Il giudizio era stato originato...
Svolgimento del processo
1. L'Agenzia delle Entrate accertava nei confronti della (omissis) s.r.l. in liquidazione, per l'anno 2007, ai sensi dell'art. 41 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, un reddito di € 167.456,00, a seguito di verifica dello status di società non operativa di cui all'art. 30 della L. n. 724 del 1994, da assoggettare a IRES ed IRAP.
La contribuente impugnava il provvedimento insistendo per l'annullamento dell'atto di accertamento e, in via di subordine, per il riconoscimento dell'eccedenza IRES risultante da precedente dichiarazione.
La Commissione tributaria provinciale di Caltanissetta accoglieva il ricorso, ritenendo che nella fattispecie ricorressero oggettive situazioni che avevano impedito il conseguimento di ricavi e del reddito nella misura minima prevista dalla disciplina antielusiva; in particolare la società era stata posta in liquidazione nell'anno 1997 e da allora non aveva perseguito alcuna attività di impresa, tranne quella di liquidare i creditori e di realizzare un eventuale dividendo del patrimonio.
2. Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello l'Agenzia delle Entrate.
All'esito della costituzione di (omissis) S.r.l. in liquidazione, la Commissione tributaria regionale respingeva l'appello, osservando che i giudici di primo grado avevano tenuto in considerazione la situazione reale della Società, non contraddetta dall'Ufficio, che aveva fondato l'applicazione della presunzione di reddito esclusivamente sulle risultanze del test di operatività di cui all'art. 30 della L. n. 724 del 1994.
3. Contro la decisione d'appello l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, con un unico articolato motivo.
La (omissis) s.r.l. in liquidazione è rimasta intimata, non avendo svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Con l'unico motivo, rubricato "Violazione e falsa applicazione dell'art. 30 della L. n. 724 del 1994 e dell'art. 2697 cod. civ. la ricorrente lamenta l'errar in iudicanda nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la CTR ha ritenuto l'esistenza di situazioni oggettive idonee a determinare la disapplicazione della disciplina in questione, contestando che le circostanze addotte dalla società contribuente fossero idonee a dimostrare in modo oggettivo l'impossibilità del verificarsi degli effetti elusivi, come previsto dall'art. 37-bis, comma 8, d.P.R. n. 600 del 1973.
2. Questa Corte ha più volte precisato che il legislatore, con la L. n. 724 del 1994, art. 30 ha inteso disincentivare la costituzione di società "di comodo", ovvero il ricorso all'utilizzo dello schema societario per il raggiungimento di scopi eterogenei rispetto alla normale dinamica degli enti collettivi commerciali (come quello, proprio delle società c.d. di mero godimento, dell'amministrazione dei patrimoni personali dei soci con risparmio fiscale) (ex multis, Cass. 27/1/2023, n. 2636; Cass. 13/05/2021, n. 12862; Cass. 24/02/2021, n. 4946; Cass. 13/5/2015, n. 21358; Cass. 28/9/2017, n. 26728; in questo senso cfr. la Circolare dell'Agenzia delle entrate n. 5/E del 2 febbraio 2007).
Si è detto, quindi, che "Il disfavore dell'ordinamento per tale incoerente impiego del modulo societario - ricavabile, oltre che dalla disciplina fiscale antielusiva, dal più generale divieto, desumibile dall'art. 2248 c.c., di regolare la comunione dei diritti reali con le norme in materia societaria - trova spiegazione nella distonia tra l'interesse che la società di mero godimento è diretta a soddisfare e lo scopo produttivo al quale il contratto di società è preordinato." (Cass. 4/02/2021, n. 4946, cit.).
La L. n. 724 del 1994, art. 30 ha, dunque, la finalità di contrastare la diffusione di società anomale, utilizzate quale involucro per il perseguimento di finalità estranee alla causa contrattuale, spesso prive di un vero e proprio scopo lucrativo e talvolta strutturalmente in perdita, al fine di eludere la disciplina tributaria (Cass. 23/11/2021, n. 36365, richiamata e citata anche da Cass. 18/01/2022, n. 1506).
L'effetto deterrente perseguito muove dalla determinazione di standard minimi di ricavi e proventi, correlati al valore di determinati beni aziendali. In particolare, secondo la L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1 una società si considera non operativa se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un determinato ricavo figurativo, calcolato, attraverso il test di operatività, applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli asset patrimoniali intestati alla società. Il mancato raggiungimento di tale soglia - considerato dal legislatore sintomatico della non operatività della società (cfr., ex multis, Cass. 24/2/2020, n. 4850) - fonda quindi una presunzione legale relativa di non operatività, basata sulla massima di esperienza secondo cui, di regola, non vi è effettività di impresa senza una continuità minima nei ricavi (Cass. Sez. 5, 10/3/2017, n. 6195, in motivazione).
2.3. Come è stato già chiarito da questa Corte, "Il mancato raggiungimento degli standard minimi di ricavi di cui al primo comma del ridetto art. 30, riconducibili agli assetti patrimoniali della struttura societaria, funge da elemento sintomatico di selezione ed individuazione degli enti non operativi (Cass. 24/02/2020, n. 4850). Il mancato superamento della "soglia di operatività" costituisce dunque presunzione legale, relativa, della natura non operativa della società contribuente e comporta, pertanto, l'applicazione della disciplina antielusiva.
2.4. In tale contesto, il contribuente può vincere la presunzione dimostrando all'Amministrazione - attraverso l'interpello finalizzato alla disapplicazione delle disposizioni antielusive, ovvero in giudizio, nel caso di contrasto - le oggettive situazioni che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito determinato secondo i predetti parametri normativi (Cass. 23/05/2022, n. 16472, cit.).
L'onere della prova contraria deve essere inteso "non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni di mercato" (Cass. 20/06/2018 n. 16204; Cass. 12/02/2019, n. 4019; Cass. 5/04/12/2019, n. 31626; Cass. 1/02/2019, n. 3063; Cass. 28/05/2020, n. 10158). E' stato peraltro escluso che, attraverso il meccanismo della presunzione relativa e dell'onere della prova contraria gravante sul contribuente, si pervenga ad un mero sindacato di merito del giudice sulle scelte imprenditoriali, rilevando che "In tema di società di comodo, non sussistono le oggettive situazioni di carattere straordinario, che rendono impossibile il superamento del test di operatività, ex art. 30, comma 4-bis, della L. n. 724 del 1994, nella versione all'epoca vigente, nell'ipotesi di totale assenza di pianificazione aziendale da parte degli organi gestori della società o di completa "inettitudine produttiva", gravando sull'imprenditore, anche collettivo, - ai sensi dell'art. 2086, comma 2 c.c., come modificato dall'art. 375 c.c.i., in coerenza con l'art. 41 Cost. - l'obbligo di predisporre i mezzi di produzione nella prospettiva del raggiungimento del lucro obiettivo e della continuità aziendale. Sicché in tal caso, il sindacato del giudice non coinvolge le scelte di merito dell'imprenditore, attenendo alla verifica del corretto adempimento degli obblighi degli amministratori e dei sindaci, con riduzione dell'operatività della "business judgement rule", sempre valutabile, sotto il profilo tributario, per condotte platealmente antieconomiche." (Cass. 23/11/2021, n. 36365).
Inoltre, con riferimento alla presunzione legale relativa di non operatività, l'onere probatorio può essere assolto non solo dimostrando che, nel caso concreto, l'esito quantitativo del test di operatività è erroneo o non ha la valenza sintomatica che gli ha attribuito il legislatore, giacché il livello inferiore dei ricavi è dipeso invece da situazioni oggettive che ne hanno impedito una maggior realizzazione; ma anche dando direttamente la prova proprio di quella circostanza che, nella sostanza, dal livello dei ricavi si dovrebbe presumere inesistente, ovvero dimostrando la sussistenza di un'attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale, e dunque l'operatività reale della società (cfr. Cass. 24/02/2021, n. 4946, cit., in motivazione; Cass. 28/09/2021, n. 26219, in motivazione).
2.5. In forza di queste considerazioni si è già affermato che la prova contraria da parte del contribuente deve risolversi nell'offerta di elementi di fatto consistenti in "situazioni oggettive di carattere straordinario", "indipendenti dalla volontà del contribuente", che rendano "impossibile conseguire il reddito presunto avuto riguardo alle effettive condizioni del mercato" (Cass. 3/03/2023, n. 6459; Cass. 23/11/2021, n. 36365; Cass. 12/02/2019, n. 4019; Cass. 20/06/2018 n. 16204) e che, pertanto, facciano desumere "l'erroneità dell'esito quantitativo del test di operatività, ovvero la sussistenza di un'attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale e, dunque, l'operatività reale della società" (Cass. 23/05/2022, n. 16472).
3. Richiamati così i termini della questione, va rilevato che l'Amministrazione ha denunziato l'inidoneità dei fatti presi in considerazione dai giudici d'appello a fondare la valutazione di sussistenza dei presupposti per il superamento della presunzione relativa.
La ricorrente, pertanto, ha sollecitato un sindacato sotto la specie della falsa applicazione della norma di diritto evocata, in particolare denunziando un vizio di sussunzione, consistito nella valorizzazione, da parte della sentenza impugnata, di fatti che non potevano giustificare le conseguenze giuridiche che essa ne ha invece tratte, così da erroneamente sussumerli, per l'appunto, sotto la fattispecie ritenuta operante.
Un tale sindacato non si traduce nella richiesta di una rivalutazione dei fatti già apprezzati nel giudizio di merito, che in questa sede non sarebbe consentita.
Al contrario, e come da tempo afferma la giurisprudenza di questa Corte, fa parte del sindacato di legittimità, riferibile al paradigma di cui all'art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. Civ., il controllare se la fattispecie concreta come ricostruita dal giudice di merito (e, dunque, senza che si debba procederne ad un nuovo apprezzamento) sia stata da questi correttamente ricondotta alla fattispecie giuridica astratta individuata come idonea a dettarne la disciplina (v., fra le altre, Cass. n. 21772/2019; Cass. n. 13747/2018).
3.1. Così inquadrato il nucleo della doglianza, va osservato che la C.T.R., individuati i fatti posti a fondamento dell'istanza della società contribuente, ne ha ritenuta l'idoneità a vincere la presunzione relativa sul rilievo del fatto che essi rendevano impossibile il conseguimento del volume minimo di ricavi.
3.2. L'impianto argomentativo della sentenza di appello si concentra sui seguenti assunti: che lo stato di liquidazione fosse di per sé sia idoneo a superare la presunzione di non operatività, senza considerare che si protraeva da quasi dieci anni, e che pertanto l'obsolescenza degli impianti fosse conseguente comunque a scelte della società, incapace in questo lungo lasso di tempo di definire i rapporti pendenti; che la previa domanda d'interpello disapplicativo dimostrasse la buona fede della società, senza considerare che essa comunque è sottoposta al previo vaglio dell'autorità onde verificarne la sussistenza delle condizioni idonee a determinarne l'accoglimento. I giudici d'appello hanno dunque ritenuto, al fine di vincere la presunzione relativa di operatività della società di comodo, sufficiente che quest'ultima desse prova dell'esistenza di fatti oggettivamente idonei a rendere impossibile il conseguimento del volume minimo di ricavi, pur trattandosi, quindi, anche di circostanze aventi natura soggettiva, e come tali - almeno potenzialmente -
riconducibili a una scelta dello stesso imprenditore.
3.3. Così decidendo, pertanto, i giudici di appello non si sono attenuti ai principii più sopra evidenziati, che dettano il contenuto della prova contraria alla quale è ammesso il contribuente gravato dalla presunzione di cui all'art. 30, comma 1, della legge n. 724 del 1994; principii che, conviene ribadirlo, impongono che l'obbiettività della situazione investa anche i profili intrinseci della stessa, e non solo la sua attitudine ad impedire lo svolgimento dell'attività sociale (Cass. 3/03/2023, n. 6459, cit.).
4. Può, al riguardo, nella presente controversia avente ad oggetto l'anno d'imposta 2007, in relazione alla quale è venuta meno la previgente locuzione "di carattere straordinario", affermarsi il seguente principio di diritto: «in tema di società non operative, il contribuente può superare la presunzione relativa di non operatività di cui all'art. 30 della l. n. 724 del 1994 dando prova dell'esistenza di situazioni oggettive, indipendenti dalla sua volontà, da valutarsi in relazione alle effettive condizioni del mercato; l'affermazione, da parte del giudice di merito, dell'idoneità o meno dei fatti accertati, ove incontroversi, ad integrare siffatta ipotesi può essere oggetto di sindacato per vizio cd. di sussunzione - riconducibile al paradigma di cui all'art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ.».
5. Sulla base di tali considerazioni, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice a qua, affinché, decidendo in diversa composizione, proceda al riesame in conformità all'indicato principio, provvedendo altresì sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, anche per le spese del giudizio di legittimità.