Se la domanda di equa riparazione è proposta in pendenza del giudizio presupposto ed in questo viene accertato diritto di valore inferiore al valore della causa, tale pronuncia ha efficacia nel giudizio di equa riparazione immediatamente e a prescindere dal suo passaggio in giudicato.
Svolgimento del processo
1. Il decreto depositato il 3-9-2020 dal consigliere delegato della Corte d’Appello di Perugia ha deciso i ricorsi riuniti proposti ex art. 3 legge 24 marzo 2001 n.89 da M. T. M. ed E. D. ; i ricorrenti avevano chiesto equo indennizzo per la violazione del termine di ragionevole durata di processo a sua volta relativo a equo indennizzo (in relazione alla durata di causa in materia di pubblico impiego avanti al T.A.R. del Lazio), svolto davanti alla Corte d’Appello di Roma e alla Corte di Cassazione, che con ordinanza n. 17150/2019 depositata il 26-6-2019 aveva cassato con rinvio il decreto impugnato. Il decreto ha determinato il periodo indennizzabile, fino al deposito dell’ordinanza della Cassazione, in cinque anni e, sulla base del parametro annuale di Euro 400,00, ha ingiunto il pagamento dell’indennizzo di Euro 2.000,00 per ciascuno dei ricorrenti, con interessi legali e rifusione delle spese di lite.
Il Ministero della Giustizia ha proposto opposizione alla Corte d’Appello di Perugia, dichiarando che la Corte d’Appello di Perugia - quale giudice del rinvio- aveva riservato la decisione nel giudizio presupposto, al quale il decreto doveva adeguarsi ex art. 2-bis co.3 legge 24 marzo 2001 n.89, e la somma che sarebbe stata liquidata non avrebbe potuto superare Euro 790,00.
La Corte d’Appello di Perugia con decreto depositato il 18-5-2021 ha considerato che la difesa ministeriale nel corso del giudizio di opposizione aveva depositato il decreto pubblicato il 26-11-2020 che, nel giudizio di rinvio della causa presupposta, aveva liquidato l’indennizzo in Euro 800,00; di conseguenza, dichiarando di fare applicazione dell’art. 2-bis co.3 legge 24 marzo 2001 n.89, ha quantificato l’indennizzo in Euro 800,00 per ciascuno dei ricorrenti; ha «rideterminato l’ammontare delle spese del giudizio» in Euro 250,00, compensando le spese della fase di opposizione sulla base dell’assunto della «sostanziale soccombenza del Ministero» e del fatto che l’opposizione si era «resa utile nella concordanza dei tempi del deposito del giudizio presupposto».
2. M. T. M. ed E. D. hanno proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi.
Il Ministero della Giustizia si è costituito chiedendo il rigetto del ricorso.
3. Con ordinanza interlocutoria n. 36272/2022 pronunciata all’esito dell’adunanza camerale del 24-10-2022 la causa è stata rimessa alla pubblica udienza, per la rilevanza nomofilattica della questione posta con il primo motivo di ricorso.
4. In prossimità dell’udienza i ricorrenti hanno depositato memoria, nella quale hanno dichiarato che con ordinanza n. 35375 depositata in data I-12-2022 la Suprema Corte, decidendo nel merito del giudizio presupposto, aveva liquidato a favore di ciascuno dei ricorrenti la somma di Euro 1.000,00 oltre interessi dalla domanda proposta a ottobre 2011 e perciò complessivamente circa Euro 1.100,00; hanno evidenziato come il valore definitivo del giudizio presupposto fosse risultato maggiore di quello ritenuto applicabile dal decreto impugnato e hanno insistito per l’accoglimento del loro ricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo formulato ai sensi dell’art. 360 co.1 n.3 cod. proc. civ. e rubricato “violazione e/o falsa applicazione di legge – art. 2bis, Legge n.89/2001” i ricorrenti hanno dichiarato che il decreto pubblicato il 26-11-2020 che ha liquidato l’indennizzo nella causa presupposta in Euro 800,00 non era definitivo né in astratto, in quanto provvedimento di primo grado, né in concreto, in quanto oggetto di ricorso per cassazione tuttora pendente; quindi hanno sostenuto che il valore di Euro 800,00 determinato in quel decreto non potesse costituire il parametro entro il quale determinare l’indennizzo massimo ai sensi dell’art. 2-bis co.3 legge 24 marzo 2001
n.89 e che il decreto impugnato, non potendo esprimere presunzioni incidentali sul valore del diritto accertato nel giudizio presupposto, avrebbe dovuto ancorare il valore della causa al valore della domanda formulata nel giudizio presupposto. Hanno evidenziato che tale valore era stato ritenuto nel primo decreto emesso dal consigliere delegato della Corte d’Appello di Perugia almeno pari a Euro 2.000,00, senza che il Ministero opponente avesse dimostrato che il valore fosse inferiore.
2. Con il secondo motivo rubricato “violazione e/o falsa applicazione di legge – art. 92, cod. proc. civ” i ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità della compensazione delle spese del giudizio di opposizione.
3. Il decreto impugnato deve essere cassato in forza del giudicato esterno sopravvenuto nel corso del giudizio di cassazione al quale hanno fatto riferimento i ricorrenti nella memoria, con conseguente assorbimento del secondo motivo di ricorso, mentre il primo motivo di ricorso deve essere esaminato al fine di enunciare principio di diritto ai sensi dell’art. 384 co.1 cod. proc. civ..
4. Il primo motivo di ricorso è infondato, in quanto non si giustifica la pretesa dei ricorrenti di ancorare il tetto massimo dell’indennizzo ex art. 2-bis co. 3 legge 24 marzo 2001 n.89 al valore della domanda anziché al valore del diritto accertato nel giudizio presupposto con pronuncia non ancora passata in giudicato.
L’art. 2-bis legge 24 marzo 2001 n.89, il cui co.3 prevede che «La misura dell’indennizzo, anche in deroga al comma 1, non può in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice», è stato aggiunto dall’art. 55 co.1 d.l. 22-6-2012 n.83 conv. in legge 7-8-2012 n. 134. Lo stesso art. 55 co.1 ha sostituito l’art. 4 legge 24 marzo 2001 n.89 con la disposizione -poi dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza 26-4-2018 n.88 della Corte Costituzionale- secondo la quale la domanda di riparazione poteva essere proposta solo al termine del giudizio presupposto. Quindi, in base alla struttura introdotta dal legislatore del 2012, la definizione del processo nel quale si era verificato il ritardo indennizzabile era necessaria non solo per esercitare il diritto all’equo indennizzo, ma anche per quantificare l’indennizzo; il legislatore del 2012, al fine di evitare il rischio di sovracompensazioni se non addirittura di occasionali e insperati arricchimenti (cfr. Cass. sez. 2 25-3-2019 n. 8289 e precedenti ivi richiamati) e sulla base del postulato che l’indennizzo pari al valore del diritto accertato nel giudizio presupposto non possa mai essere meramente irrisorio, ha legato il giudizio di equo indennizzo con un nesso di dipendenza al giudizio nel quale si è verificato il ritardo indennizzabile. Tale nesso di dipendenza permane anche a seguito della pronuncia di incostituzionalità dell’art.4 legge 24 marzo 2001 n. 89, in forza della quale è ora consentita la proposizione della domanda di indennizzo in pendenza del giudizio presupposto; la stessa sentenza n.88/2018 della Corte costituzionale, dopo avere rilevato che la pronuncia additiva di illegittimità costituzionale «non può essere impedita dalle peculiarità con cui la legge Pinto conforma il diritto all’equa riparazione, collegandolo, nell’an e nel quantum, all’esito del giudizio in cui l’eccessivo ritardo è maturato», ha aggiunto che spetterà «ai giudici comuni trarre dalla decisione i necessari corollari sul piano applicativo, avvalendosi degli strumenti ermeneutici a loro disposizione».
Nella fattispecie la Corte territoriale, adeguando l’indennizzo all’importo del diritto accertato nel decreto già emesso nel giudizio presupposto, ha esattamente riconosciuto a quella pronuncia l’autorità che le era propria prima e indipendentemente dal suo passaggio in giudicato, facendo applicazione delle previsioni dell’art. 337 co. 2 cod. proc. civ.. Si richiamano testualmente i principi posti da Cass. sez. un. 26-7-2004 n. 14060, perché fondamentali ai fini che interessano: «Non è condivisibile l’assunto secondo cui l’autorità alla quale si riferisce l’art. 337, comma 2, c.p.c., è quella della sentenza passata in giudicato, con la conseguenza che la norma sarebbe applicabile soltanto nel caso in cui la sentenza invocata nel diverso giudizio sia stata impugnata per revocazione straordinaria o con opposizione di terzo. L’autorità alla quale la norma si riferisce è quella di qualsiasi sentenza, soggetta anche ai mezzi di impugnazione ordinari. Prima ancora del passaggio in giudicato, qualsiasi pronuncia giurisdizionale è infatti dotata di propria autorità, dato che la sentenza esplica un’efficacia di accertamento al di fuori del processo. La stabilità della sentenza impugnata, anche se provvisoria, costituisce naturale proprietà dell’atto giurisdizionale, che esprime la volontà della legge nel caso concreto, e con questa l’esigenza di una sua immediata, anche se provvisoria, attuazione, nell’attesa del formarsi del giudicato ed indipendentemente da questo. Principio che trova conferma, in primo luogo, nelle disposizioni di legge che regolano gli effetti della sentenza non definitiva emessa nel giudizio di primo grado (artt. 278, 279, comma 2, n.4 e 340 c.p.c.), e in secondo luogo nella formulazione letterale della norma, che riconosce autorità, e quindi efficacia, alla sentenza ancor prima del suo passaggio in giudicato, atteso che di tale evento nella norma non c’è menzione».
E’ altresì vero che, secondo la specifica previsione dell’art. 337 co.2 cod. proc. civ., il giudice potrebbe disporre la sospensione del giudizio per attendere il passaggio in giudicato della sentenza la cui autorità sia stata invocata avanti a lui; il giudice potrebbe anche decidere in modo difforme ove ritenesse che la sentenza la cui autorità sia stata invocata potesse, sulla base di ragionevole valutazione prognostica, essere riformata o cassata (cfr. Cass. sez. un. 29-7-2021 n. 21763). Però nella fattispecie non risulta sia stata neppure formulata istanza di sospensione del processo, che il giudicante avrebbe dovuto valutare anche alla luce delle finalità del giudizio per l’equo indennizzo; non avendo la Corte territoriale ritenuto sussistenti neppure i presupposti per discostarsi dalla pronuncia emessa nel giudizio presupposto, non aveva alternativa a quella di riconoscerne l’immediata autorità, limitando l’indennizzo all’ammontare del diritto riconosciuto nel diritto presupposto.
Non rileva neppure il dato che la pronuncia nel giudizio presupposto sia sopravvenuta nel corso del giudizio di opposizione al decreto emesso dal consigliere delegato, in quanto il valore del diritto accertato dal giudice nel giudizio presupposto costituisce ex art. 2-bis co.3 cit. limite di accoglimento della domanda che, in quanto tale, deve essere valutato nella consistenza che ha al momento della decisione.
Del resto, neppure il tenore letterale dell’art. 2-bis co.3 cit. impone di fare riferimento esclusivamente all’accertamento definitivo del diritto nel giudizio presupposto e perciò, qualora un accertamento sia avvenuto nel corso del giudizio di equo indennizzo, non tenerne conto si risolverebbe in una interpretazione illegittimamente abrogativa di quel criterio. Come evidenziato dal Ministero, la determinazione della misura dell’indennizzo in caso di domanda proposta in pendenza del giudizio presupposto avviene “allo stato degli atti” e perciò tutti i parametri posti dall’art.2-bis cit. devono essere applicati secondo le risultanze a disposizione al momento della decisione. In effetti, la parte che ha scelto di proporre la domanda di indennizzo nel corso del giudizio presupposto ha accettato anche che la sua domanda sia valutata e l’indennizzo sia determinato sulla base delle risultanze a disposizione in quel momento; sarebbe irragionevole che la parte si potesse giovare del maggiore valore della causa, determinato dalla domanda da essa stessa proposta.
Si enuncia perciò il seguente principio di diritto ex art. 384 co.1 cod. proc. civ.: «nel caso in cui la domanda di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001 n. 89 sia proposta in pendenza del giudizio presupposto e nel giudizio presupposto sia stato accertato diritto di valore inferiore al valore della causa ai sensi dell’art. 2-bis co.3 L. 24 marzo 2001 n.89, tale pronuncia nel giudizio presupposto ha efficacia nel giudizio di equa riparazione immediatamente e a prescindere dal suo passaggio in giudicato in forza dell’art. 337 co. 2 cod. proc. civ.».
5. La proposizione del primo motivo di ricorso ha comportato che la questione relativa alla determinazione dell’indennizzo sia stata devoluta al giudizio di legittimità, per cui l’indennizzo deve essere adeguato al giudicato nel frattempo sopravvenuto nel giudizio presupposto, decidendo la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 co.2 cod. proc. civ., in mancanza della necessità di ulteriori accertamenti di fatto.
Si deve dare continuità al principio secondo il quale il giudicato esterno formatosi a seguito di una sentenza della Cassazione è rilevabile anche d’ufficio e anche nell’ipotesi in cui la sentenza non sia stata versata in atti con la rituale certificazione di cui all’art. 124 disp. att. cod. proc. civ., perché l’accertamento del giudicato esterno non costituisce patrimonio esclusivo delle parti ma corrisponde a preciso interesse pubblico (Cass. sez. 6-2 11-6-2021 n. 16589 Rv. 661485- 01, Cass. sez. 3 5-3-2009 n. 5360 Rv. 606957-01).
Nella fattispecie l’ordinanza n. 35375 depositata il I-12-2022 di questa Corte ha definito il giudizio presupposto riconoscendo ai ricorrenti l’indennizzo di Euro 1.000,00, oltre interessi. Quindi, considerato che l’ammontare del diritto accertato nel giudizio presupposto si determina tenendo conto dell’importo capitale e degli interessi liquidati nella pronuncia con cui tale giudizio è stato definito (Cass. sez. 2 19-3-2019 n. 7695 Rv. 653378-01, per tutte), si recepisce la deduzione dei ricorrenti secondo la quale nel giudizio presupposto è stato a loro riconosciuto, per capitale e interessi, l’importo di circa Euro 1.100,00 e si attribuisce loro, a titolo di equo indennizzo, la somma di Euro 1.100,00; senza ulteriori interessi fino alla presente pronuncia, in quanto la somma è corrispondente al tetto massimo di cui all’art. 2-bis co.3 cit., nell’ambito del margine di valutazione discrezionale che pure le misure minime e massime poste dall’art. 2-bis riservano al giudicante (cfr. Cass. sez. 2 31-3-2022 n. 10531).
6. In considerazione della cassazione del decreto impugnato e del parziale accoglimento della domanda solo in ragione del giudicato intervenuto in corso di causa, nonché in considerazione della novità della questione trattata, si giustifica la compensazione per la quota della metà delle spese dell’intero giudizio. In applicazione del principio della soccombenza la residua quota della metà delle spese di lite, come in dispositivo liquidata, è posta a carico del Ministero.
P.Q.M.
La Corte, decidendo sul ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, liquida l’indennizzo spettante ai ricorrenti in Euro 1.100,00 ciascuno;
compensa per la quota della metà le spese di tutti i gradi e condanna il Ministero alla rifusione a favore dei ricorrenti delle spese per la residua quota della metà, quota liquidata per il giudizio di merito in Euro 350,00 oltre spese e per il giudizio di legittimità in Euro 300,00 per compensi, Euro 100,00 per esborsi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege, con distrazione a favore dell’avv. F.E.A. e dell’avv. M.A. dichiaratisi antistatari.