Nel caso concreto gli ex coniugi, in sede di separazione consensuale, si erano rispettivamente qualificati come operaio e casalinga, dunque chiaro è che lo squilibrio sia riconducibile ad una scelta comune di definizione dei ruoli nella coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due.
Nell'ambito di un giudizio divorzile, il Giudice di secondo grado riformava parzialmente la decisione impugnata disponendo in favore della ex moglie l'assegno di divorzio in funzione perequativa, dando atto della sussistenza di uno squilibrio economico-professionale tra coniugi riconducibile all'assenza di un percorso professionale per la moglie che...
Svolgimento del processo
Per quanto ancora di interesse, la Corte d’Appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello proposto da R. G., e in parziale riforma della sentenza del 18.7.2020 del Tribunale di Rieti, ha disposto l’assegnazione a favore di R. G. e a carico di A. A., nell’ambito del giudizio divorzile tra gli stessi pendente, dell’assegno di divorzio dell’ammontare di € 200,00 mensili, a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza di primo grado.
La Corte d’Appello ha riconosciuto l’assegno di divorzio in funzione perequativa, avendo dato atto dell’esistenza tra i coniugi di una sperequazione economico-patrimoniale riconducibile all’assenza per la G. di un percorso professionale che avrebbe dovuto essere coltivato negli anni in cui lo stesso sarebbe stato più naturale, avuto riguardo al fatto che la G., per organizzazione familiare da presumersi concordemente adottata dai coniugi, si era dedicata esclusivamente alla famiglia ed alla cura dei due figli.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione A. A. affidandolo a due motivi.
R. G. ha resistito in giudizio con controricorso.
Il ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 L. n. 898/1970.
Ad avviso del ricorrente, la sig.ra G. non avrebbe fornito alcuna prova che il divario tra il suo reddito e quello dell’ex coniuge sia stato direttamente causato da scelte di vita concordate tra i due, né potrebbe ritenersi sufficiente “presumere” la sussistenza di tali scelte concordate.
In sostanza, la G. non avrebbe fornito alcuna prova, nonostante che l’onere della prova ricadesse sulla stessa, che il proprio impegno esclusivo alla cura dei figli e della famiglia fosse stato concordato con il coniuge.
2. Con il secondo motivo è stata dedotto il difetto di motivazione sull’an e quantum dell’assegno divorzile nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ..
In particolare, il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello avrebbe completamente omesso l’esame della circostanza della causa dello squilibrio economico tra i coniugi ed era comunque totalmente sfornita di prova l’affermazione della stessa Corte secondo cui tale squilibrio fosse stato direttamente causato dalle scelte concordate tra i coniugi, avendo tratto tale conclusioni da semplici presunzioni. Ad avviso del ricorrente, la sentenza impugnata presenterebbe, altresì, un vizio motivazionale in relazione al quantum dell’assegno, che è stato quantificato tenendo conto di fattori non oggettivi e che potrebbero variare in ogni momento, quale la convivenza dello stesso ricorrente con una persona titolare di redditi propri.
3. Entrambi i motivi, da esaminarsi unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni affrontate, presentano profili di inammissibilità ed infondatezza.
In primo luogo, il ricorrente con l’apparenza doglianza della violazione dell’art. 5 L. n. 898/1970, non fa che svolgere una censura di merito, in quanto finalizzata a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dalla Corte d’Appello, e quindi a contestare, inammissibilmente, una valutazione di fatto compiuta dallo stesso giudice, ovvero che la sperequazione economico-patrimoniale esistente tra i coniugi al momento dello scioglimento del vincolo matrimoniale era stata determinata dalle scelte di vita concordate tra i due.
Tale valutazione compiuta dalla Corte d’Appello era doverosa, tenuto conto che, avendo l'assegno divorzile, oltre ad una imprescindibile funzione assistenziale, anche una, e in pari misura, compensativa e perequativa, qualora vi sia uno squilibrio effettivo, e di non modesta entità, tra le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, spetta proprio all’interprete accertare se tale squilibrio sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all'interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due (vedi Cass. n. 21926/2019; Cass. n. 27561/2021).
Priva di fondamento è, inoltre, l’affermazione di parte ricorrente secondo cui la prova del contributo fornito da un coniuge alla formazione del patrimonio familiare e di quello dell’altro coniuge, frutto delle scelte comuni di conduzione della vita familiare e di definizione dei ruoli all'interno della coppia, non potrebbe essere fornita mediante presunzioni. Sul punto, la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 18287/2018 (al punto 11, pag. 33), ha espressamente affermato che la prova del contributo in oggetto può essere fornita “con ogni mezzo anche mediante presunzioni”.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello, nell’accertare che la sperequazione tra le condizioni patrimoniali dei coniugi era riconducibile all’organizzazione familiare, per effetto della quale la G. si era dedicata in via esclusiva alla famiglia ed alla cura dei figli per ben diciassette anni, ha ritenuto che una tale organizzazione dovesse presumersi concordemente adottata dai coniugi, essendo, peraltro, stato evidenziato nella stessa sentenza impugnata, che gli stessi, in sede di separazione consensualmente definitiva, si erano rispettivamente qualificati come operaio e casalinga: dunque vi era stata una precisa e non contestata definizione dei ruoli all’interno della coppia.
La Corte d’Appello, così argomentando, ha quindi dimostrato di essersi posta la questione delle cause del divario economico tra i due coniugi, con la conseguenza che del tutto infondato è il dedotto (dal ricorrente) omesso esame di fatto decisivo.
Infine, palesemente infondata è la censura di difetto di motivazione nella determinazione del quantum dell’assegno divorzile, con cui il ricorrente si duole che lo stesso assegno è stato quantificato tenendo conto di fattori che potrebbero variare in ogni momento, quale la convivenza dello stesso ricorrente con una persona titolare di redditi propri. Non vi è dubbio che ogni statuizione del giudice in tema di assegno divorzile è adottata rebus sic stantibus, con la conseguenza che ove dovessero mutare le situazioni che hanno portato alla quantificazione dell’assegno divorzile, è insita nel sistema la possibilità di chiedere una modifica delle condizioni di divorzio.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 3.600,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.