Secondo la Corte costituzionale, durante i colloqui tra detenuti e familiari minori d'età, il regime del 41-bis non impone sempre l'utilizzo del vetro divisorio “a tutta altezza”.
Infatti, secondo il Palazzo della Consulta, qualora ci si trovi in presenza di una disposizione di legge che indichi con chiarezza l’obiettivo di impedire il passaggio di oggetti durante i colloqui tra i detenuti al 41-bis e i loro familiari, occorre tenere presente che tale obiettivo può essere raggiunto tramite svariate soluzioni, che vanno necessariamente adeguate alla situazione concreta, tenendo conto sia dei diritti del detenuto, sia di quelli del familiare minorenne.
Con la sentenza n. 105, pubblicata il 26 maggio 2023, i Giudici della Corte costituzionale hanno dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto, sull’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), ord. pen., che impone che i colloqui del detenuto in regime differenziato, anche con i familiari minori d’età, avvengano sempre con l’impiego del vetro divisorio “a tutta altezza”. In particolare, il Magistrato dubitava che la disposizione violasse l’art. 27 della Costituzione, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e quella sui diritti del fanciullo.
Viene chiarito che «è possibile fornire una interpretazione costituzionalmente orientata del testo di legge, che garantisca un trattamento penitenziario non contrastante con il senso di umanità, anche a tutela del preminente interesse dei minori». Anche perché, «una disciplina che escluda totalmente la possibilità di mantenere, durante i colloqui visivi, un contatto fisico con i familiari, finanche nei confronti di quelli in età più giovane, si porrebbe in contrasto con quanto disposto dall’articolo 27 della Costituzione».
Resta comunque inteso che i colloqui rappresentano uno dei momenti a più alto rischio per l’obbiettivo perseguito dal regime detentivo differenziato, ossia quello di impedire i collegamenti degli appartenenti alle organizzazioni criminali tra loro e con i membri di queste che si trovino in libertà, pertanto, è legittimo adottare rigorose misure per impedire il passaggio di oggetti. Tuttavia, il Legislatore non specifica le soluzioni tecniche, ma si limita a richiedere che i locali destinati siano attrezzati in modo da impedire tale scambio.
Dunque, può ritenersi legittima la circolare dell’Amministrazione penitenziaria che consente colloqui senza schermatura con i familiari in linea retta minori di 12 anni, in quanto non impone una scelta rigida e non impedisce una deroga puntuale, adeguatamente motivata, alla regola del vetro divisorio, anche per i colloqui con minori ultradodicenni.
Corte costituzionale, sentenza (ud. 6 aprile 2023) 26 maggio 2023, n. 105
Svolgimento del processo
1.– Il Magistrato di sorveglianza di Spoleto, con ordinanza del 5 agosto 2022 (r.o. n. 104 del 2022), solleva questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), «nella parte in cui dispone che il colloquio visivo mensile del detenuto in regime differenziato avvenga in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti, anche quando si svolga con i figli e i nipoti in linea retta minori di anni quattordici», in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
2.– Il rimettente è investito del reclamo presentato da M. F., con il quale l’interessato ha contestato il divieto, impostogli dall’amministrazione penitenziaria in considerazione della sua sottoposizione al regime differenziato ai sensi dell’art. 41-bis ordin. penit., di svolgere colloqui visivi senza vetro divisorio con il maggiore dei suoi figli, che ha compiuto i dodici anni di età nel corso dell’anno 2021, ossia «mentre erano in vigore le restrizioni determinate dalla pandemia da COVID19».
Il reclamante ha ricordato che l’amministrazione penitenziaria consente che il detenuto in regime differenziato ex art. 41-bis svolga i predetti colloqui, in locali privi del vetro divisorio, soltanto con i figli ed i nipoti minori di dodici anni, e ha rilevato che, tuttavia, «tra il 2020 ed il 2021», queste modalità sono state sospese per l’intera popolazione carceraria, allo scopo di limitare la diffusione del contagio, sicché l’interessato «ha cessato di abbracciare il figlio» quando questi aveva dieci anni, mentre ora tale possibilità gli è preclusa, avendo il minore raggiunto l’età di dodici anni.
Sulla scorta di tali premesse, il reclamante ha chiesto la rimozione di questo limite d’età o, in subordine, almeno il riconoscimento della possibilità di fruire «eccezionalmente» di ulteriori colloqui con il figlio ormai ultradodicenne, «compensativi di quelli che non ha potuto svolgere, eventualmente fintanto che lo stesso non compia quanto meno tredici anni».
3.– Il giudice a quo chiarisce che il reclamo è stato proposto ai sensi degli artt. 35-bis e 69, comma 6, lettera b), ordin. penit. Il reclamante allega un pregiudizio grave e perdurante all’esercizio del «diritto a subire una pena non disumana», ai sensi dell’art. 27 Cost. Rivendica altresì, ai sensi dell’art. 3 Cost., il diritto – riconosciuto ai detenuti in sezioni diverse da quella a regime differenziato ai sensi dell’art. 28 ordin. penit. – a mantenere un legame, «qui innanzitutto fisico», con il proprio nucleo familiare, e segnatamente con i figli minori, come sancito dagli artt. 29, 30 e 31 Cost.
4.– In punto di fatto, espone il rimettente che – a seguito di istruttoria circa le ragioni poste a base del divieto in precedenza descritto – la direzione dell’istituto penitenziario ha comunicato di essersi attenuta a quanto previsto nella circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) del 2 ottobre 2017, n. 3676/6126, recante «Organizzazione del circuito detentivo speciale previsto dall’art. 41 bis O.P.», che disciplina «la vita all’interno delle sezioni 41 bis».
Tale atto amministrativo, in particolare, dispone all’art. 16 che: «[l]o svolgimento dei colloqui visivi avviene presso locali all’uopo adibiti, muniti di vetro a tutta altezza, tale da non consentire il passaggio di oggetti di qualsiasi specie, tipo o dimensione. Il chiaro ascolto reciproco da parte dei colloquianti sarà garantito con le attuali strumentazioni all’uopo predisposte. In una prospettiva di bilanciamento di interessi di pari rilevanza costituzionale, tra tutela del diritto del detenuto/internato di mantenere rapporti affettivi con i figli e i nipoti e quello di garantire la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, il detenuto/internato potrà chiedere che i colloqui con i figli e con i nipoti in linea retta minori di anni 12, avvengano senza vetro divisorio per tutta la durata, assicurando la presenza del minore nello spazio riservato al detenuto e la contestuale presenza degli altri familiari dall’altra parte del vetro. Detto colloquio è sottoposto a videoregistrazione ed ascolto, previo provvedimento motivato dell’A.G. Il posizionamento del minore nello spazio destinato al detenuto/internato dovrà avvenire evitando forme di contatto diretto con ogni familiare adulto. In ogni caso il predetto posizionamento e la successiva riconsegna del minore ai familiari, dovrà avvenire sotto stretto controllo da parte del personale di polizia addetto alla vigilanza, con le cautele e gli accorgimenti del caso, al fine di contemperare le esigenze di sicurezza con quelle del minore e lo stato di disagio in cui lo stesso può venirsi a trovare».
5.– Il rimettente ricostruisce il quadro giurisprudenziale in materia, ricordando come la Corte di cassazione, sezione prima penale, con sentenza 3 novembre-21 dicembre 2021, n. 46719, si sia pronunciata su «una questione largamente sovrapponibile», riconoscendo come i colloqui visivi costituiscano, in generale, un diritto fondamentale della persona detenuta al mantenimento delle relazioni familiari, al punto da non poter essere compresso neppure in caso di isolamento disciplinare e da dover essere «contemplato anche per i detenuti ristretti in regime differenziato», seppur con le limitazioni giustificate dalle esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza proprie di tale regime.
A tale ultimo proposito, e con precipuo riferimento al citato art. 16 della circolare DAP, la Corte di cassazione ne avrebbe rilevato la natura di scelta organizzativa non irragionevole, operata nell’ambito della discrezionalità pur sempre riconosciuta all’amministrazione al fine di operare un «prudente contemperamento tra esigenze di rango costituzionale in potenziale conflitto», quando i colloqui si svolgano con figli e nipoti infradodicenni, i quali, «in ragione dell’età, più difficilmente possono essere strumentalizzati per aggirare le finalità proprie del regime differenziato».
6.– In punto di rilevanza, il giudice a quo espone di essere chiamato a valutare della legittimità del rifiuto opposto dall’amministrazione penitenziaria alla richiesta del reclamante di poter svolgere il colloquio visivo con il figlio, ultradodicenne, ma infraquattordicenne, senza l’intermediazione del vetro divisorio a tutta altezza.
Pur prendendo atto della scelta operata dall’amministrazione penitenziaria con l’art. 16 della citata circolare DAP del 2 ottobre 2017, ritenuta legittima dalla Corte di cassazione, il giudice a quo afferma la necessità di «confrontarsi innanzitutto con una disposizione normativa decisamente tranciante in senso negativo, che sembra interdire sempre e con chiunque i colloqui visivi senza vetro divisorio», escludendo, così, qualsiasi discrezionalità amministrativa, «anche ove volta a mitigare gli effetti potenzialmente incostituzionali della lettera della legge».
Così dovendosi interpretare la disposizione normativa censurata, solo la declaratoria di fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate consentirebbe l’accoglimento del reclamo.
Per il rimettente la formulazione della disposizione di legge – secondo cui l’unico colloquio mensile del detenuto in regime differenziato si svolge «in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti» – sarebbe «inequivocabile», tanto da essere stata «univocamente interpretata nel senso che si deve trattare di locali dotati di vetro a tutta altezza», essendo questa l’unica «struttura fisica in grado di consentire ai familiari di guardarsi e parlarsi, ma al contempo di impedire il passaggio di oggetti».
Per queste ragioni, la più volte ricordata circolare dell’amministrazione penitenziaria, pur «condivisibile negli obbiettivi perseguiti», si porrebbe «in contrasto con la normativa primaria», in quanto non potrebbe riconoscersi alcuna discrezionalità «nel valutare se una limitazione, imposta dal legislatore, si riveli giustificata da esigenze di ordine e sicurezza».
Solo un intervento del giudice delle leggi, in altre parole, potrebbe consentire di raggiungere il risultato garantito dall’art. 16 della suddetta circolare, peraltro in misura ridotta rispetto a quanto ritenuto, dallo stesso giudice a quo, costituzionalmente necessario.
7.– Ciò premesso, il rimettente, in punto di non manifesta infondatezza, dubita della legittimità costituzionale della disposizione censurata «nella parte in cui non esclude i minori […] dall’obbligo di rapportarsi con il genitore o il nonno detenuti in regime differenziato unicamente all’interno di sale colloqui approntate con un vetro divisorio a tutta altezza, e dunque senza alcun contatto fisico con gli stessi».
7.1.– Tale assetto sarebbe lesivo, in primo luogo, del diritto della persona detenuta a mantenere rapporti con il proprio nucleo familiare, declinato nella forma del diritto ai colloqui: le limitazioni all’esercizio di tale diritto, oltre a richiedere una previsione di legge, dovrebbero essere giustificate «da esigenze di pubblica sicurezza, di ordine pubblico e prevenzione dei reati, di protezione della salute, dei diritti e delle libertà altrui» (è citata Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 22 giugno-11 agosto 2020, n. 23819, nonché Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, sentenza 4 febbraio 2003, Van der Ven contro Paesi Bassi).
Per il rimettente sarebbe compromesso il diritto a non subire una «detenzione inumana», come quella che deriverebbe dall’assoluta privazione di ogni contatto fisico con «i figli ed i nipoti, in età più giovane», con i quali, «più e meglio di ogni dialogo», sarebbe fondamentale «il mantenimento di una relazione fatta di fisicità e di effusioni, semplici e immediate, come quelle che derivano dai baci e dagli abbracci che costituiscono il nucleo più intuitivo del rapporto tra genitori e figli e tra nonni e nipoti in più tenera età».
Per il rimettente, che ricorda sul punto l’insegnamento di questa Corte (sono citate le sentenze n. 97 del 2020, n. 186 del 2018, n. 143 del 2013 e n. 351 del 1996), le limitazioni imposte dal regime differenziato, intanto appaiono legittime, in quanto giustificate da esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza.
Tuttavia, i soggetti «in tenera età» – a parere del giudice a quo – non potrebbero «ragionevolmente ritenersi strumentalizzabili quali veicoli di informazioni da e per l’esterno», sicché, per risolvere il prospettato contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., sarebbe sufficiente l’ascolto accompagnato da audio e videoregistrazione del colloquio, già previsti dalla medesima disposizione.
7.2.– In secondo luogo, «il divieto di svolgimento del colloquio senza vetro divisorio» da parte di genitori e nonni ristretti in regime differenziato, «previsto nel testo della disposizione normativa», non garantirebbe il rispetto del «superiore interesse» del minore, presidiato dagli artt. 31 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo. Tale principio, a giudizio del rimettente, avrebbe dovuto orientare innanzitutto il legislatore verso la «netta prevalenza» dei diritti del minore sulle altre esigenze confliggenti, secondo un bilanciamento che sarebbe già stato compiuto da questa Corte in materia penitenziaria (è citata la sentenza n. 76 del 2017).
In particolare, il colloquio visivo appare al giudice a quo l’unico in cui può esplicarsi il rapporto con il genitore, tanto più se quest’ultimo si trova in regime detentivo differenziato e subisce, quindi, le limitazioni di un unico incontro al mese, della durata di un’ora, e della impossibilità di avere un dialogo telefonico.
Per il rimettente, «quando il minore è infante o ancora nelle fasi dello sviluppo», il rapporto fisico con il genitore non sarebbe sostituibile da un dialogo ostacolato da un vetro divisorio, sicché le esigenze di sicurezza sottese al regime differenziato dovrebbero essere tutelate solo attraverso gli ulteriori strumenti previsti dalla disposizione in esame, quali la video e l’audio registrazione, nonché l’ascolto diretto del colloquio, che «può essere interrotto in qualsiasi momento, a fronte di eventuali elementi di criticità», improbabili a fronte di una sicuramente ridotta «capacità del fanciullo di rendersi latore di messaggi criminali o del genitore di strumentalizzare tale momento a questo scopo».
L’esigenza di far prevalere il superiore interesse del minore deriverebbe anche dall’art. 8 CEDU.
Quest’ultima disposizione imporrebbe di dedicare «una speciale attenzione […] ai colloqui con i minori», e obbligherebbe lo Stato ad assicurare che il colloquio si svolga con modalità tali da evitare, per quanto possibile, «condizioni stressanti per i bambini», pure quando si tratta di «colloqui con parenti in carcere per reati di speciale gravità, anche ristretti in regime di massima sicurezza».
8.– Ciò premesso con riferimento alla posizione del minore in generale, il rimettente ritiene rinvenibili «nella legge, in particolare penitenziaria», parametri cui ancorare, «più ragionevolmente rispetto a quanto faccia la circolare amministrativa», l’età al di sotto della quale «l’imposizione del vetro» si risolverebbe in un pregiudizio grave al diritto dello stesso minore di mantenere un «contatto fisico significativo» con il genitore o il nonno detenuto.
A tal fine, il giudice a quo richiama il comma 3 dell’art. 18 ordin. penit., come modificato dall’art. 11, comma 1, lettera g), numero 3), del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 123, recante «Riforma dell’ordinamento penitenziario in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 82, 83 e 85, lettere a), d), i), l), m), o), r), t) e u), della legge 23 giugno 2017, n. 103», secondo cui «particolare cura è dedicata ai colloqui con i minori di anni quattordici».
Si tratta di una disposizione non applicabile ai detenuti in regime differenziato (come confermato dalla già citata Corte di cassazione, sentenza n. 46719 del 2021), poiché la legge delega, alla quale il d.lgs. n. 123 del 2018 ha dato attuazione, impediva «di incidere sul 41 bis» (art. 1, comma 85, della legge 23 giugno 2017, n. 103, recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario»).
Tuttavia, a parere del rimettente, sarebbe «evidente» che il legislatore, con riferimento alla necessità di tutelare i minori che debbano svolgere colloqui con i propri parenti detenuti, ha fissato «una asticella in relazione all’età», la quale «non può che prescindere dalla pericolosità del congiunto ristretto»: ciò imporrebbe, «a prezzo altrimenti di una irragionevole discriminazione», un trattamento di «analoga attenzione» anche nei confronti dei figli e nipoti minorenni infraquattordicenni di genitori e nonni ristretti in regime differenziato.
A sostegno della tesi, il giudice a quo osserva che, «a differenza dell’età di dodici anni, indicata nella circolare ministeriale del 2017», quella di quattordici anni costituisce un parametro «in plurime occasioni adoperato dal legislatore a segnare una linea di demarcazione», come ad esempio «la soglia dell’imputabilità» e la «conclusione del ciclo di scuola secondaria inferiore».
Si tratterebbe, quindi, di un’età in cui il legislatore avrebbe già presunto il passaggio «ad una certa nozione di adolescenza piena», in cui il minore sarebbe maggiormente capace di comprendere ed accettare «il passaggio, comunque traumatico, in cui cessano i colloqui visivi con contatto fisico», senza «percepirsi come causa dell’esclusione subita».
Per il rimettente l’impedimento di ogni contatto fisico dei minori infraquattordicenni con i congiunti detenuti «mediante l’imposizione del vetro divisorio a tutta altezza», in un momento «ancora così delicato della loro crescita», sarebbe incompatibile con i principi costituzionali e convenzionali illustrati, e, in particolare, con la necessità di contenere nel «minimo, congruo e proporzionato», il sacrificio necessario richiesto nel bilanciamento con le esigenze di sicurezza.
9.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate «manifestamente» non fondate.
Dopo aver ricostruito i passaggi essenziali dell’ordinanza di rimessione, nonché genesi e finalità sottese all’istituto di cui all’art. 41-bis ordin. penit., l’Avvocatura generale, sottolineando la «natura peculiare e distintiva rispetto a tutti gli altri fenomeni criminali» rivestita dalle organizzazioni mafiose, ha ricordato l’orientamento della giurisprudenza della Corte di cassazione, in ordine alla legittimità della previsione contenuta nell’art. 16 della circolare DAP del 2 ottobre 2017, la quale prevede che il colloquio visivo avvenga senza vetro divisorio solo nel caso in cui esso abbia luogo con il figlio o i nipoti in linea retta minori di dodici anni (è citata Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 30 marzo-16 settembre 2022, n. 34388).
L’interveniente ritiene che il giudice a quo muova «da tre non condivisibili assunti».
9.1.– In primo luogo, sarebbe «smentita dai fatti» la tesi secondo cui i minori di quattordici anni non potrebbero ragionevolmente ritenersi strumentalizzabili quali veicoli di informazioni da e per l’esterno.
Per l’Avvocatura, infatti, l’«esperienza criminologica» comproverebbe che, in contesti familiari mafiosi, la «maturazione di giovani puberi […] può essere assai diversa da quella usuale di coetanei della stessa età in contesti di normalità».
Inoltre, per l’interveniente, il legislatore avrebbe indicato, seppure in altri ambiti, l’età di dodici anni «quale momento anagrafico secondo cui il minore è già o può essere capace di discernimento», come ad esempio in tema di adozione (art. 15, secondo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Diritto del minore ad una famiglia», secondo cui il minore di età inferiore ai dodici anni, se capace di discernimento, deve essere sentito in vista della dichiarazione di adottabilità) o di affidamento non congiunto, in caso di separazione tra coniugi con figli minori.
Tali disposizioni, a parere dell’interveniente, starebbero a dimostrare che la legge, a prescindere dall’imputabilità penale, ritiene che il minore di anni dodici possa già essere capace di discernimento, sicché «a maggior ragione», quando tale età viene superata, «la presunzione di discernimento si accresce sino all’imputabilità penale fissata ad anni 14».
9.2.– Inoltre, non condivisibile sarebbe l’affermazione secondo cui, al di sotto dei quattordici anni, la tutela dell’interesse del minore ad avere, durante i colloqui, un contatto fisico con i congiunti prescinderebbe dalla pericolosità del familiare detenuto in regime differenziato. La tesi, «nella sua assolutezza», sarebbe «distonica e sbilanciata rispetto ai diritti costituzionali che vengono in conflitto (tra cui la vita e la libertà dei consociati vittime dei reati di mafia, oltre che l’inderogabile tutela della collettività nel suo complesso)».
9.3.– Infine, non sarebbe corretto sostenere che la possibilità di ascoltare e registrare, in video e audio, il colloquio sarebbe già di per sé idonea a neutralizzare i rischi di un uso fraudolento del contatto con il minore di anni quattordici.
Per l’interveniente, l’esperienza starebbe a dimostrare che «[u]na frase, una sola parola, un’allusione pronunciata in dialetto stretto e sussurrata ad orecchio al minore nell’abbraccio» non potrebbe essere compresa in alcun modo da soggetti terzi «che non abbiano le chiavi di decodifica del linguaggio mafioso».
10.– In definitiva, ad avviso dell’Avvocatura generale, la disposizione censurata risulta «proporzionale, consentanea allo scopo e bilanciata», nel confronto tra i diritti costituzionali coinvolti, sicché non assume una connotazione «puramente afflittiva», in quanto «la necessità del vetro divisorio» si imporrebbe per ragioni di bilanciamento tra esigenze di sicurezza e diritti fondamentali del recluso e del figlio o nipote minore a intrattenere rapporti con il familiare, pur nel perdurante «stato di grave pericolosità».
11.– Con altra ordinanza, sempre depositata in data 5 agosto 2022 (r.o. n. 105 del 2022), il medesimo Magistrato di sorveglianza di Spoleto solleva identiche questioni di legittimità costituzionale, aventi ad oggetto sempre l’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), ordin. penit., e in riferimento ai medesimi parametri costituzionali e sovranazionali.
12.– In fatto, il giudice a quo espone di essere investito del reclamo presentato da G. P., con il quale l’interessato contesta il divieto, impostogli dall’amministrazione penitenziaria in ragione della sua sottoposizione al regime differenziato ai sensi dell’art. 41-bis ordin. penit., di svolgere colloqui visivi senza vetro divisorio con i nipoti in linea retta, che hanno compiuto dodici anni di età, chiedendo, altresì, «di poter almeno abbracciare la moglie».
Espone l’ordinanza di rimessione come il più piccolo dei nipoti del reclamante abbia raggiunto l’età di dodici anni (di cui alla circolare già citata) nel 2021, quando le modalità di colloquio senza vetro divisorio erano state già sospese per tutti i detenuti, «perché rischiose sotto il profilo del contagio da COVID19». L’interessato, per questo, «ha cessato di abbracciare tale nipote» quando questi aveva undici anni, mentre ora tale possibilità gli è preclusa, avendo il minore raggiunto l’età di tredici anni.
13.– Per il resto, la motivazione dell’ordinanza di rimessione r.o. n. 105 del 2022, sia in punto di rilevanza delle questioni sollevate, sia di valutazione circa la non manifesta infondatezza delle stesse, coincide testualmente con quella dell’ordinanza r.o. n. 104 del 2022, illustrata nei precedenti punti da 3 a 8.
14.– Anche nel giudizio iscritto al n. 105 r.o. del 2022 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate «manifestamente» non fondate e svolgendo difese coincidenti con quelle spiegate nel giudizio iscritto al n. 104 r.o. del 2022.
Motivi della decisione
1.– Il Magistrato di sorveglianza di Spoleto, con due ordinanze di analogo tenore (r.o. n. 104 e n. 105 del 2022), solleva – in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, 31 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo e all’art. 8 CEDU – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), ordin. penit., «nella parte in cui dispone che il colloquio visivo mensile del detenuto in regime differenziato avvenga in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti, anche quando si svolga con i figli e i nipoti in linea retta minori di anni quattordici».
2.– Il rimettente è investito di due reclami, con i quali gli interessati – detenuti sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41-bis ordin. penit. – impugnano il rifiuto opposto dall’amministrazione penitenziaria alla loro richiesta di svolgere colloqui visivi, senza vetro divisorio, con familiari minori di età (il figlio maggiore del primo detenuto e i nipoti in linea retta del secondo: tutti ultradodicenni, ma infraquattordicenni).
L’ordinanza di rimessione evidenzia come l’amministrazione penitenziaria – in forza della circolare DAP del 2 ottobre 2017 – consenta di svolgere i colloqui in locali privi del vetro divisorio, ma soltanto con i figli e i nipoti in linea retta minori di dodici anni. In punto di fatto, rileva, tuttavia, che tra il 2020 ed il 2021 queste modalità sono state sospese, allo scopo di limitare la diffusione del contagio da COVID-19. Sottolinea perciò come, nel caso di specie, gli interessati abbiano cessato di «abbracciare» i minori in precedenza indicati quando questi avevano ancora meno di dodici anni, mentre ora tale possibilità è loro preclusa, avendo i minori superato questa soglia di età.
Evidenzia inoltre il rimettente che la giurisprudenza di legittimità (è citata Corte di cassazione, sentenza n. 46719 del 2021) riconosce che i colloqui visivi costituiscono un diritto fondamentale al mantenimento delle relazioni familiari, anche per la persona detenuta in regime differenziato. Osserva che, in considerazione delle limitazioni giustificate dalle esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza proprie di tale regime, la Corte di cassazione ha tuttavia giudicato legittima la disposizione della circolare DAP che limita ai familiari minori di dodici anni la possibilità dei colloqui visivi senza vetro divisorio, considerandola scelta organizzativa non irragionevole, tesa ad operare un «prudente contemperamento tra esigenze di rango costituzionale in potenziale conflitto».
Non giudicando soddisfacente tale contesto normativo e giurisprudenziale, e allo scopo di ampliare la sfera dei minori ammessi al colloquio senza vetro divisorio, richiede a questa Corte un intervento sulla disposizione di legge che asseritamente impone – in ogni circostanza, e dunque anche in occasione dei colloqui visivi con i figli e i nipoti in linea retta minori di (qualunque) età – la presenza di un vetro divisorio a tutta altezza.
3.– Sotto il profilo della rilevanza, il rimettente ritiene che la disposizione censurata avrebbe un significato «inequivocabile»: stabilire che l’unico colloquio mensile del detenuto in regime differenziato si svolge «in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti» non potrebbe significare altro, se non che il colloquio deve avvenire in locali dotati di vetro divisorio a tutta altezza, essendo questa l’«unica struttura fisica in grado di consentire ai familiari di guardarsi e parlarsi, ma al contempo di impedire il passaggio di oggetti, per come richiesto dal testo normativo».
Per queste ragioni, la ricordata circolare DAP si porrebbe «in contrasto con la normativa primaria», che non consentirebbe alcuna deroga – neppure per i minori infradodicenni – alla regola così dettata.
Solo un intervento di questa Corte, appunto, consentirebbe di raggiungere il risultato che oggi la circolare garantisce solo in parte, e comunque in misura ridotta rispetto a quanto il rimettente ritiene costituzionalmente necessario.
4.– In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale della disposizione censurata «nella parte in cui non esclude i minori […] dall’obbligo di rapportarsi con il genitore o il nonno detenuti in regime differenziato unicamente all’interno di sale colloqui approntate con un vetro divisorio a tutta altezza, e dunque senza alcun contatto fisico con gli stessi».
Sarebbe leso, in primo luogo, il diritto della persona detenuta a mantenere rapporti effettivi con il proprio nucleo familiare, così come garantito dai parametri costituzionali evocati.
Risulterebbe, in particolare, compromesso il diritto a non subire una «detenzione inumana», tale dovendosi considerare quella caratterizzata dall’assoluta privazione di ogni contatto fisico con i figli ed i nipoti in età più giovane.
Ancora, il divieto censurato non rispetterebbe i principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale (sono citate le sentenze n. 97 del 2020, n. 186 del 2018, n. 143 del 2013 e n. 351 del 1996), secondo cui le limitazioni imposte dal regime differenziato sono compatibili con gli artt. 3 e 27 Cost. solo in quanto giustificate da esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza. I soggetti «in tenera età», infatti, non potrebbero ragionevolmente ritenersi strumentalizzabili quali vettori di informazioni, da e per l’esterno. Durante i colloqui con loro, sarebbe perciò sufficiente l’ascolto accompagnato da audio e videoregistrazione del colloquio, già previsti dalla medesima disposizione.
In secondo luogo, il divieto sospettato di illegittimità costituzionale non garantirebbe il rispetto del «superiore interesse» del minore, presidiato dagli artt. 31 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo. In forza di tale principio, si dovrebbe sempre accordare «netta prevalenza» ai diritti del minore sulle altre esigenze confliggenti. Per questo, in particolare durante l’età dello sviluppo, il rapporto fisico con il genitore non sarebbe sostituibile con un dialogo ostacolato da un vetro divisorio. Anche l’art. 8 CEDU, del resto, obbligherebbe lo Stato ad evitare «condizioni stressanti per i bambini» durante i colloqui con i parenti, pure se detenuti in regime di massima sicurezza.
4.1.– Il giudice a quo ritiene che in altre disposizioni dell’ordinamento penitenziario sia rinvenibile l’indicazione di una soglia di età più ragionevole, al di sotto della quale consentire i colloqui senza separazione fisica.
Richiama, in particolare, il comma 3 dell’art. 18 ordin. penit., come modificato dalla riforma dell’ordinamento penitenziario operata dal d.lgs. n. 123 del 2018, secondo cui «particolare cura è dedicata ai colloqui con i minori di anni quattordici». Osserva che il legislatore avrebbe indicato il medesimo limite d’età «in plurime occasioni», come ad esempio per fissare «la soglia dell’imputabilità» e la «conclusione del ciclo di scuola secondaria inferiore». Questa soglia d’età, insomma, individuerebbe il momento in cui i minori acquisterebbero maggiore consapevolezza e sarebbero capaci di accettare la trasformazione in senso restrittivo delle modalità di esecuzione dei colloqui con i familiari detenuti.
5.– Le due ordinanze di rimessione censurano la stessa disposizione, evocano i medesimi parametri costituzionali ed offrono i medesimi argomenti a sostegno delle questioni sollevate. I relativi giudizi vanno perciò riuniti, per essere decisi con un’unica sentenza.
6.– Il rimettente, come si è visto, muove dalla premessa secondo cui il testo della disposizione censurata imporrebbe – in ogni circostanza e senza possibilità di deroga – di attrezzare i locali destinati ad ospitare i colloqui dei detenuti soggetti al regime differenziato con un vetro divisorio a tutta altezza, strumento che per sua natura impedisce ogni contatto fisico.
Questo è, dunque, il presupposto interpretativo da sottoporre a verifica.
7.– La giurisprudenza costituzionale ha da tempo chiarito che il regime differenziato previsto dall’art. 41-bis, comma 2, ordin. penit. mira a contenere la pericolosità dei detenuti ad esso soggetti, anche nelle sue eventuali proiezioni esterne al carcere, impedendo i collegamenti degli appartenenti alle organizzazioni criminali tra loro e con i membri di queste che si trovino in libertà: collegamenti che potrebbero realizzarsi proprio attraverso quei contatti con il mondo esterno che lo stesso ordinamento penitenziario normalmente favorisce, quali strumenti di reinserimento sociale (sentenze n. 97 del 2020 e n. 186 del 2018).
Questa Corte, tuttavia, ha puntualmente definito anche i limiti cui è soggetta l’applicazione del regime speciale.
In particolare, ha affermato che, in base alla disposizione in esame, è possibile sospendere solo l’applicazione di regole e istituti dell’ordinamento penitenziario che risultino in concreto contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza, e ha correlativamente chiarito non potersi disporre misure che, a causa del loro contenuto, «a quelle concrete esigenze non siano riconducibili poiché risulterebbero palesemente inidonee o incongrue rispetto alle finalità del provvedimento che assegna il detenuto al regime differenziato» (sentenza n. 186 del 2018; nello stesso senso, sentenza n. 18 del 2022). Misure di tal genere assumerebbero, infatti, «una portata puramente afflittiva non riconducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale» (sentenze n. 97 del 2020 e n. 351 del 1996).
Questa Corte ha inoltre precisato (sentenze n. 376 del 1997, n. 351 del 1996 e n. 349 del 1993) che le restrizioni che accompagnano l’applicazione del regime differenziato, «considerate singolarmente e nel loro complesso, non devono essere tali da vanificare del tutto la necessaria finalità rieducativa della pena (sentenza n. 149 del 2018) e da violare il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità» (sentenza n. 186 del 2018).
7.1.– È di intuitiva evidenza che, tra gli istituti che connotano l’ordinaria disciplina trattamentale, quello dei colloqui con i familiari o con terze persone rappresenta uno dei momenti a più alto rischio per la garanzia degli obbiettivi perseguiti attraverso l’applicazione del regime detentivo differenziato (sentenza n. 97 del 2020), trattandosi del «veicolo più diretto e immediato di comunicazione del detenuto con l’esterno» (sentenza n. 143 del 2013).
È comprensibile, dunque, la ragione per cui lo svolgimento di tali colloqui – i quali, secondo la disciplina ordinaria, dovrebbero svolgersi in locali interni «senza mezzi divisori» o in spazi all’aperto a ciò destinati (art. 37, comma 5, del d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, recante «Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà») – sia stata sempre circondato, in riferimento ai detenuti sottoposti al regime speciale, da una serie di rigorose misure, volte a impedire che gli esponenti dell’organizzazione criminale in stato di detenzione possano continuare ad impartire direttive agli affiliati in stato di libertà, e così mantenere, anche dall’interno del carcere, il controllo sulle attività delittuose dell’organizzazione stessa (sentenze n. 97 del 2020, n. 186 del 2018 e n. 143 del 2013).
7.2.– Tra queste misure, il divieto di passaggio di oggetti durante i colloqui visivi è inizialmente contemplato in alcune circolari dell’amministrazione penitenziaria, diramate nel corso degli anni Novanta del secolo scorso, in attuazione dei primi provvedimenti che dispongono la sospensione delle ordinarie regole di trattamento, introdotta dall’art. 19 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356.
Per garantire il conseguimento del risultato, l’amministrazione aveva da tempo assicurato il rispetto del divieto attrezzando con vetri divisori “a tutta altezza” i locali destinati ai colloqui visivi.
Nel frattempo, il divieto di passaggio di oggetti trova collocazione a livello di fonte primaria, con la legge 23 dicembre 2002, n. 279 (Modifica degli articoli 4-bis e 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di trattamento penitenziario). Quest’ultima, infatti, sulla scorta dell’esperienza maturata nei primi anni di applicazione del regime differenziato, “stabilizza” il regime detentivo speciale, «tipizzando le limitazioni che in concreto il Ministro della giustizia poteva imporre allo scopo di contenere la pericolosità dei singoli destinatari della misura» (sentenza n. 186 del 2018). Tra queste limitazioni figura quella censurata dall’odierno rimettente: la lettera b) del comma 2-quater dell’art. 41-bis ordin. penit. dispone, infatti, per la parte qui rilevante, che i colloqui dei detenuti avvengano «in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti».
Si tratta di una restrizione ulteriore rispetto alle altre previste dalla medesima disposizione: limitazione dei colloqui visivi ad uno soltanto al mese e loro sottoposizione a videoregistrazione nonché, previa motivata autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente, a controllo auditivo e a registrazione.
7.3.– Proprio con riferimento al divieto di passaggio di oggetti, ancor prima della trasposizione in legge delle misure restrittive tipiche del regime speciale, la stessa amministrazione – nell’esercizio di quel margine di discrezionalità che naturalmente le spetta in materia di definizione dei tempi e dei modi per la concreta attuazione del diritto ai colloqui visivi (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 26 giugno-13 agosto 2020, n. 23945) – aveva avvertito la necessità di operare un bilanciamento tra gli interessi in gioco.
Già con la circolare DAP del 6 febbraio 1998, n. 543884 (successiva alla prima serie di pronunce con le quali questa Corte ha delineato i ricordati limiti “interni” cui è soggetta l’applicazione del regime detentivo differenziato), era stata consentita la fruizione dei colloqui senza vetro divisorio, inizialmente con i figli minori di anni sedici.
Con la successiva circolare DAP del 20 febbraio 1998, n. 3470/5920 (punto 4), tale soglia di età è stata abbassata a dodici anni, secondo una direttiva mai più abbandonata nelle circolari successive. Queste ultime, piuttosto, hanno provveduto ad estendere anche ai nipoti ex filio infradodicenni la deroga alla regola del colloquio con il vetro divisorio, consolidando in tal modo i contorni di una prassi giunta immutata fino ad oggi.
Anche nell’ultimo atto amministrativo emanato per impartire istruzioni sull’organizzazione del regime detentivo differenziato – la circolare DAP del 2 ottobre 2017, oggetto di attenzione critica del giudice rimettente – si legge (art. 16): «[i]n una prospettiva di bilanciamento di interessi di pari rilevanza costituzionale, tra tutela del diritto del detenuto/internato di mantenere rapporti affettivi con i figli e i nipoti e quello di garantire la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, il detenuto/internato potrà chiedere che i colloqui con i figli e con i nipoti in linea retta minori di anni 12, avvengano senza vetro divisorio per tutta la durata, assicurando la presenza del minore nello spazio riservato al detenuto e la contestuale presenza degli altri familiari dall’altra parte del vetro. Detto colloquio è sottoposto a videoregistrazione ed ascolto, previo provvedimento motivato dell’A.G».
La circolare ha cura di precisare, altresì, che «[i]l posizionamento del minore nello spazio destinato al detenuto/internato dovrà avvenire evitando forme di contatto diretto con ogni familiare adulto. In ogni caso il predetto posizionamento e la successiva riconsegna del minore ai familiari, [dovranno] avvenire sotto stretto controllo da parte del personale di polizia addetto alla vigilanza, con le cautele e gli accorgimenti del caso, al fine di contemperare le esigenze di sicurezza con quelle del minore e lo stato di disagio in cui lo stesso può venirsi a trovare».
Inoltre, è previsto un controllo con l’ausilio di metal-detector prima e dopo la fruizione del colloquio stesso, mentre la perquisizione manuale è consentita soltanto quando sussistano comprovate ragioni di sicurezza.
8.– Tutto ciò premesso, le questioni di legittimità costituzionale oggetto di odierno scrutinio risultano non fondate, nei sensi di seguito precisati.
9.– Come si è visto, entrambe le ordinanze muovono da un comune presupposto: la disposizione in esame sarebbe inequivoca nel senso di imporre l’utilizzo del vetro divisorio in ogni circostanza, e dunque anche in occasione dei colloqui visivi con i figli e i nipoti in linea retta minori di (qualunque) età.
Questa Corte non condivide tale presupposto, essendo possibile una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata.
Con riferimento ai colloqui visivi, senza dubbio ricompresi nella sfera dei diritti spettanti anche ai detenuti in regime differenziato, non erra il rimettente quando sostiene la necessità, sia di garantire che il complessivo trattamento penitenziario non contrasti con il senso di umanità, al metro dell’art. 27 Cost., sia di tutelare il preminente interesse dei minori.
Sotto il primo profilo, rilievo essenziale assume l’interesse della persona detenuta a mantenere un contatto fisico con i familiari. Una disciplina che ne escluda totalmente la possibilità, finanche nei confronti di quelli in età più giovane, si porrebbe in contrasto con quanto disposto dall’art. 27 Cost., anche per i soggetti in regime differenziato (sentenza n. 351 del 1996).
Sotto il secondo profilo, la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo riconosciuto che «la speciale rilevanza dell’interesse del figlio minore a mantenere un rapporto continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione e istruzione», trova «riconoscimento e tutela sia nell’ordinamento costituzionale interno – che demanda alla Repubblica di proteggere l’infanzia, favorendo gli istituti necessari a tale scopo (art. 31, secondo comma, Cost.) – sia nell’ordinamento internazionale» (sentenza n. 187 del 2019).
In quest’ultimo, vengono in particolare considerazione non solo le previsioni del parametro interposto evocato dall’odierno rimettente (l’art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo), ma anche quelle dell’art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: «[q]ueste due ultime disposizioni qualificano come “superiore” l’interesse del minore, stabilendo che in tutte le decisioni relative ad esso, adottate da autorità pubbliche o istituzioni private, tale interesse deve essere considerato “preminente”» (ancora sentenza n. 187 del 2019, che richiama le sentenze n. 76 del 2017 e, in termini pressoché sovrapponibili, n. 17 del 2017 e n. 239 del 2014).
Più volte, quindi, sulla scorta del ricordato principio, questa Corte è intervenuta per adeguare le norme di ordinamento penitenziario alla necessità di tutelare il primario interesse del minore, ossia di un «soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente meritevole di protezione» (sentenza n. 76 del 2017).
Non può che concordarsi con il rimettente, dunque, quando afferma che, per il minore «infante o ancora nelle fasi dello sviluppo», il rapporto fisico con il familiare detenuto non sarebbe, almeno di regola, sostituibile con un incontro ostacolato da un vetro divisorio; anche se, come si metterà subito in evidenza, le innegabili esigenze di sicurezza sottese al regime detentivo differenziato comportano cautele e precisazioni ulteriori.
In tutte le pronunce prima richiamate, in effetti, questa Corte ha sempre ribadito che l’interesse del minore «non forma oggetto di una protezione assoluta, insuscettibile di bilanciamento con contrapposte esigenze, pure di rilievo costituzionale, quali quelle di difesa sociale, sottese alla necessaria esecuzione della pena» (sentenza n. 174 del 2018; nello stesso senso, più di recente, sentenza n. 30 del 2022). Esigenze che, appunto, si riscontrano al massimo grado per i detenuti assoggettati al regime detentivo differenziato.
10.– Ritiene questa Corte che il giudice a quo – pur avendo ben presente l’intero contesto normativo e giurisprudenziale appena illustrato – non ne abbia tratto le dovute conseguenze quanto all’interpretazione della disposizione censurata.
Essa, per vero, contiene indici testuali che depongono in favore della lettura fatta propria dal rimettente: in effetti, “attrezzare” i locali destinati ai colloqui visivi «in modo da impedire il passaggio di oggetti» può significare inserire una separazione materiale che impedisca qualsivoglia contatto fisico tra gli interlocutori.
È indubbio che, nell’esperienza concreta, lo strumento del vetro divisorio a tutta altezza – impedendo ogni contatto fisico tra gli interlocutori – si rivela quello più efficace per impedire il passaggio di oggetti. Ed è, quindi, certamente legittimo che l’amministrazione penitenziaria, nella prassi, abbia individuato in quello strumento la soluzione tecnica per gestire i colloqui dei detenuti soggetti al regime differenziato con i propri familiari e conviventi.
Tuttavia, ad un’analisi più attenta, il dato testuale suggerisce anche un esito diverso da quello proposto dal rimettente, compatibile con i parametri costituzionali e sovranazionali evocati.
Non è senza significato che il legislatore, nel codificare le prescrizioni già contenute nelle precedenti circolari amministrative, abbia semplicemente indicato il risultato vietato – il passaggio di oggetti durante i colloqui visivi – senza affatto specificare, in dettaglio, le pertinenti soluzioni tecniche (in particolare, l’impiego del vetro divisorio a tutta altezza), limitandosi a richiedere che i locali destinati ai colloqui siano «attrezzati» in modo da impedire tale passaggio.
Del resto, la stessa giurisprudenza di legittimità ha giudicato legittima – e dunque conforme al dato normativo primario – la previsione dell’art. 16 della citata circolare DAP del 2 ottobre 2017, che ammette il colloquio senza vetro divisorio, nel caso in cui esso avvenga con i figli e i nipoti in linea retta minori di dodici anni (tra le ultime, Corte di cassazione, sentenza n. 34388 del 2022).
Risulta chiaro, insomma, che l’impiego del vetro divisorio, pur potendo costituire un mezzo altamente idoneo allo scopo, in considerazione della sua innegabile efficacia ostativa al passaggio di oggetti, non è tuttavia imposto dal testo della disposizione primaria, che non ne fa alcuna menzione.
Ed anzi, al cospetto di altri interessi di rango costituzionale assai rilevanti, quali sono quelli coinvolti dalla disciplina dei colloqui del detenuto con minori d’età, un simile dispositivo può apparire sproporzionato: differenti soluzioni tecniche (unitamente alle misure già espressamente contemplate, per tutti i colloqui dei detenuti in regime differenziato, dal comma 2-quater, lettera b, dell’art. 41-bis ordin. penit.) potrebbero invece risultare adeguate, sia a garantire la finalità indicata dalla disposizione censurata, sia, al contempo, a evitare che la restrizione assuma connotazioni puramente afflittive per il detenuto, sacrificando inoltre l’interesse preminente del minore. Tra queste, ad esempio, l’impiego di telecamere di sorveglianza puntate costantemente sulle mani, la dislocazione del personale di vigilanza in posizioni strategiche, eccetera.
In tale prospettiva, è la stessa ordinanza di rimessione a osservare che il colloquio «può essere interrotto in qualsiasi momento, a fronte di eventuali elementi di criticità», più facilmente rilevabili in presenza di una (almeno statisticamente) ridotta «capacità del fanciullo di rendersi latore di messaggi criminali o del genitore di strumentalizzare tale momento a questo scopo» (nello stesso senso, la già citata Corte di cassazione, sentenza n. 46719 del 2021, che valorizza la massima di esperienza in base alla quale i minori di dodici anni «in ragione dell’età, più difficilmente possono essere strumentalizzati per aggirare le finalità proprie del regime differenziato»).
In definitiva, l’interpretazione qui privilegiata – secondo cui la disposizione censurata non impone affatto in ogni circostanza l’impiego del vetro divisorio – è compatibile con il dato testuale, e ne consente una lettura adeguata ai parametri costituzionali evocati. Contestualmente, permette di valorizzare la ratio della disposizione stessa, considerandola quale parte del complessivo regime detentivo differenziato, alla luce sia delle finalità, sia dei limiti cui l’applicazione di tale regime è soggetta: i quali ultimi impongono di considerare legittime le sole restrizioni funzionali a garantire l’inderogabile esigenza «di prevenire ed impedire i collegamenti fra detenuti appartenenti a organizzazioni criminali, nonché fra questi e gli appartenenti a tali organizzazioni ancora in libertà» (sentenza n. 376 del 1997).
A differenza di quanto sostenuto dal giudice a quo, e conformemente alle statuizioni rese, sul punto, dalla giurisprudenza di legittimità ricordata, non possono perciò considerarsi contra legem le circolari adottate dall’amministrazione penitenziaria per consentire colloqui senza vetro divisorio con minori in tenera età (da ultimo, nella circolare DAP del 2 ottobre 2017). Come ribadito di recente da questa Corte, infatti, quando ciò sia consentito dalla littera legis, l’interpretazione delle disposizioni restrittive tipiche del regime detentivo speciale «deve essere orientata verso soluzioni che ne garantiscano la miglior compatibilità con i precetti costituzionali di riferimento nella materia in esame» (sentenza n. 197 del 2021).
11.– Nella prospettiva dell’interpretazione adeguatrice illustrata, l’intervento richiesto dal rimettente non risulta necessario, neppure ai fini dell’estensione della platea dei soggetti minorenni da ammettere al colloquio in assenza di vetro divisorio.
In presenza di una disposizione di legge che indica con chiarezza l’obiettivo – impedire il passaggio di oggetti – le soluzioni per raggiungerlo vanno necessariamente adeguate alla situazione concreta che l’amministrazione si trovi ad affrontare.
Da questo angolo visuale, la più volte ricordata circolare amministrativa ha il pregio di contenere direttive che orientano uniformemente l’amministrazione penitenziaria, fornendole un riferimento che la solleva dall’obbligo di motivare puntualmente le ragioni della propria scelta su ogni richiesta di colloquio senza vetro divisorio con familiari minorenni, sia infra, sia ultradodicenni.
L’ulteriore pregio dell’indicazione contenuta in una circolare siffatta – proprio considerando le varie peculiarità di condizione in cui possono trovarsi, sia il minore, sia il detenuto – è che essa non può dar luogo ad alcuna insuperabile rigidità. Da un lato, l’indicazione in parola non può impedire una deroga puntuale alla regola del vetro divisorio, anche per i colloqui con minori ultradodicenni; dall’altro lato, e all’inverso, non attribuisce una pretesa intangibile alla condivisione del medesimo spazio libero, nemmeno durante i colloqui con minori infradodicenni.
Sarà quindi ben possibile all’amministrazione penitenziaria – o alla magistratura di sorveglianza in sede di reclamo – disporre un colloquio senza vetro divisorio anche con minori di età superiore a dodici anni, quando sussistano ragioni tali da giustificare una simile scelta, oggetto di adeguata motivazione, volta ad escludere, in particolare, che i minori in questione siano strumentalizzabili per trasmettere o ricevere informazioni, ordini o direttive.
In direzione opposta, la singola amministrazione potrà rifiutare – con provvedimento comunque soggetto al vaglio giurisdizionale – una richiesta di colloquio non schermato anche con un minore infradodicenne, nei casi in cui, nel bilanciamento tra il suo interesse, i diritti del detenuto e le esigenze di sicurezza, risultino elementi specifici, tali da rendere oggettivamente prevalente l’esigenza di contenimento del rischio di contatti con l’ambiente esterno.
Nulla impedisce ovviamente al legislatore di disciplinare in fonte primaria le modalità dei colloqui con i familiari, in particolare con i minori, evitando peraltro scelte rigide che potrebbero risultare non adeguate, per eccesso o per difetto, al cospetto delle specifiche esigenze evidenziate dal caso singolo.
12.– Anche in assenza di intervento legislativo, tuttavia, alla luce della interpretazione qui prescelta, risulta immune da vizi lo schema normativo più sopra descritto: la forza dei parametri costituzionali interni e sovranazionali evocati dallo stesso rimettente, il tenore letterale della disposizione di legge censurata, l’efficacia orientativa, per ciò solo derogabile, della soluzione contenuta nella circolare più volte richiamata, comportano infatti la non fondatezza, nei sensi precisati, di tutte le questioni sollevate.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto, con le ordinanze indicate in epigrafe.