Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da D. B. e da S. A., confermando pertanto la dichiarazione dello stato di abbandono e lo stato di adottabilità della minore C. C., già statuita dal Tribunale per i minorenni di Roma con sentenza n. 164/2021.
Il Tribunale per i minorenni di Roma aveva dichiarato, infatti, lo stato di adottabilità della minore C. C., nata a (omissis) il giorno 8.7.2017 dall’unione di F. C. e di B. D. ; aveva vietato ogni contatto della minore con genitori e parenti; aveva confermato il Sindaco del Comune di (omissis), quale tutore provvisorio, ed il collocamento della minore in casa famiglia in vista del collocamento familiare provvisorio a scopo adottivo, ai sensi dell’art. 10, 3 comma, l. 184/83.
La corte del merito ha ritenuto che: a) doveva essere disattesa l’istanza di ulteriore istruttoria formulata dall’appellante D. in relazione all’acquisizione di elementi di valutazione della sua capacità genitoriale tramite l’osservazione della relazione madre/figlia, risultando l’accertamento tecnico espletato in primo grado esaustivo, anche con riferimento ai rilievi formulati dalle parti, e compiuto secondo criteri tecnicamente accertati dalla comunità scientifica, nonché essendo presenti agli atti sufficienti e non discordanti elementi di valutazione della personalità del genitore e della nonna materna; b) nel merito gli appelli erano infondati, in quanto condivisibile doveva ritenersi la valutazione effettuata dal Tribunale in ordine alla inadeguatezza della madre e della nonna della minore a garantire a quest’ultima non solo il normale sviluppo psico-fisico, ma soprattutto il recupero delle gravi criticità conseguite al vissuto traumatico della minore, sia in quanto istituzionalizzata da neonata e privata del naturale costituirsi di un legame di attaccamento materno per le oggettive condizioni di salute psichica della madre, sia in quanto successivamente traumatizzata dalle figure familiari che alla stessa si era rapportate; b) tale valutazione di inadeguatezza era suffragato dalla diagnosi di “disturbo psicotico schizoaffettivo, stato dissociativo”, a far data dal 2010, diagnosi che si appoggiava sulla valutazione del percorso clinico e terapeutico della D. , punteggiato da vari ricoveri in ambiente psichiatrico, in uno di essi incontrandosi la coppia genitoriale, nel 2015, per essere il padre della minore, F. C., allora ricoverato per un disturbo depressivo con comportamenti aggressivi e ripetuti gravi agiti autolesivi; c) la discontinuità del trattamento terapeutico della D. derivava in realtà dalla autogestione della terapia, nella inconsapevolezza della gravità della patologia cui conseguivano autonome scelte di interruzione per rifiuto delle cure farmacologiche, appena superate le fasi di manifestazione acuta; d) le rispettive strutture della personalità della D. e del C., entrambe centrate su aspetti di aggressività e di impulsività, si ripercuotevano sul rapporto di coppia, costantemente conflittuale, e sulle relazioni familiari più vicine; e) il servizio sociale si era in realtà attivato su richiesta, in origine, del personale sanitario dell’ospedale, ove la D. conduceva ripetutamente la neonata C., rappresentando patologie mai riscontrate; e) l’esordio dell’intervento giudiziale a tutela della minore risaliva ad un episodio dissociativo acuto della D. che aveva comportato il ricovero con trattamento sanitario obbligatorio della stessa in data 31.7.2017, a venti giorni dalla nascita della piccola C.; f) il quadro clinico, dopo le prime dimissioni, si era invero aggravato, richiedendo necessari e ripetuti trattamenti sanitari obbligatori, dal novembre 2017, e non accedendo più la D. agli incontri con la figlia di cui aveva chiesto la riattivazione solo nel mese di marzo 2020; g) risultava incontestabile che nei primissimi anni di vita, quelli deputati alla creazione di legami di attaccamento con le figure genitoriali, la minore, a causa della condizione psichica della madre, non aveva potuto conoscere e riconoscerne il legame di maternità; g) la Asl attestava che, nel mese di marzo 2020, la D. aveva ricominciato a seguire con costanza la terapia e si mostrava più critica verso la patologia, senza tuttavia chiarire la prognosi e la capacità di tenuta; h) la nonna materna A. S., madre della D. , aveva assunto un comportamento non lineare ed incongruo, dichiarandosi subito disponibile a supportare la figlia e la nipote, e, poi, passata a descrivere la storia psichiatrica della figlia, manifestando in tal modo il convincimento della incapacità di quest’ultima a prendersi cura della crescita della minore, per poi passare a minimizzare gli effetti della patologia della figlia stessa, esternando addirittura un’utilizzazione della minore al fine di “calmare” le esplosioni comportamentali della madre e così da permetterle di sostenere entrambe, figlia e nipote; i) il padre F. C. – la cui posizione era comunque necessario esaminare, nonostante la decisione dello stesso di non impugnare la sentenza di primo grado – aveva ampiamente manifestato le importanti fragilità psichiche di era portatore, evidenziando caratteristiche comportamentali gravemente inadeguate in termini di genitorialità che, per il lungo tempo in cui le stesse si erano prolungate, avevano provocato lo stato di sofferenza della minore, come emerso dalla relazione degli operatori e dalla consulenza tecnica; l) il C. si era infatti mostrato in una crescente condizione di disforia nell’umore e nell’eloquio, sconnesso ed aggressivo, discontinuo negli incontri che pur aveva chiesto; m) le modalità della nonna materna e del padre di relazionarsi con la piccola C., perdurante per un periodo oltremodo significativo, avevano impegnato la bambina in uno sforzo di adattamento stressante, concorrendo le stesse non solo al rifiuto di C. rispetto alla relazione con ciascuno dei due, ma anche a determinare ed alimentare nella minore un atteggiamento di diffidenza, sospettosità e difficoltà ad affidarsi alla relazione con una figura adulta; n) tali conclusioni erano state riscontrate nelle valutazioni di personalità emerse in sede di consulenza tecnica, fondate su incontri diretti, documentazione versata in atti, batteria testologica concordata con il consulente di parte, incontri con tutti gli operatori istituzionali, osservazione diretta degli incontri con il padre e la nonna della minore e di alcune videoregistrazioni di incontri pregressi, essendo dunque emerso in sede di Ctu una diagnosi importante di disturbo della personalità a carico della B. D. , di tipo psicotico, con presenza di sintomi allucinatori uditivi e deliri ed evidenziando tale profilo pschiatrico-psicologico un quadro clinico di per sé preclusivo di una buona genitorialità, come tale precario e a rischio, caratterizzato da una effettività coartata, da una emotività compressa dai farmaci, da poche capacità empatiche e relazionali; m) anche le condizioni della minore confermavano la valutazione di inadeguatezza genitoriale dell’appellante e della nonna materna ma anche della improponibilità del rientro della minore nell’ambiente familiare di origine, minore che al momento aveva cinque anni ed era stata inserita in casa-famiglia a venti giorni dalla nascita; n) vi era pertanto l’urgente bisogno, per C., di un riferimento adulto genitoriale cui affidarsi, dal quale ricevere attenzioni multiple e impegnative; o) nella situazione descritta, in assenza di risorse genitoriali e delle rete familiare, nella condizione di danno derivabile alla minore dalla prolungata permanenza in una condizione di attesa, la rescissione del legame familiare risultava l’unico strumento adatto ad evitare alla minore un più grave pregiudizio ed assicurarle assistenza materiale e morale, stabilità affettiva, attenzione alla crescita, dovendosi anche escludere un interesse della minore alla conservazione di un qualche legame con la madre, che non sussisteva, ovvero con la nonna materna, stante il potenziale pregiudizio a lei tuttora riconducibile e soprattutto la recessività di esso.
2. La sentenza, pubblicata il 10.5.2022, è stata impugnata da B. D. e A. S. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui l’Avv. M. G., nella qualità di curatore speciale e difensore di C. C. ha resistito con controricorso.
Le ricorrenti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo le ricorrenti lamentano, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1, primo comma, 8, secondo comma, della l. 184/1983, nonché la violazione dell’art. 8 Cedu e vizio di omesso esame, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., di fatto decisivo, in relazione alla documentazione allegata al giudizio di appello a sostegno della richiesta di integrazione della Ctu. Osservano, sul punto, le ricorrenti che la corte di appello avrebbe richiamato in motivazione solamente elementi estrapolati dalla Ctu o dalle relazioni della casa famiglia e dei servizi contenute nel fascicolo di primo grado, senza alcun riferimento o menzione della copiosa documentazione prodotta in atti dalla difesa della D. nel giudizio di appello (relazione psicologo-forense Dott. L. H. del Dipartimento Neuroscienze del Sant’Andrea (omissis); relazione medica CSM (omissis) dott.ssa P. del 28.6.2021; relazione medica CSM (omissis) Dott.ssa P. del 24.1.2022; relazione dei servizi sociali). Si evidenzia da parte delle ricorrenti che, sulla base della ora descritta documentazione, avevano espresso la necessità di disporre una integrazione della Ctu, già espletata in primo grado, alla luce del profilo della non attualità delle risultanze ivi contenute che risultavano superate dalla documentazione depositata in secondo grado, la quale, al contrario di quanto ritenuto dai giudici di appello, avrebbero evidenziato la compatibilità di entrambe le appellanti con il ruolo genitoriale. Si aggiunge che dalla predetta documentazione era emersa una condizione di progressiva normalizzazione e stabilizzazione delle patologie psichiatriche di cui era risultava affetta la D. , dando atto che quest’ultima manifestava capacità di critica rispetto alla propria salute psicofisica, di condivisione di emozioni e vissuti, e ciò attraverso i colloqui clinici e la psicoterapia. Da ciò – aggiungono sempre le ricorrenti – sarebbe derivata l’inattualità della Ctu, svolta in primo grado e della sentenza appellata, che ne aveva recepito le conclusioni, posto che quest’ultime si fondavano su valutazioni relative ad ella ricorrente risalenti a ben quattro anni prima e senza che le stesse valutazioni si fossero basate sulla necessaria osservazione del rapporto madre-figlia che, all’attualità, in costanza di equilibrio psicologico di ella ricorrente D. (consentito da una regolare compensazione farmacologica), avrebbe potuto essere non solo possibile ma anche auspicabile, ai fini di una corretta e legittima valutazione da parte del Ctu del profilo della capacità genitoriale. Si evidenzia ancora che sarebbe stato dettagliatamente documentato il radicale miglioramento dello stato di salute complessivo della D. rispetto all’epoca di apertura del procedimento volto alla dichiarazione dello stato di adottabilità della minore.
2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 1, 1 comma, 8, 2 comma, della l. 184/83, nonché violazione dell’art. 315bis, 2 comma, e art. 8 Cedu, in relazione alla decisione di escludere ogni profilo di conservazione del legame affettivo, ex art. 44 lett. d della l. 184/83, tra la minore e la madre B. D. e la nonna A. S., con ciò determinando la più totale rescissione di ogni legame familiare.
3.1 Il primo motivo è fondato ed il suo accoglimento determina l’assorbimento della seconda doglianza.
3.2 Le ricorrenti evidenziano, con deduzione sul punto specifica ed autosufficiente, di aver prodotto, in sede di giudizio di appello, una copiosa documentazione (relazione psicologo-forense Dott. L. H. del Dipartimento Neuroscienze del Sant’Andrea (omissis); relazione medica CSM (omissis) dott.ssa P. del 28.6.2021; relazione medica CSM (omissis) Dott.ssa P. del 24.1.2022; relazione dei servizi sociali), e sottolineano pertanto di aver dedotto, sulla base della stessa e già innanzi ai giudici del gravame, una situazione di progressivo e soddisfacente miglioramento delle condizioni di salute psichiatrica della D. , che, pertanto, avrebbe inciso, in termini positivi, sul recupero delle capacità genitoriali di quest’ultima, anche in relazione al possibile ausilio fornito dalla nonna materna.
3.3 Orbene, a fronte di tale precisa e specifica deduzione, indirizzata ad ottenere nel giudizio di appello una rinnovazione ovvero un supplemento di C.t.u., come tali volte ad esprimere un approfondimento, all’attualità, delle condizioni psicofisiche della madre e del possibile recupero delle sue capacità genitoriali, la Corte di appello - come correttamente denunciato dalle ricorrenti - non ha in alcun modo replicato, argomentando, solo genericamente, sulla non necessità del richiesto supplemento istruttorio, stante la completezza delle acquisizioni probatorie già intervenute nel giudizio di primo grado.
A tale affermazione le ricorrenti replicano che occorreva invero aggiornate gli approfondimenti tecnico-peritali all’attualità, in ragione dei documentati miglioramenti delle condizioni di salute della madre e del complessivo miglioramento della situazione di vita familiare di quest’ultima. L’obiezione coglie nel segno.
3.4 Sul punto è necessario ricordare che, secondo la costante giurisprudenza espressa da questa Corte di legittimità, in tema di adozione del minore, il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo conto della positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale da parte dei genitori (Sez. 1, Sentenza n. 24445 del 01/12/2015; n. 8877/ 2006; n. 10706 del 2010).
3.4 Ebbene, tale valutazione - che, secondo i principi sopra ricordati (e qui di nuovo riaffermati), deve necessariamente essere svolta in termini di attualità – è completamente mancata nel caso di specie da parte della Corte di merito che ha affidato il suo convincimento agli approfondimenti peritali sulle condizioni della madre svolti ben quattro anni prima, senza tenere in alcuna considerazione la documentazione medica ed assistenziale puntualmente versata in atti nel giudizio di appello, a dimostrazione del miglioramento delle condizioni di salute e di vita della D. e della positiva volontà di quest’ultima di recupero del rapporto genitoriale con la minore.
3.5 Va ancora ricordato che, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, ai fini dell'accertamento dello stato di abbandono quale presupposto della dichiarazione di adottabilità, non basta che risultino insufficienze o malattie mentali, anche permanenti, o comportamenti patologici dei genitori, essendo necessario accertare la capacità genitoriale in concreto di ciascuno di loro, a tal fine verificando l'esistenza di comportamenti pregiudizievoli per la crescita equilibrata e serena dei figli e tenendo conto della positiva volontà dei genitori di recupero del rapporto con essi (Sez. 1, Sentenza n. 7391 del 14/04/2016; Sez. 1 - , Ordinanza n. 3059 del 01/02/2022 ; Cass. n. 11758/2014; Cass. n. 24445/2015).
Ne consegue che, nel caso in esame, occorrerà rileggere da parte della Corte territoriale la vicenda sopra descritta alla luce dei principi già enunciati da questa Corte di legittimità nei precedenti da ultimo menzionati e qui di nuovo riaffermati.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.