Secondo la Corte, lo sfruttamento sessuale costituisce una persecuzione di genere.
La controversia trae origine dal ricorso proposto da una donna nigeriana avverso la decisione della Corte d'Appello di rigettare la sua richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato.
A fondamento della sua richiesta di asilo, la ricorrente riferiva di essere fuggita dal proprio paese per raggiungere l'Europa con il sogno andare a...
Svolgimento del processo
La Corte di Appello di Bologna ha rigettato il ricorso di EO , nata a X il 1994 volte ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato.
La richiedente asilo aveva riferito di essere fuggito dal proprio paese in quanto aveva fatto la conoscenza di tale F donna di circa 30 - 35 anni, che si mostrava disponibile ad assisterla, dichiarandole che l'avrebbe aiutata a raggiungere l'Europa e, una volta qui, ad accedere ad una scuola, grazie alla quale avrebbe potuto imparare un mestiere (parrucchiera, Golf, cameriera) che le avrebbe consentito di aiutare economicamente la madre ed i fratelli.
F pagava le spese del viaggio e la E , attraverso il Niger, giungeva in Libia, dove, rinchiusa in un centro di detenzione per migranti, veniva malmenata, abusata sessualmente e lasciata senza cibo ed acqua. Dopo una settimana q,i permanenza all'interno della struttura, la ricorrente veniva fatta salire su un'imbarcazione diretta in Italia e, una volta arrivata, veniva trasferita presso un centro di accoglienza ubicato a X
Qui veniva raggiunta da un connazionale, il compagno di F , che la conduceva a X : soltanto a questo punto la ricorrente veniva messa a conoscenza dell'entità del debito contratto con F per il viaggio (€ 30.000,00), che avrebbe dovuto restituire prostituendosi fino alla sua estinzione. Essendo stata sottoposta prima della partenza dalla Nigeria al rituale del giuramento, la stessa si sentiva psicologicamente soggiogata ed era spaventata dall'idea che qualcosa di atroce potesse accadere a lei o a membri della sua famiglia qualora si fosse sottratta alle richieste della madame.
Per tale motivo aveva accettato di prostituirsi in Svezia.
Successivamente, tornata in Italia, Il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 23.05.2019 depositata in pari data (proc. n. 12462/2017 R.G.), accoglieva parzialmente il ricorso, concludendo per la credibilità del racconto dell'istante e riconoscendole però la sola protezione umanitaria, ritenendo insussistenti i presupposti per quella internazionale.
Il Ministero dell'Interno impugnava la decisione, richiedendo la riforma dell'ordinanza in punto riconoscimento della protezione umanitaria; si costituiva in giudizio la signora E , proponendo appello incidentale, con il quale lamentava l'omesso riconoscimento dello status di rifugiato stante l'errata applicazione dell'art. 1, lett. A, punto 2 della Convenzione di Ginevra del 28.07.1951, nonché, con il secondo motivo, la violazione dell'art. 14 D. lgs. n. 251/2007 in merito al riconoscimento della protezione sussidiaria. Da ultimo, la difesa della signora E chiedeva il rigetto dell'appello principale e, in estremo subordine, la conferma dell'ordinanza impugnata, sollevando questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 70, 77, 10, comma 2, Cost. e 117, comma 1, Cost in caso di applica ione retroattiva del D.L. n. 113/2018.
La Corte di Appello di Bologna in data 23.11.2021, respingeva integralmente l'appello principale e quello incidentale, confermando l'ordinanza del Tribunale di Bologna del 23.5.2019, con sentenza n. 571/202 pubblicata 1'11.3.2022. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la ricorrente affidato a due motivi. Il Ministero o dell'Interno non ha spiegato difese.
Motivi della decisione
Con i due motivi di ricorso da trattarsi congiuntamente la ricorrente denuncia :
1) Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3), c.p.p. in relazione agli artt. 2, comma 1, lett. e), 5, comma 1, lett. c), 7, commi 1 e 2, ed 8, comma 1, lett. d), D. Lgs. 251/07, con riferimento all'erronea ricostruzione della disciplina in materia di status di rifugiato;
2) Violazione dell'art. 360, n. 4), c.p.c., a fronte della nullità della sentenza derivante da vizio assoluto di motivazione ai sensi dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., per assenza di argomentazioni relative all'insussistenza dei presupposti applicativi della disciplina dello status di rifugiato.
La Corte d'Appello di Bologna sosteneva di non poter riconoscere alla ricorrente lo status di rifugiata a fronte dell'assenza dei presupposti applicativi dell'istituto, con particolare riguardo ai "motivi di persecuzione" di cui all'art. 8 D. Lgs. 251/07, non argomentando però sul punto, ma limitandosi ad escluderne l'operatività.
Il ricorso è fondato e deve essere accolto in relazione ad entrambi i motivi.
Infatti quanto ai "motivi di persecuzione", le vittime di tratta possono rientrare entro "il particolare gruppo sociale" di cui alla lettera d) dell'art. 8, D. Lgs. 251/07, senza contare che la stessa Corte d'Appello, nel riconoscere i presupposti per la protezione umanitaria, parlava di "un'aperta aggressione della libertà e della dignità della donna", con ciò ribadendo il fatto che quanto già subito e subendo dalla E non riguarderebbe la generalità dei suoi connazionali, ma coloro che sono donne (in particolare le più povere e fragili) e, per questa ragione, esposte al fenomeno della tratta finalizzato allo sfruttamento della prostituzione. Si tratta quindi di una persecuzione di genere, atteso che il reclutamento forzato o ingannevole di donne e minori per fini di prostituzione forzata o sfruttamento sessuale è una forma di violenza legata al genere, che può costituire persecuzione.
In particolare, la tratta di essere umani è definita dall'art. 3 del "Protocollo addizionale del 15.11.2000 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per revenire, reprimere e punire la tratta di persone" nei seguenti termini: "li reclutamento, trasporto, trasferimento, l'ospitare o accogliere persone, tramite l'impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un'altra a scopo di sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l'asservimento o il prelievo di organi"28. Alle vittime di tratta ai fini dello sfruttamento sessuale può quindi essere riconosciuto lo status di rifugiato, così come definito dall'art. lA (2) della Convenzione di Ginevra del 1951, considerato che tale sfruttamento costituisce un motivo di persecuzione individuale, riconducibile all'appartenenza della richiedente ad un determinato gruppo sociale, vale a dire, per f l'appunto, quello delle vittime di tratta.
Questa Corte ha affermato che "la riduzione d. una persona in stato di schiavitù configura un trattamento persecutorio, rilevante ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, non potendosi attribuire alcun rilievo alla liceità o tolleranza di quel trattamento nel Paese di provenienza del richiedente, poichè altrimenti si vanificherebbe l'essenza stessa della tutela internazionale, che è proprio quella di assicurare al richiedente, in fuga dal proprio Paese, la tutela dei suoi diritti lnalienabili di persona, tra i quali certamente rientra quello alla libertà personale" (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 17186 del 14/08/2020}
Per quanto sopra si imporie pertanto la cassazione della sentenza impugnata coA rinvio alla corte di merito anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo e secondo motivo di ricorso cassa il provvedimento impugnato e rinvia alla Corte di Appello di Bologna
In diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.