Respinto il ricorso del legale, anche docente in materie giuridiche all'Università, che aveva chiesto il beneficio all'INPS e successivamente l'integrazione alla Cassa Forense. Per la Cassazione, grava sul professionista l'onere di informarsi sul trattamento più favorevole anche prima del verificarsi dell'evento.
Il Tribunale di Bari accoglieva la domanda di un avvocato, anche docente in materia giuridiche all'Università, diretta ad ottenere la condanna di Cassa Forense al pagamento di una somma a titolo di differenza sull'indennità maturata, detratte le somme già erogate dall'INPS a tale titolo.
Di senso opposto la decisione...
Svolgimento del processo
Con sentenza del giorno 3.10.2017 n. 2050, la Corte d'appello di Bari accoglieva l'appello principale proposto dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense (in seguito, per brevità Cassa) avverso la sentenza del tribunale di Bari che aveva accolto la domanda subordinata di AR volta a chiedere la somma di € 11.975,56 a titolo di differenze sulla indennità di maternità maturata, già detratte le somme erogate dall'Inpdad a tale titolo. Restava conseguentemente assorbito l'appello incidentale spiegato dalla lavoratrice, volto a chiedere una pronunzia di condanna "integrale" della Cassa "condizionata" al rimborso da parte della stessa R della somma di € 8.375,11 e percepita dall'Università di Bari (peraltro non evocata in giudizio).
La Corte d'appello, da parte sua, a sostegno dei propri assunti di accoglimento del gravame della Cassa, ritenendo che la finalità della normativa e quella di evitare il cumulo di prestazioni da parte di più enti previdenziali per lo stesso evento (cioè, la situazione di maternità), ha ritenuto irrilevante che la lavoratrice abbia in concreto subito una riduzione del tenore di vita precedentemente goduto in quanto destinataria del solo trattamento indennitario erogato dall'Università, ciò, in quanto era stata la stessa ricorrente a non aver correttamente optato per il trattamento offerto dalla Cassa forense; infatti, incombeva sulla R l'onere di informarsi sul trattamento più favorevole, anche prima del verificarsi dell'evento.
Avverso la sentenza della Corte d'appello, AR ricorre per cassazione, sulla base di due motivi, illustrati da memoria, mentre la Cassa forense resiste con controricorso anch'esso illustrato da memoria.
Il collegio riserva ordinanza, nel termine di sessanta giorni dall'adozione della decisione in camera di consiglio.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente deduce il vizio violazione di legge, in particolare, degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c., nonché degli artt. 1336 e 1370 c.c., nonché dell'art. 71 comma 2 del d.lgs. n. 151/01 (con riferimento alla dichiarazione ivi prevista), in relazione all'art. 360 primo comma n. 3 c.p.c i perché la Corte d'appello, aveva osservato che la ricorrente non aveva autocertificato l'inesistenza del diritto a percepire l'indennità di maternità erogabile alle lavoratrici autonome e dipendenti da altro Ente, quando in effetti, tale dichiarazione non le era stata richiesta dalla Cassa, in sede di compilazione del modulo standard.
Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, degli artt.1175, 1375 e 2729 c.c., in relazione all'all'art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., in quanto, erroneamente la Corte d'appello aveva preso in considerazione esclusivamente la condotta dell'iscritta, rilevandone la carenza di informazione ed ipotizzando comportamenti omissivi che, invece, la stessa avrebbe dovuto tenere, senza valutare la condotta contrattuale della Cassa forense e il modo in cui aveva predisposto la modulistica e la conseguenziale gestione del rapporto previdenziale, attraverso i parametri di buona fede indicati in rubrica e senza valutare la violazione dell'obbligo di informazione che la Cassa avrebbe dovuto rispettare nei confronti della ricorrente, che aveva affrontato il lungo iter amministrativo per ottenere da essa l'indennità di maternità.
Il primo motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “In materia di indennità per maternità erogata dalla Cassa forense, ai sensi del combinato disposto di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 71 del d.lgs. n. 151 del 2001, va escluso il diritto al cumulo di prestazioni da parte di diversi enti previdenziali in relazione allo stesso evento, ovvero la situazione di maternità, in quanto il diritto alla suddetta prestazione è riconosciuto, indipendentemente dall'effettiva astensione dall'attività, a condizione che la lavoratrice proponga la relativa istanza, documenti idoneamente lo stato di gravidanza e la data presunta del parto ed attesti con dichiarazione "ad hoc", quale requisito essenziale per l'erogazione, l'inesistenza di altro trattamento di maternità come lavoratrice pubblica o autonoma" (Cass. n. 27224/17, nn. 515/18, 15072/13).
Nella specie, è pacifico che l'assicurata avesse percepito altro trattamento di maternità da parte dell'Università di Bari presso cui era dipendente, né può avere rilievo la "poca chiarezza" della modulistica fornita dalla Cassa forense alla ricorrente, atteso che il provvedimento di reiezione della Cassa forense fa espresso riferimento all'art. 71 comma 2 del d.lgs. n. 151/01, norma, questa, che il profilo giuridicamente qualificato dell'interessata (docente in materie giuridiche e avvocato) le consentiva di ben comprendere. Pertanto, la Corte territoriale ha correttamente applicato il principio del divieto di cumulo di più indennità di maternità, così che la lavoratrice che svolga due (o più) attività lavorative deve fare la sua scelta ed optare per la tutela offerta da un solo ente di previdenza al momento della presentazione della domanda amministrativa, i quali enti pur se concretamente erogano benefici diversi si prefiggono la medesima protezione economica dello stato di gravidanza e puerperio attraverso la garanzia della retribuzione, pur in assenza del corrispondente obbligo di fornire la prestazione lavorativa.
Il secondo motivo è inammissibile, perché la critica di violazione del regime delle presunzioni e degli oneri di allegazione, deduzione e prova e il rispetto del principio di buona fede sono di competenza esclusiva del giudice del merito, incensurabili in cassazione, se non in ristretti imiti non ricorrenti nella specie (Cass. n. 27000/16).
Il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo già versato a titolo di contributo unificato, ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a pagare alla CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA FORENSE le spese di lite che liquida in € 2.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.