Il giudice deve prima stimare in punti percentuali l'invalidità complessiva, risultante dalla sommatoria fra quella preesistente e quella causata dall'illecito, e poi quella esistente prima della condotta ascrivibile al medico convertendo entrambe le percentuali in una somma di denaro. Infine, deve sottrarre dal valore monetario dell'invalidità complessivamente accertata quello corrispondente al grado di invalidità preesistente.
Due coniugi convenivano in giudizio un ospedale al fine di sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti dalla donna a causa dell'asportazione della tuba (l'unica che le era rimasta in seguito ad un'analoga operazione subita in passato) con conseguente perdita della capacità riproduttiva.
Il Tribunale di Palermo...
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 1788/2015, accogliendo parzialmente la domanda proposta dai coniugi R.G. e S.P. nei confronti della Provincia Religiosa di San Pietro dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni Di Dio, Ospedale (omissis), con cui era stato richiesto il risarcimento dei danni patiti dall’attrice a causa dell’asportazione della tuba sinistra (l’unica che le era rimasta a seguito dell’asportazione dell’altra in conseguenza di altro intervento chirurgico), con conseguente perdita della funzione riproduttiva, ritenne la responsabilità dei sanitari che avevano sottoposto la paziente ad un’isterosalpingografia (ISG) e liquidò la complessiva somma di euro 109.000,00 in favore dell’attrice e la somma di euro 50.000,00 in favore del coniuge.
In particolare, il giudice di primo grado osservò, in esito alla c.t.u. espletata, che i sanitari non avevano acquisito il consenso informato della paziente prima di sottoporla all’esame, di natura invasiva, e che avevano proceduto senza attendere l’esito del tampone vaginale che aveva poi consentito di rilevare la presenza di ceppi di Escherichia Coli, che avrebbe dovuto sconsigliare l’effettuazione dell’accertamento a causa del rischio di contrarre una infezione; escluse, invece, la responsabilità della ginecologa che aveva visitato la donna dopo qualche giorno dall’esecuzione della ISG, ritenendo che, per il quadro sintomatologico presente, non fosse possibile imputarle alcun errore diagnostico o di cura; considerò che la G., già priva della tuba e dell’ovaio destri per altre cause, avesse subito, in conseguenza dell’asportazione della tuba sinistra, una cd. ‹‹lesione prolicrona concorrente›› ed applicò un coefficiente di maggiorazione al grado di invalidità permanente accertato dal c.t.u, addivenendo a valutare, utilizzando la cd. ‹‹formula di Gabrielli››, il danno sofferto in via equitativa nella misura del 22 per cento, comprensiva anche del danno estetico; tenuto conto, inoltre, del danno sofferto dall’attrice a titolo di ITA e ITP e, al fine di ristorare anche l’ulteriore pregiudizio sofferto nella vita di relazione (definito, sia pure impropriamente sotto il profilo strettamente lessicale, danno esistenziale), incrementò nella misura del 10 per cento la somma liquidata a titolo di danno biologico secondo le tabelle di Milano, già comprensive del danno morale; determinò, infine, in via equitativa, il danno morale ed esistenziale patito dal P., tenendo conto ‹‹per la sua determinazione dell’importo ben maggiore liquidato a G. R., in relazione alla lesione all’integrità psico-fisica, medicalmente accertata››.
2. Interposto gravame principale dalla Provincia Religiosa e gravame incidentale dai coniugi G./P., la Corte d’appello di Palermo ha ridotto la somma dovuta a R.G. e S.P., riconoscendo in loro favore rispettivamente l’importo di euro 48.214,37 e di euro 20.000,00, oltre interessi, e confermando nel resto la sentenza impugnata.
Considerando che la G. possedeva, a causa dell’assenza della tuba e dell’ovaio destri, metà della funzionalità riproduttiva, ha ritenuto congrua la percentuale di danno riconosciuta dal C.T.U. (10%); inoltre, in ragione della sofferenza fisica dalla G. patita a causa dell’intervento chirurgico, del periodo di degenza e, soprattutto, della perdita della capacità procreativa e della perdita di chance di una positiva riuscita di una tecnica di procreazione medicalmente assistita, la Corte territoriale, facendo applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano, con la massima ‹‹personalizzazione››, ha ritenuto che il danno arrecato ammontasse ad euro 32.902,18, somma alla quale doveva aggiungersi l’importo già liquidato dal giudice di primo grado a titolo di ITT e ITP, pari ad euro 4.400,00; somme che, maggiorate di rivalutazione ed interessi compensativi in misura legale, questi ultimi da computarsi sulla somma prima devalutata al momento del sinistro e poi via via rivalutata fino alla data della decisione, ascendevano ad euro 38.214,37. Essendo stato accertato in primo grado il mancato consenso informato in ordine ai rischi ed alla natura della ISG, i giudici di appello hanno pure ritenuto sussistente il diritto della G. al ristoro del danno conseguente, che è stato liquidato in via equitativa nella misura di euro 10.000,00. Passando, quindi, all’esame delle doglianze riguardanti la liquidazione del danno in favore di S.P., la Corte, nel sottolineare che quest’ultimo aveva sostanzialmente subito un danno riflesso, da quantificarsi in rapporto a quello stimato per la G., ha concluso che il danno sofferto dal coniuge potesse essere stimato in ragione di circa il 50 per cento di quello biologico, morale ed esistenziale subito dalla moglie, e ha liquidato, in via equitativa, la somma di euro 20.000,00, comprensiva di rivalutazione ed interessi.
3. R.G. e S.P. ricorrono per la cassazione della
decisione d’appello, con tre motivi.
La Provincia Religiosa di San Pietro dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni Di Dio – (omissis) resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, deducendo la ‹‹violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. – Omessa applicazione del criterio legale per l’accertamento del nesso di causalità giuridica››, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale, aderendo alle conclusioni del c.t.u., ha rideterminato il grado percentuale dell’invalidità permanente dalla stessa subito nella misura del 10 per cento, a fronte di un grado percentuale obiettivamente accertato nella misura del 20 per cento, sul presupposto che, prima dei fatti per cui era causa, possedesse la metà della funzionalità riproduttiva di una donna fertile. Così argomentando, prosegue la ricorrente, la Corte d’appello, ha considerato quale ‹‹concausa›› della menomazione subita il suo stato anteriore, al quale ha attribuito un’efficienza causale del 50 per cento, in violazione dell’art. 1223 cod. civ., che impone di tenere conto di tutte le conseguenze pregiudizievoli subite dal danneggiato, immediatamente riconducibili all’inadempimento. Sottolinea, al riguardo, che, ove il danneggiato sia portatore di una pregressa menomazione, i principi della causalità giuridica richiedono un accertamento che valuti quali sarebbero state le conseguenze dell’illecito in assenza delle condizioni preesistenti e solo nel caso in cui si accerti che le conseguenze dell’illecito sono state più gravi in ragione della condizione preesistente, detta condizione può assumere rilevanza giuridica ai fini della determinazione dei danni. Tale accertamento, ad avviso della ricorrente, non è stato svolto dai giudici di appello.
2. Con il secondo motivo si denuncia ‹‹violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. – Erronea applicazione del criterio di calcolo del danno differenziale››. In via subordinata, la ricorrente sostiene che, ove si dovesse ritenere che lo stato anteriore costituisse causa ‹‹concorrente››, secondo i principi della causalità giuridica, il giudice d’appello avrebbe dovuto escludere dalla complessiva situazione finale di invalidità le conseguenze negative non eziologicamente attribuibili al fatto illecito; in altri termini, avrebbe dovuto monetizzare il grado dell’invalidità complessiva al 100 per cento e sottrarre la monetizzazione del grado d’invalidità preesistente. Addebita, quindi, alla Corte territoriale di avere tenuto conto della concausa in sede di determinazione del punto di invalidità permanente, in tal modo liquidando un risarcimento inferiore a quello spettante, in violazione dell’art. 1223 cod. civ., e di avere pure violato il principio di diritto secondo il quale le sofferenze e le conseguenti privazioni della vittima non aumentano in misura proporzionale, ma progrediscono con intensità geometricamente crescente rispetto al crescere dell’invalidità permanente.
3. Con il terzo motivo, rubricato ‹‹violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 1226 e 2056 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.››, si censura anche il criterio di determinazione del danno riconosciuto al P. e si lamenta, in particolare, che la valutazione del danno riflesso deve necessariamente tenere conto delle variabili specifiche del caso concreto. Poiché la perdita della capacità di procreare della moglie aveva ingenerato in capo al coniuge lo stesso pregiudizio subito dalla prima, per avere il P. perso la possibilità di diventare padre, la Corte d’appello, secondo i ricorrenti, avrebbe dovuto applicare il criterio di calcolo della personalizzazione nella liquidazione del danno.
4. In controricorso, la Provincia Religiosa di San Pietro dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio ha eccepito l’inammissibilità del primo e del secondo motivo d’impugnazione, sostenendo che le questioni prospettate sono ormai coperte dal giudicato, per non avere i ricorrenti impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva stimato l’entità del danno iatrogeno nella misura del 10 per cento della invalidità permanente, e che in ogni caso le censure rivolte alla sentenza impugnata sollecitano un nuovo giudizio di merito, perché volte ad una rivalutazione del pregresso stato in cui la G. versava prima dei fatti di causa.
L’eccezione di giudicato deve essere disattesa, in quanto deve escludersi che, in presenza di un motivo di appello incidentale volto a contestare la determinazione del danno non patrimoniale con riguardo all’incremento applicato a titolo di personalizzazione, che mirava nel suo esito finale a privare di efficacia la liquidazione operata dal giudice di primo grado, possa reputarsi passata in cosa giudicata la decisione di primo grado in punto di stima del danno da invalidità permanente.
Inoltre, quelle prospettate dai ricorrenti sono questioni di diritto, e non di mero fatto, giacché volte a denunciare il criterio giuridico utilizzato dalla Corte d’appello per individuare, dal novero delle conseguenze dannose provocate dalla lesione alla salute, quelle che, sole, possano dirsi risarcibili ai sensi dell'art. 1223 cod. civ.
5. I primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente perché strettamente connessi, sono fondati, dovendosi dare continuità ai principi affermati - da ultimo - da Cass. n. 28986/2019, secondo cui: «in tema di risarcimento del danno alla salute, la preesistenza della malattia in capo al danneggiato costituisce una concausa naturale dell'evento di danno ed il concorso del fatto umano la rende irrilevante in virtù del precetto dell'equivalenza causale dettato dall'art. 41 c.p. sicché di essa non dovrà tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente e nella liquidazione del danno. Può costituire concausa dell'evento di danno anche la preesistente menomazione, vuoi "coesistente" vuoi "concorrente" rispetto al maggior danno causato dall'illecito, assumendo rilievo sul piano della causalità giuridica ai sensi dell'art. 1223 cod. civ.
In particolare, quella "coesistente" è, di norma, irrilevante rispetto ai postumi dell'illecito apprezzati secondo un criterio controfattuale (vale a dire stabilendo cosa sarebbe accaduto se l'illecito non si fosse verificato), sicché anche di essa non dovrà tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente e nella liquidazione del danno; viceversa, secondo lo stesso criterio, quella "concorrente" assume rilievo in quanto gli effetti invalidanti sono meno gravi, se isolata, e più gravi, se associata ad altra menomazione (anche se afferente ad organo diverso) sicché di essa dovrà tenersi conto ai fini della sola liquidazione del risarcimento del danno e non anche della determinazione del grado percentuale di invalidità che va determinato comunque in base alla complessiva invalidità riscontrata in concreto, senza innalzamenti o riduzioni».
«In tema di liquidazione del danno alla salute, l'apprezzamento delle menomazioni "concorrenti" in capo al danneggiato rispetto al maggior danno causato dall'illecito va compiuto stimando, prima, in punti percentuali l'invalidità complessiva, risultante cioè dalla menomazione preesistente sommata a quella causata dall'illecito e poi quella preesistente all'illecito, convertendo entrambe le percentuali in una somma di denaro, con la precisazione che in tutti quei casi in cui le patologie pregresse non impedivano al danneggiato di condurre una vita normale lo stato di invalidità anteriore al sinistro dovrà essere considerato pari al cento per cento; procedendo infine a sottrarre dal valore monetario dell'invalidità complessivamente accertata quello corrispondente al grado di invalidità preesistente, fermo restando l'esercizio del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa secondo la cd. equità giudiziale correttiva od integrativa, ove lo impongano le circostanze del caso concreto» (in senso conforme, Cass., sez. 6- 3, 29/09/2022, n. 28327).
Nello specifico, pur dando atto che la G. possedeva, prima dei fatti per cui è causa, ‹‹metà della funzionalità riproduttiva di una donna fertile in età inferiore ai trenta anni in una situazione di pieno benessere e perfetta salute e con ciclo mestruale regolare›› e che, in esito all’accertamento del c.t.u. era emersa ‹‹la perdita della capacità procreativa per vie naturali e la perdita di chance di una positiva riuscita di qualsivoglia tecnica di procreazione medicalmente assistita (PMA)››, la Corte di merito ha rilevato che i postumi invalidanti subiti dalla ricorrente, «tenuto conto dell’età dell’appellante incidentale alla data dell’evento (41 anni) e della percentuale di danno riconosciutole (10%), secondo le Tabelle milanesi», ammontavano ad euro 32.902,18 (euro 22.082,00 + 49% a titolo di personalizzazione), importo a cui doveva aggiungersi la somma già liquidata in primo grado a titolo di ITT e ITA, nell’importo complessivo di euro 4.400,00. Così argomentando, la Corte ha però disatteso il criterio sopra individuato, che avrebbe comportato la necessità di calcolare il «valore monetario dell'invalidità complessivamente accertata» e di sottrare da tale valore quello corrispondente al grado di invalidità preesistente, fatta salva la possibilità di esercizio del potere discrezionale di applicare «la cd. equità giudiziale correttiva od integrativa, ove lo impongano le circostanze del caso concreto» (Cass. n. 28896/2019 cit.). Non si evince, invero, dalla sentenza impugnata che la Corte territoriale abbia effettuato una quantificazione rapportata alla invalidità complessiva successiva al sinistro (comprensiva delle menomazioni preesistenti e di quelle causate dal sinistro che, in rapporto policrono concorrente, hanno aggravato la precedente condizione della G.) per poi pervenire, tramite sottrazione del valore monetario corrispondente alla patologia originaria, a determinare il "differenziale" risarcitorio spettante alla danneggiata.
Come spiegato da questa Corte, l’adozione di tale metodo di calcolo si impone, in quanto ‹‹sono le funzioni vitali perdute dalla vittima e le conseguenti privazioni a costituire il danno risarcibile, non il grado di invalidità, che ne è solo la misura convenzionale; tali privazioni (e le connesse sofferenze) progrediscono con intensità geometricamente crescente rispetto al crescere dell'invalidità; la misura convenzionale cresce invece secondo progressione aritmetica. Ciò si riflette nel metodo di liquidazione che, dovendo obbedire al principio di integralità del risarcimento (art. 1223 cod. civ.), opera necessariamente, sia quando è disciplinato dalla legge, sia quando avvenga coi criteri introdotti dalla giurisprudenza, con modalità tali che il quantum debeatur cresce in modo più che proporzionale rispetto alla gravità dei postumi: ad invalidità doppie corrispondono perciò risarcimenti più che doppi. Tale principio resterebbe vulnerato se, nella stima del danno alla salute patito da persona già invalida, si avesse riguardo solo all'incremento del grado percentuale di invalidità permanente ascrivibile alla condotta del responsabile›› (Cass., n. 28327/2022, cit.).
La Corte d’appello, in sede di rinvio, procederà, pertanto, ad una nuova liquidazione del danno, applicando i principi dapprima della causalità materiale (art. 41 c.p.), e poi della causalità giuridica (art. 1223 c.c.) secondo i criteri differenziali sopra esposti, e valutando l’incidenza dell’evento sotto il duplice profilo del danno biologico e del danno da sofferenza morale – come legislativamente riconosciuto, nella sua ontologica autonomia, dal nuovo testo degli artt. 138 e 139 C.d.A -.
6. Merita accoglimento anche il terzo motivo di ricorso.
La Corte di merito, anche con riguardo alla posizione del P., avrebbe dovuto prendere in esame, ai fini della determinazione del danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, tutti i pregiudizi patiti dalla vittima, comprensivi anch’essi del generale, duplice aspetto della sofferenza interiore, intesa come strumento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est del danno morale, sia di quelli relativi agli aspetti dinamico-relazionali della vita del soggetto leso, intesi, nella specie, come proiezione esterna della denegata dimensione genitoriale, senza ricorrere ad automatismi risarcitori (Cass., sez. 3, 27/03/2018, n. 7513; Cass., sez. 3, 11/11/2019, n. 28989).
7. In conclusione, il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità