (omissis) ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell'art. 380 bis 1 c.p.c..
Motivi della decisione
6. Con il primo motivo del ricorso principale è denunciata la violazione ed errata o falsa applicazione dell'art. 3 e dell'art. 5 della legge n. 604 del 1966; degli artt. 1175, 1375, 2118 e 2697 c.c.; dell'art. 5 della legge n. 223 del 1991; degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e dell'art. 416 c.p.c. in relazione all'art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.. Inoltre, si lamenta l'omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., da intendersi anche come esame apparente e/o perplesso e/o incomprensibile.
6.1. Sostiene il ricorrente che erroneamente la Corte di merito aveva ritenuto corretta l'applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare da parte della società e sottolinea che, diversamente da quanto in concreto avvenuto, la società avrebbe dovuto porre in comparazione la posizione di (omissis) con l'intera platea dei lavoratori in servizio presso la (omissis) s.p.a. la quale gestisce numerose mense e migliaia di lavoratori sul piano nazionale.
7. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e errata o falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della legge n. 604 del 1966; degli artt. 1175, 1375, 2118, 2697 c.c. e dell'art. 18 commi 5 e 7 della legge n. 300 del 1970 e ss.mm. oltre che l'omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. da intendersi anche come esame apparente e/o perplesso e/o incomprensibile e deduce che a fronte dell'accertata violazione dell'obbligo di repechage si sarebbe dovuta disporre la reintegrazione del lavoratore.
8. Con l'unico motivo di ricorso incidentale la società (omissis) denuncia la violazione dell'obbligo di repechage e l'errata applicazione dell'art. 1375 c.c. e sostiene che, diversamente da quanto affermato dal giudice di appello, tutte le affermazioni del lavoratore sul repechage (assunzione di un'unità ad A. e svolgimento di lavoro straordinario supplementare), pur nella loro genericità erano state comunque contestate. Erroneamente, perciò, la Corte di merito aveva ritenuto che il datore di lavoro fosse venuto meno all'onere probatorio che su di lui incombeva trascurando così di considerare che il lavoratore non aveva individuato alcuna posizione concreta cui poteva essere adibito. Sostiene che diversamente sarebbe imposto un onere probatorio impossibile che, invece, doveva essere contenuto appunto nei limiti delle allegazioni del lavoratore ricorrente.
9. Per ragioni di priorità logica va esaminato per primo il ricorso incidentale che investe la statuizione con la quale la Corte di merito ha confermato la illegittimità del licenziamento sotto il profilo del mancato adempimento dell'onere di provare l'impossibilità di ricollocare il lavoratore in una diversa posizione.
9.1. Occorre premettere al riguardo che secondo l'oramai consolidato orientamento di questa Corte in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, spetta al datore di lavoro l'allegazione e la prova dell'impossibilità di "repechage" del dipendente licenziato, in quanto requisito di legittimità del recesso datoriale, senza che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili, essendo contraria agli ordinari principi processuali una divaricazione tra i suddetti oneri." (cfr. tra le tante Cass. nn. 5592 e 12101 del 2016). Il lavoratore ha l'onere di dimostrare il fatto costitutivo dell'esistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato così risolto, nonché di allegare l'illegittimo rifiuto del datore di continuare a farlo lavorare in assenza di un giustificato motivo, mentre incombono sul datore di lavoro gli oneri di allegazione e di prova dell'esistenza del giustificato motivo oggettivo, che include anche l'impossibilità del cd. "repechage", ossia dell'inesistenza di altri posti di lavoro in cui utilmente ricollocare il lavoratore (cfr. Cass. n. 24882 del 2017). In sostanza sul datore di lavoro incombe la dimostrazione del fatto negativo costituito dall'impossibile ricollocamento del lavoratore che può essere data con la prova di uno specifico fatto positivo contrario o mediante presunzioni dalle quali possa desumersi quel fatto negativo (cfr. Cass. n. 23789 del 2019).
9.2. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi avendo verificato che gli elementi di valutazione dai quali la società avrebbe voluto far derivare l'impossibilità di adibire altrimenti il lavoratore (flessione del numero di dipendenti, assenza di posizioni idonee per il reimpiego, estinzione di numerosi appalti, cospicuo ridimensionamento delle attività e del personale) pur complessivamente considerate non consentivano di escludere che, in presenza di numerosi appalti ancora in piedi anche in ambito extra regionale, vi fossero posizioni utili alle quali assegnare il lavoratore invece che licenziarlo. Si tratta di apprezzamento del materiale probatorio eseguito in adesione ai principi sopra richiamati e perciò non censurabile davanti a questa Corte se non sotto il profilo del vizio di motivazione nella specie neppure denunciato.
10. Venendo all'esame del primo motivo del ricorso principale, questo è inammissibile. Il ricorrente, infatti, non ha interesse a censurare un capo della sentenza che, pur a lui sfavorevole, non ha comunque inciso sull'esito della controversia che comunque ha visto accertare l'illegittimità del recesso intimatogli per giustificato motivo oggettivo seppure sotto il diverso, e parimenti contestato, profilo del mancato assolvimento dell'obbligo di repechage.
11. Deve invece essere accolto il secondo motivo del ricorso principale.
11.1. Con la censura ci si duole della tutela applicata e si deduce che a fronte dell'accertata violazione dell'obbligo di repechage si sarebbe dovuta disporre la reintegrazione del lavoratore.
11.2. Rileva infatti il Collegio che nelle more della definizione del giudizio è intervenuta la sentenza n. 125 del 19 maggio 2022 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge n. 300 del 1970, come modificato dall'art. 1, comma 42, lettera b), della legge n. 92 del 2012, limitatamente alla parola «manifesta».
11.3. Va al riguardo rammentato che, anche nel giudizio di cassazione, qualora sopravvenga dopo la deliberazione della decisione della Corte di Cassazione e prima della pubblicazione della stessa, la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma di legge e tale dichiarazione risulti potenzialmente condizionante rispetto al contenuto ed al tipo di decisione che la Corte stessa era chiamata a rendere, sussiste il dovere della Corte di Cassazione di tenere conto della suddetta dichiarazione, posto che anche il giudizio di cassazione pende sino a quando la sentenza non sia stata pubblicata e considerato che le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dopo la pubblicazione della sentenza della Corte Cost. (Cass. n. 5884 del 1999; Cass. n. 16081 del 2004).
11.4. Tanto premesso, ritiene il Collegio che nel caso in esame il capo della sentenza impugnata che ha negato la tutela reintegratoria al (omissis) sulla base di un parametro normativo oramai espunto dall'ordinamento, debba essere cassato per consentire al giudice del rinvio di riconoscere la tutela dovuta secondo il modificato quadro normativo (Cass. 07/07/2022 n. 21470 e n. 21468).
12. Alla luce delle esposte considerazioni, pertanto, rigettato il ricorso incidentale ed il primo motivo del ricorso principale, in accoglimento del secondo motivo del ricorso proposto da (omissis), la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Salerno che verificherà quale sia la tutela in concreto applicabile alla fattispecie sulla base della nuova dizione letterale dell'art. 18 comma 7 della legge n. 300 del 1970 e ss.mm.. Alla Corte del rinvio è demandata la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell'art.13 comma 1 bis del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte, riconvocatasi nella medesima composizione in data 28 settembre 2022, così decide:
rigetta il ricorso incidentale ed il primo motivo del ricorso principale; accoglie il secondo motivo del ricorso principale;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell'art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.