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5 giugno 2023
Indagati e imputati non sono obbligati a rispondere alle domande sulle proprie qualità personali

Secondo la Consulta, su tali quesiti si estende il diritto al silenzio. Inoltre, è esclusa la punibilità del soggetto qualora risponda il falso ma non sia stato debitamente avvertito di questa sua facoltà.

La Redazione

Con la sentenza n. 111 del 5 giugno 2023, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità parziale degli artt. 64, c.3, c.p.p. e 495 c.p. stabilendo che «chi è sottoposto a indagini o è imputato in un processo penale deve essere sempre espressamente avvertito del diritto di non rispondere alle domande relative alle proprie condizioni personali».

Un imputato era stato accompagnato in Questura per l'identificazione nell'ambito di un procedimento penale e aveva dichiarato alla polizia di non avere mai subito condanne, senza essere stato avvertito della facoltà di non rispondere. Successivamente era emerso che, in realtà, quella persona era stata già condannata due volte in via definitiva.
Alla luce di ciò, il Tribunale di Firenze doveva decidere sulla sua responsabilità penale per il reato di false dichiarazioni ad un pubblico ufficiale sulla propria identità o le proprie qualità previsto dall'art. 495 c.p..
Il Tribunale fiorentino osservava che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il Codice di procedura penale richiede che ogni persona sottoposta a indagini sia avvertita della propria facoltà di non rispondere soltanto alle domande relative al fatto di cui è accusata, ma non alle domande relative alle circostanze personali elencate all'art. 21 delle disp. att. c.p.p., tra cui se abbia un soprannome, quali siano le sue condizioni patrimoniali, familiari, sociali, se eserciti uffici o servizi pubblici o ricopra cariche pubbliche, e se abbia già riportato condanne penali.
Alla luce di ciò, il Tribunale rimetteva la questione alla Consulta.

Con la sentenza in commento, la Corte costituzionale ha precisato che il diritto al silenzio opera ogniqualvolta l'autorità che procede in relazione alla commissione di un reato «ponga alla persona sospettata o imputata di averlo commesso domande su circostanze che, pur non attenendo direttamente al fatto di reato, possano essere successivamente utilizzate contro di lei nell'ambito del procedimento o del processo penale, e siano comunque suscettibili di avere un impatto sulla condanna o sulla sanzione che le potrebbe essere inflitta».
È questo, appunto, il caso delle domande previste dall'art. 21 delle disposizioni di attuazione del c.p.p..
Si pensi ad esempio alla circostanza che la persona interrogata sia già stata condannata: essa può indurre la polizia a disporre il suo arresto quando questo sia solo facoltativo, può determinare un importante inasprimento della pena, ovvero può essere utilizzata per valutare la sua pericolosità sociale ai fini dell'applicazione di misure cautelari, del riconoscimento di circostanze attenuanti o della decisione sulla sospensione condizionale della pena.

Pertanto, è corretto imporre ad una persona sospettata di aver commesso un reato il dovere di indicare all'autorità che procede le proprie generalità (nome, cognome, luogo e data di nascita), ma non anche il dovere di fornire ulteriori informazioni di carattere personale, non essendovi per l'indagato o l'imputato alcun obbligo di collaborare con le indagini e il processo a proprio carico.
Inoltre, è altresì necessario escludere la sua punibilità nel caso in cui egli risponda il falso, quando non sia stato debitamente avvertito di questa sua facoltà.

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