Svolgimento del processo
1. Con decreto del 4-12-2020 il Tribunale di Napoli ha respinto il ricorso di A. N., cittadino del Ghana, all’esito del rigetto della sua nuova domanda di protezione internazionale da parte della competente Commissione Territoriale con provvedimento notificato il 3-10-2018. Il richiedente riferiva di essere fuggito dal suo Paese a seguito di dissidi insorti nella comunità dove viveva e per le minacce ricevute dal padre dopo che si era convertito alla religione cristiana pentecostale. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del Ghana, descritta nel decreto impugnato con indicazione delle fonti di conoscenza, rilevando che i motivi a sostegno della domanda reiterata erano gli stessi già allegati con la prima domanda e che il ricorrente non aveva dedotto alcun elemento nuovo, neppure potendosi rinvenire profili di vulnerabilità dalla documentata presentazione di un esposto- denuncia.
2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell'Interno, che si è costituito tardivamente al solo fine dell’eventuale partecipazione alla discussione.
3. Con ordinanza interlocutoria n.15514/2022 della Sesta Sezione civile di questa Corte la causa è stata rimessa alla pubblica udienza della Prima Sezione civile in considerazione della rilevanza della questione posta dai motivi di ricorso e relativa allo sfruttamento lavorativo del ricorrente nel Paese di accoglienza.
4. Per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione in udienza pubblica è stato applicato lo speciale rito «cartolare» previsto dall’art.23, comma 8 bis, del d.l. 137 del 28-10-2020, convertito con modificazioni dalla legge 18-12-2020 n.176 e prorogato a tutto il 2022 dal d.l. 30-12-2021 n.228, convertito dalla legge 25 febbraio 2022, n. 15.
La Procura Generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del ricorso. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1. I motivi di ricorso sono così rubricati:« I. Violazione e/o mancata applicazione degli articoli 5, comma 6 e 19, comma 2 del Decreto Legislativo n. 286/1998 e s.m.i., ante riforma di cui al D.L. 113/28, convertito in legge nr. 132/18 in riferimento all’art. 19, comma 2, del D. Lgs. nr 251/07, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.;
II. Violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 5, comma 6, e artt. 18 e 19 del D.Lgs. nr. 286/98, nonché dell’articolo 32 del D.Lgs. n. 25/08 ante riforma di cui al D.L. 113/28, convertito in legge nr. 132/18 ex art. 360 nr. 5 c.p.c.». Con il primo motivo il ricorrente censura la statuizione di rigetto della protezione umanitaria, per non avere il Tribunale adeguatamente considerato né i profili di vulnerabilità del ricorrente connessi allo sfruttamento lavorativo denunciato, né le condizioni del Ghana con particolare riferimento al giudizio comparativo ai fini della protezione umanitaria, nonché alla luce della condizione di vulnerabilità del ricorrente. Con il secondo motivo è denunciato il vizio di motivazione apparente e arbitraria del decreto in merito alla domanda di protezione umanitaria, in quanto incentrata sull'irrilevanza di allegazioni, argomentazioni e statuizioni. Il ricorrente deduce, in particolare, di avere allegato alle note di trattazione scritta in primo grado la denuncia alla Guardia di Finanza di Mondragone, presentata unitamente ad altri braccianti agricoli, nell'ambito del progetto "S. - Servizio integrato protezione lavoratori agricoli" (oggetto di una più ampia azione delle locali istituzioni volta al contrasto del fenomeno del caporalato nel casertano) e la relazione della Caritas Diocesana di Caserta, presso la quale il ricorrente svolge attività di volontariato. Deduce, altresì, che il decreto impugnato non contiene alcuna compiuta menzione della documentazione che il ricorrente riporta di aver allegato, con particolare riferimento alle condizioni di sfruttamento lavorativo che lo stesso ha denunciato. Al contrario il Tribunale si è limitato a statuire che non sussiste alcuna condizione di grave deprivazione e quindi vulnerabilità in relazione al Paese di origine e che nulla era stato allegato dal ricorrente in merito al suo percorso di integrazione.
2. I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono fondati nei termini che si vanno ad illustrare.
2.1. Occorre premettere che l’art.22, comma 12 quater d.lgs.286/1998, inserito dall'articolo 1, comma 1, lettera b), del d.lgs. 16.7.2012, n. 109, nel testo vigente ratione temporis applicabile nella specie (ossia anteriore alla modifica disposta dal d.l. 4.10.2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1.12.2018, n. 132), prevede: «Nelle ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo di cui al comma 12-bis, è rilasciato dal questore, su proposta o con il parere favorevole del procuratore della Repubblica, allo straniero che abbia presentato denuncia e cooperi nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro, un permesso di soggiorno ai sensi dell'articolo 5, comma 6». Il richiamato art.12 bis, lettera c), fa riferimento al fatto che i lavoratori occupati siano sottoposti alle condizioni lavorative di particolare sfruttamento di cui al terzo comma dell'articolo 603-bis del codice penale, e cioè: 1) la reiterata corresponsione di retribuzioni palesemente difforme da quelle previste dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;2) la reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie;
3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; 4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.
Come più volte rimarcato nelle pronunce di questa Corte, il titolo di cui si tratta, dunque, è una speciale forma di permesso di soggiorno per motivi umanitari introdotta nel nostro ordinamento dal d.lgs. 109/2012, emanato in attuazione della direttiva europea n. 52/2009, e concesso in favore del cittadino straniero che, trovandosi in una situazione di particolare sfruttamento lavorativo, abbia presentato denuncia contro il proprio datore di lavoro e cooperi nel procedimento penale instaurato a suo carico. Lo sfruttamento sussiste in presenza di «condizioni lavorative, incluse quelle risultanti da discriminazione di genere e di altro tipo, in cui vi è una palese sproporzione rispetto alle condizioni di impiego dei lavoratori assunti legalmente, che incide, ad esempio, sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori ed è contraria alla dignità umana» (art. 2, lett. i), direttiva n. 52 cit.). Per quanto occorra, va ribadito che la situazione giuridica soggettiva dello straniero che domandi il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari ha consistenza di diritto soggettivo, da annoverare tra i diritti umani fondamentali, non degradabile ad interesse legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo (Cass., sez. un., n. 5059/2017). Il comma 12 quater, nella formulazione vigente ratione temporis che si applica nella specie (ante d.l.n.113/2018), prevede che venga rilasciato un permesso di soggiorno «ai sensi dell'art. 5, comma 6», sicché tra le due norme sussiste un rapporto di specie a genere, essendo la condizione di sfruttamento lavorativo uno dei possibili «motivi umanitari», benché si aggiunga l'ulteriore requisito della denuncia e della cooperazione nel procedimento penale, rispondente alla finalità anche premiale di tale misura (Cass.n.10291/2018). anche premiale di tale misura (Cass.n.10291/2018).
Inoltre, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l'opposizione avverso il provvedimento del questore di diniego del permesso di soggiorno in favore del cittadino straniero vittima di sfruttamento lavorativo, previsto dal citato art. 22, comma 12- quater del d.lgs. n. 286 del 1998, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, al quale è devoluta la piena cognizione in ordine alla sussistenza dei relativi presupposti, atteso che il parere espresso dal procuratore della Repubblica, cui è condizionato il rilascio del permesso da parte del questore, costituisce esercizio di discrezionalità tecnica ed esaurisce la propria rilevanza all'interno del procedimento amministrativo, non vincolando l'autorità giurisdizionale (Cass. Sez. Unite, n. 30757/2018 e n. 32044/2018; Cass.n. 10291/2018). E’ stato, infatti, chiarito che il parere positivo della Procura della Repubblica non costituisce un presupposto necessario e vincolante, nel senso che il giudice, in regime di cognizione piena, può accertare il presupposto per il rilascio del permesso in questione, che è la presentazione della denuncia e la collaborazione nel processo instaurato contro il datore di lavoro autore dello sfruttamento.
Occorre ulteriormente precisare che i due suindicati requisiti, ossia la presentazione della denuncia e la collaborazione processuale, sono alternativi, e non cumulativi, e ciò in base all’interpretazione logica delle disposizioni in esame, nonché conforme alla sua ratio, finalizzata ad assicurare un regime protettivo allo straniero vittima di sfruttamento lavorativo, in quanto tale soggetto di particolare vulnerabilità. Nello specifico, va osservato, per un verso, che la presentazione della denuncia costituisce già di per sé una forma, anche assai significativa e rischiosa, di collaborazione e, per altro verso, che la presentazione della denuncia da parte di un altro soggetto produrrebbe paradossalmente l’effetto di privare lo straniero dei benefici di una sua successiva e positiva collaborazione alle indagini (cfr. in tal senso Cass. n.18288/2022), sicché solo l’interpretazione della norma nel senso dell’alternatività dei citati requisiti consente di evitare conseguenze contrarie alla sua ratio.
2.2. Va aggiunto, infine, in estrema sintesi, che in un contesto di sfruttamento lavorativo, potranno trovare applicazione, nella ricorrenza dei presupposti di legge, gli artt. 18 del T.U.I. e 27 del DPR 394/99, ai sensi dei quali il permesso di soggiorno può essere rilasciato dal questore anche su proposta dei servizi sociali degli enti locali, o dalle associazioni, enti e altri organismi iscritti nella seconda sezione del registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività a favore degli immigrati. Si tratta dell’istituto della “protezione sociale”, volto a consentire alle persone straniere vittime di situazioni di grave sfruttamento riconducibili a determinate fattispecie di reato (art.600 e 601 cod.pen.) di ottenere uno speciale permesso di soggiorno e di accedere a specifici programmi di protezione e assistenza. Il permesso di soggiorno previsto dall’art. 18 D.Lgs. 286/98 può essere rilasciato non soltanto in seguito alla denuncia della vittima, ma anche in quei casi in cui quest’ultima non possa o non voglia rivolgersi all’Autorità Giudiziaria. Si parla di “doppio binario” in quanto, in forza di quanto previsto dall’art. 18 D.L.gs 286/98, in combinato disposto con l’art. 27 del regolamento di attuazione del Testo Unico Immigrazione, il permesso di soggiorno può essere rilasciato tanto nel caso in cui sia stato avviato un procedimento penale relativamente ai fatti di violenza o grave sfruttamento, in seguito alla denuncia della vittima (c.d. percorso giudiziario), quanto nel caso in cui la persona non denunci ma aderisca ad un programma di assistenza e integrazione sociale, affidandosi ad un ente specificamente preposto all’assistenza delle vittime di grave sfruttamento, che può essere un ente locale o un’associazione o organismo privato purché iscritto alla seconda sezione del registro delle associazioni, enti e che svolgono attività a favore degli immigrati (c.d. percorso sociale).
2.3. Così sinteticamente ricostruito il quadro normativo di riferimento e l’orientamento di questa Corte sul tema, nel caso di specie il Tribunale, pur dando atto che il ricorrente aveva documentato la presentazione di un “esposto-denuncia” (pag.10 del decreto impugnato), ne ha escluso la rilevanza, sotto il profilo della vulnerabilità del richiedente, in modo apodittico e senza che sia possibile ricostruire il percorso argomentativo posto a fondamento del ragionamento decisorio.
Per contro il ricorrente, con sufficiente specificità, afferma di avere prodotto la denuncia alla Guardia di Finanza di Mondragone, presentata unitamente ad altri braccianti agricoli, nell'ambito del progetto "S. - Servizio integrato protezione lavoratori agricoli" (oggetto di una più ampia azione delle locali istituzioni volta al contrasto del fenomeno del caporalato nel casertano), e la relazione della Caritas Diocesana di Caserta, nonché deduce che da detti documenti si evince la situazione di sfruttamento lavorativo in atto anche in pregiudizio dell’odierno ricorrente, per avere anch’egli fornito alle associazioni le necessarie informazioni.
Nella descritta e documentata situazione, alla stregua del regime protettivo a tutela dello straniero vittima di sfruttamento lavorativo di cui si è detto, il giudice del merito, con piena cognizione, è tenuto ad accertare la sussistenza o meno dei presupposti stabiliti dalle norme citate, ed in particolare di quelli del comma 12 quater cit., vale a dire la condizione di particolare sfruttamento lavorativo, la denuncia o la cooperazione nel procedimento penale a carico del datore di lavoro, alla luce delle acquisizioni istruttorie fornite dalla parte, inclusi gli accertamenti eseguiti in sede penale.
Nel caso di specie, è stata, invece, del tutto omessa l’indagine fattuale e l’accertamento in concreto dei requisiti prescritti dalle citate norme, interpretate secondo i principi di diritto suesposti, sì da poter assumere, eventualmente, decisiva rilevanza nello scrutinio del caso concreto quali elementi nuovi fondanti la domanda reiterata di protezione umanitaria.
3. In conclusione, il ricorso merita accoglimento nei termini precisati, il decreto impugnato va cassato, e la causa va rinviata al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, che dovrà attenersi al seguente principio di diritto: «In tema di protezione umanitaria, nel regime vigente “ratione temporis”, anteriore all’entrata in vigore del d.l. 4.10.2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1.12.2018, n. 132, ove sia allegata e documentata una situazione di sfruttamento lavorativo di cui sia stato vittima il cittadino straniero, il giudice del merito, con piena cognizione, è tenuto ad accertare la sussistenza o meno dei presupposti stabiliti dall’ art. 18 D.L.gs 286/98, in combinato disposto con l’art. 27 del regolamento di attuazione del Testo Unico Immigrazione, nonché di quelli previsti dall’art.22, comma 12 quater d.lgs.286/1998, inserito dall'articolo 1, comma 1, lettera b), del d.lgs. 16.7.2012, n. 109, nel testo vigente “ratione temporis” applicabile nella specie, alla luce delle acquisizioni istruttorie fornite dalla parte, inclusi gli accertamenti eseguiti in sede penale, in particolare, quanto al regime protettivo dettato dal comma 12 quater cit., dovendosi richiedere, oltre alla condizione di particolare sfruttamento lavorativo, solo in via alternativa, e non cumulativa, la denuncia del cittadino straniero e la sua cooperazione nel procedimento penale a carico del datore di lavoro».
Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.