Svolgimento del processo
La Corte d’appello dell’Aquila, con decreto n. cronol. 222/2021, pubblicato il 26/3/21, in giudizio instaurato da A.F.C., nei confronti di F.D., per sentirle riconoscere il diritto, ex art.12 bis l.898/1970, quale titolare di assegno divorzile (fissato con la sentenza di divorzio del 2008), non avendo contratto nuovo matrimonio ed essendo l’ex coniuge andato in pensione con percezione del trattamento di fine rapporto, di percepire quota del TFR, ha confermato la statuizione di primo grado, con la quale era respinta la domanda, sul rilievo che il TFR era maturato ed era stato pagato nel 2002, in epoca antecedente sia alla sentenza di divorzio (2008) che alla data di proposizione della relativa domanda (2006).
In particolare, i giudici di appello hanno rilevato che, mentre la quota di TFR è dovuta al coniuge, cui sia stato riconosciuto l’assegno divorzile, anche quando il TFR sia stato pagato nel corso del giudizio di divorzio, non potendo i tempi del processo risolversi in danno della parte vittoriosa e dovendo gli effetti della sentenza di divorzio retroagire fino alla data della domanda, nella specie il TFR era stato pagato già nel 2002, mentre la domanda di divorzio era successiva, essendo stata proposta nel 2006, cosicché non era dovuta alcuna quota di TFR, essendo le somme ormai definitivamente entrate nell’esclusiva disponibilità dell’avente diritto.
Avverso la suddetta pronuncia A.F.C. propone ricorso per cassazione, notificato il 4/5/2021, affidato a quattro motivi, nei confronti di F.D. (che resiste con controricorso, notificato il 14/6/2021). Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione del principio del contraddittorio, per non avere la Corte d’appello, che aveva disposto la trattazione scritta dell’unica udienza di comparizione, concesso alla reclamante termini per difese scritte in replica alle note di trattazione depositate nell’ultimo giorno utile dalla controparte, così essendosi eliminata la parità tra le parti; b) con il secondo motivo, l’omesso esame delle istanze istruttorie che avrebbero consentito di acquisire, tramite ordine di esibizione al terzo (l’INPDAP), elementi certi in ordine all’indennità di fine rapporto ed alla sua erogazione, in via di acconto o satisfattiva; c) con il terzo motivo, la violazione degli artt.2697 c.c., 2719 c.c. e 115 c.p.c., in relazione alla carenza di prova circa l’autenticità della dichiarazione di «futuro» collocamento a riposo del F.D. e di erogazione a costui del trattamento di fine rapporto, pur in presenza di contestazioni e di istanze istruttorie della A.F.C.; d) con il quarto motivo, la violazione dell’art.12 l.898/1970 circa la scelta di fare retroagire alla domanda di divorzio, e non a quella di separazione (nella specie avviata nel 1998 dalla A.F.C. e definita solo nel 2006 con sentenza del Tribunale di Sulmona), il momento che legittima il coniuge beneficiario dell’assegno divorzile a pretendere il versamento di quota del trattamento di fine rapporto da parte del coniuge onerato, considerato che, nella specie, la A.F.C. non avrebbe comunque potuto chiedere il pagamento di quota del TFR, essendo stato questo pagato nel 2002, sulla base di quanto asseritamente documentato dalla controparte, pure se avesse proposto domanda di divorzio il giorno dopo la pubblicazione o il passaggio in giudicato della sentenza di separazione.
2. La prima censura è inammissibile per difetto di autosufficienza. La ricorrente lamenta una violazione del diritto di difesa, per non esserle stato concesso un termine per replica scritta alle note scritte di parte avversa, ma non chiarisce se il resistente avesse introdotto nel giudizio di appello elementi nuovi difensivi cui era necessario replicare e neppure precisa quali sarebbero state le questioni che ella avrebbe sollevato se avesse potuto replicare.
3. La seconda e la terza censura sono inammissibili.
La Corte d’appello ha ritenuto superflua la richiesta istruttoria di informative presso l’INPDAP in merito all’effettiva erogazione del TF , emergendo dalla documentazione acquisita (note del Ministero della Difesa e dell’INPDAP) che il F.D. era stato collocato a riposo il 30/9/2002 ed aveva percepito il TFR nel dicembre 2002, prima dell’instaurazione del giudizio di divorzio.
Il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 2357/2004; Cass. 27197/2011; Cass. 24679/2013; Cass. 331/2020).
4. Il quarto motivo è inammissibile, ex art. 360 bis n. 1 c.p.c., avendo la Corte di merito statuito in maniera conforme a consolidata giurisprudenza di questo giudice di legittimità.
Ai sensi dell’art. 12 bis, comma 1, l. n. 898 del 1970, «Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell'articolo 5, ad una percentuale dell'indennita` di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l'indennita` viene a maturare dopo la sentenza».
Questa Corte, con orientamento oramai consolidato, ritiene che condizione per l’ottenimento della quota del trattamento di fine rapporto dell’ex coniuge e` che il richiedente sia titolare di un assegno divorzile - o abbia presentato domanda di divorzio (seguita dalla relativa pronuncia e dall’attribuzione dell’assegno divorzile) - al momento in cui l’ex coniuge maturi il diritto alla corresponsione di tale trattamento (cfr. da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4499 del 19/02/2021).
La ratio della norma e`, infatti, quella di correlare il diritto alla quota del trattamento di fine rapporto alla percezione dell’assegno divorzile (tra le tante, v. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 12175 del 06/06/2011). Alla base della disposizione normativa si rinvengono profili assistenziali, evidenziati dal fatto che la disposizione presuppone la spettanza dell’assegno divorzile, ma anche compensativi, legati all’importanza data allo svolgimento del rapporto di lavoro durante la vita matrimoniale.
La finalità, in sintesi, e` quella di attuare una partecipazione, seppure posticipata, alle fortune economiche costruite insieme dai coniugi, finche´ il matrimonio e` durato.
In ordine al momento in cui nasce il diritto all’ottenimento della quota del trattamento di fine rapporto spettante all’ex coniuge e` consolidata l’opinione della giurisprudenza, secondo la quale tale diritto sorge, e puo` essere azionato, quando cessa il rapporto di lavoro (v. tra le tante Cass., Sez. L, Sentenza n. 2827 del 06/02/2018 e Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 5376 del 27/02/2020; cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 34050 del 12/11/2021).
In definitiva, insieme al diritto del lavoratore a tale trattamento, sorge anche il diritto dell’ex coniuge a percepire una sua quota, in presenza degli altri presupposti dall’art. 12 bis l. n. 898 del 1970 e il diritto alla quota del trattamento di fine rapporto, che matura con l’insorgenza del diritto a tale trattamento da parte dell’altro coniuge, diviene esigibile quando quest’ultimo percepisce il relativo trattamento (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 27233 del 14/11/2008 e Cass., Sez. 1, Sentenza n. 5719 del 23/03/2004).
Non e`, pero`, necessario che l’importo su cui calcolare la quota di spettanza sia già incassato al momento della proposizione della relativa domanda, essendo sufficiente che sia esistente al momento della decisione (Cass. 24403/2022).
Occorre tuttavia che la percezione del TFR da parte dell’ex coniuge intervenga dopo la proposizione della domanda di divorzio.
Invero, già con la sentenza n. 5553/1999, questa Corte ha affermato che il disposto dell'art. 12-bis l. 898/70, introdotto dall'art.16 l. n. 74/1987 - nella parte in cui attribuisce al coniuge cui è stato riconosciuto l'assegno ex art.5 l. 898 cit. e non sia passato a nuova nozze il diritto ad una quota dell'indennità di fine rapporto, anche nel caso in cui tale indennità sia maturata prima della sentenza di divorzio - deve essere interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge soltanto quando l'indennità sia maturata «al momento o dopo la proposizione della domanda e, quindi, anche prima della sentenza di divorzio», ogni diversa interpretazione implicando profili non manifestamente infondati di incostituzionalità della norma applicata in riferimento all'art. 3 Cost. Tali principi sono stati ribaditi anche dalla giurisprudenza successiva e sono stati, inoltre, implicitamente avallati dalla Corte Costituzionale, che, nel dichiarare (ordinanza n. 463 del 2002) inammissibile la questione di legittimità sollevata con riferimento all'art. 12-bis l. 898/1970, ha osservato come l'istituto ivi previsto presupponga, per la determinazione sia dell' an che del quantum debeatur, la configurabilità del credito già al momento della percezione dell'indennità di fine rapporto da parte del coniuge obbligato.
E così questa Corte (Cass . 19427/2003) ha ribadito che «in tema di divorzio, l'art. 12 bis della legge 1 dicembre 1970, (introdotto dall'art. 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74), il quale attribuisce al coniuge cui sia stato riconosciuto l'assegno ex art. 5 della legge stessa e non sia passato a nuove nozze il diritto ad una quota dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge "anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza", deve essere interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge soltanto quando l'indennità sia maturata al momento o dopo la proposizione della domanda (con conseguente insussistenza del diritto se l'indennità matura anteriormente a tale momento), e, quindi, anche prima della sentenza di divorzio, implicando ogni diversa interpretazione profili non manifestamente infondati di incostituzionalità della norma in riferimento all'art. 3 della Costituzione» (cfr. Cass. 14459/2004: «Il diritto, previsto dall'art. 12-bis della legge n. 898 del 1970 in favore del coniuge titolare di assegno divorzile, alla quota dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge, non sorge ove l'indennità sia maturata e percepita dopo la pronuncia di separazione e di determinazione dell'assegno ed anteriormente alla proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio; in tal caso, la riscossione dell'indennità di fine rapporto da parte del coniuge separato può solo incidere sulla situazione economica del coniuge obbligato e legittimare una modifica delle condizioni della separazione»; Cass. 25520/2010: « Il disposto dell'art. 12 bis della legge 898/70 - nella parte in cui attribuisce al coniuge titolare dell'assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze il diritto ad una quota dell'indennità di fine rapporto dell'altro coniuge "anche quando tale indennità sia maturata prima della sentenza di divorzio" - va interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge soltanto se l'indennità spettante all'altro coniuge venga a maturare al momento della proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio o successivamente ad essa – in tal senso dovendosi intendere l'espressione "anche prima della sentenza di divorzio", implicando ogni diversa interpretazione indiscutibili profili di incostituzionalità della norma in parola»; Cass. 24421/2013: « L'art. 12 bis della legge 1 dicembre 1970, n. 898, laddove attribuisce al coniuge titolare dell'assegno di cui al precedente art. 5, che non sia passato a nuove nozze, il diritto ad una quota del trattamento di fine rapporto dell'altro coniuge, va interpretato nel senso che per la liquidazione di tale quota occorre avere riguardo a quanto percepito da quest'ultimo, per detta causale, dopo l'instaurazione del giudizio divorzile, escludendosi, quindi, eventuali anticipazioni riscosse durante la convivenza matrimoniale o la separazione personale, essendo le stesse definitivamente entrate nell'esclusiva disponibilità dell'avente diritto»; Cass. 4499/2021) Quindi, condizione per il riconoscimento della quota del trattamento di fine rapporto spettante all'ex coniuge, è che quest'ultimo sia già titolare di assegno divorzile o abbia presentato la relativa domanda al momento in cui l'altro ex coniuge abbia maturato il diritto alla corresponsione del trattamento.
Nella specie, si è invece accertato che il TFR è stato maturato e percepito, nel 2002, nel corso del giudizio di separazione personale, avviato nel 1998 e definito nel 2006.
5. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 4.000,00, a titolo di compensi, oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, da atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.