Dopo le recenti pronunce della Consulta, la tutela applicabile al dipendente è quella prevista dal quarto comma dell'art. 18 Statuto dei lavoratori. Spetta al datore provare l'impossibilità di repêchage.
Il un giudizio avente ad oggetto l'accertamento della nullità/ illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato all'attuale ricorrente dalla società datrice, il Giudice di primo grado condannava quest'ultima al pagamento in favore del ricorrente dell'indennità risarcitoria commisurata sull'ultima retribuzione.
In...
Svolgimento del processo
1. Il giudice di primo grado, pronunziando sulla domanda di F.P. intesa all'accertamento della nullità/illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatogli dalla datrice di lavoro A.C.E. ed alla reintegra nel posto di lavoro con condanna al pagamento dell'indennità risarcitoria ex art. 18 della legge n. 300 del 1970, oltre all'ulteriore risarcimento del danno per demansionamento e mobbing e per le modalità asseritamente ingiuriose di intimazione del recesso, ha dichiarato risolto tra le parti il rapporto di lavoro e condannato la convenuta A. al pagamento in favore del ricorrente dell'indennità risarcitoria commisurata sull'ultima retribuzione globale di fatto nella misura di sedici mensilità, oltre accessori, respingendo ogni altra domanda.
2. La Corte di appello di Roma, pronunziando sugli appelli proposti da entrambe le parti, riuniti ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ., rigettato l'appello dell'A.C.E., in parziale accoglimento dell'appello del P., confermata nel resto la decisione di primo grado, ha condannato la datrice di lavoro al pagamento dell'ulteriore risarcimento del danno, collegato alla modalità di risoluzione del rapporto, quantificato in via equitativa nella somma di€ 15.000,00 oltre accessori.
3. Il giudice di appello, esclusa la natura discriminatoria del recesso datoriale prospettata in relazione alla non appartenenza del P. al mondo dell'Opus Dei al quale facevano capo le attività dell'A.E., escluso il demansionamento e svuotamento di mansioni così come la configurabilità di una condotta mobbizzante (per essere gli episodi a tal fine denunziati riconducibili all'ambito della fisiologica dinamica dei rapporti di lavoro), ha ritenuto effettiva e non simulata la riorganizzazione attuata dal nuovo Direttore Generale dell'A., espressione della libertà di iniziativa economica non sindacabile in sede giudiziale nei suoi profili di congruità e opportunità; la lettera di recesso del 18 maggio 2017 così come la precedente comunicazione inviata ai sensi dell'art. 7 legge n. 604/1966, fra loro congruenti, indicavano chiaramente la ragione di carattere tecnico - produttivo giustificativa del licenziamento costituita dalla soppressione della posizione di Responsabile della Funzione " Comunicazione istituzionale E." rivestita fino a quel momento dal P.; parte datoriale aveva in giudizio fornito sufficiente ed adeguata dimostrazione della effettività di tale causale rappresentata dal riassetto organizzativo del settore Comunicazioni offrendo ulteriore, seppure non necessaria, dimostrazione, della esigenza di riduzione dei costi, realizzata attraverso la redistribuzione di una parte di attività tra altri soggetti mentre, quanto all'attività di relazioni istituzionali, risultavano in atti due proposte di contratto per l'affidamento ad una società esterna di un piano di comunicazione di un pacchetto di servizi di comunicazione istituzionale; tanto escludeva la manifesta insussistenza del motivo oggettivo di licenziamento. In merito al <<repechage>> il giudice di appello ha rilevato che le contestazioni svolte dall'A. erano del tutto generiche ed inadeguate a contrastare le allegazioni sviluppate a riguardo da parte ricorrente circa l'assunzione, in prossimità temporale con il licenziamento, di altri dipendenti, della presenza nell'organico dell'A. di dipendenti C.C., e, dato atto della esistenza di un unico centro di imputazione fra la A. ed altri soggetti facenti capo alla < < galassia E. > >; l'A. non aveva dato prova di ricollocazione del dipendente in una diversa posizione, anche nel campo della formazione- docenza o in mansioni inferiori a quelle di appartenenza, come richiesto dal lavoratore in sede di comparizione delle parti dinanzi alla D.T.L.. Il giudice di appello ha escluso, infine, che la decisione di sopprimere le mansioni del ricorrente e di licenziarlo, senza alcun criterio selettivo, fosse da sola sufficiente a comportare l'applicabilità della tutela reintegratoria; ha quindi ritenuto che le modalità di licenziamento del dipendente avessero determinato una lesione qualificabile come danno morale il cui ristoro ha determinato in via equitativa.
4. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso F.P. sulla base di sei motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso con il quale ha proposto ricorso incidentale affidato a tre motivi; F.P. ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale.
5. Il PG ha concluso per l'accoglimento, per quanto di ragione, del primo motivo di ricorso principale, respinto nel resto unitamente al secondo ed al quinto motivo di ricorso principale, assorbiti gli altri motivi, e per la declaratoria di improcedibilità o, in subordine, di rigetto del ricorso o incidentale
6. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
Motivi di ricorso principale
1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente principale deduce: nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e/o del procedimento, vizio di motivazione, omessa pronunzia su fatti decisivi per il giudizio (mancata comunicazione dei motivi di licenziamento, violazione del principio di immodificabilità delle ragioni del licenziamento, inefficacia del recesso, nullità del licenziamento e obbligo di reintegra del lavoratore), vizio di attività; violazione e falsa applicazione dell'art. 2697, cod. civ., degli artt. 2, 3 e 5 della legge n. 604/1966, dell'art. 18 della legge n. 300/1970, degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., vizio di motivazione per violazione degli artt. 112, 115 e 116 e dell'art. 2697 cod. civ..
Censura la sentenza impugnata per avere negato la tutela reintegratoria omettendo di pronunziare o comunque di considerare adeguatamente molteplici profili di illegittimità del licenziamento enucleati nel ricorso in appello la cui verifica - asserisce - avrebbe comportato l'applicazione della tutela ripristinatoria; tali quello relativo alla mancata indicazione nel provvedimento espulsivo delle ragioni produttive e organizzative che giustificavano la soppressione del posto di lavoro, con violazione del principio di immodificabilità delle ragioni a base del recesso datoriale; quello relativo alla pretestuosità e simulazione del preteso riassetto organizzativo alla base della soppressione della posizione di lavoro ricoperta; quello che evidenziava come la posizione di lavoro attualmente rivestita fosse frutto del conferimento di mansioni superiori per cui la soppressione del posto di lavoro giammai avrebbe potuto intaccare la posizione impiegatizia rivestita; quello per cui stante la configurabilità di un unico centro di imputazione tra l'A.E., formale datrice di lavoro ed altri soggetti facenti parte della < <galassia E.> > comportava che il venir meno della funzione rivestita per l'A. non implicava anche il venir meno della funzione di comunicazione in relazione agli altri soggetti; quello relativo alla violazione del principio di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. nell'individuare il ricorrente come lavoratore da licenziare tra i lavoratori di pari qualifica e mansioni fungibili.
2. Con il secondo motivo deduce omesso esame di fatto decisivo con riguardo al carattere discriminatorio/ritorsivo del licenziamento, oggetto di discussione fra le parti; deduce inoltre violazione /o falsa applicazione degli artt. 3 e 4 della legge n. 604/1966, dell'art. 15 della legge n. 300/1970, dell'art. 3 della legge n. 108/1990 e dell'art. 1324 cod. civ.; denunzia vizio di motivazione per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 cod. proc. civ. e dell'art. 2697 cod. civ; richiamate le allegazioni e deduzioni formulate nel giudizio di merito in ordine al carattere discriminatorio del licenziamento, censura la sentenza impugnata per avere escluso l'intento discriminatorio alla base del recesso datoriale ed assume che le conclusioni attinte sul punto dalla Corte di merito erano avulse dalla realtà fattuale e processuale, frutto di mancato reale approfondimento delle tematiche sollecitate. Insiste sul fatto che la Corte avrebbe dovuto rilevare che l'intento discriminatorio non può essere escluso dalla concorrenza di un'altra finalità e dalla legittimità di altra causale; ribadisce la sovrapponibilità dell'ufficio di comunicazione istituzionale a quello marketing; censura, la esclusione del demansionamento che assume contraddittoriamente negata dal primo giudice pur avendo lo stesso riconosciuto che alcune attività del dipendente erano state redistribuite ad altri lavoratori così riconoscendo che vi era stato uno svuotamento; censura inoltre l'affermazione della Corte di merito per avere ritenuto non contestata la deduzione di controparte circa la non appartenenza all'Opus Dei di alcuni colleghi.
3. Con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente principale deduce omesso esame dei mezzi istruttori, mancata motivazione - violazione del diritto di difesa; vizio di motivazione, violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 115 e 116 cod. proc. civ. e dell'art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. Lamenta il mancato espletamento dei mezzi istruttori finalizzati, in particolare, a confermare il carattere vessatorio della complessiva condotta datoriale.
4. Con il quarto motivo di ricorso denunzia omesso esame su eccezioni pregiudiziali e omessa pronunzia su domande riguardanti fatti fondamentali del giudizio; vizio di motivazione per violazione dell'art. 132 n. 4 cod. proc civ, e art 118 disp. att. cod. proc. civ, degli artt. 113, 115 e 116 e dell'art. 186 cod. proc. civ.. Si duole in particolare dell'omesso esame del fatto costituito dalla verosimile manomissione e/o non autenticità di alcuni atti prodotti dalla parte datoriale con specifico riferimento alla vicenda della procura del Direttore Generale dell'A., C., esibita in sede di tentativo di conciliazione presso la Direzione Provinciale; lamenta la sostanziale omessa pronunzia relativa alla deduzione di nullità/invalidità del recesso datoriale perché disposto e firmato da un Consigliere privo di legale rappresentanza dell'ente ed in questa prospettiva si duole che la Corte di merito non aveva motivato la fonte del suo convincimento in punto di poteri facenti capo al C. quale Direttore generale.
5. Con il quinto motivo deduce: "risarcimento del danno ulteriore. Vizio di motivazione" censurando la entità della somma liquidata a tiolo di risarcimento del danno, somma che assume inadeguata al pregiudizio subito.
6. Con il sesto motivo, richiamati le deduzioni relative ai denunziati vizi dell'atto di recesso datoriale, censura la statuizione di parziale compensazione delle spese di lite che assume dovevano essere interamente poste a carico dell'A..
Ricorso incidentale
7. Con il primo motivo di ricorso incidentale la A. E. deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 420, comma 5, cod. proc. civ e degli artt. 3 e 5, legge n. 604/1966, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto non assolto l'onere di <<repechage>> gravante sulla datrice di lavoro; sostiene che la Corte aveva posto a base del processo decisionale un'errata interpretazione degli artt. 115, 116 e 420, comma 5, cod. proc. civ. in tema di prove nonché degli artt. 3 e 5 della legge n. 604/1966, ritenendo che la A. si sarebbe limitata sul punto a generiche contestazione, senza avvedersi che le allegazioni formulate erano stato oggetto di specifico capitolo di prova capitolo di prova supportato da idonea (ed ignorata) documentazione.
8. Con il secondo motivo di ricorso incidentale parte ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 113, 114, 115, 116 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per avere riconosciuto il diritto del P. al risarcimento del danno connesso alle modalità di intimazione del recesso.
9. Con il terzo motivo di ricorso incidentale deduce violazione e/o falsa applicazione dell'art. 18, commi 5 e 7, legge n. 300/1970 censurando la sentenza impugnata per avere determinato la indennità risarcitoria sulla base di un criterio non conforme al parametro legale. La Corte di merito aveva, infatti, pretermesso di considerare a tal fine l'anzianità del lavoratore, il numero dei dipendenti occupati e le condizioni delle parti nonché le iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione.
Esame dei motivi di ricorso principale ed incidentale
10. Preliminarmente devono essere disattese le eccezioni di inammissibilità del controricorso con ricorso incidentale formulate dal P. che nel controricorso avverso il ricorso incidentale ha denunziato: a) la anomalia della relata di notificazione del controricorso con ricorso incidentale, effettuata a mezzo p.e.c., per avere il ricorrente attestato di trasmettere atti nativi digitali in PDF mentre l'atto nativo non nasceva in formato PDF ma in formato testuale poi trasformato in PDF; b) l'assenza nella relazione di notificazione della attestazione di conformità della procura speciale all'originale analogico.
10.1. Invero, in relazione al primo profilo, in assenza di specifiche contestazioni in ordine alla non conformità del contenuto dell'atto inviato all'originale depositato, deve escludersi la nullità della notificazione alla luce del principio di strumentalità delle forme, per avere comunque l'atto raggiunto il suo scopo (Cass. Sez. Un. n. 23620/2018); in relazione al secondo profilo deve escludersi la dedotta causa di improcedibilità del controricorso con ricorso incidentale, configurandosi una mera irregolarità per essere la procura alle liti stata depositata, unitamente al controricorso con ricorso incidentale, in originale nel fascicolo di ufficio (Cass. Sez. Un. n. 29175/2020).
10.2. Sempre in via preliminare deve essere rilevata la inammissibilità della eccezione di inammissibilità ed improcedibilità della costituzione nel presente giudizio dell'A.E., formulata dal P. per la prima volta nella memoria in data 25 ottobre 2021, ancorata ad una pretesa rinunzia all'azione di controparte, asseritamente desumibile dal comportamento processuale della stessa in relazione ad altro giudizio dalla stessa instaurato e poi abbandonato, avente ad oggetto la impugnazione della sentenza di primo grado Il rilievo di inammissibilità si collega alla funzione meramente illustrativa e non integrativa della memoria rispetto alle difese sviluppate nell'atto di impugnazione o nel controricorso (Cass. 18/12/2014, n. 26670; Cass. 15/03/2002, n. 3861).
11. Il primo motivo del ricorso principale presenta alcuni profili di inammissibilità. Un primo profilo deriva dalle modalità di articolazione delle censure, connotate la mescolanza e sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, formulati senza adeguata indicazione di quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi tra quelli tipicamente indicati, che rimettono in definitiva al giudice di legittimità l'enucleazione delle singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d'impugnazione, come non consentito (Cass. 26/11/2021, n. 36881; Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 10/02/2017, n. 3554; Cass. 14/09/2016, n. 18021).
11.1. Un secondo profilo di inammissibilità scaturisce, in relazione alle censure fondate sulla inadeguatezza e incompletezza del contenuto della lettera di licenziamento dalla mancata trascrizione o esposizione per riassunto del relativo contenuto, in violazione dell'art. 366, comma 1, n 6, cod. proc. civ. (Cass. 13/11/2018, n. 29093; Cass. 19/08/2015, n. 16900; Cass. 11/01/2016 n. 195; Cass. 12/12/2014 n. 26174; Cass. 24/10/2014 n. 22607; Cass. Sez. Un. 25/03/2010, n. 7161).
11.2. Un terzo profilo di inammissibilità si ravvisa nel fatto che la contestazione delle conclusioni attinte dal giudice di merito in punto di adeguatezza della lettera di recesso a dare contezza delle ragioni a base del giustificato motivo di licenziamento si sostanzia in una mera contrapposizione valutativa all'apprezzamento del giudice di merito, non
riconducibile ad alcuno degli specifici vizi per i quali è
consentito il ricorso in cassazione che costituisce una impugnazione a critica vincolata.
11.3. La questione relativa al carattere << superiore>> delle mansioni da ultimo svolte dal P. rispetto al formale inquadramento non è stata specificamente affrontata dalla Corte di merito per cui, implicando tale questione un accertamento di fatto, per evitare la inammissibilità della stessa per violazione del divieto di novum, doveva dimostrarne la rituale deduzione nelle fasi di merito Cass. 09/08/2018, n. 20694; Cass. 13/06/2018, n. 15430; Cass. 18/10/2013, n. 23675/2013) come, viceversa, non avvenuto.
11.4. Per contro, le censure sollevate nell'ambito di questo motivo e incentrate sul diritto del P. alla tutela reintegratoria, collegato alla mancata dimostrazione da parte dell'A.E. della impossibilità di utile ricollocazione lavorativa del dipendente devono essere accolte in conformità dell'attuale assetto normativo delineato dall'art. 18, legge n. 300/1970 quale definito dalle sentenze della Corte costituzionale n. 59 del 2021 e n. 125 del 2022, successive al deposito dell'impugnazione.
11.5. Costituisce infatti principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale l'efficacia delle sentenze dichiarative dell'illegittimità costituzionale di una norma di legge, come quelle sopra citate, non si estende ai soli rapporti già esauriti per formazione del giudicato o per essersi comunque verificato altro evento cui l'ordinamento ricollega il consolidamento del rapporto medesimo, dispiegando piena efficacia in tutte le altre ipotesi (Cass. 18/02/2003, n. 2406; Cass. 01/02/2002, n.1277; Cass Cass. 13/02/1999, n. 1203; Cass. 29/03/1974, n. 891).
11.6. Le richiamate sentenze costituzionali sono intervenute sul precedente quadro normativo relativo al tipo di tutela applicabile in presenza di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo del quale sia dichiarata la illegittimità <<per insussistenza del fatto>> alla base dello stesso.
In particolare, la sentenza della Corte costituzionale n. 59 del 2021 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 come modificato dall'art. 1, comma 42, lettera b) della legge 28 giugno 2012, n. 92 nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare» - invece che «applica altresì» - la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma.
La sentenza costituzionale n. 125/2022, con prospettiva ancor più radicale, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall'art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 limitatamente alla parola «manifesta».
11.7. Il testo dell'art. 18 comma 7, legge n. 300/1970 quale risultante all'esito degli interventi della Corte costituzionale comporta che in ipotesi di insussistenza del fatto alla base del giustificato motivo oggettivo di licenziamento il giudice deve applicare la tutela di cui al comma 4 dell'art. 18 quale risultante dalla novella della legge n. 92/2012 implicante la reintegra del lavoratore ed il pagamento di un'indennità risarcitoria nei limiti definiti dal comma medesimo.
11.8. Per orientamento consolidato di questa Corte, riaffermato anche nel vigore della modifica al testo dell'art. 18 St. lav. introdotta dalla legge n. 92/2012, fatto costitutivo del giustificato motivo oggettivo è rappresentato sia dalle ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa sia l'impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore (cd. "repèchage") (v. tra le altre, Cass. 20/10/2017 n. 24882; Cass. 05/01/2017, n. 160; Cass. 13/06/2016, n. 12101) e tale ricostruzione è stata avallata dalla Corte costituzionale la quale, nella sentenza n. 125/2022 cit., dopo avere ricordato che è onere del datore di lavoro dimostrare i presupposti legittimanti il licenziamento, alla luce dell'art. 5 della legge 15 luglio 1966, n. 604, che completa e rafforza, sul versante processuale, la protezione del lavoratore contro licenziamenti illegittimi, con riferimento al licenziamento intimato per «ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa» (art. 3 della legge n. 604 del 1966) ha precisato che < < Il fatto che è all'origine del licenziamento per giustificato motivo oggettivo include tali ragioni e, in via prioritaria, il nesso causale tra le scelte organizzative del datore di lavoro e il recesso dal contratto, che si configura come extrema ratio, per l'impossibilità di collocare altrove il lavoratore > >.
11.9. L'accoglimento, per quanto di ragione, del primo motivo di ricorso principale, con conseguente cassazione < <in parte qua>> della sentenza impugnata comporta l'assorbimento delle censure sviluppate con il sesto motivo di ricorso principale e con il terzo motivo di ricorso incidentale.
12. I motivi secondo, terzo, quarto e quinto del ricorso principale ed i motivi primo e secondo del ricorso incidentale sono tutti inammissibili.
13. Invero il secondo motivo di ricorso principale è inammissibile per essere le censure articolate fondate su un mero rinvio <<per relationem > > agli atti e documenti di causa tale da non consentire al giudice di legittimità la verifica di fondatezza delle censure articolate sulla base del solo esame del ricorso per cassazione come, invece, prescritto (Cass.09/07/2004, n. 12761; Cass. Sez. Un. 02/02/2003, n. 2602; Cass. 30/03/2001, n. 4743).
14. Il terzo motivo di ricorso è anch'esso inammissibile per violazione del principio di autosufficienza nella evocazione degli atti alla base delle censure; in particolare manca la trascrizione delle circostanze capitolate ai fini dell'espletamento della richiesta prova orale in assenza della indicazione dello specifico compendio allegatorio che era destinata a sorreggere la valutazione relativa alla rilevanza e ammissibilità della prova orale.
15. Il quarto motivo di ricorso principale è anch'esso inammissibile stante l'evocazione degli atti alla base delle censure mediante mero rinvio <<per relationem > > e quindi in violazione dell'art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., per cui si richiama la giurisprudenza di legittimità citata al paragrafo 11.1; il motivo, inoltre, non si confronta specificamente con le ragioni della decisione atteso che la Corte di merito non ha omesso di pronunziare ma si è limitata a ritenere assorbita "considerato l'esito del giudizio" l'eccezione relativa alla nullità del licenziamento in quanto disposto dal Direttore Generale, C., e l'altra questione, relativa alla mancata consegna dei documenti di lavoro e fiscali al lavoratore, non oggetto di domanda di merito, di talché costituiva onere della parte impugnare la pronunzia di assorbimento, come non avvenuto.
16. Il quinto motivo di ricorso principale è inammissibile sia per la modalità di redazione delle censure, che si limitano ad un mero rinvio <<per relationem>> agli atti di causa, per cui si richiama quanto osservato al punto 11.1. sia perché le doglianze articolate si risolvono nella prospettazione, peraltro generica, di un diverso apprezzamento circa la adeguatezza del risarcimento liquidato; esse sollecitano un sindacato di merito non consentito al giudice di legittimità per non essere le concrete doglianze riconducibili ad alcuno dei vizi per i quali, ai sensi dell'art. 360, comma 1, cod. proc. civ., è consentita la cassazione della decisione.
17. Il primo motivo di ricorso incidentale è inammissibile.
17.1. La sentenza impugnata ha ritenuto che la difesa dell'A. in punto di <<repechage>> si era fondata su mere asserzioni delle quali ha rilevato da un lato la contraddittorietà e dall'altro la genericità; secondo il giudice del reclamo la riscontrata carenza allegatoria escludeva implicitamente la idoneità della prova offerta.
17.2. Ciò posto, la questione della mancata ammissione in primo grado della prova orale articolata dall'A. convenuta non è stata espressamente affrontata dalla sentenza impugnata per cui la odierna ricorrente incidentale, onde evitare la inammissibilità della censura per violazione del divieto di novum doveva dimostrare in termini autosufficienti di averla riproposta in seconde cure ( per cui si richiama quanto osservato al punto 11.3.). A tal fine non soccorre la esposizione dei < < fatti di causa>> come effettuata nella parte espositiva del controricorso con ricorso incidentale (v. in particolare pagg. 4 e 19), in difetto di specificazione dell'atto difensivo nel quale le allegazioni riportate erano formulate; in particolare, non è specificato se esse erano riferibili alla memoria di costituzione di primo grado o al ricorso in appello. Le ulteriori deduzioni formulate risultano anch'esse inammissibili in quanto intese a sollecitare un sindacato di merito, precluso al giudice di legittimità.
18. Il secondo motivo di ricorso incidentale è anch'esso inammissibile sia per difetto di autosufficienza in relazione alla deduzione relativa alla omessa pronunzia e per l'inidoneità del rinvio < <per relationem> > agli atti del giudizio.
18.1. Come chiarito da costante giurisprudenza di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell'art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l'una o l'altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d'ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del "fatto processuale", intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all'onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un'autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (v. tra le altre, Cass. 14/10/2021).
19. In conclusione, in base alle considerazioni che precedono, si impone l'accoglimento, per quanto di ragione, del primo motivo di ricorso principale, assorbito il sesto motivo di ricorso principale ed il terzo motivo del ricorso incidentale e la declaratoria di inammissiblità degli ulteriori motivi di ricorso principale e incidentale. Al parziale accoglimento del ricorso principale consegue la cassazione in parte qua della decisione impugnata con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione per il riesame della fattispecie alla luce del modificato quadro normativo in tema di tutela applicabile per l'ipotesi di illegittimità del licenziamento per insussistenza del fatto quale definito dai richiamati interventi del giudice costituzionale.
Alla Corte di rinvio è demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione il primo motivo di ricorso principale, dichiara inammissibili il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso principale, assorbito il sesto motivo del ricorso principale e il terzo motivo del ricorso incidentale; dichiara inammissibili il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche ai fini del regolamento delle spese