Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Bari, con sentenza n. 2129/2020, pubblicata il 10/12/2020, ha confermato integralmente la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda avanzata da N. R., nei confronti di L. C., INPS, ENPAM e CUSE, nella contumacia degli ultimi due Enti, disponendo che «a far data dall’1/4/2017, il diritto di percepire la pensione di reversibilità di M. P.» spettava alla R. (coniuge divorziato, beneficiario di assegno divorzile di € 200,00 mensili), per una quota del 51% dell’intero e alla C. (coniuge superstite), per la residua quota del 49% dell’intero.
I giudici di appello, in particolare, hanno ritenuto corretta la statuizione del Tribunale che aveva determinato la quota spettante al coniuge divorziato e a quello superstite «prescindendo dalla misura» dell’assegno divorzile, tenendo conto, anzitutto, della durata del matrimonio di ciascuno dei due soggetti interessati alla ripartizione della pensione di reversibilità (nella specie, l’unione coniugale tra la R. e il M. era durata 22 anni e sei mesi, dal 1984 al 2006, mentre quello tra la C. e il de cuius appena otto anni e quattro mesi, dal 2008 al 2017), nonché valorizzando altri correttivi di matrice giurisprudenziale (quali la nascita di un figlio, dalla convivenza more uxorio, già dal 2001, del M. con la C., l’assistenza, morale e materiale, da quest’ultima prestata al primo nel decorso della malattia terminale, la sproporzione reddituale tra le parti, atteso che mentre la R. godeva di reddito mensile inferiore a € 500,00 e conduceva l’appartamento di abitazione in locazione, la C. percepiva mensilmente circa € 1.700,00 ed era proprietaria dell’immobile di residenza, acquistato in costanza di matrimonio).
Avverso la suddetta pronuncia, notificata il 14/12/2020, L. C. propone ricorso per cassazione, notificato il 4/2/2021, affidato a due motivi, nei confronti di N. R. (che resiste con controricorso, notificato il 15-17/3/21) e di INPS (che ha depositato solo procura speciale), ENPAM e Centro Unico Stipendiale Esercito Italiano (che non svolgono difese). La ricorrente e la controricorrente hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., degli artt.5 e 9 l.898/1970, per non essersi la Corte d’appello, nel riconoscere la spettanza al coniuge divorziato del trattamento di reversibilità, uniformata al principio di diritto espresso da questa Corte Sez. Lav. nella sentenza n. 20477/202, non distinguendo tra titolarità «formale» dell’assegno divorzile e requisito «sostanziale» dello stesso, vale a dire verificando l’idoneità dell’assegno a soddisfare realmente l’esigenza di contribuire al sostentamento dell’ex coniuge, e così non valorizzando la misura assolutamente «minima» dell’assegno divorzile di cui godeva, nella specie, il coniuge divorziato, inidonea ad assolvere alla sua stessa funzione precipua; b) con il secondo motivo, l’omesso esame di fatto decisivo, di cui pure si era discusso in giudizio, il miglioramento delle condizioni di vita della R. causato dall’attribuzione in suo favore di «una quota esorbitante» pari ad € 2.000,00 lordi.
2. La prima censura è infondata.
Questa Corte a Sezioni Unite (Cass. 22434/2018) ha affermato che «ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la titolarità dell'assegno di cui all'art. 5 della l. n. 898 del 1970, deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell'assegno periodico divorzile al momento della morte dell'ex coniuge e non già come titolarità astratta del diritto all'assegno divorzile già definitivamente soddisfatto con la corresponsione in unica soluzione. In quest'ultimo caso, infatti, difetta il requisito funzionale del trattamento di reversibilità, che è dato dal medesimo presupposto solidaristico dell'assegno periodico di divorzio, finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell'ex coniuge, mentre nel caso in cui sia stato corrisposto l'assegno "una tantum" non esiste una situazione di contribuzione economica che viene a mancare». Muovendo dall'interpretazione che della normativa in esame ha dato la Corte cost. nella sentenza n. 419 del 1999, le Sezioni Unite di questa Corte hanno infatti rinvenuto il presupposto per l'attribuzione del trattamento di reversibilità, a favore del coniuge divorziato, nel venir meno del sostegno economico apportato in vita dall'ex coniuge scomparso e la sua finalità nel sopperire a tale perdita economica, cosi` identificando la «titolarità» dell'assegno nella fruizione attuale, da parte del coniuge divorziato, di una somma periodicamente versata dall'ex coniuge come contributo al suo mantenimento (cosi` Cass. Sez.Un. n. 22434 del 2018, in motivazione).
In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha fatto costante applicazione del criterio enunciato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 419 del 20 ottobre 1999, secondo cui il trattamento di reversibilità svolge una funzione solidaristica diretta alla continuazione della funzione di sostegno economico, assolta a favore dell'ex coniuge e del coniuge convivente, durante la vita del dante causa, rispettivamente con il pagamento dell'assegno di divorzio e con la condivisione dei rispettivi beni economici da parte dei coniugi conviventi (Cass., 21 settembre 2012, n. 16093; Cass., 7 dicembre 2011, n. 26358; Cass., 9 maggio 2007, n. 10638).
Il presupposto per l'attribuzione della pensione di reversibilità e`, dunque, il venire meno del sostegno economico che veniva apportato in vita dal coniuge o ex coniuge scomparso e la sua finalità e` quella di sovvenire a tale perdita economica, all'esito di una valutazione effettuata dal giudice in concreto che tenga conto della durata temporale del rapporto, delle condizioni economiche dei coniugi, dell'entità del contributo economico del coniuge deceduto e di qualsiasi altro criterio utilizzabile per la quantificazione dell'assegno di mantenimento.
Questa Corte ha poi affermato che la ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, va effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, tra i quali la durata delle convivenze prematrimoniali, dovendosi riconoscere alla convivenza «more uxorio» non una semplice valenza «correttiva» dei risultati derivanti dall'applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensi` un distinto e autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale (Cass., 5268/2020).
Ai fini, poi, della ripartizione del trattamento di reversibilità vanno considerati pure l'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge, le condizioni economiche dei due aventi diritto e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali, senza mai confondere, pero`, la durata delle convivenza con quella del matrimonio, cui si riferisce il criterio legale, ne´ individuare nell'entità dell'assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso (Cass., n. 16093/2012; Cass., n.10391/2012: « La ripartizione del trattamento di reversibilità fra ex coniuge e coniuge superstite, va fatta "tenendo conto della durata del rapporto" cioè sulla base del criterio temporale, che, tuttavia, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 419 del 1999, per quanto necessario e preponderante, non è però esclusivo, comprendendo la possibilità di applicare correttivi di carattere equitativo applicati con discrezionalità; fra tali correttivi è compresa la durata dell'eventuale convivenza prematrimoniale del coniuge superstite e dell'entità dell'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge, senza mai confondere, però, la durata della prima con quella del matrimonio, cui si riferisce il criterio legale, nè individuare nell'entità dell'assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso»). Così pure in Cass.8623/2020 si ribadisce che « La ripartizione del trattamento di reversibilità, in caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite, deve essere effettuata ponderando, con prudente apprezzamento, in armonia con la finalità solidaristica dell'istituto, il criterio principale della durata dei rispettivi matrimoni, con quelli correttivi, eventualmente presenti, della durata della convivenza prematrimoniale, delle condizioni economiche, dell'entità dell'assegno divorzile».
Non tutti tali elementi, peraltro, devono necessariamente concorrere ne´ essere valutati in egual misura, rientrando nell'ambito del prudente apprezzamento del giudice di merito la determinazione della loro rilevanza in concreto (Cass., n. 6272/2004; Cass., n. 26358/2011; Cass., n. 22399/2020; Cass. 14383/2021; Cass. 41960/2021).
Ora, la Corte d’appello ha tenuto conto, in conformità ai suddetti principi di diritto, degli elementi della durata del matrimonio e della convivenza prematrimoniale (dando rilievo a tale aspetto proprio a favore della C.), nonché delle condizioni reddituali delle due parti (squilibrate), ritenendo, nella specie, non significativa invece l’entità dell’assegno divorzile attribuito alla R. in sede di divorzio (e non modificato), di € 200,00 mensili.
La ricorrente valorizza, nel ricorso, la pronuncia di questa Corte Sez.Lav. n. 20477/2020, secondo cui « il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità ex art. 9 della l. n. 898 del 1970 presuppone (anche ai sensi della norma interpretativa di cui all'art. 5 della l. n. 263 del 2005) non solo che il richiedente al momento della morte dell'ex coniuge sia titolare di assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto, ma anche che detto assegno non sia fissato in misura simbolica, ponendosi la diversa interpretazione in contrasto con la "ratio" dell'attribuzione del trattamento di reversibilità al coniuge divorziato, da rinvenirsi nella continuazione del sostegno economico prestato in vita all'ex coniuge e non già nell'irragionevole esito di assicurare al coniuge divorziato una condizione migliore rispetto a quella già in godimento». Nella specie, il coniuge divorziato, che avanzava diritto su quota della pensione di reversibilità del proprio defunto coniuge risultava, in base a sentenza di divorzio pronunciata nello Stato di California, titolare di una misura di sostegno, quantificata dal giudice americano al momento dello scioglimento del matrimonio, in misura pari a « un dollaro all'anno»; questa Corte ha ritenuto che tale misura, meramente simbolica, non possedeva i requisiti tipici previsti dall'art. 5, I. n. 898/1970, ovvero, e piu` precisamente, l’idoneità ad assolvere alle finalità di tipo assistenziale e perequativo-compensativa che gli sono proprie o meglio non poteva ritenersi sufficiente di per se´ sola all’attribuzione della pensione di reversibilità, in quanto «una diversa soluzione porterebbe all'esito irragionevole di assicurare al coniuge divorziato una condizione migliore rispetto a quella di cui godeva quando l'ex coniuge era in vita, il che non puo` dirsi conforme ne´ alla lettera ne´ alla ratio dell'istituto».
Ma tale fattispecie non ha elementi in comune con il presente giudizio, trattandosi, nel presente ricorso, all’evidenza, di un assegno divorzile determinato nel 2009 in misura non prettamente simbolica come quella stabilita dal giudice americano nel giudizio definito da questa Corte con la sentenza n. 20477/2020.
3. La seconda censura è inammissibile, non vertendosi in ipotesi di omesso esame di fatto storico decisivo, in quanto si deduce solo che, a fronte della statuizione di primo grado, le condizioni economiche della R. sarebbero sensibilmente migliorate.
4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Nulla puo` essere liquidato in favore dell’INPS che non risulta avere depositato un controricorso (ma solo procura speciale).
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 3.500,00, a titolo di compensi, oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.