Oggetto del ricorso è un precedente giudicato riferito alle condotte di maltrattamento poste in essere dall'imputato verso la moglie, mentre nel processo in essere le condotte si sostanziano in atti persecutori ai danni della stessa persona, ma dopo la separazione coniugale.
La Corte d'Appello di Palermo riformava la sentenza del GIP che, decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato l'imputato in relazione ai reati di cui agli
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Palermo, in data 10.3.2021, decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato N. D. alla pena ritenuta di giustizia in relazione ai reati ex artt. 612 bis, 387, bis, c.p., 4, l. n. 110 del 1975, in rubrica ascrittigli, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, M. M., dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine al delitto di cui all'art. 612 bis, c.p., "per vincolo di precedente giudicato limitatamente alla condotta posta in essere fino al 18 febbraio 2020", con conseguente rideterminazione della entità del trattamento sanzionatorio in senso più favorevole al prevenuto, confermando nel resto la sentenza impugnata.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per cassazione il N., deducendo violazione di legge in punto di erronea applicazione dell'art. 649, c.p., che la corte territoriale ha, per l'appunto, erroneamente limitato solo a una parte della condotta dell'imputato.
3. Con requisitoria scritta del 20.11.2022, depositata sulla base della previsione dell'art. 23, co. 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, che consente la trattazione orale in udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalità di celebrazione è stata specificamente richiesta da una delle parti, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Con conclusioni scritte del 25.11.2022, il difensore di fiducia dell'imputato, avv. F. P. M., nel replicare alla requisitoria del pubblico ministero, insiste per l'accoglimento del ricorso.
4. Il ricorso non può essere accolto, stante l'infondatezza dei rappresentati motivi di impugnazione.
5. Nel caso in esame il delitto ex art. 612 bis, co. 1, 2 e 4, c.p., per cui si procede, è stato contestato al N. come commesso in Palermo in danno del coniuge separato M. M., dal novembre del 2019 fino al 24 settembre del 2020.
La precedente condanna inflitta al N. dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Palermo, in data 18.2.20020, decidendo in sede di giudizio abbreviato, pacificamente passata in giudicato, in relazione alla quale il ricorrente deduce la violazione del principio del ne bis in idem, attiene, invece, al reato di maltrattamenti sempre in danno della moglie, contestato come commesso "dall'anno 2010 con condotta in atto (senza soluzione di continuità anche a seguito della cessazione della convivenza tra i coniugi)".
Si tratta di una contestazione "aperta", vale a dire senza l'indicazione del momento di cessazione della condotta illecita, ragione per la quale, secondo il giudice di appello, sono coperti dal giudicato i fatti commessi sino alla data della sentenza di primo grado, dunque sino al 18.2.2020, restandone fuori i fatti commessi dal 19.2.2020 sino al 24 settembre del 2020, che, dunque, non sarebbero coperti dal giudicato.
Ad avviso del ricorrente, invece, il giudicato formatosi sulla sentenza di condanna in precedenza indicata dovrebbe coprire anche la parte residua della condotta, perché, trattandosi di reato abituale e non di reato permanente (questo l'errore in cui sarebbe caduto il giudice di appello), l'abitualità si consuma al compimento dell'ultimo degli atti della condotta criminosa, dunque, nel nostro caso, al 24.9.2020.
Rileva al riguardo il ricorrente che l'errore commesso dalla corte di appello, si è riverberato anche sulle richieste, disattese dalla corte territoriale, di riconoscimento in favore del N. della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis, c.p., e del beneficio della sospensione condizionale della pena, che "avrebbero avuto ben altra sorte e rilievo processuale in caso di una corretta applicazione dell'art. 649, c.p.p., per l'intero tempus commissi delicti espressamente indicato e formulato in rubrica".
I rilievi difensivi, come si è detto, non sono condivisibili.
Va preliminarmente richiamato il condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità alla luce del quale, consumandosi il reato abituale al compimento dell'ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, il termine finale di consumazione, in mancanza di una specifica contestazione, coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado, che cristallizza l'accertamento processuale, cosicché, nell'ipotesi di "contestazione aperta", è possibile estendere il giudizio di penale responsabilità dell'imputato anche a fatti non espressamente indicati nel capo di imputazione e, tuttavia, accertati nel corso del giudizio sino alla sentenza di primo grado (cfr., ex plurimis, in tema di atti persecutori, Sez. 5, n. 17350 del 20/01/2020, Rv. n. 279401; Sez. 5, n. 12055 del 19/01/2021, Rv. 281021; Sez. 5, n. 17000 del 11/12/2019, Rv. 279081).
Principi ribaditi anche con riferimento alla fattispecie di cui all'art. 572, c.p., che condivide con quella ex art. 612 bis, c.p., la natura di reato abituale, essendo costituito da una pluralità di fatti commessi reiteratamente dall'agente con l'intenzione di sottoporre il soggetto passivo ad una serie di sofferenze fisiche e morali, onde ogni successiva condotta di maltrattamento si riallaccia a quelle in precedenza realizzate, saldandosi con esse e dando vita ad un illecito strutturalmente unitario (cfr. Sez. Sez. 6, n. 56961 del 19/10/2017, Rv. 272200).
Dalla natura di reato abituale deriva che il reato di maltrattamenti in famiglia si consuma nel momento e nel luogo in cui le condotte poste in essere divengono complessivamente riconoscibili e qualificabili come maltrattamenti (cfr. Sez. 6, n. 52900 del 04/11/2016, Rv. 268559).
Ciò posto, va osservato che nel caso in esame non può ritenersi, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, che il giudicato formatosi con riferimento alla contestazione aperta possa coprire anche le condotte contestate come poste in essere successivamente alla data della sentenza di primo grado, non tanto per i motivi indicati dalla corte territoriale (che , sul punto, va emendata, ai sensi del disposto dell'art. 619, c.p.p.), ma per la semplice ragione che tali condotte, in considerazione della intervenuta separazione tra i coniugi, integrano la diversa fattispecie di cui all'art. 612 bis, co. 2, c.p. (cfr. p. 3 della sentenza di primo grado), come da relativa contestazione, con la conseguenza che non può invocarsi in favore del ricorrente un giudicato formatosi in relazione a un fatto oggettivamente diverso.
Al riguardo la giurisprudenza di legittimità, attraverso una serie di condivisibili arresti, ha opportunamente precisato, da un lato, che, in tema di rapporti fra il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori, il divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici impone di intendere i concetti di "famiglia" e di "convivenza" di cui all'art. 572, c.p., nell'accezione più ristretta, di una comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale e da una duratura comunanza di affetti implicante reciproche aspettative di mutua solidarietà ed affetti, fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché non necessariamente continuativa, sicché non è configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia, bensì l'ipotesi aggravata di atti persecutori di cui all'art. 612-bis, comma secondo, c.p., in presenza di condotte vessatorie poste in essere da parte di uno dei conviventi "more uxorio" ai danni dell'altro dopo la cessazione della convivenza (cfr. Sez. 6, n. 15883 del 16/03/2022, Rv. 283436); dall'altro, che il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe quello di atti persecutori quando, nonostante l'avvenuta cessazione della convivenza, la relazione tra i soggetti rimanga comunque connotata da vincoli solidaristici, mentre si configura il reato di atti persecutori, nella forma aggravata prevista dall'art. 612-bis, comma secondo, c.p., , quando non residua neppure una aspettativa di solidarietà nei rapporti tra l'imputato e la persona offesa, non risultando insorti vincoli affettivi e di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale (cfr. Sez. 6, n. 37077 del 03/11/2020, Rv. 280431), che nel caso in esame non ricorrono, né risultano rappresentati dal ricorrente.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
Va, infine, disposta l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento, ai sensi dell'art. 52, co. 5, d.lgs. 30/06/2003 n. 196.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52, d.lgs. 196/2003, in quanto imposto dalla legge.