
La disciplina della società non operative si articola su due livelli. In primis, è necessario che la società non superi il cd. test di operatività fissato dall'art. 30 L. n. 724/1994, il quale costituisce presunzione legale; il secondo livello prevede, invece, la presunzione di un reddito minimo, che viene determinato in rapporto al valore dei beni della società, ai quali sono applicati altri coefficienti.
A seguito di richiesta di chiarimenti in merito al mancato adeguamento della società al reddito minimo previsto per le società “di comodo”, l'Agenzia delle Entrate provvedeva a rettificare in aumento il reddito dichiarato per l'anno di imposta 2012.
La controversia giunge in Cassazione, dove i soci e la società presentavano due distinti ricorsi, poi riuniti, in cui che i giudici di merito avrebbero erroneamente ritenuto applicabile la disciplina delle società non operative al caso di specie.
Affermano in particolare che «la necessità, per la società che superi il cd. "test di operatività"
In via preliminare, la Cassazione fa una sintetica ricognizione del quadro normativo applicabile, da cui è possibile desumere che la disciplina opera su due diversi livelli. Ad un primo livello, fornisce la definizione di non operatività degli enti (c.d. test di operatività), attraverso un confronto tra i proventi derivanti dall'attività d'impresa, emergenti dalla contabilità, e quelli individuati applicando specifici coefficienti al valore dei beni immobili, delle partecipazioni e delle altre immobilizzazioni della società; ad un secondo livello, per i soggetti che non hanno superato il test, fa scattare la presunzione di un reddito minimo, che viene determinato in rapporto al valore dei beni della società, ai quali sono applicati altri coefficienti.
Spetta al contribuente provare l'impossibilità, per situazioni oggettive, di conseguire il reddito presunto secondo il meccanismo di determinazione di cui all'art. 30 cit.. In tema di prova contraria, la Cassazione ha ribadito che «ogni situazione in grado di giustificare la divergenza tra il quantum dichiarato dal contribuente ed il quantum determinato applicando i parametri di legge deve essere presa in considerazione al fine di verificare il superamento delle presunzioni di legge. La caratteristica di «oggettività» delle situazioni che il contribuente può far valere, nella ratio del comma 4-bis dell'art. 30, non ha, infatti, la funzione di distinguere tra cause esterne, che si impongono al soggetto, e cause che derivano (anche solo in parte) da libere determinazioni di quest'ultimo, ma quella di richiedere che quest'ultimo sia in grado di dimostrare oggettivamente la non fittizietà di quanto dichiarato».
Passando al caso in esame, si evince che la CTR si è conformata ai predicati principi, laddove ha ritenuto non rilevante, ai fini della prova contraria, la risoluzione del contratto di locazione di un complesso immobiliare locato dalla società ricorrente ad una s.r.l., che aveva determinato una contrazione dei ricavi della prima. Per questi motivi, la Cassazione rigetta il ricorso con ordinanza n. 3090 del 7 febbraio 2025.
Corte di Cassazione, sez. Tributaria, ordinanza (ud. 22 gennaio 2025) 7 febbraio 2025, n. 3090
Svolgimento del processo
1. In data 6 novembre 2017 veniva notificato alla V. S.a.s., società di cui erano soci S.V. al 60%, M.B. al 30% e M.V. al 10%, l'invito n. 102321/2017 per l'anno d'imposta 2012, con il quale venivano chiesti chiarimenti in merito al mancato adeguamento della società al reddito minimo previsto per le società "di comodo".
1.1. Si svolgevano, quindi, due incontri tra i funzionari dell’Agenzia delle entrate - Direzione Provinciale di Bologna e i delegati della società.
1.2. A seguito dei colloqui, in data 15 dicembre 2017 l'Agenzia notificava l'avviso di accertamento per l'anno 2012, con il quale provvedeva a rettificare in aumento - secondo la disciplina propria della società non operative - il reddito dichiarato per l'anno d'imposta 2012 da cui derivavano: - per la società V. S.a.s. maggiori imposte a titolo di Irap per euro 3.179,00; per i soci S.V., M.B. e M.V., i maggiori redditi tassati per trasparenza in ragione delle quote di partecipazione.
1.3. Società e soci ricorrevano avverso i rispettivi avvisi dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Bologna che, pur non provvedendo alla riunione, con coeve decisioni rigettava i ricorsi; quindi, la CTR dell’Emilia-Romagna, pur non provvedendo alla riunione, con le parimenti coeve sentenze, indicate in epigrafe, rigettava gli appelli dei contribuenti.
1.4. Avverso le predette sentenze hanno proposto speculari ricorsi, sorretti da due identici motivi, la società ed i soci e ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorsi di contenuto, parimenti, sovrapponibile.
1.5. Nel ricorso R.G.N. 17091/2021, in data 14/12/2021 .M.V. e S.V., nella affermata qualità di eredi di M.B., deceduta successivamente alla notificazione del ricorso per cassazione, si sono costituiti per la prosecuzione del giudizio.
1.6. Nei ricorsi R.G.N. 17107/2021, R.G.N. 17111/2021 ed R.G.N.
17129/2021 i ricorrenti hanno depositato memorie illustrative ex art. 380-bis.1 c.p.c., nel ricorso n. R.G.N. 17107/2021 ha depositato memoria illustrativa anche la Difesa erariale.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente, occorre disporre la riunione al presente ricorso, proposto dalla socia M.B., con intervento degli eredi M.V. e S.V., dei ricorsi proposti dalla società V. SRL, già V. S.a.s. (R.G.N. 17111/2021), e dai restanti soci, in proprio, M.V. (R.G.N. 17107/2021), e S.V. (R.G.N. 17129/2021), in quanto relativi al maggior reddito societario accertato ed al maggior reddito di partecipazione conseguentemente imputato ex art. 5 Tuir ai soci di società di persone.
1.1. Contestualmente, si rileva che il contraddittorio è comunque integro in ragione della riunione disposta in data odierna, in quanto sia avanti alla CTP (le cui sentenze sono coeve e portano numeri consecutivi), sia avanti alla CTR (come emerge dalla lettura delle sentenze impugnate) le cause sono state trattate in unico contesto e dal medesimo collegio giudicante, con conseguente attuazione di quel litisconsorzio sostanziale sulla cui legittimità si è già soffermata più volte la giurisprudenza di questa Corte in materia tributaria (cfr. Cass. n. 29843 del 13/12/2017; Cass. n. 3830 del 18/02/2010; in esatti termini v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21658 del 2021).
1.2. In tale ipotesi, infatti, il rinvio al giudice di primo grado non è giustificato dalla necessità di salvaguardare il contraddittorio e si porrebbe in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo (Cass. n. 3789 del 15/02/2018, di recente richiamata da Cass. n. 10580 del 18/04/2024).
2. Con il primo comune motivo di ricorso si denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 37 bis, comma 4, del d.p.r. n. 600/1973, lamentandosi la mancata applicazione della disciplina del contraddittorio prevista per l’accertamento delle condotte abusive contemplate dalla richiamata disposizione.
2.1. Il motivo, come da eccezione dell’Amministrazione resistente, è inammissibile per novità, avendo ad oggetto una censura mai proposta nei gradi di merito.
2.2. In tema di contraddittorio preventivo, per il vero, è incontestato che i ricorsi di primo grado contenessero una censura relativa alla violazione del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, L. 212/2000 ma, anche trascurando la evidente differenza di oggetto rispetto a quanto oggetto del motivo di ricorso, tale contestazione non risulta comunque essere stata riproposta in appello, come da espressa affermazione dei contribuenti che, nei ricorsi, come peraltro riportato nelle sentenze gravate, danno atto di avere impugnato le decisioni della CTP «per i seguenti motivi: 1. Erroneità della decisione per illegittimo richiamo alle società di capitali; 2. Nullità della sentenza per vizio di motivazione; 3. Effettivo svolgimento dell'attività economica; 4. Mancata motivazione da parte dell'Agenzia delle Entrate.» (ricorsi, p. 3).
2.3. È orientamento consolidato di questa Corte che «Nel processo tributario, caratterizzato dall'introduzione della domanda nella forma della impugnazione dell'atto tributario per vizi formali o sostanziali, l'indagine sul rapporto sostanziale non può che essere limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell'Amministrazione che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado, con la conseguenza che, ove il contribuente deduca specifici vizi di invalidità dell'atto impugnato, il giudice deve attenersi all'esame di essi e non può, ex officio, annullare il provvedimento impositivo per vizi diversi da quelli dedotti, anche se risultanti dagli stessi elementi acquisiti al giudizio, in quanto tali ulteriori profili di illegittimità debbono ritenersi estranei al thema controversum, come definito dalle scelte del ricorrente. L'oggetto del giudizio, come circoscritto dai motivi di ricorso, può essere modificato solo nei limiti consentiti dalla disciplina processuale e, cioè, con la presentazione di motivi aggiunti, consentita però, ex art. 24 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel solo caso di “deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione"» (tra le molte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19337 del 22 settembre 2011).
2.4. Il Collegio ritiene altresì di dare seguito al principio di diritto per cui «Nel processo tributario d'appello, la nuova difesa del contribuente, ove non sia riconducibile all'originaria causa petendi e si fondi su fatti diversi da quelli dedotti in primo grado, che ampliano l'indagine giudiziaria ed allargano la materia del contendere, non integra un'eccezione ma si traduce in un motivo aggiunto e, dunque, in una nuova domanda, vietata ai sensi degli artt. 24 e 57 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546» (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13742 del 3 luglio 2015; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32390 del 3 novembre 2022).
3. Con il secondo comune motivo di ricorso si denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 30 della legge n. 724/1994.
3.1. Deducono i ricorrenti che i giudici di merito avrebbero erroneamente ritenuto applicabile la disciplina delle società non operative al caso di specie.
Affermano in particolare che la necessità, per la società che superi il cd. "test di operatività" ex art. 30, comma 1, L. 724/1994, di dimostrare la "presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi”, come previsto dall'art. 30, comma 4bis, della L. 724/1994, assumerebbe rilevanza solo nei rapporti tra contribuente ed Amministrazione in sede di interpello, mentre, in sede di contenzioso, il contribuente potrebbe avanzare ogni argomentazione ritenuta utile per dimostrare lo svolgimento di un'effettiva attività economica della società.
4. È opportuno premettere all’esame del motivo una sintetica ricognizione del quadro normativo applicabile.
4.1. L'applicazione della disciplina delle società di comodo è subordinata all'esito negativo di un test basato su specifici coefficienti matematici, finalizzato ad accertare la condizione di non operatività. Detta ultima si ritiene sussistente quando l'ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi ordinari, imputati al conto economico, è inferiore a quello dei ricavi figurativi. Si tratta, dunque, di una mera operazione matematica incentrata sull'applicazione di un coefficiente stabilito per legge sul valore di taluni cespiti. La determinazione dell'imponibile è effettuata sulla base di precisi criteri di legge, che escludono qualsiasi discrezionalità deduttiva, imponendosi sia in sede di accertamento, sia di determinazione giudiziale, salva la prova contraria da parte del contribuente. Dal possesso di alcuni beni, che costituisce il fatto noto, si risale al reddito, che rappresenta il fatto ignoto, ascrivibile al contribuente (Cass. 23/11/2021, n. 36365; Cass.05/07/2016, n. 13699).
4.2. Il mancato superamento della c.d. soglia di operatività fissata dall’art. 30 costituisce presunzione legale, relativa, della natura non operativa della società contribuente particolare, al ricorrere della presunzione sancita dall'art. 30, comma 1, cit. il legislatore correla, con il comma 3, una seconda presunzione, anch'essa relativa, di reddito minimo fondata su coefficienti medi di redditività degli elementi patrimoniali di bilancio (Cass. 24/01/2022, n. 1898).
La disciplina, pertanto, opera su due diversi livelli. Ad un primo livello, fornisce la definizione di non operatività degli enti (c.d. test di operatività), attraverso un confronto tra i proventi derivanti dall'attività d'impresa, emergenti dalla contabilità, e quelli individuati applicando specifici coefficienti al valore dei beni immobili, delle partecipazioni e delle altre immobilizzazioni della società; ad un secondo livello, per i soggetti che non hanno superato il test, fa scattare la presunzione di un reddito minimo, che viene determinato in rapporto al valore dei beni della società, ai quali sono applicati altri coefficienti (Cass. n. 1898 del 2022 cit.).
4.3. Come detto, il contribuente ai sensi dell’art. 30, comma 4-bis, può provare, con onere a suo carico, l'impossibilità, per situazioni oggettive, di conseguire il reddito presunto secondo il meccanismo di determinazione di cui all'art. 30 cit. Se, invece, ricorre una delle situazioni di impossibilità oggettiva predeterminate dal Direttore dell’Agenzia delle entrate con il provvedimento di cui al successivo comma 4-ter, il contribuente può invocare la disapplicazione automatica.
4.4. Sempre in tema di prova contraria, si è chiarito che l'onere probatorio può essere assolto dal contribuente non solo dimostrando che, nel caso concreto, l'esito quantitativo del test di operatività è erroneo o non ha la valenza sintomatica che gli ha attribuito il legislatore, giacché il livello inferiore dei ricavi è dipeso invece da situazioni oggettive che ne hanno impedito una maggior realizzazione; ma anche dando direttamente la prova proprio di quella circostanza che, nella sostanza, dal livello dei ricavi si dovrebbe presumere inesistente, ovvero dimostrando la sussistenza di un'attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale, e dunque l'operatività reale della società (cfr. Cass. 23/05/2022, n. 16472 Cass. Cass.2/09/2021, n. 26219, Cass. 24/02/2021, n.
4946, cit., in motivazione). Tale conclusione, infatti, è coerente con la formula «salvo prova contraria», inserita già nell'art. 30, comma
1 (applicabile ratione temporis), a prescindere dal successivo comma 4-bis, ed appare logicamente indotta anche dalla considerazione che, se è rilevante la prova contraria rappresentata dalla necessaria dimostrazione della carenza indiziaria degli elementi sintomatici (l'esito quantitativo del test) sui quali la presunzione legale di un fatto (l'inoperatività della società) si fonda, non può non essere rilevante anche la prova contraria che dimostri proprio l'inesistenza dello stesso fatto presunto (ovvero che provi l'operatività della società e l'effettività dell'impresa) (Cass. n. 16472 del 2022, cit.).
4.5. Sul punto questa Corte ha chiarito che la prova contraria che il contribuente è tenuto a fornire deve essere intesa non in termini assoluti, quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni di mercato (Cass. 14/06/2024, n. 16600, Cass. 16/05/2023, n. 13328, Cass. 20/06/2018 n. 16204; Cass. 12/02/2019, n. 4019; Cass. 05/04/12/2019, n. 31626; Cass. 01/02/2019, n. 3063; Cass. 28/05/2020, n. 10158).
4.6. La stessa può riguardare, oltre che il mancato raggiungimento della soglia di operatività, anche il reddito minimo presunto normativamente, ben potendo la società evidenziare le circostanze che hanno impedito il raggiungimento della soglia minima di componenti presuntivi e che, pertanto, giustificano la minore entità di componenti positivi dichiarati e risultanti dalla contabilità, nonché contestare le ulteriori presunzioni poste dalla normativa, indicando eventuali condizioni che hanno reso impossibile conseguire l'imponibile minimo (in tal senso, anche la circolare dell'Agenzia delle entrate n. 5/E del 2007).
4.7. Ne consegue che «ogni situazione in grado di giustificare la divergenza tra il quantum dichiarato dal contribuente ed il quantum determinato applicando i parametri di legge deve essere presa in considerazione al fine di verificare il superamento delle presunzioni di legge. La caratteristica di «oggettività» delle situazioni che il contribuente può far valere, nella ratio del comma 4-bis dell'art. 30, non ha, infatti, la funzione di distinguere tra cause esterne, che si impongono al soggetto, e cause che derivano (anche solo in parte) da libere determinazioni di quest'ultimo, ma quella di richiedere che quest'ultimo sia in grado di dimostrare oggettivamente la non fittizietà di quanto dichiarato» (Cass. 23/05/2022, n. 16472, Cass. 13/05/2021, n. 12862; di recente, v. Cass. 28/11/2024, n. 30607).
5. La CTR, nelle sentenze impugnate, si è conformata ai predicati principi, laddove ha ritenuto non rilevante, ai fini della prova contraria, la risoluzione del contratto di locazione di un complesso immobiliare locato dalla V. S.a.s. alla Verniciatura Bolognese SRL, società riconducibile alla Famiglia V., sostituito con un contratto di comodato gratuito, che aveva determinato una contrazione dei ricavi della V. S.a.s. Ciò in quanto, osserva la CTR con valutazione di merito in questa sede non sindacabile, la prospettazione della ricorrente contrasta con il fatturato della (omissis) SRL, i cui ricavi negli anni 2010 e 2011 erano stati di poco inferiori a quelli degli anni precedenti, situazione che, in termini economici, non giustificava la concessione gratuita del complesso immobiliare.
6. In conclusione, i ricorsi riuniti devono essere rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, previa riunione, rigetta i ricorsi riuniti.
Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese dei giudizi riuniti di legittimità, che liquida in euro 3.400,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.