Per la Cassazione è nulla la clausola che anticipa la maturazione del compenso rispetto alla conclusione del contratto, poiché solo in questo momento scatta l'obbligo di pagamento in capo ai soggetti intermediati.
Il Tribunale di Chieti accoglieva l'opposizione a decreto ingiuntivo elevata dagli attuali ricorrenti con il quale i medesimi erano stati condannati a versare ad un'agenzia immobiliare una somma a titolo di compenso per l'attività di intermediazione immobiliare da essa svolta in loro favore. A fondamento della sua decisione, il Giudice riteneva...
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Chieti accoglieva l’opposizione a decreto ingiuntivo n. 731/08 elevata dai coniugi M.B. ed E.L., con il quale gli opponenti erano stati condannati a versare ad I. s.r.l. la somma di € 4.800,00 a titolo di compenso per l’attività di intermediazione immobiliare da essa svolta in loro favore. Reputava il giudice dell’opposizione non concluso l’affare che avrebbe fatto sorgere il diritto alla provvigione in capo alla società mediatrice, posto che i promittenti opponenti si erano rifiutati di sottoscrivere il contratto preliminare, predisposto dalla stessa opposta, in quanto contenente evidenti variazioni nelle condizioni di pagamento del saldo del prezzo rispetto a quanto concordato nel corso delle trattative.
2. Impugnava la pronuncia I. s.r.l. innanzi alla Corte d’Appello di l’Aquila, la quale, con sentenza n. 2081/2017, accoglieva il gravame confermando il decreto ingiuntivo. A sostegno della sua decisione affermava la Corte che:
- deve considerarsi fondamentale l’esame delle clausole contenute nel contratto di mediazione immobiliare stipulato in data 03.08.2007, e in particolare della clausola n. 4, che individua il momento di maturazione del diritto alle provvigioni nell’avvenuta accettazione della proposta d’acquisto, nella percentuale ivi indicata (2,5% + I.V.A. del prezzo di vendita);
- tale diritto alla provvigione diventa esigibile al momento della sottoscrizione della scrittura ripetitiva del contratto mediato o, in mancanza di questa, trascorsi trenta giorni dall’accettazione della proposta irrevocabile;
- nel caso di specie, la proposta irrevocabile di acquisto – benché non contenente né le modalità di pagamento del prezzo né il termine per la stipula del contratto definitivo - è stata sottoscritta dagli appellati in data 06.11.2007: tanto basta a considerare maturato, in capo alla società mediatrice, il diritto alla provvigione nella percentuale concordata.
3. Avverso la sentenza proponevano ricorso per cassazione B.M. ed E.L., affidandolo a tre motivi.
Si difendeva I. s.r.l. con controricorso.
Fissata la pubblica udienza, la causa è stata trattata in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 23, comma 8-bis, del decreto-legge n. 137 del 2020, convertito nella legge n. 176 del 2020, non avendo nessuna delle parti né il Pubblico Ministero chiesto la discussione orale.
Il PG si pronunciava per l’accoglimento del primo motivo e l’assorbimento dei restanti.
In prossimità dell’udienza entrambe le parti depositavano
memoria.
In data 09.02.2023 perveniva comparsa di costituzione del nuovo difensore dei sigg.ri B.M. e L.E., avvocato A.C..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 1754 e 1755 cod. civ. (art. 369, comma 1, n. 3), cod. proc. civ.): la Corte d’Appello, elevando la mera accettazione della proposta irrevocabile trasmessa dai promissari acquirenti ad elemento cardine del diritto alla provvigione, ha violato le norme testé citate con un vizio che attiene alla nozione di conclusione dell’affare. Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, nel rapporto di mediazione ai fini della maturazione della provvigione occorre verificare – oltre al nesso di causalità tra la conclusione dell’affare e l’opera del mediatore, nonché l’identità dell’affare proposto con quello concluso (Cass. 22.01.2015, n. 1120) – il compimento di un’operazione generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti che dia diritto di agire per l’adempimento o per il risarcimento dei danni (Cass. 3.11.2005, n. 24399). Orbene, la proposta irrevocabile d’acquisto sottoscritta dagli esponenti in data 06.11.2007 non può integrare un contratto preliminare, ma deve ritenersi una puntuazione di contratto destinata a fissare, senza alcun effetto vincolante, il contenuto del successivo negozio, che avrebbe dovuto assumere natura di vero e proprio contratto preliminare.
1.1. Il motivo è fondato.
Nel contratto di mediazione, il pagamento della provvigione ai sensi dell'art. 1755 cod. civ. è strettamente connesso alla conclusione dell'affare. La rilevanza causale della conclusione dell'affare, quale fondamento delle pretese di carattere patrimoniale del mediatore, del resto, emerge indirettamente anche dall'art. 1756 cod. civ., ai sensi del quale, salvo patti o usi contrari, il mediatore avrà diritto al rimborso delle spese nei confronti della persona per incarico della quale sono state eseguite, anche se l'affare non è stato concluso (Cass. Sez. 2, n. 26682 del 24.22.2020). Dall'art. 1755 cod. civ. deriva, allora, che i soggetti intermediati, aderendo al contratto di mediazione, non assumono alcun obbligo di pagare la provvigione quale diretto corrispettivo dell'attività posta in essere dal mediatore a loro vantaggio, se non al momento della conclusione dell'affare (ex plurimis: Cass. Sez. 2, n. 28879 del 05.10.2022 - Rv. 665970-01; Cass. Sez. 2, n. 30083 del 19.11.2019 - Rv. 656202-01).
1.2. Nel caso di specie, la proposta irrevocabile proveniente dal promissario acquirente ed accettata dai promittenti venditori assume la veste di accordo preparatorio destinato ad inserirsi nell'iter formativo del futuro negozio traslativo della proprietà che mai ha avuto luogo, stante la difformità della bozza del contratto preliminare (predisposto da I. s.r.l.) rispetto alle concordate modalità di pagamento del prezzo al saldo, ritenute rischiose dall’odierno ricorrente. E’, dunque, dal momento della stipulazione del contratto preliminare ovvero del contratto definitivo, se avessero avuto luogo, che sarebbe potuto maturare il diritto alla provvigione di I. s.r.l. nei confronti degli odierni ricorrenti.
2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di regole ermeneutiche contrattuali, dell’art. 1341 cod. civ. e dell’art. 1362 cod. civ. (art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ.), nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ.). I ricorrenti lamentano la mancata operazione ermeneutica che la Corte d’Appello avrebbe, invece, dovuto compiere per interpretare la volontà delle parti, non limitandosi al dato letterale del contratto di mediazione, omettendo di esaminare un documento cardine, ossia la sottoscrizione da parte degli odierni ricorrenti di una clausola negoziale inserita su una pagina recante intestazione dell’agenzia nella quale il pagamento della provvigione veniva riconosciuto al momento della stipulazione del contratto definitivo di compravendita immobiliare. Nella ricostruzione dei ricorrenti si è in presenza di una clausola concordata tra le parti - sebbene sottoscritta dal solo sig. B. – il cui mancato esame intanto rende inadeguata la motivazione ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 5) cod. proc. civ., ma contribuisce a dimostrare che si era in presenza di una formazione progressiva del contratto di compravendita, rispetto alla quale è configurabile la libertà di recesso delle parti dalle trattative nei limiti di cui all’art. 1337 cod. civ.
3. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1337, dell’art. 1469-bis e dell’art. 1469-quinquies cod. civ. (oggi d.lgs. del 6 settembre 2005, n. 206 – Codice del consumo), nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ.). I ricorrenti sollecitano la declaratoria di inefficacia della clausola n. 4) del contratto di mediazione in quanto vessatoria, poiché determina tra le parti un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. L’attuale art. 34, comma 3, del Codice del consumo consente, infatti, al giudice di sindacare la vessatorietà di una pattuizione attinente alla determinazione del prezzo ove i suoi elementi non siano individuati in modo chiaro e comprensibile; oltre al fatto che essa potrebbe essere considerata come penale manifestamente eccessiva. Né la vessatorietà di tale pattuizione può dirsi sanata dal fatto che sia stata oggetto di specifica sottoscrizione ex art. 1341, comma 2, cod. civ., o che sia stata oggetto di contrattazione individuale.
4. Il secondo e terzo motivo possono essere trattati congiuntamente, in quanto logicamente collegati, e sono fondati per quanto di ragione.
4.1. In disparte l’errato riferimento alle norme già inserite nel codice civile in applicazione della Dir. 93/13/CEE sulla disciplina delle clausole vessatorie, ora rifusa nel Codice del consumo applicabile ratione temporis al caso che ci occupa, concluso tra professionista e consumatore ai sensi dell’art. 3, comma 1, Codice del consumo. Tanto premesso, la clausola n. 4) contenuta nel contratto di mediazione deve essere considerata nulla (e quindi non apposta, per nullità parziale di protezione ex art. 36, comma 1, Codice del consumo) in quanto determina un significativo «squilibrio normativo» (ex art. 33, comma 1, Codice del consumo) laddove prevede la maturazione del diritto alla provvigione in una fase non corrispondente alla conclusione dell’affare (nell’interpretazione della giurisprudenza ricordata al punto 1.1.), così stravolgendo il fondamento causale dell’operazione economico-giuridica posta in essere dalle parti. E’ stato già stabilito da questa Corte che la clausola che attribuisca al mediatore il diritto alla provvigione anche nel caso di mancata conclusione dell'affare per fatto imputabile al venditore può presumersi vessatoria, e quindi inefficace a norma dell'art. 1469- bis cod. civ. (norma applicabile ratione temporis al caso ivi esaminato), se le parti non abbiano espressamente pattuito un meccanismo di adeguamento di tale importo all'attività sino a quel momento concretamente espletata dal mediatore: Cass. Sez. 3, n. 22357 del 03.11.2010, n. 22357. Tale pronuncia ha introdotto un «principio di gradualità» la cui ratio va ravvisata nell'esigenza di garantire, nei contratti a prestazioni corrispettive come il contratto di mediazione «atipica» in esame, il rispetto del sinallagma contrattuale, dovendo trovare la prestazione di una parte il proprio fondamento nella controprestazione dell’altra parte, al fine di evitare il ricorrere di situazioni di indebito arricchimento ai danni del contraente debole del negozio perfezionato. Come argomentato nella citata sentenza, il compenso del mediatore, in caso di mancata conclusione dell'affare, trova giustificazione nello svolgimento di una concreta attività di ricerca di terzi interessati, attraverso la predisposizione dei propri mezzi e della propria organizzazione (Cass. n. 19656 dell’08.09.2020). L’accertamento relativo all'abusività della clausola va svolto anche nell'ipotesi in cui sia prevista l’anticipazione della maturazione del diritto alla provvigione, al fine di evitare che il diritto al compenso possa essere fissato in misura indipendente dal tempo e dall'attività da questi svolta. Ciò in conformità con quanto stabilito dalla Corte di Giustizia Europea secondo la quale l’articolo 3, par. 1, della direttiva 93/13/CEE (corrispondente al nostro art. 33, comma 1, Codice del consumo) deve essere interpretato nel senso che la nozione di «significativo squilibrio» a danno del consumatore deve essere valutata mediante un’analisi delle disposizioni nazionali applicabili in mancanza di un accordo tra le parti, onde appurare se, ed eventualmente in che misura, il contratto collochi il consumatore in una situazione giuridica meno favorevole rispetto a quella prevista dal vigente diritto nazionale (Corte di Giustizia Europea, C - 415/11, Mohammed Aziz). Nel nostro caso, soccorre l’art. 1755 cod. civ. laddove fa coincidere la maturazione del diritto alla provvigione con la
«conclusione dell’affare», da interpretarsi nei termini e limiti sopra precisati. D’altra parte, aggiunge la Corte di Giustizia, per accertare se lo squilibrio sia creato «malgrado il requisito della buona fede», occorre verificare d’ufficio se il professionista, qualora avesse trattato in modo leale ed equo con il consumatore, avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi che quest’ultimo avrebbe aderito alla clausola in oggetto in seguito a negoziato individuale.
La Corte d’appello avrebbe dovuto altresì considerare la scrittura del 06.11.2007 (sottoscritta da uno degli odierni ricorrenti contestualmente alla sottoscrizione del contratto di mediazione) con la quale il proponente sig. B. riconosce a I. s.r.l. il diritto alla corresponsione della provvigione solo al momento della stipulazione del contratto definitivo, in linea con la più volte menzionata disposizione di cui all’art. 1755 cod. civ.; e ciò, considerata la collocazione della firma del B. su carta intestata dell’I. s.r.l.
5. – La sentenza impugnata è cassata.
La causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di L’Aquila, che la deciderà in diversa composizione.
Il Giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di L’Aquila in diversa composizione.