La Cassazione accoglie il ricorso dei genitori adottivi. La Corte d'Appello, infatti, non aveva considerato che la famiglia della richiedente fruiva di contributi solidaristici continuativi e che la precarietà della condizione occupazionale era stata erroneamente inclusa nella nozione di impossibilità prestazionale.
Gli attuali ricorrenti impugnano la sentenza con cui il Giudice di secondo grado, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale, aveva accolto l'appello della figlia adottiva, riconoscendole il diritto a percepire mensilmente gli alimenti. Alla base della decisione, la Corte aveva ritenuto che:
- La figlia adottiva degli attuali ricorrenti e il...
Svolgimento del processo
1. S. G. e R. O. impugnano la sentenza App. Catanzaro 11 giugno 2020 numero 815/2020 in R.G. n. 1360/ 2017 che, in riforma parziale della sentenza Trib. Cosenza 12 maggio 2017 resa fra le stesse parti, ha accolto l’appello di I. G. e così riconoscendole il diritto a percepire dagli appellati, a titolo di alimenti, un assegno mensile di euro 200, con rivalutazione annuale;
2. la corte, sovvertendo l’opposto giudizio del tribunale, ha ritenuto che: a) I. G., figlia adottiva degli attuali ricorrenti e il marito A. P., versavano in stato di bisogno, per difetto di mezzi economici idonei a soddisfare i bisogni primari (alimentari ed utenze domestiche), trattandosi di nucleo (includente due figli minori) sostenuto dagli interventi della famiglia del marito e da organi di beneficenza; b) la G. aveva una situazione occupazionale precaria;
c) le cause di tali condizioni economiche non erano dovute a negligenza della richiedente né del marito, stante l’ambivalenza degli elementi istruttori già raccolti dal tribunale e deponenti, quando alla donna, alla intermittenza del lavoro, in relazione alla mancanza di specializzazioni o titoli di studio e ai concomitanti doveri di cura dei due minori avuti dalla coppia, mentre, quanto all’uomo, le occupazioni erano parimenti saltuarie, irregolari, modestamente retribuite; d) il rifiuto del marito, poi, ad assumere un impiego (nel periodo estivo 2016) lungi da costituire indizio di negligenza, poteva imputarsi a ragionevole difficoltà di conciliazione con il rientro a casa (per mancanza di mezzi di locomozione autonomi, stante l’orario avanzato di chiusura) e comunque non potendosi ipotizzare altro che una situazione occupazionale per quel periodo, non certo in termini di maggiore stabilità; e) il diritto agli alimenti della G., infine, non poteva andare escluso dalle contribuzioni volontarie percepite dal nucleo, né spiegavano influenza i pessimi rapporti di G.-figlia con i genitori adottivi, già risalenti all’epoca di fuoriuscita dall’ambito familiare e, come tali, protrattisi anche nei contesti delle due maternità, senza riconciliazione e nonostante il sostegno e la cura prestati alla figlia dai G.-O. genitori e i conflitti con la famiglia del marito;
3. il ricorso è su tre motivi; I.G., intimata, non svolge alcuna difesa.
Motivi della decisione
1. con il primo motivo si contesta la violazione ex art. 360, co. 1, n. 5, degli artt. 433 e 438 c.c., oltre che degli articoli 111 Cost. e 132 c.p.c. per i contrasti e le inconciliabilità di una motivazione perplessa ed incomprensibile che ha ritenuto pacifico lo stato di bisogno;
2. con il secondo motivo si deduce la violazione ancora degli stessi artt. nella parte in cui la corte ha ritenuto incolpevole la condotta di parte appellata in relazione alla precarietà della condizione lavorativa, avendo frainteso le risultanze istruttorie che, per nulla equivocamente, davano conto di un rifiuto poco motivato del marito di I. G. di assumere un’occupazione;
3. con il terzo motivo le stesse norme sono dedotte come oggetto di violazione in relazione all'articolo 360 co. 1 n. 3 c.p.c., poiché la sentenza, da un lato, ha eluso di evidenziare che il primo obbligato a provvedere alle esigenze alimentari della famiglia è proprio il coniuge e, in secondo luogo, essendo anche mancata la prova di invalidità al lavoro per incapacità fisica o impossibilità per circostanze non imputabili a trovarsi in una condizione occupazionale confacente ad attitudini e condizioni sociali, ha erroneamente omesso di esigere dalla richiedente la necessaria prova dello stato di bisogno, secondo una impossibilità oggettiva, non surrogabile da giustificazioni meramente soggettive o morali;
4. i motivi, da condursi in trattazione unitaria perché connessi, sono fondati; la corte, in più punti, ha cumulato la condizione di bisogno della richiedente G. a quella del marito P., senza tuttavia – come invocato per un particolare profilo del terzo motivo – dare conto delle ragioni di passaggio, nell’ambito della graduazione gerarchica discendente di cui all’art.433 c.c., dall’obbligazione primariamente ricadente sul coniuge (n.1) a quella riversabile sui genitori della moglie (n.3); lo stesso rifiuto ad un’opportunità lavorativa, pacificamente offerta al P. nel 2016 e da questi declinata per ‘mancanza di disponibilità di mezzi privati di trasporto’ (pag.5 sent.) è stata oggetto di trattazione motivazionale senza tuttavia nemmeno accostarsi a quella nozione di impossibilità oggettiva che già qualifica la graduazione progressiva nella individuazione delle persone obbligate nella citata norma codicistica; non sono infatti state considerate le circostanze della vicinanza dell’abitazione al luogo di lavoro, la compatibilità dei mezzi pubblici per gli orari e di altri mezzi privati anche non a motore, per poter rincasare, per come allegati da controparte;
5 anche tenendo conto delle ulteriori circostanze riprese in trasposizioni sufficientemente specifiche dai ricorrenti, la motivazione – sul punto – trascorre dal riscontro di un’oggettiva precarietà occupazionale, contrassegnante la redditualità di entrambi i coniugi, alla conclusione che, per il marito della richiedente, la declinazione di un’opportunità lavorativa non avrebbe spiegato rilevanza, ai fini di causa e benché in ipotesi non giustificata, perché non avrebbe mutato la propria condizione in quella di stabile occupato; si tratta di illazione che incorre nel vizio di cui all’art. 360 co.1 n. 5 c.p.c., nonostante la sua delimitazione normativa, poiché se non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost., esso viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero, come nella specie, «risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali» (Cass. 7090/2022, 22598/2018 sulla scia di Cass. s.u. 8053/2014);
6. in secondo luogo, va ribadito che «il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche dell'impossibilità da parte dell'alimentando di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento mediante l'esplicazione di attività lavorativa» per cui «deve essere rigettata la domanda di alimenti ove l'alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica, e la impossibilità, per circostanze a lui non imputabili, di trovarsi un'occupazione confacente alle proprie attitudini ed alle proprie condizioni sociali» (Cass. 1099/1990, 21572/2006, 11889/2015); a sua volta «lo stato di bisogno, quale presupposto del diritto agli alimenti previsto dall'art. 438 cod. civ., esprime l'impossibilità per il soggetto di provvedere al soddisfacimento dei suoi bisogni primari, quali il vitto, l'abitazione, il vestiario, le cure mediche, e deve essere valutato in relazione alle effettive condizioni dell'alimentando, tenendo conto di tutte le risorse economiche di cui il medesimo disponga» (Cass. 25248/2013);
7. nella specie, la sentenza omette di dare conto, come riportato in ricorso ed in termini di decisività (pag. 5), che la famiglia della richiedente fruiva in termini continuativi di contributi solidaristici, sia di enti di beneficenza sia della famiglia del marito, mentre non si esplicita il significato istruttorio dell’affermazione di un teste (dedotto dalla stessa richiedente) per cui la istante e la sua famiglia non erano tenuti al pagamento di canoni di affitto, acqua e rifiuti, proprio perché sollevati di tali spese; quanto premesso, dunque, per un verso palesa la confusione in cui sono incorsi i giudici d’appello tra stato di difficoltà economica (compatibile con un’occupazione intermittente) e stato di bisogno (connotato da una stabile ed oggettiva impossibilità radicale di soddisfare i bisogni primari con proprie fonti o attingendo anche da una rete solidale, per quanto non giuridicamente vincolante e però sostanzialmente fruibile e continuativa);
8. identica non chiarezza di approfondimento appare rinvenirsi, inoltre, con riguardo alle fonti di reddito da lavoro, poiché – anche su questo versante – la precarietà della condizione occupazionale appare essere stata sbrigativamente inclusa in una nozione di impossibilità prestazionale, senza che tuttavia siano state riferite condizioni di menomazioni quanto a capacità fisica ovvero preclusioni oggettive al reperimento di attività coerenti con lo svolgimento di lavori (invece provatamente espletati) di maggiore semplicità erogativa; né la conciliabilità con la dimensione di cura della prole ha trovato campo istruttorio anche solo nell’allegazione e prova – ricadenti invero sull’istante che chieda la prestazione alimentare – quanto a limitazioni nel sostegno assistenziale pubblico (incluso il reddito di cittadinanza introdotto dal d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, conv. con modif. in l. 28 marzo 2019, n. 26 su cui, per un’applicazione in materia di permanenza dell’obbligo degli ascendenti al mantenimento dei nipoti ex art. 148 c.c., ora 316bis c.c., cfr. Cass. 10450/2022):
9. il ricorso è fondato e va dunque accolto, con rinvio alla corte d’appello, anche per la liquidazione delle spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del procedimento.
Si dispone che, ai sensi dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.