Il requisito di celerità previsto dal diritto dell'Unione in materia di adozione di una decisione di ritorno di un minore s'impone anche nell'ambito della sua esecuzione.
La controversia trae origine dalla domanda di ritorno dei figli minori (nati e residenti in Irlanda da genitori polacchi) avanzata da un padre dinanzi agli organi giurisdizionali polacchi, dopo che la madre aveva deciso di rimanere in modo permanente in Polonia insieme ai bambini nonostante il dissenso dell'uomo.
La Corte d'Appello di Varsavia confermava l'ordinanza del giudice di primo grado che aveva disposto il ritorno in Irlanda dei due minori in parola. Dopo che la decisione di ritorno è divenuta esecutiva, il Difensore civico per i minori e il Procuratore generale polacchi chiedevano la sospensione della relativa esecuzione.
Sulla questione, il Codice di procedura civile polacco consente al Procuratore generale, al Difensore civico per i minori e al Difensore civico di ottenere la sospensione dell'esecuzione di una decisione giudiziaria definitiva che dispone il ritorno di minori senza motivare la relativa domanda; quest'ultima determina la sospensione dell'esecuzione per un periodo di due mesi. Inoltre, il Codice prevede la possibilità per le autorità predette di proporre ricorso per cassazione avverso la decisione di ritorno, prorogando la sospensione fino alla conclusione del procedimento dinanzi alla Corte suprema.
Alla luce di tale normativa, la Corte d'Appello di Varsavia esprimeva dubbi circa la compatibilità di una siffatta sospensione con il requisito di celerità previsto dal regolamento «Bruxelles II bis» relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale.
Nel rimettere la questione alla CGUE, la Corte territoriale polacca chiedeva se la legislazione di cui trattasi sia compatibile con il diritto fondamentale a un ricorso effettivo, sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE.
Con sentenza nella causa C-638/2022 del 16 febbraio 2023, la Corte ricorda che, in conformità al regolamento «Bruxelles II bis», i giudici competenti degli Stati membri sono tenuti ad adottare la decisione di ritorno del minore di cui trattasi entro un termine particolarmente breve e rigido. Inoltre, la CGUE indica che il requisito di efficacia e di celerità che disciplina l'adozione di una decisione di ritorno s'impone alle autorità nazionali anchenell'ambito dell'esecuzione di una siffatta decisione.
Pertanto, una sospensione iniziale della durata di due mesi eccede il termine entro il quale la decisione di ritorno dev'essere adottata, in conformità a tale regolamento.
Inoltre, prosegue la CGUE, «dal momento che le autorità che possono chiedere la sospensione non sono tenute a motivare la loro domanda e che l'esercizio di tale prerogativa non è soggetto a un qualsivoglia sindacato giurisdizionale, la legislazione di cui trattasi non garantisce che il ritorno del minore nel suo luogo di residenza abituale possa essere sospeso solo in casi specifici, eccezionali e debitamente motivati».
In relazione alla possibilità concessa alle autorità di proporre ricorso per cassazione, la Corte ritiene che «il diritto dell'Unione non imponga agli Stati membri di prevedere un ulteriore grado di giudizio avverso la decisione di ritorno, qualora tale decisione sia stata adottata nell'ambito di un procedimento che preveda già due gradi di giudizio e qualora detto procedimento consenta di tenere in considerazione l'esistenza di rischi in caso di ritorno del minore interessato». Ne consegue che tale diritto non permette agli Stati membri di attribuire un effetto sospensivo automatico ai ricorsi proposti avverso una siffatta decisione, come quello previsto dalla legislazione polacca di cui trattasi.