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20 febbraio 2023
Quando i dehors possono considerarsi attività di edilizia libera?

Essi devono rispondere a due requisiti, ossia essere funzionali a esigenze temporanee e facilmente rimovibili.

La Redazione

Con sentenza n. 1489 del 13 febbraio 2023, il Consiglio di Stato accoglie l'appello avanzato dal Ministero della Cultura avverso la sentenza del TAR Puglia avente ad oggetto il provvedimento di rigetto della richiesta di autorizzazione paesaggistica in sanatoria ex art. 167 D.Lgs. n. 42/2004, in riferimento ad un dehor realizzato su suolo pubblico in ampliamento dell'attività commerciale.

Con riferimento alle strutture a servizio di attività commerciali installate su suolo pubblico, comunemente denominate “dehors”, il Consiglio di Stato sottolinea che per poter rientrare nella dizione di “attività edilizia libera” di cui all'art. 6, comma 1, lett. e - bis), del d.P.R. n. 380 del 2001, essi devono rispondere a due requisiti:

  • uno funzionale, consistente cioè nella finalizzazione alle esigenze dell'attività, che devono tuttavia essere «contingenti e temporanee», intendendosi per tali quelle che, «in senso obiettivo, assumono un carattere ontologicamente temporaneo, quanto alla loro durata, e contingente, quanto alla ragione che ne determina la realizzazione, palesato dalla loro permanenza massima sul suolo per un periodo non superiore a centottanta giorni (termine che deve comprendere anche i tempi di allestimento e smontaggio, riducendosi in tal modo l'uso effettivo ad un periodo inferiore)»;
  • l'altro strutturale, consistente nella loro realizzazione con materiali e modalità tali da consentirne la rapida rimozione una volta venuta meno l'esigenza.

Dalla diversa angolazione della tutela del paesaggio, le installazioni oggetto della controversia sono esonerate dall'autorizzazione di cui all'art. 146 D.Lgs. n. 42/2004, ove si tratti di opere “di lieve entità, nell'accezione declinata alla voce “A.16” dell'Allegato A al d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31, adottato in attuazione dell'art. 12, c. 2, D.L. n. 83/2014, conv. con mod., dalla L. n. 106/2014, come modificato dall'art. 25, c. 2, D.L. n. 133/2014, conv., con mod., dalla L. n. 164/2014, che intende per tali quelle (tra l'altro) destinate a permanere sul suolo per un periodo «comunque non superiore a 120 giorni nell'anno solare».

In relazione alla motivazione del diniego dell'autorizzazione paesaggistica, Palazzo Spada osserva che «in caso di mancato rispetto del termine previsto dalla legge per l'espressione del parere della Soprintendenza non può che riguardare il contenuto del giudizio, ovvero la ritenuta attitudine dell'intervento a incidere permanentemente sui valori paesaggistici, la cui rilevanza assume una valenza superiore a quella meramente estetica, tradizionalmente limitata alla visione panoramica e alla percezione “empirica” delle opere. Laddove invece a tale merito neppure si arrivi perché non è stata superata la barriera di ammissibilità della domanda del privato, l'atto di diniego assume contenuto vincolato e portata necessitata, e ben può limitarsi a riferire quanto chiarito dalla Soprintendenza, seppure tardivamente».

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