
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Catanzaro con sentenza del 3 luglio 2019 ha negato la dichiarazione di efficacia nel territorio della Repubblica Italiana della sentenza canonica di nullità del matrimonio concordatario fra le parti, resa del Tribunale Ecclesiastico Regionale Calabro il 27 maggio 2016, dichiarata esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica il 17 aprile 2018, nullità dichiarata in ragione della violazione del can. 1102, § 1, codex iuris canonici.
La corte territoriale ha ritenuto, per quanto ancora rileva, che l’elemento ostativo alla delibazione risieda nella violazione dell’ordine pubblico, essendo stati lesi l’affidamento incolpevole e la buona fede della moglie, in quanto la medesima non conosceva la condizione de futuro apposta alla validità del vincolo dal coniuge (consistente nella contrazione del matrimonio sub condicione del mutamento di comportamento della moglie post nuptias in termini di “maggiore affettività”), non essendo stata affatto provata tale conoscenza in forza delle testimonianze nel giudizio canonico, che erano soltanto de relato circa tale intento del marito, non attenendo affatto alla conoscenza di questo atteggiamento mentale da parte della consorte.
Propone ricorso per cassazione la parte soccombente, affidato a tre motivi. Resiste con controricorso l’intimata.
Le parti hanno depositato le memorie.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo, il ricorrente deduce la nullità della sentenza per irriducibile incoerenza della motivazione, con violazione dell’art. 132 c.p.c., nonché la violazione dell’art. 2697 c.c.: assume che il giudice territoriale ha esposto una motivazione intrinsecamente contraddittoria, in quanto agli atti del giudizio canonico non vi era nessuna affermazione, da parte della coniuge di essere stata all’oscuro della circostanza dedotta in condizione; mentre dalle testimonianze rese in sede canonica è emerso in modo chiaro come la controparte fosse pienamente partecipe della volontà condizionata del marito.
Con il secondo motivo, deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., per avere la sentenza impugnata esposto una “motivazione imprudente” sulla prova raggiunta, avendo ritenuto – in contrasto con i fatti emersi nel giudizio canonico – la non conoscenza della condizione apposta al matrimonio.
Con il terzo motivo, proposto in via subordinata ai precedenti, deduce la violazione degli artt. 116 c.p.c. e “797 c.p.c. co. 1, n. 7”, avendo la corte del merito travisato completamente le risultanze probatorie, in quanto ha qualificato come de relato le testimonianze rese nel giudizio canonico, quando, invece, i testimoni avevano riferito direttamente di conoscere l’apposizione della condizione da parte del ricorrente, non la sua conoscibilità ad opera della consorte.
2. – I primi due motivi, che intendono censurare la motivazione della sentenza impugnata, ed anche il terzo, che lamenta l’errato esercizio del potere di apprezzamento dei fatti da parte del giudice del merito, sono inammissibili.
2.1. – Il can. 1102 c.j.c. prevede che «1. Non si può contrarre validamente il matrimonio sotto condizione futura / 2. Il matrimonio celebrato sotto condizione passata o presente è valido o no, a seconda che esista o no ciò su cui si fonda la condizione. /
3. Tuttavia non si può porre lecitamente la condizione di cui nel §2, se non con la licenza scritta dell’Ordinario del luogo».
La sentenza ecclesiastica pronunciata nella vicenda in esame ha fatto applicazione del primo paragrafo, con conseguente declaratoria di nullità del matrimonio contratto tra le parti.
La delibazione di tale decisione è stata negata dalla corte territoriale, che ha ritenuto, sulla base degli atti dello stesso giudizio canonico, che sia stato violato l’ordine pubblico, essendo stati lesi l’affidamento incolpevole e la buona fede della consorte, inconsapevole della condizione futura apposta all’atto.
2.2. – Giova ricordare che, in tema di delibazione delle sentenze canoniche dichiarative della nullità del matrimonio concordatario, la giurisprudenza di legittimità ha delineato i confini tra l’ordinamento civile e quello canonico, tenendo distinte le peculiarità proprie di ciascuno: in quest’àmbito, si inseriscono le pronunce che accordano la delibazione della détta sentenza di nullità, solo a condizione che le esclusioni e le condizioni da un coniuge apposte al vincolo matrimoniale non siano rimaste sul piano di una mera riserva mentale, ma siano state manifestate all’altro coniuge (tanto se questi si sia limitato a prenderne atto, quanto se abbia positivamente consentito alla difformità fra volontà e dichiarazione).
Pertanto, la contrarietà all’ordine pubblico ostativa alla delibazione viene negata, quando l’esclusione, sia pure unilaterale, di un bonum matrimonii «sia stata portata a conoscenza dell’altro coniuge prima della celebrazione del matrimonio, o se questo coniuge ne abbia comunque preso atto, ovvero quando vi siano stati elementi rivelatori di quell’atteggiamento psichico non percepiti dall’altro coniuge solo per sua colpa grave, da valutarsi in concreto» (cfr. Cass. 17 settembre 2020, n. 19329, non massimata; 9 dicembre 2019, n. 32027; 14 febbraio 2019, n. 4517; 21 maggio 2014, n. 11226; nonché Cass. 8 giugno 2022, n. 18429).
Tale orientamento va esteso alla vicenda in esame della apposizione al vincolo di una condizione pro futuro ex can. 1102, §1, c.j.c., tale da rendere invalido il vincolo.
Invero, la ratio decidendi del principio risiede nell’esistenza di tutelare la buona fede e l’affidamento incolpevole dell’altro coniuge, violati qualora dell’intentio contraria, riferibile ad uno solo dei coniugi, non sia reso partecipe l’altro, anche prima del matrimonio, ovvero allorquando vi siano stati concreti elementi rivelatori di tale atteggiamento psichico non percepiti dall’altro coniuge solo per sua colpa grave.
Va, quindi, nella vicenda de qua ribadito come la declaratoria di esecutività della sentenza ecclesiastica, dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario in tali casi, postuli che la divergenza unilaterale tra volontà e dichiarazione sia stata manifestata all’altro coniuge, ovvero che sia stata da questi in effetti conosciuta, o che non gli sia stata nota esclusivamente a causa della sua negligenza: in mancanza, trovando ostacolo la delibazione nella contrarietà all’ordine pubblico italiano, nel cui ambito va ricompreso il principio fondamentale di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole.
2.3. – Il giudice italiano è tenuto ad accertare autonomamente la conoscenza o l’oggettiva conoscibilità dell’esclusione dei predetti bona – trattandosi di profilo estraneo al processo canonico, in quanto in esso irrilevante – con indagine condotta con esclusivo riferimento alla pronuncia da delibare ed agli atti del processo medesimo eventualmente acquisiti, opportunamente riesaminati e valutati, non essendovi invero luogo, in fase di delibazione, ad alcuna integrazione di attività istruttoria.
Inoltre, il convincimento, espresso dal giudice di merito, sulla conoscenza o conoscibilità da parte del coniuge della riserva mentale unilaterale dell’altro costituisce apprezzamento di fatto, che si sottrae al sindacato di legittimità (cfr. Cass. 25 giugno 2019, n. 17036; Cass. 5 marzo 2012, n. 3378; Cass. 6 marzo 2003, n.
3339).
2.4. – Nella specie, la sentenza impugnata ha affermato di avere accertato, sulla base degli atti del processo canonico e delle deposizioni ivi raccolte, che non vi fu conoscenza della riserva mentale in capo alla moglie, né la sua conoscibilità.
La motivazione è certamente esistente e non inferiore al c.d. minimo costituzionale, pretendendo invero il ricorrente, sotto l’egida del vizio di violazione di legge, di riproporre valutazioni di puro fatto.
Invero, il vizio di violazione di legge che si deduce con il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., consiste nell’affermazione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 24155/2017) se non sotto l’aspetto, per quanto ancora sussistente, del vizio di motivazione (Cass. n. 22707/2017; Cass. n. 195/2016).
Ed è noto che, invece, è solo il giudice di merito che, nel valutare le prove, ben può attribuire maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., appunto rubricato “della valutazione delle prove” (Cass. n. 11892/2016, Cass. n. 24548/2016, Cass. n. 5009/2017).
Spetta, quindi, a tale giudice, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (e plurimis, Cass. n. 21098/2016, Cass. n. 27197/2011;più di recente, cfr. Cass., sez. un., n. 23650 del 2022; Cass. n. 9351 del 2022; Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 595 del 2022; Cass. n. 4477 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).
Quanto alla denunziata violazione dell’art. 2697 c.c., i motivi non colgono parimenti nel segno, posto che la violazione del precetto in questione, censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (e multis, Cass. 20 aprile 2020, n. 7919; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107).
3. – Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in € 4.200,00, oltre alle spese forfettarie al 15% ed agli accessori, come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove dovuto.