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14 febbraio 2023
Il caso processuale: le buste paga sono sufficienti a provare il credito ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo
Ai fini del riconoscimento delle differenze retributive, a sostegno del credito, il lavoratore può ottenere l'ingiunzione provando la sua pretesa con le buste paga non riconosciute dal datore di lavoro?
di La Redazione
L’oggetto del processo: opposizione a decreto ingiuntivo emesso in materia di retribuzioni

ilcaso

La società beta aveva proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo, con il quale le era stato ingiunto il pagamento in favore di Tizia a titolo di differenze retributive scaturenti dal rapporto di lavoro intercorso tra le parti. A sostegno del ricorso, parte opponente ha dedotto l'illegittimità del decreto ingiuntivo, in primo luogo, perché basato su buste paga mai sottoscritte dal datore di lavoro e non idonee a costituire prova scritta del credito. Inoltre, ha eccepito la mancanza di liquidità ed esigibilità del credito perché dal 2015 in poi, per crisi di liquidità, era stato pattuito tra il consiglio di amministrazione e i soci lavoratori di dare priorità al pagamento degli stipendi arretrati. In conseguenza di ciò ha chiesto in via principale la revoca del decreto ingiuntivo. Costituendosi in giudizio, Tizia eccepiva che le buste paga erano autentiche, essendo state acquisite in virtù del LUL (libretti unico del lavoro) presentato dal datore di lavoro.

La normativa risolutiva

legislazione

L'art. 633 c.p.c. prevede che chiunque sia titolare di un diritto di credito avente ad oggetto una somma di denaro liquida ed esigibile, una determinata quantità di cose fungibili ovvero la consegna di una cosa, può chiedere al giudice competente di pronunciare ingiunzione di pagamento o di consegna. Inoltre, ai sensi dell'art. 2709 c.c., i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l'imprenditore.

La procedura

esempio

Il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo si risolve in un ordinario giudizio di cognizione, finalizzato ad accertare la sussistenza del credito azionato dalla parte opposta, attore in senso sostanziale, e dunque a conoscere, in tutta la loro estensione e consistenza, i fatti costitutivi posti a fondamento della domanda monitoria. Occorre, in pratica, accertare il fondamento della pretesa fatta valere con il ricorso per ingiunzione, per il cui riscontro valgono le regole ordinarie in tema di onere probatorio, gravando sull'opposto l'onere di provare l'esistenza dei fatti costitutivi del proprio credito. Premesso ciò, le buste paga, riconducibili nell'àmbito applicativo dell'art. 2709 c.c., rappresentano confessione stragiudiziale ai sensi dell'art. 2735 c.c. Ne deriva che esse hanno piena efficacia probatoria contro il datore in quanto provenienti da lui stesso. È, dunque, il datore di lavoro che deve provare che quanto indicato nelle buste paga sia scaturito da un errore e, quindi, non è dovuto (Trib. Udine 20 novembre 2015, n. 427).

La soluzione del giudice

ildiritto

Secondo il Tribunale di Trani, con la presente opposizione, la società non aveva contestato il rapporto lavorativo con la controparte, né aveva contestato l'esecuzione della prestazione lavorativa per la quale era stato chiesto il pagamento. Dunque, le contestazioni formulate con il ricorso in opposizione attenevano, quindi, alla fonte della prova del credito e dalla sussistenza di patti parasociali che avrebbero autorizzato il datore di lavoro a differire il pagamento delle retribuzioni. Tuttavia, quanto all'efficacia probatoria delle buste paga, esse erano senz'altro sufficienti a provare il credito ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo, quale prova scritta ai sensi dell'art. 633 c.p.c. Per quanto concerne, poi, i presunti patti parasociali che avrebbero giustificato il mancato pagamento delle retribuzioni, un accordo di questo tipo, oltre a non essere documentato, era talmente generico e vago da non consentire di ritenere che da esso potesse scorgere alcun obbligo per la lavoratrice di non pretendere il pagamento delle retribuzioni a essa dovute; comunque, in ogni caso, era da escludersi che ciò potesse essere fonte di un obbligo assunto a tempo indeterminato dalla lavoratrice di astenersi dal chiedere il pagamento di quanto dovuto. Né consentiva di ritenere provato quanto eccepito col fatto che la ricorrente, nel ricorso monitorio, avesse premesso di non avere interesse a consentire più alla società opponente di trattenere quanto a lei dovuto, perché anzi ciò confermava che non vi era alcun obbligo in questo senso, ma solo una situazione di tolleranza, nel senso che la creditrice, ex socia, tollerava il tardivo pagamento delle retribuzioni; tolleranza che era venuta meno nel momento in cui si era interrotto il rapporto lavorativo.

In definitiva, il d.i. opposto è stato confermato.

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