Integra il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni, anche tracciabili, volte non solo ad impedire, ma anche a rendere difficile l'accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità.
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino, in esito a giudizio abbreviato, confermava la sentenza del GUP del Tribunale di Torino emessa il 17 gennaio 2018 che aveva condannato il ricorrente alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno nei confronti della parte civile L.D.A., in relazione al reato di riciclaggio, avente ad oggetto una somma di danaro di circa 629 mila euro, provento del delitto di truffa commesso da T.G..
Tale somma era stata accreditata da una società indonesiana riferibile al T. (la Australasia Consulting PT) ed anche da terzi soggetti indonesiani, sul conto corrente bancario intestato allo studio legale dell'imputato, il quale, successivamente, aveva movimentato il danaro trasferendo euro 18.000 su un conto corrente personale, prelevando in contanti euro 26 mila circa ed effettuando investimenti per euro 450 mila, poi oggetto di disinvestimento ed utilizzo, insieme ad altra somma nel frattempo pervenutagli dall'Indonesia, per definire, attraverso il pagamento in assegni circolari tratti dal conto corrente dello studio, alcune procedure esecutive immobiliari riconducibili al T..
2. Ricorre per cassazione T.F., deducendo:
1) violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento oggettivo del reato.
Nessuna condotta compiuta dal ricorrente sarebbe stata idonea ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del danaro.
Infatti:
- le somme utilizzate per estinguere le procedure esecutive, pari ad euro 411.000, sarebbero state sempre facilmente tracciabili in quanto giacenti sul conto corrente dello studio legale dell'imputato ove erano state accreditate dall'autore della truffa, non avendo rilevanza l'investimento ed il disinvestimento medio tempore effettuato;
- l'importo residuale di 218.000 euro sarebbe sempre rimasto nella disponibilità del ricorrente.
Dunque, per un verso, l'imputato aveva estinto le procedure esecutive su mandato del proprio cliente T., attraverso operazioni alla luce del sole.
Per altro verso, non aveva effettuato alcuna operazione rilevante ex art. 648-bis cod.pen. quanto alla somma di 218.000 euro, solamente incamerata a pagamento di pregresse attività professionali in favore del T..
Anche a voler considerare non credibile simile giustificazione offerta dalla difesa quanto alla somma di 218.000 euro, la condotta, per questa parte, avrebbe dovuto essere qualificata come ricettazione;
2) violazione di legge per omessa motivazione quanto al motivo di appello con il quale si deduceva che la movimentazione del danaro utilizzato per estinguere le procedure esecutive del T. avesse avuto un andamento "circolare", come tale non idoneo a configurare il reato dal punto di vista oggettivo;
3) violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato.
Non sarebbe emersa alcuna prova della consapevolezza del ricorrente che la somma proveniente dall'autore del reato presupposto avesse origine illecita, stante la sofisticata attività truffaldina posta in essere da quegli, non facilmente decifrabile e riconoscibile dal ricorrente al momento della condotta, così da doversi escludere anche il dolo eventuale, individuato dalla Corte di appello a scapito della alternativa ipotesi difensiva circa l'esistenza di un mero atteggiamento non diligente da parte dell'imputato, come dimostrato dalle modalità della sua condotta di pagamento dei creditori del T. attraverso mezzi tracciabili ed in esecuzione di un mandato professionale;
4) vizio della motivazione sempre in relazione all'elemento soggettivo del reato. La Corte avrebbe contraddittoriamente affermato che il ricorrente non era a conoscenza delle operazioni commerciali poste in essere dal T. per poi ritenere la sussistenza del dolo;
5) violazione di legge quanto all'aumento di pena in continuazione, posto che la condotta illecita non sarebbe stata a consumazione frazionata ma commessa con unica azione in quanto permeata da unico fine;
6) violazione di legge in ordine alla riduzione di pena, non nel massimo previsto dalla legge per effetto della concessione della circostanza attenuante di cui all'art. 648-bis, comma terzo, cod.pen., avendo la Corte fatto illegittimo riferimento non alla condotta dell'imputato ma alla gravità concreta del reato presupposto commesso dal T..
Si dà atto che nell'interesse del ricorrente sono stati depositati motivi nuovi, attraverso i quali si insiste nei motivi principali inerenti alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato e si deduce, in subordine, la violazione di legge dovuta alla errata attribuzione all'imputato del reato di riciclaggio avendo egli concorso nella commissione del reato presupposto di truffa.
Deve darsi atto, altresì, che nell'interesse della parte civile è stata depositata una memoria.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
1. Quanto al primo motivo, con il quale si censura la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato di riciclaggio, il ricorrente deduce argomenti ampiamente superati dalla motivazione della sentenza impugnata.
La Corte di appello, conformemente al primo giudice, ha ritenuto indiscussa e non contestata la commissione da parte di T.G., soggetto definitivamente condannato in altra sede, di una truffa per oltre un milione e mezzo di euro in danno della società Avalon di L.D.A., odierna parte civile; truffa consistita nel fatto che il T., attraverso una società indonesiana a lui riconducibile, aveva fatto credere falsamente al L. di poter acquistare delle isole nel Mar di Giava da sfruttare a fini turistici, ottenendo il profitto.
Non è neanche contestato il fatto che una parte di tali somme di danaro, subito dopo il loro indebito ottenimento da parte del T., fossero transitate in Italia venendo accreditate in parte sul conto corrente dello studio legale del ricorrente ed in parte dirottate verso altri soggetti legati all'autore del reato presupposto (cfr. fgg. 14 e 15 della sentenza impugnata).
E' rilevante, per il tema di interesse, il dato che il denaro era transitato sul conto corrente dello studio legale del ricorrente non direttamente dal T. ma dalla società indonesiana Australasia della quale quest'ultimo era legale rappresentante, nonché da altri soggetti indonesiani che l'imputato aveva dichiarato di non conoscere ma di ricollegare al T., suo cliente da lunga data del quale gli erano note le difficoltà economiche.
La somma accreditata al ricorrente dalla Australasia e da terzi, era stata movimentata dall'imputato ulteriormente ed in vario modo, attraverso lo storno di una parte di essa presso un conto corrente personale, attraverso prelievi in contante e, per la maggior parte, attraverso un iniziale investimento in un fondo denominato Azimuth.
La condotta, come descritta nelle sue modalità - specie se si consideri la provenienza estera dell'ingente somma di danaro non da persona fisica ed anche da soggetti terzi rispetto all'autore della truffa, il transito su un conto corrente bancario e la successiva movimentazione immediata, anche attraverso ulteriori investimenti in fondi - è pacificamente idonea ad integrare l'elemento oggettivo del reato di riciclaggio e non la fattispecie meno grave di ricettazione, come correttamente ritenuto dai giudici di merito con conforme giudizio aderente ai principi di diritto, a nulla valendo che le operazioni fossero state effettuate attraverso circuiti bancari e fossero, dunque, tracciabili.
Si deve ricordare che integra il delitto di riciclaggio il compimento di condotte volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l'accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, e ciò anche attraverso operazioni che risultino tracciabili, in quanto l'accertamento o l'astratta individuabilità dell'origine delittuosa del bene non costituiscono l'evento del reato (Sez. 5, n. 21925 del 17 aprile del 2018, Ratto, Rv. 273183).
Inoltre, è stato più volte affermato nella giurisprudenza di legittimità che integra il delitto di riciclaggio, e non il meno grave delitto di ricettazione, la condotta di chi deposita in banca denaro di provenienza illecita poiché, stante la natura fungibile del bene, in tal modo esso viene automaticamente sostituito con "denaro pulito" (Sez. 2, n. 52549 del 20/10/2017, Venuti, Rv. 271530; Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, dep. 2014, Amato, Rv. 259485; Sez. 6, n. 43534 del 24/04/2012, Lubiana, Rv. 253795; Sez. 6, n. 495 del 15/10/2008, dep. 2009, Argiri, Rv. 242372).
Ancora, risulta pacifico il principio secondo il quale, integra di per sé un autonomo atto di riciclaggio, poiché il delitto di riciclaggio è a forma libera e potenzialmente a consumazione prolungata, attuabile anche con modalità frammentarie e progressive, qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti versamenti, ed anche il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario ad un altro diversamente intestato, ed acceso presso un differente istituto di credito (Sez. 2, n. 546 del 07/01/2011, Berruti, Rv. 249446; Sez. 2, n. 43881 del 09/10/2014, Matarrese, Rv. 260694).
Ed, infine, è stato anche affermato che integra un autonomo atto di riciclaggio, essendo il delitto di cui all'art. 648-bis cod. pen. a forma libera ed attuabile anche con modalità frammentarie e progressive, il prelievo di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario (Sez. 2, n. 21687 del 05/04/2019, Armelisasso, Rv. 276114).
Alla luce di questi principi, devono ritenersi superate le censure difensive volte a sminuire l'incidenza delle successive movimentazioni compiute dal ricorrente delle somme di danaro transitate sul conto corrente del suo studio legale (con precipuo riferimento all'investimento nel fondo Azimuth) e, dopo le quali, parte di esse erano state utilizzate per estinguere delle procedure esecutive che il T. ed i suoi familiari stavano subendo in Italia.
Tale ultima destinazione impressa dal ricorrente (peraltro solo) a parte del danaro ricevuto dall'estero, mai direttamente dalla persona fisica del T., deve ritenersi intervenuta dopo la consumazione del reato di riciclaggio, già perfezionatosi con le prime operazioni, ed aveva, comunque, anch'essa avuto finalità elusive ammesse dallo stesso imputato con riguardo al fatto che alcuni suoi creditori non sarebbero stati beneficiati dalla destinazione impressa alle somme rientrate in Italia (cfr. fg. 20 della sentenza impugnata).
Rimane, inoltre, smentita in fatto e nel merito non rivedibile del giudizio, la circostanza - comunque ininfluente rispetto alla configurazione oggettiva del reato contestato e non di quello di ricettazione alla luce dei principi prima ricordati – che una parte della somma transitata dall'Indonesia non avesse subito alcuna movimentazione bancaria da parte del ricorrente, poiché, al contrario, sia la cronologia delle operazioni siccome indicate nello stesso atto di appello (fgg. 16- 19 di esso), sia quanto affermato dalla Corte territoriale alla fine del fg. 18 della sentenza impugnata, dimostravano l'opposto.
2. Le superiori considerazioni assorbono quanto argomentato con il secondo motivo di ricorso.
3. In ordine al terzo motivo di ricorso, che prende di mira la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, gli assunti difensivi, oltre che infondati, sono anche generici, non confrontandosi con l'ampia motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte territoriale, ai fgg. 21 e segg., ha messo in luce, attraverso una ricostruzione di insieme che ha tenuto conto di vari elementi dimostrativi, la piena consapevolezza del ricorrente che il denaro transitato sul conto corrente del suo studio legale fosse di provenienza illecita.
A cominciare dal fatto che l'autore della truffa era da lungo tempo cliente dell'imputato e che quest'ultimo conosceva a fondo le sue difficoltà economiche, che stavano alla base anche delle operazioni di schermatura verso alcuni creditori a favore di altri poste in essere dal T. con l'ausilio del ricorrente.
In forza di tali rapporti personali e fiduciari, l'imputato, come ha affermato la Corte di appello, non poteva essere omologato alla stregua di ogni altro soggetto che avesse avuto a che fare con il T. in quel torno di tempo - e che poteva ignorare le sue spiccate capacità truffaldine non facilmente smascherabili - anche in considerazione delle competenze legali e professionali del T., coniugate alla assoluta noncuranza dei benché minimi livelli di diligenza connessi alla sua attività ed alla conformazione della sua specifica condotta, con l'incameramento di una ingente somma di danaro dall'estero, proveniente anche da soggetti a lui sconosciuti e della quale somma egli stesso aveva dichiarato di ignorare la causale del possesso in capo ai trasferenti, in totale spregio delle norme antiriciclaggio di cui al D.Lgs. n. 231 del 2007 richiamate a fg. 24 della sentenza impugnata.
Inoltre, la Corte ha individuato le anomale modalità delle operazioni compiute sul danaro ricevuto - con l'investimento ed il disinvestimento immediato - in uno alla predisposizione di un mandato ad effettuare la chiusura delle esposizioni debitorie con le banche per conto del T. e la predisposizione a posteriori di parcelle che giustificassero i lauti compensi trattenuti, ritenuti dei paraventi giustificativi posticci e non autenticamente riferibili ai rapporti professionali pregressi tra il ricorrente ed il T..
Le diverse argomentazioni difensive restano relegate al merito del giudizio, stante la dovizia logica con la quale la Corte territoriale ha messo insieme e valutato tutti i dati sensibili dimostrativi della sussistenza del dolo del reato, ritenuto configurato non nella forma del dolo eventuale ma "quantomeno" in essa; forma comunque idonea a mantenere ferma la responsabilità dell'imputato secondo i consolidati principi giurisprudenziali in astratto non oggetto di contestazione da parte del ricorrente.
4. Con il che, devono ritenersi assorbite tutte le censure difensive in punto di responsabilità, anche quelle contenute nei motivi aggiunti.
A proposito di questi ultimi, deve solo rilevarsi che la tesi ivi sostenuta, secondo la quale il ricorrente avrebbe preso parte al reato di truffa presupposto, risulta scollata dal ricorso principale ed in esso non coltivata.
L'assunto, peraltro, trova smentita nelle argomentazioni contenute a fg. 21 della sentenza impugnata, a proposito del fatto che l'intervento del ricorrente si era avuto solo dopo la commissione del reato di truffa da parte del T. - con l'incameramento delle somme poi trasferite in Italia con altrui danno per la parte civile - ed attraverso la consapevolezza del ricorrente, che non vuol dire concorso, della perpetrazione della truffa, proprio in forza dei rapporti personali che lo legavano all'autore del reato presupposto e di quant'altro già precisatosi fin qui. Inoltre, la tardiva tesi della difesa tecnica si scontra con quella propugnata dallo stesso imputato durante il processo, finanche attraverso dichiarazioni scritte depositate in grado di appello (cfr. fg. 12 della sentenza impugnata), con le quali egli aveva negato ogni sua conoscenza della matrice illecita dei cespiti ricevuti e degli affari del suo dante causa, non dando alcuna indicazione di fatto - che invece sarebbe stata necessaria per valutare approfonditamente la tesi del suo concorso nella truffa - su come si sarebbe snodata la sua asserita condotta partecipativa alla commissione del reato presupposto attribuito al T..
5. Con il quinto motivo di ricorso si eccepisce una presunta violazione di legge - a proposito della tipizzazione del reato come commesso con condotta frazionata o teleologicamente unica - che non aveva formato oggetto dell'atto di appello e che, per questo, è inammissibile ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen., comportando valutazioni di fatto non effettuabili in questa sede.
6. Del pari, quanto al sesto motivo, la Corte ha giustificato la riduzione di pena non nella massima estensione prevista dall'art. 648-bis, comma terzo, cod.pen. in ragione della gravità della vicenda nel suo complesso, non solo per quanto attinente alla truffa, ma anche per l'intensità del dolo in capo al ricorrente, circostanza che il ricorso non richiama e che rende generica la deduzione e del tutto priva di vizi la decisione del giudice di merito.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute dalla parte civile, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile L.D.A. che liquida in complessivi euro 3510,00 oltre accessori di legge.