Discriminatoria la condotta dell'INPS che chiede la restituzione dell'assegno per il nucleo familiare al dipendente con permesso di soggiorno di lungo periodo i cui figli siano rientrati per un periodo nel Paese di origine, quando non è previsto altrettanto per i cittadini italiani.
La Corte d'Appello di Brescia rigettava sia l'appello principale proposto dall'INPS, sia quello incidentale proposto da due dipendenti di una società, accertando il diritto di questi ultimi (titolari del permesso di soggiorno di lungo periodo) a percepire l'assegno per il nucleo familiare anche per i periodi in cui alcuni dei loro figli erano...
Svolgimento del processo
1.- Con sentenza pubblicata il 20 aprile 2016 con il numero 89/2016, la Corte d'appello di Brescia ha rigettato sia l'appello principale proposto dall'INPS sia l'appello incidentale proposto dai signori A. A. e H. H. M. A. e ha così confermato l'ordinanza pronunciata dal Tribunale della medesima sede, compensando le spese del gravame.
La Corte territoriale, nel respingere l'appello principale, ha accertato il diritto di A. A. e H. H. M. A., dipendenti di C. E. s.r.l. e titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo, di beneficiare dell'assegno per il nucleo familiare anche per i periodi in cui alcuni dei loro figli erano rientrati nel Paese d'origine e ha dichiarato il carattere discriminatorio della condotta dell'Istituto previdenziale, che ha richiesto la restituzione della prestazione già erogata.
La Corte bresciana ha infine respinto l'appello incidentale in ordine all'integrale compensazione delle spese del primo grado.
2.- Contro la pronuncia della Corte d'appello di Brescia, l'INPS ricorre per cassazione il 12 settembre 2016, con un unico motivo, illustrato da memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica originariamente fissata per la trattazione della causa.
3.- A. A. e H. H. M. A. resistono con controricorso e spiegano ricorso incidentale, in base a un motivo, illustrato da memoria depositata ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ. nell'imminenza dell'udienza pubblica.
4.- C. E. s.r.l. non ha svolto attività difensiva in questa sede.
5.- Il ricorso è stato da ultimo fissato per la trattazione in camera di consiglio dinanzi a questa sezione, in base agli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1. cod. proc. civ.
In prossimità dell'adunanza in camera di consiglio, controricorrenti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1.- Con la sentenza impugnata, la Corte d'appello di Brescia ha disapplicato l'art. 2, comma 6-bis, del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69, inserito dalla legge di conversione 13 maggio 1988, n. 153, in quanto contrastante con l'art. 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo.
1.1.- Per i soli cittadini stranieri, il richiamato art. 2, comma 6- bis, del d.l. n. 69 del 1988 esclude dal nucleo familiare «il coniuge ed i figli ed equiparati di cittadino straniero che non abbiano la residenza nel territorio della Repubblica, salvo che dallo Stato di cui lo straniero è cittadino sia riservato un trattamento di reciprocità nei confronti dei cittadini italiani ovvero sia stata stipulata convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia».
Ad avviso della Corte territoriale, tale limitazione «realizza un'oggettiva discriminazione dello straniero» e confligge con il principio di parità di trattamento, sancito per il soggiornante di lungo periodo nel settore delle prestazioni sociali, dell'assistenza sociale e della protezione sociale.
1.2.- A queste conclusioni i giudici d'appello sono giunti sulla scorta della natura assistenziale dell'assegno per il nucleo familiare, che si prefigge di tutelare le famiglie in stato di effettivo bisogno ed è corrisposto in modo differenziato in rapporto al numero dei componenti e al reddito del nucleo familiare.
La prestazione assistenziale in esame, qualificabile come un sostegno di reddito minimo, si annovera tra quelle essenziali, che impongono in termini inderogabili la garanzia della parità di trattamento (art. 11, paragrafo 4, della direttiva 2003/109 CE). Parità che la direttiva, munita di «efficacia diretta» e dunque «"autoesecutiva"», prescrive con un «precetto [...] sufficientemente preciso», oltre che «incondizionato» e inequivocabile.
2.- L'INPS, ricorrente principale, denuncia, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 2, comma 6-bis, del d.l. n. 69 del 1988 e degli artt. 43 e 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, anche in relazione all'art. 12 delle preleggi.
La Corte d'appello di Brescia avrebbe errato nel qualificare come prestazione assistenziale l'assegno per il nucleo familiare, che rappresenterebbe una prestazione previdenziale, commisurata alle giornate prestate e al numero minimo di ore lavorate ed erogata dalla Gestione prestazioni temporanee dei lavoratori dipendenti (art. 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88), contraddistinte dalla natura previdenziale.
La prestazione in esame non sarebbe comunque essenziale, in quanto si caratterizzerebbe come un supporto economico aggiuntivo per il nucleo familiare che già gode di un reddito.
Il diniego dell'assegno per il nucleo familiare non contrasterebbe, pertanto, con il diritto dell'Unione europea, che demanderebbe a ogni Stato membro la facoltà di limitare la parità di trattamento alle sole prestazioni assistenziali e previdenziali essenziali. Non si potrebbe dunque disapplicare la normativa interna e sarebbe necessario proporre incidente di legittimità costituzionale, ove si reputasse violato il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.).
Peraltro, il diverso trattamento riservato ai cittadini di Paesi terzi sarebbe rispettoso dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità, in quanto si giustificherebbe con l'esigenza di verificare il permanere dei presupposti di legge e di salvaguardare la finalità di sostegno effettivo per il nucleo familiare.
3.- I controricorrenti hanno eccepito, in linea preliminare, l'inammissibilità del ricorso, per difetto «dei requisiti minimi di chiarezza, non contraddizione e riferibilità alla sentenza impugnata» (pagina 7 del controricorso).
3.1.- Dalla natura previdenziale dell'assegno per il nucleo familiare, affermata a sostegno del motivo di ricorso, non deriverebbe alcuna deroga al principio di parità di trattamento.
3.2.- L'eccezione dev'essere disattesa.
Il ricorso contesta che l'assegno per il nucleo familiare abbia natura di prestazione assistenziale essenziale e reputa, pertanto, derogabile il principio di parità di trattamento, che l'art. 11, paragrafo 4, della direttiva 2003/109 CE fisserebbe come cogente soltanto nell'ambito delle prestazioni essenziali.
Le argomentazioni illustrate nel ricorso sono dunque specifiche e si correlano alla ratio decidendi della pronuncia impugnata, che s'incardina sul contrasto con la direttiva del 2003. Contrasto che il ricorrente si ripromette di negare, anche con le ulteriori notazioni che corredano il motivo di ricorso.
Non si ravvisa, pertanto, il difetto di specificità e di chiarezza delle censure formulate nel ricorso.
4.- Il ricorso principale può essere così scrutinato nel merito e si rivela infondato.
5.- Occorre tener conto della risposta che la Corte di giustizia dell'Unione europea, quinta sezione, ha dato alla domanda pregiudiziale posta da questa Corte con l'ordinanza n. 9021 del 1° aprile 2019.
5.1.- Nella sentenza resa il 25 novembre 2020, nella causa C-303/19, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha affermato che «l'articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa di uno Stato membro in forza della quale, ai fini della determinazione dei diritti a una prestazione di sicurezza sociale, non vengono presi in considerazione i familiari del soggiornante di lungo periodo, ai sensi dell'articolo 2, lettera b), di detta direttiva, che risiedano non già nel territorio di tale Stato membro, bensì in un paese terzo, mentre vengono presi in considerazione i familiari del cittadino di detto Stato membro residenti in un paese terzo, qualora tale Stato membro non abbia espresso, in sede di recepimento di detta direttiva nel diritto nazionale, la propria intenzione di avvalersi della deroga alla parità di trattamento consentita dall'articolo 11, paragrafo 2, della medesima direttiva» (punto 40).
5.2.- Il principio di parità di trattamento con riguardo alle prestazioni sociali «costituisce la regola generale», laddove le deroghe devono essere interpretate «restrittivamente» (punto 23).
All'atto del recepimento della direttiva, l'Italia non ha dichiarato di avvalersi della deroga prevista dall'art. 11, paragrafo 2, che consente agli Stati membri di limitare la parità di trattamento nel settore delle prestazioni sociali ai casi in cui il soggiornante di lungo periodo, o il familiare per cui viene chiesta la prestazione, abbia eletto dimora o risieda abitualmente nel loro territorio (punto 38).
5.3.- Per la Corte di giustizia dell'Unione europea, «uno Stato membro non può rifiutare o ridurre il beneficio di una prestazione di sicurezza sociale al soggiornante di lungo periodo per il motivo che i suoi familiari o taluni di essi risiedono non sul suo territorio, bensì in un paese terzo, quando invece accorda tale beneficio ai propri cittadini indipendentemente dal luogo in cui i loro familiari risiedano» (punto 30).
La disparità di trattamento si riscontra anche quando l'assegno non sia negato, ma ridotto nel suo ammontare (punto 33), e non può essere giustificata dalle «eventuali difficoltà di controllo sulla situazione dei beneficiari per quanto riguarda le condizioni di concessione dell'assegno per il nucleo familiare qualora i familiari non risiedano nel territorio dello Stato membro interessato (punto 35).
6.- Le considerazioni della Corte di giustizia dell'Unione europea sono state riprese dal giudice delle leggi, interpellato da questa Corte con l'ordinanza 8 aprile 2021, n. 9378 (sentenza n. 67 del 2022, punto 8.1. del Considerato in diritto).
Nella pronuncia richiamata, la Corte costituzionale ha attribuito alle previsioni dell'art. 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109 CE «effetto diretto nella parte in cui prescrivono l'obbligo di parità di trattamento tra le categorie di cittadini di paesi terzi individuate dalle medesime direttive e i cittadini dello Stato membro in cui costoro soggiornano» (punto 12 del Considerato in diritto).
7.- Alla luce delle precisazioni illustrate dalla Corte di giustizia dell'Unione europea e dal giudice delle leggi, non coglie nel segno il ricorso principale dell'INPS, che s'incentra sul rilievo della compatibilità della normativa interna con i principi sanciti dalla direttiva 2003/109 CE e su argomenti vagliati e confutati nelle pronunce richiamate.
È dunque conforme a diritto la sentenza d'appello, che ha dato diretta applicazione al principio di parità di trattamento, vigente per i titolari del permesso di lungo soggiorno nell'ambito delle prestazioni sociali.
Non merita censure, in ultima analisi, la sentenza impugnata per aver disapplicato l'art. 2, comma 6-bis, del d.l. n. 69 del 1988 e per aver così riconosciuto il diritto degli odierni controricorrenti di beneficiare dell'assegno per il nucleo familiare, senza annettere alcun rilievo al temporaneo allontanamento di alcuni componenti di tale nucleo dal territorio della nazione.
8.- Con ricorso incidentale, affidato a un unico motivo, i controricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e criticano la scelta dei giudici d'appello di compensare per intero le spese del giudizio di primo e di secondo grado, in considerazione della novità e della particolare complessità della questione.
In questa prospettiva, solo l'assoluta novità della questione potrebbe giustificare la compensazione delle spese. Quanto alla particolare complessità, dovrebbe indurre, al contrario, a incrementare l'importo delle spese liquidate.
Le ragioni dei ricorrenti incidentali sarebbero state riconosciute da numerose e concordi pronunce di merito, né l'applicazione del principio della soccombenza (art. 91 cod. proc. civ.) potrebbe essere subordinata al sopraggiungere di un responso del giudice della nomofilachia sulle questioni dibattute.
L'onere di sobbarcarsi alle spese di entrambi i gradi di giudizio vanificherebbe il riconoscimento del diritto a una prestazione che pure risulta indispensabile al mantenimento della famiglia.
9.- Il ricorso incidentale è infondato.
9.1.- In tema di spese giudiziali, il sindacato di legittimità sulla pronuncia di compensazione è diretto a evitare che siano addotte ragioni illogiche o erronee a fondamento della decisione di compensarne i costi tra le parti (Cass., sez. VI-3, 26 luglio 2021, n. 21400).
Come ha affermato la Corte costituzionale (sentenza n. 157 del 2014), tale sindacato si sostanzia in una verifica "in negativo", in ragione della "elasticità" costituzionalmente necessaria che caratterizza il potere giudiziale di compensazione delle spese di lite, «non essendo indefettibilmente coessenziale alla tutela giurisdizionale la ripetizione di dette spese» in favore della parte vittoriosa (punto 4.1. del Considerato in diritto).
9.2.- La Corte di merito ha ritenuto esente, da censure la decisione del Tribunale di compensare per intero le spese del giudizio, «attesa la novità e anche la particolare complessità delle questioni trattate nel primo grado di giudizio, oltre che l'esistenza di precedenti unicamente di merito e non sempre favorevoli alla tesi dei ricorrenti» (pagina 23).
Per le medesime ragioni, anche le spese del gravame sono state compensate per intero.
9.3.- La motivazione, addotta a fondamento della scelta di compensare le spese di entrambi i gradi, è analitica ed è sorretta da ragioni tutt'altro che illogiche e incoerenti. L'obiettiva incertezza sul diritto controverso integra il presupposto per la compensazione delle spese di lite, ai sensi dell'art. 92 cod. proc. civ., ed è avvalorata, nel caso di specie, da elementi d'innegabile pregnanza.
La complessa normativa applicabile, che vede l'intrecciarsi della disciplina nazionale con il diritto dell'Unione europea, ha imposto a questa Corte d'interloquire dapprima con la Corte di giustizia dell'Unione europea e quindi con il giudice delle leggi. In un quadro normativo quanto mai articolato per l'interagire di fonti di diverso livello, è stato necessario fugare ogni dubbio, al fine di salvaguardare l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge in un ambito di primaria rilevanza, quale è quello delle prestazioni sociali, che chiama in causa la garanzia dei diritti dei singoli (artt. 3, secondo comma, 31 e 38 Cost.) e, in pari tempo, l'osservanza del limite delle risorse disponibili (art. 81 Cost.).
È dunque immune da errori logici e giuridici la decisione impugnata, che ha ravvisato nel caso di specie i presupposti tipizzati dal codice di rito per la compensazione delle spese giudiziali.
10.- L'esito complessivo del giudizio, contrassegnato dal necessario intervento chiarificatore della Corte di giustizia dell'Unione europea e della Corte costituzionale, e la soccombenza reciproca, conseguente al rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale, giustificano la compensazione integrale, fra le parti costituite, anche delle spese del presente giudizio.
Nessuna statuizione si deve invece adottare sulle spese per quel che concerne il rapporto processuale con la parte intimata.
11.- Il rigetto tanto del ricorso principale quanto del ricorso incidentale impone di dare atto dei presupposti per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale e compensa le spese fra le parti costituite.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal comma 1-bis dell'art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.