Confermata la condanna dell'imputato per i delitti di maltrattamenti in famiglia e rapina ai danni della stessa persona offesa, alla quale aveva, tra le altre cose, sottratto due orologi per vendetta per poi restituirli dopo averli distrutti schiacciandoli con le ruote del suo furgoncino.
La Corte d'Appello di Venezia confermava la decisione con cui il Giudice di primo grado aveva ritenuto l'imputato colpevole dei reati di maltrattamenti in famiglia, atti persecutori e rapina ai danni della medesima persona offesa.
Contro tale decisione, l'imputato propone ricorso per cassazione contestando, tra i diversi motivi, la ritenuta sussistenza del reato di cui...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa in data 13 maggio 2021 la Corte di appello di Venezia confermava la decisione con la quale il Tribunale di Padova, ad esito del giudizio ordinario, aveva ritenuto A.B. colpevole dei reati di maltrattamenti in famiglia, atti persecutori e rapina in danno di M.C..
In parziale riforma della sentenza di primo grado la Corte territoriale, riconosciute all’imputato le attenuanti generiche, rideterminava la pena in tre anni e otto mesi di reclusione e 1.666 euro di multa.
2. Ha proposto ricorso A.B., a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza per violazione di legge, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione a sei distinti profili, avendo la Corte territoriale:
2.1. omesso di rilevare la nullità assoluta della notificazione del decreto di fissazione dell’udienza preliminare e del decreto che disponeva il giudizio, effettuata presso il difensore di ufficio, ritenendo erroneamente che il domicilio eletto dall’imputato fosse divenuto inidoneo., che la successiva sua comparizione all’udienza del 2 luglio 2020 avesse sanato detta nullità e che egli avrebbe potuto esercitare il diritto di difesa con la proposizione di alcune istanze;
2.2. respinto la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, omettendo di disporre l’esame dell’imputato, unica prova richiesta in primo grado, prima ammessa ma poi non assunta dal Tribunale;
2.3. confermato la sussistenza del reato ex art. 572 cod. pen., in assenza di una stabile convivenza fra l’imputato, di una reciproca assistenza morale e materiale e di un comune progetto di vita;
2.4. confermato la condanna anche per il reato di rapina senza specificare quali fossero stati l’interesse morale e il fine ultimo perseguiti dall’imputato con la sottrazione dei due orologi, poi immediatamente restituiti alla persona offesa;
2.5. omesso di riconoscere le attenuanti comuni previste dagli artt. 62 nn. 4, 5 e 6 cod. pen., considerate detta restituzione e la lettera di scuse allegata all’appello;
2.6. omesso di applicare la diminuzione di pena prevista dall’art. 89 cod. pen. sulla base di una perizia che non ha valutato il profilo dell’assunzione di alcool e sostanze stupefacenti.
3. Disposta la trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (così come modificato per il termine di vigenza dall’art. 16 del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 2:28, convertito nella legge 25 febbraio 2022, n. 15), in mancanza di alcuna richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
Motivi della decisione
1. Il ricorso va rigettato perché proposto con motivi infondati o manifestamente infondati, in larga parte reiterativi delle deduzioni già svolte in sede di appello, disattese dalla Corte territoriale con corrette argomentazioni in diritto e con adeguata motivazione, immune dai vizi denunciati.
D’ufficio, tuttavia, viene rilevata la illegalità della pena accessoria applicata all’imputato.
2. E’ privo di ogni fondamento, in primo luogo, il motivo in rito.
La sentenza impugnata ha correttamente esaminato e disatteso le doglianze difensive osservando che: le notifiche degli atti successivi all’avviso di conclusione delle indagini furono regolarmente effettuate al difensore d’ufficio ex art. 161, comma 1, cod. proc. pen. (l’indagato o imputato «ha l’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiarare o eleggere domicilio, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore»), in quanto il domicilio eletto dall’imputato presso una comunità terapeutica era divenuto inidoneo, avendo B. omesso di comunicare la variazione dello stesso, essendosi trasferito altrove; l’imputato comparve all’udienza dibattimentale del 2 luglio 2020, cosicché è del tutto improprio evocare una “incolpevole mancanza di conoscenza del processo” egli avrebbe potuto provare, a sensi dell’art. 420-bis, comma 4, cod. proc. pen., che l’assenza era «stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo» e quindi far valere il «diritto di formulare richiesta di prove ai sensi dell’articolo 493» nonché «chiedere la rinnovazione di prove già assunte», deduzione e istanze non proposte al Tribunale.
3. E’ manifestamente infondato anche il secondo motivo, inerente alla omessa assunzione dell’esame dell’imputato in sede di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale (“violazione della norma processuale di cui all’art. 603 c.p.p. per mancata assunzione dell’unica prova richiesta dalla difesa”).
Va premesso che la difesa aveva richiesto detta rinnovazione sollecitando solo lo svolgimento di una nuova perizia sulla capacità d’intendere e volere dell’imputato.
In ogni caso va ricordato che l’istituto previsto dall’art, 603 del codice di rito ha carattere eccezionale e ad esso «può farsi ricorso, in deroga alla presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, esclusivamente allorché il giudice ritiene, nella sua discrezionalità, indispensabile la integrazione, nel senso che non è altrimenti in grado di decidere sulla base del solo materiale già a sua disposizione» (così Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820; in senso conforme, da ultimo, v. Sez. 3, n. 47293 del 28/10/2021, R., Rv. 282633). La impossibilità per il giudice di appello di decidere allo stato degli atti è ipotizzabile «unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonché quando l’incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza» (così, anche da ultimo, Sez. 5, n. 112 del 30/09/2021, dep. 2022, Martucci,Rv. 282728).
La Corte di appello, peraltro, disattendendo la doglianza difensiva sulla omessa assunzione della prova richiesta dalla difesa, ha evidenziato che all’udienza del 2 luglio 2020 A.B. non aveva chiesto di rendere dichiarazioni e che all’udienza conclusiva in data 8 ottobre 2020 egli non era comparso adducendo non meglio precisati o documentati “impegni professionali” la Corte territoriale ha quindi osservato, con valutazione ineccepibile, che a detta udienza il Tribunale non aveva concesso un rinvio per assumere l’esame dell’imputato, non legittimamente impedito, considerata anche la prossima scadenza della misura cautelare.
4. E’ infondato il motivo relativo alla insussistenza del delitto di maltrattamenti in famiglia.
La difesa, in primo luogo, ha dedotto presunte difformità delle circostanze riferite dalla persona offesa in dibattimento rispetto a quelle indicate nelle due denunce, estrapolandone alcune frasi, incorrendo nel medesimo vizio stigmatizzato nella sentenza impugnata, là clove si è evidenziato (pag. 15) che la difesa ha richiamato dichiarazioni predibattimentali non acquisite al fascicolo né utilizzate per le contestazioni durante l’esame dibattimentale.
In ogni caso, è pacifico che A.B., allontanato da casa da genitori e moglie, andò a vivere casa di M.C. nel marzo 2018, ove rimase sino al dicembre 2018, pur senza trasferirvi mai la residenza.
Ha osservato la Corte di appello che la convivenza, in quei nove mesi, fu saltuariamente interrotta per via degli episodi violenti commessi dall’imputato (nonché per la sua situazione di tossicodipendenza”) e che la donna cercò in ogni modo di farlo uscire dalla tossicodipendenza, subendo per lungo tempo violenze senza denunciarlo.
Correttamente, dunque, la Corte territoriale, sulla base di questa ricostruzione, ha confermato la condanna per il delitto ex art. 572 cod. pen., considerato che il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche in presenza di un rapporto di convivenza di breve durata, pure anomalo, o di una stabile condivisione dell’abitazione, ancorché non necessariamente continua, in presenza di reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza (in questo senso, fra le ultime cfr. Sez. 6, n. 21087 del 10/05/2022, V., Rv. 283271; Sez. 6, n. 9663 del 16/02/2022, P., Rv 283120; Sez. 6, n. 17888 del 11/02/2021, O., Rv. 281092).
5. E’ manifestamente infondato il motivo relativo alla dedotta insussistenza del delitto di rapina, sostanziatasi nella sottrazione con violenza di due orologi della vittima e del loro impossessamento da parte dell’imputato, il quale, uscito di casa, salì sul proprio furgoncino e li distrusse schiacciandoli con le ruote del veicolo.
I giudici di merito hanno correttamente applicato il principio affermato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui nel delitto di rapina il profitto può concretarsi in ogni utilità, anche solo morale, nonché in qualsiasi soddisfazione o godimento che l’agente si riprometta di ritrarre dalla propria azione, purché questa sia attuata impossessandosi con violenza o minaccia della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, anche allorquando la sottrazione avvenga per fare uso solo temporaneo della res sottratta (Sez. 2, n. 23177 del 16/04/2019, Gelik, Rv. 276104; Sez. 2, n. 11467 del 10/03/2015, Carbone Rv. 263163; Sez. 2, n. 49265 del 07/12/2012, lludice, Rv. 25344:3; Sez. 2, n. 12800 del 06/03/2009, Vivian, Rv. 243953; da ultimo, v. Sez. 2, n. 26040 del 23/06/2022, Hu, non mass.).
Dalla ricostruzione della vicenda effettuata nelle due sentenze risulta chiaro che l’imputato si impossessò degli orologi perseguendo l’intento di vendicarsi di M, C., rea di avere tolto dalla borsetta quanto di valore.
Non ha alcun rilievo la successiva restituzione degli orologi, in quanto il reato di rapina si consuma nel momento in cui la cosa sottratta cade nel dominio esclusivo del soggetto agente, anche se per breve tempo e nello stesso luogo in cui si è verificata la sottrazione (Sez. 2, n. 14305 del 14/03/2017, Moretti, Rv. 269848; Sez. 2, n. 7500 del 26/01/2017, Hamidovic, Rv. 269576; Sez. 2, n. 5512 del 22/10/2013, dep. 2014, Barbato, Rv. 258207; Sez. 2, n. 5663 del 20/11/2012, dep. 2013, Alexa Catalin, Rv. 254691; Sez. 2, n. 35006 del 09/06/2010, Pistola, Rv. 248611).
6. Anche le doglianze proposte con gli ultimi due motivi, inerenti al mancato riconoscimento di circostanze attenuanti ulteriori rispetto a quelle generiche, sono prive di ogni fondamento.
In appello non era stato neppure, lamentato l’omesso riconoscimento dell’attenuante ex art. 62, primo comma, n. 5 cod. pen., e comunque in ricorso neppure si è indicato quale sarebbe stato il fatto doloso della persona offesa che sarebbe concorso a determinare l’evento.
Con fondamento non è stata applicata la circostanza del danno patrimoniale di speciale tenuità (art. 62, pi-imo comma, n. 4 cod. pen.), avuto riguardo al valore (500 euro) degli orologi dei quali l’imputato si impossessò, in quanto l’attenuante presuppone che il danno arrecato abbia avuto una «rilevanza minima» (Sez. U, n. 28243 del 28/03/2013, Zanni Sanfilippo, Rv. 255528, in motivazione), sia cioè di entità quasi trascurabile per il danneggiato (Sez. 2, n. 2993 del 01/10/2015, dep. 2016, Sciuto, Rv. 265820; Sez. 2, n. 15576 del 20/12/2012, dep. 2013, Mbaye, Rv. 255791) ed arrechi, quindi, un pregiudizio «lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio» (così, di recente, Sez. 2, n. 32234 del 16/10/2020, Fanfarilli, Rv. 280173).
L’attenuante ex art. 62, primo comma, n. 6 cod. pen. (che presuppone che sia stato «prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni») non poteva certo essere riconosciuta, in assenza del risarcimento del danno, alla luce delle difficoltà economiche dell’imputato né ovviamente sulla base della lettera di scuse allegata all’atto di appello.
E’ generico, oltre che manifestamente infondato, il motivo relativo all’omesso riconoscimento dell’attenuante del vizio parziale di mente (art. 89 cod. pen.), avendo il perito nominato dal Tribunale escluso una diminuzione della capacità d’intendere e di volere in capo all’imputato in nesso eziologico con le condotte contestate.
Ha osservato la sentenza impugnata che il perito ha valutato anche le dichiarazioni rese dal medico curante di B. nonché tutta la documentazione relativa al suo stato di tossicodipendenza.
7. La Corte di appello, però, ha erroneamente applicato la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque (sostituendo quella della interdizione in perpetuo disposta dal Tribunale e revocando la interdizione legale), dopo avere rideterminato la pena detentiva per il più grave di rapina, in ragione del riconoscimento delle attenuanti generiche, in due anni e otto mesi di reclusione, vale a dire in misura inferiore a quella prevista dall’art. 29 cod. pen. per l’applicazione di detta pena.
Secondo la costante giurisprudenza di legittimità per la determinazione delle pene accessorie, in caso di reato continuato, occorre far riferimento all’entità della pena principale inflitta per il reato più grave e non già a quella individuata dopo l’aumento per la continuazione (cfr. Sez. 1, n. 8216 del 06/12/2017, dep. 2018, Ngwoke, Rv. 272408; Sez. 5, n. 28584 del 14/03/2017, Di Corrado, Rv. 270240; Sez. 7, n. 48787 del 29/10/2014, Di Tana, Rv. 264478; Sez. 1, n. 14375 del 05/03/2013, Aquila, Rv. 255407; da ultimo v. Sez. 2, n. 23233 del 27/04/2022, D' Alterio, non mass. sul punto).
Si tratta, dunque, di un caso di illegalità della pena accessoria, rilevabile d’ufficio nel giudizio di cassazione anche in caso di inammissibilità del ricorso (Sez. 2, n. 7188 del 11/10/2018, dep. 20:1.9, Elgendy, Rv. .276320; Sez. 3, n. 6997 del 22/11/2017, dep. 2018, C., Rv. 272090).
Sul punto, pertanto, la sentenza impugnata, va annullata senza rinvio, dovendosi eliminare detta pena.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque, che elimina, e rigetta nel resto il ricorso.