Questi i temi di cui si è occupata la Cassazione in una controversia avente ad oggetto la richiesta risarcitoria a carico della struttura sanitaria che non aveva impedito l'allontanamento di una paziente, trovata successivamente priva di vita in un cantiere vicino alla RSA.
La controversia trae origine dalla domanda di risarcimentodanni avanzata dall'attuale ricorrente in conseguenza del decesso della propria madre verificatosi quando la stessa, ricoverata presso una RSA con diagnosi di “decadimento cognitivo”, si allontanava non vista dalla struttura e, dopo aver vagato per cinque giorni, veniva...
Svolgimento del processo
1.v Con ricorso affidato a tre motivi, D.S. ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Trieste, resa pubblica in data 30 gennaio 2020, che, in accoglimento del gravame interposto dalla Azienda per i Servizi Sanitari n. 2 “(omissis)” avverso la decisione del Tribunale di Gorizia, ne rigettava la domanda di risarcimento di tutti i danni patiti in conseguenza del decesso della propria madre, O.G., verificatosi allorquando la stessa, ricoverata presso la R.S.A. di M. con diagnosi di “decadimento cognitivo”, si allontanava non vista dalla struttura e, dopo aver vagato per cinque giorni, veniva ritrovata priva di vita in un cantiere adiacente alla R.S.A.
2. La Corte territoriale, a fondamento della decisione, osservava che: a) alla luce della giurisprudenza di legittimità, spetta all’attore la prova del nesso eziologico tra la patologia insorta (o aggravatasi) e la condotta dei sanitari, restando a carico del medesimo attore la “causa incognita”; b) la parte attrice non aveva “esaminato e descritto tale profilo in atto di citazione”, mentre “avrebbe dovuto allegare elementi da cui far discendere che l'infarto non si sarebbe verificato se la signora G. non si fosse allontanata dalla RSA”; c) tale profilo non era stato esaminato neppure «in sede di istruttoria dal tribunale pur essendo a disposizione la relazione tecnica del PM, in cui era proposta “un’alternativa causale per la morte da infarto miocardico acuto con assoluta preponderanza dell’ipotesi della sindrome clinica secondaria alla comparsa di un danno irreversibile delle cellule miocardiche, conseguenza di un’ischemia acuta grave prolungata, ove l’arteriosclerosi coronarica rappresenta il minimo comune denominatore nella maggior parte dei casi di infarto”»; d) «in conclamata assenza nell'atto introduttivo di allegazione e prova sul punto specifico sopra indicato, neppure nel corso del giudizio (era) stata raggiunta alcuna prova, peraltro neppure richiesta, su tale punto “cruciale” e nessuna indicazione (era) ricavabile dalla CTU svolta che si limita(va) ad accertare la consecuzione causale tra le carenze strutturali della RSA e l'allontanamento, che si ritiene, nella prospettazione dell'attore accolta dal primo giudice, pacificamente (e quindi senza alcuna necessità di indagine) causa del decesso senza alcuna motivazione sul punto, probabilmente anche in difetto di specifico quesito»; e) pertanto, “nessuna pronuncia di responsabilità (poteva) essere assunta nei confronti dell'azienda”, anche perché, “per effetto di tale mancanza, non (era) dato sapere dati importanti qual è il momento esatto e le modalità della morte”; f) “pur essendo tali conclusioni assorbenti”, la RSA, all'atto della ricezione della paziente, “aveva concordato con i familiari le modalità ed i limiti relativi alla gestione della paziente”, essendosi “determinata a riceverla anche su richiesta degli stessi”, i quali “avevano dichiarato di non essere in grado di tenerla in casa e che avevano accettato il ricovero pur consapevoli che la struttura non possedeva il personale necessario per assicurare sorveglianza 24 ore su 24 (circostanza non contestata e comunque provata dai documenti in atti)”.
3. Resiste con controricorso l’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina (di seguito anche solo ASU-GI), già Azienda per i Servizi Sanitari n. 2 “(omissis)”.
Il pubblico ministero ha depositato, ai sensi dell’art. 23, comma 8-bis, del d.l. n. 137 del 2020, convertito, con modificazioni, nella legge n. 176 del 2020 (e successive proroghe), le proprie conclusioni scritte, con le quali ha chiesto che il ricorso venga accolto.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2043 c.c., 40 e 41 c.p., nonché omesso esame di fatto decisivo e discusso tra le parti, per aver la Corte territoriale - nell’affermare che spettava all’attore “allegare elementi da cui far discendere che l’infarto non si sarebbe verificato se la Signora G. non si fosse allontanata dalla RSA” - erroneamente applicato le norme che disciplinano la dimostrazione del nesso causale tra condotta inadempiente ed evento lesivo - che avrebbe dovuto ravvisare già nel fatto stesso che quest’ultimo (ossia la morte per infarto del miocardio) si era verificato proprio durante lo stato di abbandono -, mancando di operare correttamente il giudizio probabilistico controfattuale, anche in ragione dell’omesso esame di fatti al riguardo decisivi, quali il “parere medico legale” riportato nel ricorso di primo grado (in cui si metteva in correlazione l’infarto a carico della paziente con il periodo di allontanamento dalla struttura), nonché l’“esame autoptico compiuto nel procedimento penale”, acquisito agli atti del giudizio civile, “nel quale sono puntualmente indicate sia il momento che le modalità della morte”.
2. Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2043 c.c., 40 e 41 c.p., nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., motivazione “erronea, contraddittoria e perplessa; contrasto fra affermazioni inconciliabili della sentenza impugnata”.
La Corte territoriale avrebbe, in modo affatto contraddittorio, «indebitamente onerato il creditore della prova che lo stato di abbandono non tanto fosse “astrattamente efficiente” alla causazione della morte, ma fosse al contrario, in concreto, e secondo un canone impossibile di certezza irrefutabile, ragione della morte stessa», affermando poi che “la causa della morte sarebbe rimasta incognita” pur avendola ricondotta ad un arresto cardiaco.
Peraltro, la Corte territoriale, là dove si intendesse che per causa ignota della morte occorra riferirsi “alle cause dell'attacco cardiaco”, avrebbe avuto “tutti gli elementi” (consulenze tecniche svolte nei giudizi civile e penale; esame autoptico; parere medico- legale; atti del giudizio civile) «per compiere la valutazione di sua spettanza sulla astratta efficienza della condotta inadempiente della struttura sanitaria a produrre l'infarto secondo i criteri della concorrenza causale e del “più probabile che non”», dovendo valutare se la condizione di “gravissima di privazione in cui la paziente è venuta a trovarsi in seguito alla condotta indebita della R.S.A. fosse concausa del malore occorso al di fuori della struttura e se, parimenti, l'impossibilità di prestare qualsivoglia soccorso potesse, a sua volta, configurarsi quale fattore astrattamente efficiente rispetto all'esito mortale che ne è derivato”.
2.1. Il primo e il secondo motivo, da scrutinarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, sono ammissibili (poiché è dato individuare chiaramente i diversi e autonomi profili di censura nel contesto dei singoli motivi), nonché fondati per quanto di ragione.
2.1.1. Va premesso che, nel caso in esame, la qualificazione giuridica della responsabilità civile della struttura sanitaria è stata inquadrata in quella di natura contrattuale.
Posto che al S. sono stati riconosciuti dal primo giudice, con statuizione passata in giudicato (poiché non fatta oggetto di impugnazione), unicamente i danni patiti iure proprio (con rigetto della domanda di danni subiti iure haereditatis: cfr. pp. 9 e 10 della sentenza del Tribunale di Gorizia del 26 giugno 2018, richiamata alle pp. 6 e 7 del controricorso), l’anzidetta qualificazione giuridica non si palesa corretta, poiché la responsabilità della struttura sanitaria per i danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti iure proprio dai congiunti di un paziente deceduto è qualificabile come extracontrattuale, dal momento che, da un lato, il rapporto contrattuale intercorre unicamente col paziente, e dall'altro i parenti non rientrano nella categoria dei “terzi protetti dal contratto”, potendo postularsi l'efficacia protettiva verso terzi del contratto concluso tra il nosocomio ed il paziente esclusivamente ove l'interesse, del quale tali terzi siano portatori, risulti anch'esso strettamente connesso a quello già regolato sul piano della programmazione negoziale (tra le altre: Cass. n. 14258/2020; Cass. n. 21404/2021; Cass. n. 11320/2022).
Tuttavia, la qualificazione giuridica in termini di responsabilità contrattuale è statuizione passata in giudicato, poiché fatta propria dal giudice di primo grado, ribadita da quello secondo grado e mai messa in contestazione nei giudizi di merito e neppure in questa sede.
Ad essa occorre, quindi, fare riferimento nel presente giudizio.
2.1.2. Devono, quindi, essere sin d’ora precisate le coordinate giuridiche del riparto degli oneri di allegazione e di prova dell’azione risarcitoria per il danno alla salute in ambito sanitario.
Giova, infatti, rammentare che, in sede di accertamento della responsabilità contrattuale della struttura ospedaliera o del sanitario (per quest’ultimo, in riferimento ai fatti antecedenti alla legge 8 marzo 2017, n. 24: cfr. Cass. n. 28994/2019), in caso di inadempimento o inesatto adempimento delle obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, spetta al danneggiato fornire la prova del contratto e del nesso di causalità materiale tra il predetto inadempimento o inesatto adempimento e l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie, restando a carico dell’obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente o che quegli esiti siano stati determinati da una causa imprevedibile o inevitabile che abbia reso impossibile l'esatta esecuzione della prestazione (tra le altre: Cass. n. 18392/2017 e, successivamente, Cass. n. 28891/2019 e Cass. n. 28892/2019).
Difatti, anche nell’ambito della responsabilità contrattuale sanitaria (al pari della responsabilità di tipo aquiliano), il danno (alla salute) e la sua eziologia sono oggetto del “fatto costitutivo” del diritto al risarcimento del danno ex art. 2697 c.c., per cui il danneggiato è tenuto ad allegare, anzitutto, una condotta di inadempimento (o di inesatto adempimento) che abbia astratta efficienza causale rispetto alla lesione della salute e, quindi, a provare che tale condotta abbia poi avuto concreta efficienza causale rispetto a detto evento lesivo (prova, questa, che l’orientamento giurisprudenziale precedente non postulava a carico dell’attore-danneggiato) e ciò in base ai principi della causalità materiale ricavabili dagli artt. 40 e 41 c.p.
In base a tali principi, un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, dovendosi, altresì, avere riguardo al criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano - ad una valutazione ex ante - del tutto inverosimili (tra le molte, Cass., S.U., n. 576/2008).
Per il caso in cui un siffatto accertamento abbia, poi, ad oggetto una condotta omissiva, la verifica del nesso causale tra tale condotta e il fatto dannoso si sostanzia nell'accertamento della probabilità positiva o negativa del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio controfattuale, che pone al posto dell'omissione il comportamento dovuto.
Tale giudizio deve essere effettuato sulla scorta del criterio del “più probabile che non”, conformandosi ad uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (cd. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica o baconiana) (tra le altre: Cass. n. 23197/2018; Cass. n. 19372/2021).
Ne deriva, quindi, che le conseguenze sfavorevoli in caso di mancato assolvimento dei predetti oneri di allegazione e prova gravano interamente a carico dell’attore.
2.1.3. Ciò premesso, la ratio decidendi che sorregge la sentenza impugnata è che l’attore non avrebbe assolto agli oneri di allegazione e prova ad esso spettanti, i quali, nella specie, avrebbero dovuto riguardare gli “elementi da cui far discendere che l'infarto non si sarebbe verificato se la signora G. non si fosse allontanata dalla RSA” e ciò tanto più che la relazione peritale predisposta nel giudizio penale su incarico del pubblico ministero indicava “un’alternativa causale per la morte da infarto miocardico acuto con assoluta preponderanza dell’ipotesi della sindrome clinica secondaria alla comparsa di un danno irreversibile delle cellule miocardiche, conseguenza di un’ischemia acuta grave prolungata, ove l’arteriosclerosi coronarica rappresenta il minimo comune denominatore nella maggior parte dei casi di infarto”.
2.1.4. A fronte di tale ratio decidendi le censure del ricorrente colgono nel segno nel rappresentare sia la violazione di legge rispetto ai principi che disciplinano la causalità materiale omissiva, sia l’omesso esame di fatti decisivi e discussi e una motivazione in parte affetta da insanabile contraddittorietà, quali vizi che ridondano su una erronea delibazione in punto di assolvimento degli oneri di allegazione e prova a carico dell’attore.
2.1.5. Va, anzitutto, considerato che l’allegazione originaria presente nell’atto di citazione e ribadita nel giudizio di appello (rispettivamente: pp. 6 e 10 del ricorso ex art. 702 bis c.p.c., all. 7 fascicolo depositato in questa sede e p. 14 della comparsa di costituzione in appello, all. 8 fascicolo depositato in questa sede; cfr. richiamo a detti atti a p. 8 del ricorso per cassazione) era che l’infarto acuto del miocardo si era verificato nel corso dell’allontanamento della paziente dalla struttura sanitaria ed era insorto per lo stress psico-fisico dovuto alle condizioni di salute già precarie e per quelle contingenti di essersi trovata “sola, all’aperto di giorno e di notte, in stato confusionale, senza cibo né acqua”.
In altri termini, l’attore assumeva che l’omissione della struttura sanitaria – non aver impedito l’allontanamento della paziente – era una condotta che esprimeva un’efficienza causale rispetto al decesso di quest’ultima per infarto miocardico acuto, giacché se l’allontanamento fosse stato evitato la G. non si sarebbe trovata, in ragione delle proprie condizioni di salute, nonché delle condizioni di tempo e di luogo vissute nei 5 giorni di vagabondaggio, in una situazione tale da aver determinato l’insorgenza della anzidetta patologia acuta letale.
Ha, dunque, errato la Corte territoriale nell’escludere la mancanza di allegazione idonea ad individuare un inadempimento qualificato astrattamente dotato di efficienza causale rispetto alla verificazione dell’evento lesivo, ossia la morte per infarto miocardico acuto della G..
2.1.5.1. Deve, comunque, escludersi che possa avere rilievo, nella specie, l’allegazione, ulteriore, secondo cui la morte della stessa G. sia da ascrivere alla ASU-GI anche in ragione del fatto che il ricovero in ambiente ospedaliero avrebbe consentito “di prestare qualsivoglia soccorso” alla paziente stessa (cfr. p. 14 del ricorso).
Trattasi, infatti, di deduzione che individua un inadempimento qualificato affatto diverso rispetto a quello originariamente allegato, per cui l’evento infartuale letale è stato causalmente correlato alle complessive condizioni di abbandono in cui la G. si è trovata a causa dell’allontanamento dalla struttura sanitaria.
Dunque, essa integra, come tale, una differente causa petendi a fondamento di un diritto eterodeterminato, sicché il ricorrente – per non incorrere nella violazione dell’art. 112 c.p.c. - avrebbe dovuto fornire idonea dimostrazione di averla tempestivamente veicolata nel giudizio di primo grado; onere che non è stato assolto, così da palesarsi allegazione inammissibile giacché prospettata per la prima volta solo in questa sede.
2.1.6. Quanto al profilo dell’onere probatorio, il giudice di secondo grado ha evidenziato che non erano stati forniti elementi per dimostrare che la morte della G. non si sarebbe altrimenti cagionata se la stessa non si fosse allontanata, essendo, altresì, presente agli atti una relazione peritale (eseguita dalla dr.ssa F.) che dava atto dell’ipotesi alternativa di infarto miocardico acuto come sindrome secondaria dovuta ad arteriosclerosi coronarica, né essendo risultati utili all’attore gli esiti della c.t.u. espletata nel giudizio di primo grado, “che si limita ad accertare la consecuzione causale tra le carenze strutturali della RSA e l’allontanamento, che si ritiene … causa del decesso senza alcuna motivazione sul punto” (p. 15 e 16 della sentenza di appello).
2.1.7. La Corte territoriale ha, però, omesso di considerare che nella stessa relazione peritale alla quale ha fatto riferimento (indicata puntualmente in ricorso a p. 14, unitamente alla c.t.u. espletata in primo grado e alla relazione del consulente tecnico di parte acquisita agli atti e richiamata dallo stesso ricorso ex art. 702-bis c.p.c., presente come doc. 5 nel fascicolo depositato in questa sede) si dava atto delle condizioni precarie di salute della G., delle condizioni di tempo e di luogo nella quale la stessa venne ritrovata priva di vita (contesto evidenziato anche dalla c.t.u. espletata in primo grado e dalla sentenza di questa Corte, Sezione IV penale, n. 48269/2015, richiamata a p. 3 del ricorso e presente come doc. n. 2 nel fascicolo depositato in questa sede), della possibilità di individuare come fattore scatenante l’infarto acuto del miocardio “un intenso sforzo fisico” o “uno stress psicologico intenso e prolungato” o ancora “forti ed improvvise emozioni” (p. 16 della relazione peritale) e del fatto che l’ipotesi alternativa quale causa del decesso della stessa paziente – da riconoscersi non già, come in modo affatto contraddittorio inteso dal giudice di appello, nella aterosclerosi coronarica, alla base dell’infarto, bensì nell’ “ematoma subdurale rilevato in sede di autopsia” e in possibile “relazione con il sinistro stradale del 18 giugno 2010” -, pur non essendo possibile escluderla “con certezza”, era da ritenersi superata, alla luce degli esiti dell’esame autoptico, dalla causa dovuta ad “(a)rresto cardiocircolatorio secondario a infarto acuto del miocardio” (pp. 116/17 della relazione peritale della dr.ssa Furioso).
Né, del resto, la Corte territoriale, alla luce della medesima anzidetta relazione peritale acquisita agli atti, avrebbe potuto confondere la causa remota dell'infarto (l’aterosclerosi) con la sua causa prossima (lo stress psico-fisico), assumendo la prima come causa alternativa e assorbente, trattandosi invece di causa concorrenti, essendo l’aterosclerosi la situazione patologica pregressa da cui è insorto l'infarto acuto del miocardio in ragione dello stress psico-fisico dovuto alla condizione di abbandono.
Con la conseguenza che in una siffatta situazione di concorrenza di cause – l’una ascrivibile ad un fattore naturale (pregressa situazione patologica del danneggiato) e l’altra ascrivibile alla condotta umana (lo stress psico-fisico determinato dalla condizione di abbandono cagionata dalla omessa sorveglianza della paziente cui era tenuta la struttura sociosanitaria nella quale la stessa era ricoverata) - l’autore del fatto illecito risponde, in base ai criteri della causalità materiale, di tutti i danni che ne sono derivati, a nulla rilevando che gli stessi siano stati concausati anche da un evento naturale, il quale può invece rilevare ai fini della stima del danno, ossia sul piano della causalità giuridica (tra le altre: Cass. n. 15991/2011; Cass. n. 24204/2014; Cass. n. 27524/2017; Cass. n. 5632/2023; Cass. n. 6122/2023).
Era, dunque, in base anche ai menzionati e decisivi elementi acquisiti agli atti che la Corte territoriale avrebbe dovuto impostare, correttamente, il proprio giudizio sull’accertamento della causalità materiale omissiva, alla luce della regola sulla concorrenza delle cause (naturale ed umana), della teoria della regolarità causale e della regola di funzione del “più probabile che non”. Là dove, poi, avesse reputato necessario, ai fini della valutazione ad essa rimessa, l'impiego di particolari competenze tecniche, ben avrebbe potuto disporre una consulenza tecnica d’ufficio, senza incorrere nel divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova e nuovi documenti nel giudizio di appello, previsto dall’art. 345, comma 3, c.p.c., facendo la c.t.u. eccezione al principio (art. 115 c.p.c.) per cui le sole prove disponibili per la decisione sono quelle proposte dalle parti o dal pubblico ministero (Cass. n. 13343/2000; Cass. n. 15945/2017).
3. - Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1229, 1372 e 1375 c.c., nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo e discusso tra le parti, in quanto la Corte territoriale – nel ritenere che il ricovero della G. era stato accettato dai familiari “pur consapevoli che la struttura non possedeva il personale necessario per assicurare sorveglianza” per tutte le 24 ore – avrebbe erroneamente applicato la disciplina in materia di obbligazioni facenti capo alle struttura sanitarie, “ritenendo disponibile contrattualmente con soggetti terzi rispetto al paziente il dovere di protezione discendente dal ricovero”, nonché avrebbe ritenuto provato “un presunto consenso della famiglia della vittima circa un ipotetico discarico di responsabilità in ordine alla doverosa custodia della paziente” omettendo di indicare gli atti di parte da cui discenderebbe l’effetto della “non contestazione” su detto presunto consenso, riportando, contraddittoriamente, i capitoli di prova articolati dalla Azienda sanitaria che dimostrerebbero “proprio il contrario”.
3.1. Il motivo è ammissibile (per le medesime ragioni indicate al § 2.1., che precede) e fondato per quanto di ragione.
Lo è in riferimento al dedotto error in iudicando, non essendo ravvisabile, per contro, la necessaria specificità della doglianza di omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360, primo comma, n. 5,
c.p.c. (secondo quanto posto in rilievo da Cass., S.U., n. 8053/2014), che si risolve piuttosto in una critica, inammissibile, alla sufficienza e logicità della valutazione probatoria compiuta dalla Corte territoriale.
Quanto, dunque, alla violazione di legge, la Corte territoriale ha errato a considerare affatto esonerata la struttura sanitaria, una volta accettato il ricovero della paziente nonostante i pur palesati deficit organizzativi, dall’assolvere con perizia e diligenza professionale, ex art. 1176, secondo comma, c.c., agli obblighi di essa gravanti di sorvegliarla in modo adeguato e coerente rispetto alle sue condizioni psico-fisiche al fine di prevenire che potesse causare danni a terzi o subirne, giacché, ove accertato l’inadempimento (o inesatto adempimento) dei predetti obblighi, avrebbe dovuto esigere, ai sensi dell’art. 1218 c.c., la prova liberatoria dell'impossibilità oggettiva non imputabile della prestazione ad essa richiesta in base al c.d. contratto di ricovero (Cass. n. 22331/2014; Cass. n. 9714/2020).
Del resto, sarebbe stata nulla, ai sensi dell’art. 1229 c.c., una pattuizione che avesse escluso o limitato la responsabilità della struttura per colpa grave nell’adempiere diligentemente e con perizia gli obblighi di sorveglianza e protezione nei confronti della paziente ricoverata.
4. Il ricorso va, dunque, accolto nei termini innanzi precisati, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa alla Corte di appello di Trieste, in diversa composizione, che, nel delibare l’appello della Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina, si atterrà ai principi innanzi enunciati e provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione;
cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Trieste, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Dispone che, in caso di utilizzazione del presente provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi di O.G., riportati nel provvedimento stesso.