La Cassazione ricostruisce il quadro normativo che regola la disciplina delle notificazioni degli atti nell'ambito di un giudizio di fallimento, ponendo l'accento sui meccanismi di ricerca dell'imprenditore.
La Corte d'Appello di Venezia respingeva il reclamo proposto dalla società in liquidazione avverso la decisione con cui il Tribunale aveva dichiarato il suo fallimento, ritenendo inammissibile la querela di falso proposta contro la relata della prima notifica del ricorso ai sensi dell'art. 6 l.fall. e del decreto di fissazione d'udienza poiché l'attestazione asseritamente...
Svolgimento del processo
1. La Corte d’appello di Venezia respingeva il reclamo proposto da (omissis) s.r.l. in liquidazione contro la sentenza del Tribunale di Padova dichiarativa del suo fallimento, su istanza dei creditori Studio Associato M.R. e (omissis) s.r.l..
2. La corte del merito riteneva inammissibile la querela di falso proposta avverso la relata della prima notifica del ricorso ex art. 6 l. fall. e del decreto di fissazione d’udienza, in quanto l’attestazione asseritamente falsa dell’U.G. (concernente il fatto che non gli era stato possibile provvedere ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ. perché (omissis) s.r.l., stando alle dichiarazioni raccolte in loco, aveva lasciato i locali già da diverso tempo) non era necessaria ai fini del valido perfezionamento della notifica.
Osservava, a questo proposito, che il procedimento notificatorio previsto dall’art. 15, comma 3, l. fall. non prevede l’applicazione del disposto degli artt. 140 e 145 cod. proc. civ., secondo una disciplina precipua del contesto del processo fallimentare e già giudicata legittima dalla Corte Costituzionale.
Giudicava parimenti inammissibile la querela di falso presentata avverso le relate di notifica delle ordinanze endoprocedimentali con cui il primo giudice aveva disposto il rinnovo della notificazione, stante la loro evidente irrilevanza, in quanto, una volta incardinatosi correttamente il procedimento fallimentare mediante la prima notifica del ricorso e del decreto di convocazione, era onere della debitrice accertarsi della data dell’udienza di rinvio.
Rilevava, inoltre, l’inattendibilità dei dati esposti dalla reclamante in merito alla consistenza del proprio attivo, dovendosi invece avere riguardo, per la valorizzazione del suo patrimonio immobiliare, alle indicazioni contenute nel piano di concordato, non omologato per il mancato raggiungimento delle maggioranze richieste dalla legge, dalla stessa depositata nel maggio 2014.
Constatava infine, alla luce di tali valori, che il totale dell’attivo patrimoniale della società, in stato di liquidazione, era inferiore al passivo indicato per un totale di € 657.739,70, risultando così irrilevante, ai fini del riscontro dell’esistenza di uno stato di insolvenza, il recente incasso della somma di € 200.000.
3. Per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 2 novembre 2016, ha proposto ricorso (omissis) s.r.l. in liquidazione prospettando cinque motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di (omissis) s.r.l. in liquidazione.
Gli intimati Studio Associato M.R. e (omissis) s.r.l. non hanno svolto difese.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
4.1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 15 l. fall. e 354 cod. proc. civ. nonché l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso fra le parti: la Corte di merito – in tesi – ha erroneamente ritenuto che la notifica dell’istanza di fallimento possa essere effettuata con il solo deposito presso la casa comunale anche quando il destinatario sia certamente reperibile, in base ad elementi certi ed oggettivi rilevati dallo stesso ufficiale giudiziario all’interno della relata di notifica, e non abbia tenuto alcun comportamento scorretto, negligente o volto a rendersi irreperibile; occorreva, invece, lasciare avviso affisso alla porta ovvero dare comunicazione della notifica a mezzo lettera raccomandata alla società o al suo legale rappresentante, in applicazione del disposto degli artt. 140 o 145 cod. proc. civ..
4.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 291 e 354 cod. proc. civ. nonché l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso fra le parti: la Corte distrettuale
– a dire della ricorrente - ha ritenuto irrilevante la nullità della notifica del decreto di fissazione di una nuova udienza di discussione, ordinata dal tribunale in ragione della nullità della prima notifica del ricorso introduttivo, facendo richiamo a una pronuncia della Corte di legittimità non pertinente (riguardante lo spostamento della prima udienza in caso di rituale notifica dell’istanza di fallimento) e tralasciando, invece, di considerare che la notifica dell’atto endoprocessuale doveva avvenire secondo le regole ordinarie (e dunque ai sensi dell’art. 145 cod. proc. civ.) e non dell’art. 15 l. fall..
4.3. Il terzo motivo di ricorso prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 221 e 115 cod. proc. civ. nonché l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso fra le parti: la Corte territoriale avrebbe erroneamente giudicato inammissibile la querela di falso rivolta nei confronti delle relazioni di notifica dell’ufficiale giudiziario, reputando che la stessa dovesse avere ad oggetto, esclusivamente, l’attestazione del mancato rinvenimento presso la sede di soggetti addetti al ricevimento dell’atto notificando, pur in mancanza di alcuna norma in tal senso.
4.4. Il quarto motivo di ricorso dubita della legittimità costituzionale dell’art. 15 l. fall., per violazione degli artt. 3, 24, 10 e 117 (in relazione all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e agli artt. 7 e 8 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) e 111 Cost., nell’ipotesi in cui si voglia considerare valida una notifica effettuata con il mero deposito presso la casa comunale senza che questa attività sia preceduta dall’affissione di un avviso e dall’invio di una raccomandata informativa al destinatario risultato reperibile.
5. I motivi, da esaminarsi congiuntamente in ragione del rapporto di connessione che li lega, risultano, tutti, infondati.
5.1. L'art. 15, comma 3, l. fall., nell’introdurre una disciplina speciale del tutto distinta da quella che, nel codice di rito, regola le notificazioni degli atti del processo, si propone – come ha chiarito la Corte costituzionale con la sentenza n. 146/2016, che ha respinto la questione di legittimità costituzionale della norma in questione con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. - di "coniugare le finalità del diritto di difesa dell'imprenditore con le esigenze di specialità e di speditezza cui deve essere improntato il procedimento concorsuale", prevedendo che "il tribunale sia esonerato dall'adempimento di ulteriori formalità quando la situazione di irreperibilità deve imputarsi all'imprenditore medesimo".
La semplificazione del procedimento notificatorio in ambito concorsuale trova, quindi, la sua ragion d'essere nella specialità e nella complessità degli interessi che esso è volto a tutelare, che ne segnano la diversità rispetto a quello ordinario di notifica.
Nell’ambito di questo sistema il diritto di difesa del debitore - da declinare nella prospettiva della conoscibilità, da parte del medesimo, dell'attivazione del procedimento fallimentare a suo carico — ed il principio del giusto processo rimangono adeguatamente garantiti dal duplice meccanismo di ricerca previsto dalla norma in parola, che deve essere attuato dapprima rispetto all’indirizzo di posta elettronica certificata di cui l'imprenditore è obbligato a dotarsi, ai sensi dell'art. 16, comma 6, d.l. 185/2008, e in seguito presso la sede legale dell'impresa, che deve essere obbligatoriamente indicata nell'apposito registro ai sensi dell’art. 2196 cod. civ..
L’art. 15, comma 3, l. fall. presuppone, quindi, che l’imprenditore abbia definito i termini della sua reperibilità, in senso fisico e tramite il sistema di posta elettronica certificata, in applicazione della normativa appena richiamata, e li abbia resi conoscibili ai terzi assicurando, nel suo stesso interesse, un sistema organico di pubblicità legale.
5.2. Stante il carattere speciale della disciplina della notificazione dell’istanza di fallimento, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nell’escludere che residuino ipotesi in cui il ricorso di fallimento e il decreto di convocazione debbano essere notificati, ai sensi degli artt. 138 e ss. o 145 cod. proc. civ. (a seconda che l'impresa esercitata dal debitore sia individuale o collettiva), nei diretti confronti del titolare della ditta o del legale rappresentante della società, eventualmente ai sensi degli artt. 140 e 143 cod. proc. civ. (si vedano in questo senso Cass. 4030/2022, Cass. 9594/2021, Cass. 5311/2020, Cass. 16864/2018, Cass. 6378/2018, Cass. 5080/2018, Cass. 19688/2017, Cass. 602/2017, Cass. 17946/2016).
Ne discende - dato che la norma, nel prevedere tre distinte, e fra loro subordinate, modalità di notificazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento e del correlato decreto di convocazione, non richiede, nel caso in cui la notifica a mezzo p.e.c. non vada a buon fine, che l'ufficiale giudiziario, dopo essersi recato personalmente presso la sede dell'impresa senza riuscire, per qualsiasi ragione, a eseguire la notificazione, effettui ulteriori ricerche al fine di accertare l'irreperibilità del destinatario - che, una volta attestata l'impossibilità di compimento della notifica presso la sede, la notificazione deve ritenersi correttamente eseguita e perfezionata con il deposito dell'atto presso la casa comunale (Cass. 7258/2022).
5.3. La Corte di merito, dopo aver registrato che le notifiche indirizzate alla società debitrice erano state ben tre (ed avevano avuto ad oggetto la prima l’istanza di fallimento e il decreto di fissazione dell’udienza, le altre l’ordinanza pronunziata dal tribunale in data 17 marzo 2016) e che tutte erano state investite di querela di falso, ha constatato, rispetto alla prima di esse, che non era in contestazione l’attestazione dell’ufficiale giudiziario secondo cui nessuno era presente presso la sede della società indicata nel registro delle imprese al momento del suo accesso.
Una simile circostanza – alla luce dei principi appena illustrati – era l’unica ad assumere rilievo al fine di legittimare la notifica attraverso il deposito presso la casa comunale, che correttamente la Corte di merito ha ritenuto ritualmente eseguita.
Una volta verificata la ritualità della prima notifica, era poi ininfluente l’accertamento delle modalità con cui le successive erano avvenute, dato che l’esecuzione delle stesse era stata disposta dal tribunale in maniera sovrabbondante e superflua, mentre (omissis), a seguito della regolare notificazione del ricorso e del decreto di convocazione, aveva l'onere di accertarsi di persona delle tempistiche con cui il procedimento prefallimentare si stava evolvendo (Cass. 24721/2015).
La complessiva irrilevanza delle contestazioni sollevate dalla società debitrice non poteva che riverberarsi, ai sensi dell’art. 222 cod. proc. civ., sull’ammissibilità della querela di falso presentata, a cui il giudice non deve dare corso nel caso in cui sia stata rivolta verso atti o documenti ininfluenti sulla definizione del giudizio.
5.4. Ponendosi nella prospettiva interpretativa appena rappresentata, risulta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente, con riferimento agli artt. 3, 24, 10, 117 e 111 Cost., dell'art. 15, comma 3, l. fall., nella parte in cui prevede che la notificazione del ricorso alla persona giuridica avvenga con le precipue modalità previste dalla norma e non nelle forme ordinarie di cui all'art. 145 cod. proc. civ..
Infatti, come già affermato da Corte costituzionale n. 146/2016 e n. 162/2017 e da Cass. n. 26333/2016, la diversità delle fattispecie a confronto giustifica, in termini di ragionevolezza, la differente disciplina, essendo l'art. 145 cod. proc. civ. esclusivamente finalizzato ad assicurare alla persona giuridica l'effettivo esercizio del diritto di difesa in relazione agli atti ad essa indirizzati, mentre la contestata disposizione si propone di coniugare la finalità di tutela del diritto di difesa e al contraddittorio dell'imprenditore con le esigenze di celerità e speditezza proprie del procedimento concorsuale, caratterizzato da speciali e complessi interessi, anche di natura pubblica, idonei a rendere ragionevole ed adeguato un diverso meccanismo di garanzia di quel diritto, che tenga conto della violazione, da parte dell'imprenditore medesimo, degli obblighi, previsti per legge (nel senso in precedenza ricordato), di munirsi di un indirizzo di p.e.c., di tenerlo attivo durante la vita dell'impresa, di pubblicizzare l’ubicazione della propria sede e di rendersi reperibile presso la stessa.
6. Il quinto motivo di ricorso assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 l. fall., 115 e 116 cod. proc. civ.: l’accertamento della condizione di insolvenza sarebbe stato effettuato sulla base di documentazione che, essendo stata depositata in occasione di una procedura concordataria svoltasi nel 2014, non poteva più essere considerata attuale e attendibile.
Le risultanze di questi documenti, peraltro, risultavano superate da una “sentenza” del Tribunale di Padova del 19 novembre 2015, che aveva respinto altra istanza di fallimento, presentata appena due mesi prima di quelle accolte, accertando la consistenza dell’attivo patrimoniale di (omissis) s.r.l. in liquidazione in termini di superiorità rispetto al passivo.
7. Il motivo risulta in parte inammissibile, in parte infondato.
La Corte di merito non era affatto vincolata alla valutazione dello stato di insolvenza compiuta in precedenza, a seguito dell’istanza presentata da un diverso debitore, in quanto il decreto di rigetto dell'istanza di fallimento non è idoneo alla formazione di un giudicato, trattandosi di un provvedimento non definitivo, oltreché privo di natura decisoria su diritti soggettivi, che non può essere invocato nell'ambito di un diverso giudizio promosso nei confronti del destinatario della medesima istanza (Cass. 15806/2021, Cass. 5069/2017).
Rispetto, poi, alla valutazione della consistenza dell’attivo, la Corte di merito, essendo chiamata ad accertare se il patrimonio della società in liquidazione avrebbe consentito di assicurare l'integrale soddisfacimento dei creditori, ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui una simile valutazione deve essere effettuata tenendo conto di eventuali difficoltà di pronta liquidazione delle poste facenti parte dell’attivo e valorizzando, a tal fine, il risultato di presumibile realizzo piuttosto che il valore con cui le stesse risultano contabilizzate (Cass. 28193/2020).
Il risultato di questa valutazione appartiene al giudizio di fatto istituzionalmente demandato alla Corte di merito, che non può essere rivisto in questa sede di legittimità.
7. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 7.700, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.