Nel caso in esame, le condotte del figlio sono prevalentemente consistite in ingiurie e minacce tese allo specifico scopo di ottenere dalla madre il denaro necessario a comperare la droga e reprimere le sue crisi di astinenza, durante una convivenza di breve durata.
- si sono svolti...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte d'appello di Napoli conferma la condanna di S. B. per maltrattamenti in famiglia (art. 572 cod. pen.) nei confronti della madre convivente, D. I., con l'aggravante di cui all'art. 94 cod. pen.
2. Avverso tale sentenza presenta ricorso l'imputato, per il tramite del suo difensore, avvocato A. R., articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, si deduce vizio di motivazione in ordine al diniego di rinnovazione dibattimentale finalizzata all'accertamento della capacità di intendere e di volere dell'imputato, nonché travisamento delle dichiarazioni testimoniali della persona offesa e delle dichiarazioni spontanee dell'imputato.
In particolare, la motivazione risulta contraddittoria nella parte in cui, pur dando conto del fatto che l'imputato è in cura per la sua trentennale dipendenza da stupefacenti e che gli è stata diagnosticato un disturbo di personalità borderline, afferma che tale disturbo «si sostanzia in una fragilità emotiva che non esime da responsabilità penale», negando la necessità della perizia su basi, dunque, pseudo-scientifiche.
Contraddittoria è, inoltre, là dove, per dimostrare la lucidità dell'imputato, fa riferimento al rifiuto di cibo - definendolo, peraltro in modo incongruo, "sciopero della fame" - e al fatto che B. avesse manifestato la volontà di entrare in comunità per curarsi o, ancora, che avesse reso dichiarazioni confessorie ammettendo di essere stato sotto l'effetto di stupefacenti, ma tralascia di rappresentare che lo stesso ha altresì evidenziato di non conservare memoria dei fatti ascritti.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce violazione della legge penale e vizio di motivazione quanto al mancato accoglimento delle richieste di assoluzione per insussistenza del reato di cui all'art. 572 cod. pen. e, in subordine, di esclusione dell'aggravante dell'art. 94 cod. pen., nonché vizio di motivazione in rapporto al travisamento della testimonianza della parte offesa e delle dichiarazioni spontanee dell'imputato.
Nel richiamare i verbali agli atti, il ricorrente evidenzia che: i comportamenti ascritti all'imputato si sono svolti nell'arco di soli due mesi; la parte offesa (non costituitasi parte civile) ha ammesso di aver "ingigantito" i fatti per sollecitare l'intervento delle forze dell'ordine; gli episodi aggressivi di follia - in senso stretto, perché determinati dallo stato mentale dell'autore - sono stati soltanto due; gli altri fatti menzionati consistono in due sottrazioni della carta bancomat, immediatamente e senza opposizione restituita alla madre, appena scoperto il fatto. Manca dunque la ripetitività ed abitualità della condotta necessarie per l'integrazione del delitto di maltrattamenti in famiglia.
Né può ritenersi che il reato sia aggravato dall'uso di sostanze stupefacenti, come ritenuto sulla base delle dichiarazioni dell'imputato, che non avrebbero potuto essere ritenute in ciò attendibili in quanto - per ammissione dello stesso dichiarante - affatto lacunose a causa dei grossi vuoti che affliggono la sua memoria.
3. Il procedimento è stato trattato in forma cartolare, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla I. 18 dicembre 2020, n. 176, e dell'art. 16, comma 1, d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito dalla I. 25 febbraio 2022, n. 15.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato.
2. Muovendo dal secondo motivo di ricorso, che appare prioritario sul piano logico poiché revoca in dubbio la configurabilità del fatto nella sua materialità, va premesso che il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 cod. pen.) rappresenta, per consolidata e pacifica interpretazione, un reato abituale che presuppone, dunque, la reiterazione delle condotte per un certo lasso cronologico. Va inoltre ricordato che l'estensione di tale arco temporale rappresenta, sì, un dato tendenzialmente neutro ai fini della configurabilità del reato, ma che, se la convivenza si è protratta per un periodo limitato, è necessario che le condotte vessatorie siano state poste in essere in maniera continuativa o con cadenza ravvicinata (Sez. 6, n. 21087 del 10/05/2022, C., Rv. 283271).
È opportuno, infine, precisare che le condotte rilevanti ai fini dei maltrattamenti, quand'anche non dotate di rilievo penale là dove singolarmente considerate, devono essere comunque percorse dalla volontà di indurre nella vittima uno stato di soggezione, se non di vero assoggettamento, e aver conseguentemente prodotto nella stessa una condizione di vessazione.
3. Ciò precisato, nel caso oggetto del presente giudizio tali condizioni non sussistono.
3.1. Non si ravvisa la necessaria abitualità delle condotte maltrattanti dell'imputato nei confronti della madre convivente in rapporto all'arco di tempo in cui i due hanno convissuto.
Dalla lettura delle sentenze di merito emerge, infatti, che la convivenza tra D. I. e S. B. è durata poco tempo.
Durante tale lasso di tempo, già di per sé limitato, le condotte di B. sono prevalentemente consistite in ingiurie e minacce tese allo specifico scopo di ottenere dalla madre il denaro necessario a soddisfare il fabbisogno di droga durante le c.d. crisi di astinenza.
Due soltanto sono stati gli episodi rilevanti.
In un'occasione, in preda ad un improvviso scatto di ira, B. si scagliava contro la madre percuotendola con schiaffi e tirandole i capelli. Lo stesso giorno (che si colloca all'inizio di aprile 2020, là dove la convivenza era cominciata a fine febbraio) la persona offesa, comprensibilmente turbata ed impaurita, si barricava dentro casa e B., che ne è stato escluso, cominciava ad urlare, cercando di sfondare la porta con un martello, finché la donna chiedeva l'intervento dei Carabinieri.
A seguito di tale episodio, I. si trasferiva per alcuni mesi presso l'altro figlio, senza che - in tale periodo - risulti alcun alterco con S. B..
Una volta tornata a casa, ricominciava la conflittualità con l'imputato, che sfociava, a metà luglio dello stesso anno, nel secondo e più grave episodio, quando B. aggrediva la madre lanciandole contro una sedia e spingendola contro il tavolo; impugnava inoltre un coltello minacciando di aggredire i Carabinieri, ove la madre avesse dato seguito al suo avvertimento e li avesse realmente chiamati.
A questo punto, la donna abbandonava nuovamente la propria casa, per farsi ospitare da un'amica.
Per il resto, la sentenza di appello attribuisce all'imputato: di aver in precedenza venduto (per procurarsi il denaro necessario ad acquistare la droga) i mobili che la madre gli aveva comprato quando viveva da solo; il fatto che l'imputato avanzasse continue richieste di denaro alla madre; l'aver usato, due volte, indebitamente la carta di debito della stessa (effettuando prelievi ammontanti complessivamente a 1.500 o forse 2.000 euro); l'aver tentato, in altre due occasioni, di impossessarsene, salva immediata restituzione della stessa su mera richiesta della donna.
Dalla descrizione di tali comportamenti, sebbene senza dubbio gravi in rapporto all'età e alle condizioni psichiche, presumibilmente provate, della persona offesa, costretta a vivere una situazione di grande dolore, non emerge con evidenza la necessaria abitualità, già in relazione al dato temporale sul quale ci si è finora soffermati.
3.2. Sono però anche il contesto in cui le condotte si calano e le "motivazioni" dell'azione ad escluderne l'indispensabile connotazione maltrattante.
Precisato, infatti, che la tipicità del delitto in esame ha una connotazione inevitabilmente soggettiva, dalla descrizione dei fatti compiuta dalla sentenza emerge che i comportamenti di B.. cui è stata diagnosticata una sindrome borderline e assuntore trentennale di droghe, non tendevano ad indurre nella madre uno stato di assoggettamento e di vessazione, essendo piuttosto occasionate dalle condizioni patologiche dello stesso e motivate dal bisogno di procurarsi sostanza stupefacente.
4. I restanti motivi di ricorso sono assorbiti.
5. Per le esposte ragioni, il fatto non sussiste e la sentenza impugnata va, dunque, annullata. Non residuando spazio per una integrazione probatoria, l'annullamento deve essere disposto senza rinvio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.