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27 maggio 2024
Penale e processo
E se la parcella dell’avvocato venisse pagata con soldi di provenienza illecita?
Per la configurabilità della ricettazione a carico dell'avvocato penalista per i pagamenti ricevuti dall'assistito non può essere sufficiente il dolo eventuale sulla provenienza illecita della provvista poiché ciò interferirebbe con il diritto costituzionale di difesa.
di Avv. Fabio Valerini
Il caso

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Si suole dire che “pecunia non olet”.  Talvolta, però, l'odore dei soldi (e la conoscenza della sua provenienza) potrebbero portare a configurare fattispecie di reato anche in capo all'avvocato che riceve il pagamento della sua parcella da un cliente che utilizza soldi di provenienza illecita.
Il faro su questo tema è stato acceso dopo che la Procura della Repubblica di Milano ha chiesto al Giudice per le indagini preliminari (che non l'ha disposta) l'adozione della misura cautelare interdittiva della sospensione dall'attività professionale ex art. 290 c.p.p. nei confronti di due avvocati.
Tutto si colloca nell'ambito di un procedimento penale che ha avuto una forte risonanza mediatica e che attualmente coinvolge alcune persone indagate per associazione a delinquere dove il capo e gli associati promuoverebbero, organizzerebbero e ideologicamente sosterrebbero la lotta armata in Turchia.
Nella richiesta di misure cautelari, la Procura della Repubblica ha deciso di comprendere, per quel che più qui rileva, anche la richiesta di misure interdittive nei confronti di due avvocati per ricettazione per aver ricevuto denaro da parte di colui che è stato individuato dagli inquirenti come capo dell'associazione.
Gli aspetti che hanno richiamato l'attenzione sul caso sono, da un lato, che i due avvocati sono, in un altro procedimento (per un reato del tutto diverso), i difensori del (supposto) capo dell'associazione.
Dall'altro lato, che sono state utilizzate intercettazioni di comunicazioni tra avvocato e cliente.
Il tema molto delicato ed inedito in Italia che emerge dal caso è quello delle possibili conseguenze del fatto che denaro (in ipotesi) di provenienza illecita possa essere utilizzato per pagare la parcella dell'avvocato.
Il rilievo mediatico del caso in occasione del quale la questione si è posta, la rilevanza del tema, specialmente per la professione forense, il dibattito che si è aperto anche sul giusto processo, rende evidente l'interesse pubblico alla notizia e di dare conto di ciò che, seppure allo stato degli atti e del procedimento, emerge di estrema rilevanza per la professione forense.
L'avvertenza è d'obbligo in tempi di work in progress legislativi sulla possibilità di pubblicare ordinanze di custodia cautelare che, a sua volta, è oggetto di un sentito dibattito (la legge è stata ribattezzata, infatti, “legge bavaglio”).
Ed allora l'avvertenza è che tutti i fatti sono solo ipotesi e le intercettazioni trascritte nell'ordinanza sono soltanto quelle che sono state allegate dalla Procura e sulle quali non c'è stato ancora alcun contraddittorio della difesa.
Ciò non toglie però, l'interesse pubblico alla conoscenza della vicenda che quindi viene prospettata per quel che attualmente è stato detto sulla sola questione qui rilevante e cioè la astratta possibilità (in concreto peraltro negata dal GIP) che l'avvocato possa essere chiamato a rispondere di ricettazione.
In ogni caso, l'ordinanza alla quale facciamo riferimento è in realtà soltanto una parte (quella che ha coinvolto i due avvocati) e non è un'ordinanza che dispone una misura cautelare custodiale essendo in parte qua, un'ordinanza che rigetta la richiesta di misura interdittiva della sospensione della professione di avvocato.

Il diritto

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Vediamo innanzitutto la prospettazione del Pubblico Ministero nella richiesta di misura interdittiva nei confronti degli avvocati.
Secondo la Procura, il capo di imputazione provvisorio nei confronti dei due avvocati consiste nell'addebito che la loro condotta integrerebbe gli estremi degli articoli 110,81 capoverso, 648, 61 n.9 c.p., perché, fuori dei casi di concorso nei delitti presupposto, in concorso tra al fine di procurarsi un profitto, ricevevano in varie tranches, almeno tre, denaro di provenienza illecita essendone consapevoli loro  con l'aggravante di avere commesso i fatti nell'esercizio della professione legale in quanto per essere stati nominati di fiducia dal (supposto) capo dell'associazione in altro procedimento penale.
Secondo la Procura della Repubblica ci sarebbe stato un accordo telefonico del supposto capo con entrambi gli avvocati all'esito del quale, su sollecitazione di quest'ultimi, avrebbe consegnato 40 mila euro in 4 tranche da 10mila ciascuna.
A sostegno della sua ipotesi, la Procura indicava anche la trascrizione di una intercettazione dalla quale sarebbe emersa una conversazione che per gli inquirenti sarebbe rivelatrice di un accordo sulle modalità di consegna del denaro affinché gli avvocati potessero non pagare tasse.
Una delle tranche sarebbe stata consegnata in contanti all'interno di un involucro di carta stagnola.
Secondo la Procura, gli avvocati avrebbero avuto la consapevolezza dell'illiceità dell'origine del denaro che la norma penale richiede per il reato di ricettazione.

La lente dell'autore

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Quali sono state le ragioni per le quali il Giudice per le indagini preliminari ha rigettato la richiesta di misure cautelari interdittive nei confronti degli avvocati dell'indagato?
Innanzitutto, il GIP ha esaminato la questione di utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche tra avvocato e cliente alla luce dell'art. 103, comma 5 cod. proc. pen..
Secondo il GIP, non c'è dubbio che le garanzie difensive operino anche quando l'attività difensiva concerna un procedimento diverso da quello cui le intercettazioni atterrebbero (come nel caso di specie).
Tuttavia, è necessario che le conversazioni attengano alla funzione esercitata che il difensore sia munito di mandato e che quest'ultimo non sia esso stesso sottoposto ad indagine.
Nel caso di specie secondo il GIP non c'è nessun dubbio su ciò che i due difensori fossero certamente muniti di mandato in altro procedimento penale.
Tuttavia, le conversazioni non sono state ritenute attinenti espressamente il merito del mandato difensivo e l'esercizio di difesa ma unicamente il regolamento dei rapporti economici tra i clienti e il difensore.
Sulla base di questa premessa il GIP ha concluso per la piena utilizzabilità delle intercettazioni.
Nel merito del reato ipotizzato, il GIP ha ritenuto che la possibilità di configurare il dolo con riguardo alla peculiare posizione dell'avvocato penalista in un caso del genere deve essere valutata attentamente perché:

  1. l'avvocato penalista ha fisiologicamente rapporti economici con soggetti quantomeno sospettati di aver commesso un delitto, cosicché l'eventuale consapevolezza della qualità criminale del proprio debitore - già insufficiente secondo l'opinione della Suprema Corte in relazione ad un normale rapporto obbligatorio deve essere considerata irrilevante. Se così non fosse, infatti, il difensore non potrebbe mai esigere il pagamento degli onorari dal proprio assistito quando egli gli abbia confessato di essere dedito al crimine, ovvero dopo la condanna definitiva del cliente privo di lecite fonti di reddito;
  2. vi è la necessità di considerare gli interessi sottesi al rapporto difensivo, il quale si differenzia da qualsiasi altro rapporto contrattuale perché attiene al fondamentale – anche sul piano costituzionale – diritto di difesa.
Che ne sarebbe del diritto di difesa se i rapporti economici tra indagato e difensore fossero scandagliati sotto la lente – particolarmente penetrante – della ricettazione e/o dell'incauto acquisto?
A tal proposito, il GIP ricorda come per la giurisprudenza della Corte costituzionale tedesca il reato a carico del professionista è possibile soltanto quando questo abbia piena ed attuale consapevolezza dell'origine delittuosa del denaro, lasciando fuori dall'area della rilevanza penale situazioni di mero sospetto.
La prima conclusione alla quale giunge il GIP è che un avvocato difensore penale potrà essere punibile solo se ha acquisito, al momento dell'accettazione, la certezza che il denaro proviene da reato, senza che si possano imporre a questi obblighi di indagine sulle fonti di reddito (legali o illegali) del cliente restando escluso qualsiasi spazio per il dolo eventuale.
Venendo all'accertamento del dolo, il GIP ha escluso che dagli atti depositati dalla Procura potesse emergere un rapporto anomalo tra i due difensori e il loro assistito, condotte di favoreggiamento dei difensori o qualcosa che, sotto il profilo penale o anche solo deontologico, possa far ipotizzare una cointeressenza patologica.
Del resto, la natura dell'accusa nei confronti dell'assistito è un dato neutro per il difensore, non solo in ossequio alla presunzione costituzionale di non colpevolezza ma anche in relazione all'esigenza di non paralizzare, in una logica prettamente circolare, l'attività difensiva (peraltro per il GIP la conoscenza pregressa dell'assistito riguardava reati diversi da quelli poi oggetto di incolpazione).
Per il GIP l'unico dato equivoco sarebbe il mezzo del pagamento utilizzato e cioè il contante.
Tuttavia, anche qui potrebbe esserci una lettura alternativa: il ricorso al contante potrebbe trovare spiegazione in ciò, che l'assistito potrebbe sostenersi tramite somme provenienti da soggetti ancora residenti in patria, i quali invierebbero le somme necessarie in contanti.
Inoltre, la possibilità che l'avvocato possa aver preferito il contante al bonifico per ragioni fiscali sarebbe per il GIP una spiegazione seppur non encomiabile del contante.
Alla luce di questa ricostruzione il GIP ha escluso in capo agli avvocati, a titolo di gravità indiziaria, il dolo di ricettazione, con la conseguente impossibilità di dare seguito alla richiesta misura interdittiva.

Così il GIP del Tribunale di Milano, ordinanza cautelare del 3 maggio 2024.
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