È quanto emerge dalla sentenza in commento. La Consulta infatti ha evidenziato l'importanza di tutelare il diritto all'identità personale dell'adottato maggiorenne che decide di aggiungere il cognome dell'adottante al proprio.
Corte costituzionale, sentenza (ud. 10 maggio 2023) 4 luglio 2023, n. 135
Svolgimento del processo
1.– Con ordinanza del 12 maggio 2022, iscritta al n. 130 del registro ordinanze 2022, la Corte d’appello di Salerno, sezione civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, del codice civile, nella parte in cui preclude all’adottando maggiore d’età la possibilità di anteporre il suo originario cognome a quello dell’adottante, per violazione degli artt. 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nonché all’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
2.– In punto di fatto, il rimettente riferisce che C. P. si era rivolta al Tribunale ordinario di Nocera inferiore chiedendo che venisse pronunciata l’adozione della maggiorenne P. C.
Il giudice adito, assunto il consenso dell’adottanda e rilevato che i genitori della stessa avevano espresso il loro assenso, accoglieva la domanda.
Di seguito – come riporta la Corte d’appello di Salerno – l’adottante proponeva reclamo, ai sensi dell’art. 313, secondo comma, cod. civ., in quanto la sentenza di adozione non aveva accolto la richiesta – avanzata con la domanda introduttiva del giudizio – di posporre il cognome dell’adottante a quello dell’adottanda, e aveva erroneamente sostenuto, nella motivazione, che l’adottante avesse dei figli.
Nel giudizio di reclamo, espone ancora il giudice rimettente, si era costituita l’adottanda, dichiarando «di non opporsi alle richieste della reclamante».
3.– Così compendiate le premesse in fatto, la Corte d’appello di Salerno rileva come solo dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata possa derivare «il buon esito del gravame».
4.– A tal fine ripercorre l’evoluzione del quadro normativo e giurisprudenziale concernente l’istituto dell’adozione del maggiore d’età.
4.1.– Nello specifico, il rimettente si sofferma sul progressivo allontanamento dell’istituto da una finalità di natura meramente patrimoniale, che avrebbe favorito una valorizzazione del «riconoscimento di un rapporto umano di tipo familiare», perseguendo un «fine lecito e tutelabile, ai sensi degli articoli 2, 31 e 32 della Costituzione».
In tale nuova prospettiva, l’aspetto patrimoniale non sarebbe più presupposto dell’istituto, ma mera conseguenza degli «obblighi di solidarietà che sono a carico del genitore adottivo anche del maggiorenne».
Conformemente a tale mutamento della ratio ispiratrice, a parere del giudice a quo, il legislatore avrebbe inteso «modificare la normativa di riferimento», e in particolare l’art. 299 cod. civ., mediante la legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), che ha disposto l’anteposizione del cognome dell’adottante a quello dell’adottato.
Scopo di tale modifica sarebbe stato quello di «rendere pubblicamente palese il rapporto», sicché con l’anteposizione del cognome dell’adottante a quello dell’adottato sarebbe risultato «pubblico e certo il nuovo stato dell’adottato».
4.2.– La Corte d’appello di Salerno prosegue poi precisando che, a fronte della citata evoluzione, una serie di nuove previsioni normative avrebbero, tuttavia, sottratto al «cognome […] il suo carattere indicativo della stirpe familiare», per valorizzare la sua connessione con l’identità personale.
Il rimettente segnala, quindi, che con riferimento all’art. 299 cod. civ. questa Corte, nella sentenza n. 120 del 2001, ha ritenuto che «la precedenza del cognome dell’adottante non appare irrazionale, così come non può costituire violazione del diritto all’identità personale il fatto che il cognome adottivo preceda o segua quello originario. La lesione di tale identità è ravvisabile nella soppressione del segno distintivo, non certo nella sua collocazione dopo il cognome dell’adottante».
Nondimeno, la Corte d’appello di Salerno si sofferma sui successivi sviluppi della giurisprudenza costituzionale, che avrebbero posto «sotto una luce nuova il diritto all’identità personale e il diritto al nome». In particolare, dopo aver riportato ampi stralci della sentenza n. 286 del 2016, conclude che «il diritto al nome [sarebbe] indissolubilmente collegato al diritto all’identità personale e che la protezione di esso sostanzi e determini realizzazione di quest’ultima».
Aggiunge, inoltre, che la normativa vigente e la giurisprudenza di questa Corte – nello specifico si riferisce alla sentenza n. 131 del 2022 – avrebbero valorizzato, «in materia di cognome», «il principio della libertà di scelta e [avrebbero] cancellato il dogma dell’immodificabilità dell’ordine prestabilito e dell’automatica predeterminazione» del cognome.
Ciò premesso, il giudice a quo ritiene che, a «distanza di più di venti anni» dalla citata pronuncia n. 120 del 2001, e «tenendo conto delle più recenti sentenze, si ravvisano i presupposti perché la questione debba essere riesaminata».
5.– Sulla base degli sviluppi normativi e giurisprudenziali appena richiamati, la Corte d’appello rimettente argomenta la non manifesta infondatezza, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nonché all’art. 7 CDFUE.
5.1.– Innanzitutto, il rimettente sostiene che oggi «il diritto al nome sia indissolubilmente collegato al diritto all’identità personale» e che il fondamento di tali diritti vada individuato nell’art. 2 Cost. (in tal senso è richiamata la sentenza n. 13 del 1994).
Rileva inoltre come, nel caso di specie, il rigetto dell’istanza di «applicare un diverso regime di collocazione dei cognomi» riguardi una persona di 39 anni che, nel corso della sua vita, ha «avuto modo di stratificare il senso della propria identità nella consapevolezza personale e nei rapporti sociali»: ad avviso del rimettente, l’ineludibile anteposizione del cognome dell’adottante determinerebbe una violazione del diritto all’identità personale e si porrebbe in contrasto con «il principio della libertà di scelta», valorizzato dalla più recente giurisprudenza costituzionale.
5.2.– Il giudice a quo ritiene, inoltre, che la normativa censurata comporterebbe una «disuguaglianza di trattamento tra l’adottato maggiorenne e il figlio sottoposto al regime di scelta dei cognomi, esercitato, in sua vece, dai genitori». Secondo la Corte d’appello, tale disparità di trattamento non sarebbe «giustificata dalla diversità degli istituti», mentre il sopra menzionato «principio di libertà di scelta» sarebbe applicabile tanto al contesto della filiazione, nel matrimonio, al di fuori di esso e nell’adozione piena, quanto nell’adozione del maggiorenne, dove, a maggior ragione, il principio dovrebbe considerare la specificità della situazione «di un maggiorenne, capace e in grado di compiere le proprie scelte e [di] esercitare pienamente i propri diritti».
5.3.– Il rimettente sostiene, infine, che le ragioni originariamente alla base della vigente formulazione dell’art. 299, primo comma, cod. civ. abbiano «perso la loro forza in virtù, sia della modifica della funzione dell’istituto dell’adozione del maggiorenne […] sia del nuovo modo di interpretare il cognome e il rapporto genitori figli». Pertanto, la norma censurata apparirebbe oggi «priva di razionale giustificazione, violando l’art. 3 della Costituzione».
6.– La Corte d’appello di Salerno esclude, infine, che la norma censurata sia suscettibile di interpretazione conforme a Costituzione, poiché il testo esprimerebbe, «oggettivamente, un dato lessicale indiscutibile».
7.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto nel giudizio.
Motivi della decisione
1.– Con ordinanza iscritta al n. 130 del registro ordinanze 2022, la Corte d’appello di Salerno, sezione civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, cod. civ., nella parte in cui preclude all’adottando maggiore d’età la possibilità di anteporre il suo originario cognome a quello dell’adottante, per violazione degli artt. 2, 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nonché all’art. 7 CDFUE.
2.– Il rimettente ritiene che la disposizione censurata si ponga in contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., sotto il profilo della lesione del diritto all’identità personale e della intrinseca irragionevolezza. L’«originario cognome» dell’adottando maggiorenne sarebbe un «segno distintivo […] radicato nel contesto sociale», in cui la persona «si trova a vivere», sicché la «anteposizione del cognome dell’adottante a quello proprio dell’adottato, nel caso del maggiorenne [sarebbe] priva di razionale giustificazione» e sarebbe «un’ingiusta lesione» del «diritto “ad essere sé stessi”». L’intrinseca irragionevolezza emergerebbe specie considerando la trasformazione della funzione dell’istituto dell’adozione del maggiorenne «da tutela della stirpe e del patrimonio dell’adottante, al riconoscimento giuridico di una relazione sociale, affettiva ed identitaria, nonché di una storia personale, di adottante e adottando».
Inoltre, il giudice a quo sostiene che l’art. 299, primo comma, cod. civ. vìoli l’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina che regola l’attribuzione del cognome ai figli nati nel matrimonio o fuori da esso, nonché ai figli adottivi, secondo il regime dell’adozione piena.
Da ultimo, postula che vi sia un contrasto anche con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nonché all’art. 7 CDFUE.
3.– Innanzitutto, va dichiarata d’ufficio l’inammissibilità di quest’ultima questione.
In disparte quello che appare un lapsus calami del giudice a quo, che ha individuato, nel dispositivo dell’ordinanza, il parametro costituzionale violato, insieme agli artt. 2 e 3 Cost., nell’art. 13 Cost., anziché nell’art. 117, primo comma, Cost., la questione così identificata va comunque dichiarata inammissibile.
Essa risulta, infatti, priva di qualsivoglia autonoma argomentazione.
Il giudice a quo, nell’enunciare – nel corpo della motivazione – le questioni su cui si appuntano i suoi dubbi di legittimità costituzionale, e prima di illustrare, in riferimento all’art. 2 Cost., gli argomenti attinenti alla violazione del diritto all’identità personale, si limita ad asserire in maniera apodittica il contrasto anche con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nonché all’art. 7 CDFUE, senza circostanziare e motivare in alcun modo le ragioni di tale violazione.
Per giurisprudenza costante di questa Corte deve ritenersi «inammissibile la questione di legittimità costituzionale posta senza un’adeguata ed autonoma illustrazione, da parte del giudice rimettente, delle ragioni per le quali la normativa censurata integrerebbe una violazione del parametro evocato» (sentenza n. 252 del 2021 e, da ultimo, sentenze n. 2 del 2023, n. 263, n. 256, n. 253 e n. 128 del 2022).
4.– Nel merito, questa Corte esamina, in via prioritaria, le censure sollevate in riferimento all’art. 2 Cost., per violazione del diritto all’identità personale, e all’art. 3 Cost., per intrinseca irragionevolezza.
L’unitaria questione, concernente l’irragionevole compressione del diritto inviolabile all’identità personale, è fondata.
5.– In via preliminare, occorre brevemente rievocare, tramite l’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte, alcuni tratti del diritto al nome, quale segno distintivo dell’identità personale.
5.1.– Il «cognome, insieme con il prenome, rappresenta» – si legge nella sentenza n. 131 del 2022 – «il nucleo dell’identità giuridica e sociale della persona: le conferisce identificabilità, nei rapporti di diritto pubblico, come di diritto privato, e incarna la rappresentazione sintetica della personalità individuale, che nel tempo si arricchisce progressivamente di significati».
Tale affermazione affonda le proprie radici in una giurisprudenza costituzionale risalente e costante, secondo la quale il nome è «“autonomo segno distintivo della […] identità personale” (sentenza n. 297 del 1996), nonché “tratto essenziale della […] personalità” (sentenza n. 268 del 2002; nello stesso senso, sentenza n. 120 del 2001)» (sentenza n. 286 del 2016), «riconosciuto come un “bene oggetto di autonomo diritto dall’art. 2 Cost.” [e, dunque, come] “diritto fondamentale della persona umana” (sentenze n. 13 del 1994, n. 297 del 1996 e, da ultimo, sentenza n. 120 del 2001)» (sentenza n. 268 del 2002).
5.2.– La correlazione fra il diritto al nome (composto dal prenome e dal cognome) e la tutela dell’identità personale si sviluppa secondo una duplice direttrice.
Da un lato – come questa Corte ha evidenziato (da ultimo, sentenze n. 131 del 2022 e n. 286 del 2016, nonché ordinanza n. 18 del 2021) – il cognome riflette il tratto identitario costituito dal doppio vincolo genitoriale e, pertanto, nel rispetto degli artt. 2 e 3 Cost., tale profilo deve proiettarsi sul cognome del figlio in un modo conforme al principio di eguaglianza fra i genitori. In particolare, là dove non vi sia l’accordo fra i genitori per l’attribuzione del cognome di uno di loro e operi la regola suppletiva che compone l’unitario cognome del figlio con quello del padre e con quello della madre, questa Corte (ancora nella citata sentenza n. 131 del 2022) – non diversamente dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (in particolare, sentenza 26 ottobre 2021, León Madrid contro Spagna) – ha affermato che anche l’ordine dei cognomi, profilo non certo marginale, deve rispettare il principio di eguaglianza tra i genitori.
Da un altro lato, a partire dal momento in cui la persona assume il proprio cognome, unitamente al prenome, inizia progressivamente a stratificarsi e a consolidarsi intorno a quel segno distintivo la sua identità personale, sicché proprio nel diritto all’identità si radicano le ragioni della tutela del cognome. E tali ragioni emergono anche a fronte di vicende che determinano la possibile o la necessaria acquisizione di un ulteriore cognome.
Più precisamente, la possibilità per il figlio di acquisire un secondo cognome si configura allorché subentrino l’accertamento giudiziale o il riconoscimento in via successiva del rapporto di filiazione, nei confronti di chi precedentemente non aveva riconosciuto il figlio. In tale ipotesi l’art. 262, commi secondo e terzo, cod. civ. rimette al figlio maggiore d’età la scelta circa l’assunzione del nuovo cognome e, ove lo assuma, quella relativa all’aggiunta, all’anteposizione o alla sostituzione del precedente cognome. Nel caso, poi, del figlio minore di età, il legislatore affida la decisione al giudice, «previo ascolto del figlio minore, che abbia compiuto gli anni dodici o anche di età inferiore ove capace di discernimento» (art. 262, quarto comma, cod. civ.).
Quanto, invece, alla necessità di assumere un secondo cognome, questa ipotesi si prospetta nel contesto dell’adozione della persona maggiore d’età, la cui disciplina assegna all’adottato il cognome dell’adottante, unitamente al suo cognome originario (art. 299, primo comma, cod. civ.). Pure in tale ambito chiaramente si manifesta l’esigenza di una tutela del diritto all’identità personale.
Questa Corte, pronunciandosi su entrambe le discipline sopra richiamate (sull’art. 262 cod. civ., con la sentenza n. 297 del 1996 e sull’art. 299, secondo comma, cod. civ, con la sentenza n. 120 del 2001), ha potuto, in particolare, affermare che il diritto al nome, nel divenire autonomo segno distintivo dell’identità personale, attrae una tutela che finisce per poter prescindere dalla correlazione con lo status filiationis. Il cognome originario, intorno al quale si sia venuta a costruire l’identità della persona, va protetto anche ove sia stato assegnato dall’ufficiale di stato civile, in difetto del riconoscimento del figlio da parte dei genitori.
Se quel cognome si è oramai «radicato nel contesto sociale in cui [l’interessato] si trova a vivere», e magari è stato anche «trasme[sso] ai […] figli», precludere «di mantenerlo si risolve in un’ingiusta privazione di un elemento della sua personalità, tradizionalmente definito come il diritto “ad essere se stessi”», come rileva questa Corte nella sentenza n. 120 del 2001. Con tale pronuncia è stata, dunque, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 299, secondo comma, cod. civ., nella parte in cui imponeva all’adottato maggiorenne, non riconosciuto dai suoi genitori, di assumere il solo cognome dell’adottante, senza poter mantenere il cognome che gli era stato assegnato dall’ufficiale di stato civile.
6.– Alla luce di tali sviluppi della giurisprudenza costituzionale, che fanno emergere la funzione pregnante del cognome quale segno intorno al quale si stratifica l’identità della persona, sino a rappresentarla in tutti i suoi rapporti giuridici e sociali, occorre ora verificare se l’art. 299, primo comma, cod. civ., collocato nello specifico contesto dell’adozione della persona maggiore d’età, determini una irragionevole compressione del diritto all’identità personale dell’adottando, nella parte in cui impedisce che il cognome dell’adottante possa essere aggiunto, anziché anteposto, a quello dell’adottato.
6.1.– Nella sua formulazione testuale l’art. 299, primo comma, cod. civ. stabilisce che «[l]’adottato assume il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio».
L’attribuzione all’adottato del cognome dell’adottante costituisce uno degli effetti tipici dell’adozione: si tratta del solo effetto di natura personale previsto dalla legge, insieme a quelli patrimoniali, concernenti sia l’obbligo alimentare reciproco fra adottante e adottato, sia l’acquisizione da parte dell’adottato dei diritti successori quale figlio nei confronti dell’adottante.
La ragione giustificatrice di quello che è un doppio cognome in senso tecnico (e non un cognome unico derivante dalla unione dei cognomi del padre e della madre) risiede, dunque, nell’esigenza di dare visibilità al legame giuridico che si viene a instaurare con l’adottante, preservando, al contempo, il cognome originario dell’adottato, che reca oramai un tratto non obliterabile della sua identità personale.
6.2.– Venendo allora alle censure che solleva il rimettente, esse si appuntano sulla previsione relativa alla automatica anteposizione del cognome dell’adottante a quello dell’adottato.
6.2.1.– Tale norma deriva dalla riforma della disciplina dell’adozione introdotta con la legge n. 184 del 1983, il cui art. 61 ha modificato l’art. 299, primo comma, cod. civ., stabilendo la “anteposizione” del cognome dell’adottante a quello dell’adottato, in luogo della sua “aggiunta”, soluzione originariamente accolta dal codice civile del 1942, in linea con l’antecedente codice civile del 1865 (art. 210).
La modifica introdotta con la riforma del 1983 è avvenuta nel contesto di una disciplina ispirata, in generale, alla netta separazione e distinzione fra la regolamentazione inerente l’adozione della persona maggiore d’età e quella concernente l’adozione del minorenne. Tuttavia, occorre segnalare che la stessa legge n. 184 del 1983 ha reso applicabili alcune disposizioni codicistiche relative all’adozione del maggiore d’età anche nei riguardi dell’adozione in casi particolari del minore d’età (art. 55 della legge n. 184 del 1983), e fra queste vi è l’art. 299 cod. civ., che viene, per l’appunto, riformato.
6.2.2.– Ebbene, proprio la norma relativa alla anteposizione del cognome dell’adottante rispetto a quello dell’adottato – su cui si incentra il presente giudizio – è stata, in passato, già oggetto di scrutinio da parte di questa Corte.
La stessa sentenza, sopra richiamata (punto 5.2.), che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 299, secondo comma, cod. civ. (sentenza n. 120 del 2001), ha reputato non fondata la questione posta con riguardo al primo comma, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost.
E, tuttavia, in quell’occasione, veniva chiesto a questa Corte di sostituire all’automatismo dell’anteposizione del cognome dell’adottante un eguale e inverso automatismo, che avrebbe riprodotto la regola codificata nel 1942 (e prima ancora nel codice civile del 1865), vale a dire l’aggiunta del cognome dell’adottante a quello dell’adottato.
Questa Corte, in quel caso, ha ridimensionato l’incidenza dell’ordine dei cognomi rispetto al diritto all’identità personale, e ha rigettato la questione, affermando che la precedenza del cognome dell’adottante «non appare irrazionale» e non determina una «violazione del diritto all’identità personale» (sentenza n. 120 del 2001).
7.– A distanza di oltre vent’anni da quella pronuncia, la questione del contrasto dell’art. 299, primo comma, Cost. con gli artt. 2 e 3 Cost. torna a porsi dinanzi a questa Corte con una prospettazione differente.
L’odierno rimettente non mette in discussione la scelta di fondo operata con la legge n. 184 del 1983, orientata a dare maggiore visibilità alla riconoscibilità sociale dell’adozione del maggiore d’età. Non viene cioè contestata in sé la regola dell’anteposizione del cognome dell’adottante a quello dell’adottando.
Tuttavia, ove si tratti dell’adozione della persona maggiore d’età, viene ravvisata una irragionevolezza nella automaticità e rigidità del meccanismo, che sacrifica aprioristicamente il diritto all’identità personale dell’adottando.
Premesso che l’ordine dei cognomi riveste senza dubbio un significato tutt’altro che marginale, tant’è che il legislatore è intervenuto con la legge n. 184 del 1983 proprio al fine di rovesciare il precedente ordine, la questione posta oggi allo scrutinio di questa Corte è la seguente. Viene, in particolare, chiesto se superi il vaglio della non irragionevolezza la scelta del legislatore che, nel fissare l’ordine di attribuzione del cognome dell’adottante a quello all’adottato maggiore d’età, preclude a quest’ultimo di poter aggiungere, anziché anteporre, il cognome dell’adottante al proprio, a tutela della sua identità personale.
7.1.– A fronte di tale questione occorre rilevare che l’adozione del maggiore d’età viene disposta con sentenza (art. 313 cod. civ.), dopo che il tribunale ha verificato «1) se tutte le condizioni della legge sono state adempiute; 2) se l’adozione conviene all’adottando» (art. 312 cod. civ.).
Tra le condizioni che il tribunale deve accertare vi è il consenso dell’adottante e dell’adottando (art. 296 cod. civ.).
Ambo i consensi all’adozione sono presupposti necessari del provvedimento giudiziale e devono essere espressi nella consapevolezza degli effetti che l’adozione andrà a produrre. A tal fine, il legislatore richiede che essi siano manifestati personalmente al presidente del tribunale (art. 311 cod. civ.) e prevede che i consensi siano revocabili sino al momento in cui viene emesso il provvedimento giudiziale, a partire dal quale l’adozione produce gli effetti stabiliti dalla legge (art. 298, commi primo e secondo, in coordinamento con l’art. 313, primo comma, cod. civ.).
Dunque, gli effetti dell’adozione si producono in conseguenza della sentenza e sono quelli disposti dal legislatore, ma il provvedimento giudiziale non può essere emesso se manca il presupposto costituito dal consenso all’adozione sia dell’adottante sia dell’adottando.
Venendo ora all’effetto rappresentato dall’attribuzione del cognome dell’adottante all’adottato, che è il segno del vincolo giuridico che sorge fra i due, occorre verificare se, con esclusivo riferimento all’ordine con cui il cognome dell’adottante si unisce a quello dell’adottato maggiore d’età, si giustifichi – in considerazione degli interessi coinvolti – che il legislatore abbia previsto un rigido automatismo.
Ebbene, da un lato, l’ordine con cui il cognome dell’adottante si unisce a quello dell’adottato maggiore d’età incide sul diritto all’identità personale di quest’ultimo, che è associato al suo originario cognome; da un altro lato, il medesimo ordine condiziona il rilievo attribuito al frammento di identità dell’adottante – il suo cognome – che viene assunto dall’adottato, onde rappresentare il nuovo vincolo giuridico.
Se, dunque, l’adottato maggiore d’età ha esigenza di veder tutelato il suo diritto all’identità personale attraverso l’aggiunta, in luogo della anteposizione, del cognome dell’adottante al proprio e se anche l’adottante è favorevole a tale ordine, che non incide sul suo consenso all’adozione, è irragionevole non consentire che la sentenza di adozione possa disporre il citato effetto.
7.2.– Del resto, che un meccanismo rigido nella determinazione dell’ordine di attribuzione del cognome dell’adottante all’adottato maggiore d’età sia lesivo degli artt. 2 e 3 Cost. è ulteriormente avvalorato dalla considerazione che l’istituto dell’adozione della persona maggiore d’età è in grado attualmente di abbracciare ipotesi varie e differenziate.
Vero è che l’adozione produce, sulla base del dettato normativo, effetti giuridici che – come si è già precisato (punto 6.1.) – sono limitati alla trasmissione del cognome e del patrimonio, con conseguenze che si apprezzano sul piano della disciplina relativa agli alimenti e alle successioni; effetti, dunque, ben diversi rispetto a quelli dell’adozione piena e dell’adozione in casi particolari, incentrati sulla cura del minore e sulla tutela del suo preminente interesse (sentenza n. 79 del 2022).
Nondimeno, i pur limitati effetti giuridici propri dell’istituto hanno dato spazio, nell’evoluzione dei costumi sociali, al soddisfacimento di molteplici esigenze che si sono riflesse nell’evoluzione giurisprudenziale, lasciando trasparire una varietà di possibili funzioni, anche solidaristiche, cui l’istituto può assolvere.
Proprio questa Corte ha inteso assecondare tali nuove funzioni, ammettendo, con le sentenze n. 245 del 2004 e n. 557 del 1988, l’adozione di persone maggiori d’età anche da parte di chi abbia figli nati nel matrimonio o fuori del matrimonio, purché maggiorenni e consenzienti, e riconoscendo l’applicabilità al loro assenso della disciplina prevista dall’art. 297, secondo comma, cod. civ. (sentenza n. 345 del 1992).
Al contempo, la giurisprudenza di legittimità è stata chiamata di frequente a confrontarsi con il ricorso all’istituto in esame quale strumento che consente di dare una forma giuridica al rapporto tra il figlio maggiore d’età e il coniuge (o il convivente) del genitore.
Emerge, in sostanza, un chiaro dato sociale, che rileva a prescindere dai problemi connessi con le spinte verso un ulteriore ampliamento dell’accesso all’istituto (Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 3 febbraio 2022, n. 3462, con riguardo all’adozione della persona interdetta; sentenza 3 febbraio 2006, n. 2426, relativa all’adozione da parte di chi abbia figli minorenni; sentenze 3 aprile 2020, n. 7667 e 14 gennaio 1999, n. 354, che si sono espresse sul divario di età tra adottante e adottando).
L’adozione della persona maggiore d’età non solo sottende un imprescindibile movente personalistico implicito nella scelta di trasmettere sia il proprio cognome sia il proprio patrimonio all’adottato, ma è in grado altresì di assecondare istanze di tipo solidaristico, variamente declinate.
Dentro il suo ampio perimetro, l’adozione del maggiore d’età può accogliere: il caso dell’adottando maggiorenne, che già viveva nel nucleo familiare di chi lo adotta, in ragione di un affidamento non temporaneo deciso nel momento in cui era minorenne, o ancora quello del figlio maggiorenne del coniuge (o del convivente) dell’adottante che vive in quel nucleo familiare. Parimenti, può ricomprendere situazioni in cui persone, spesso anziane, confidano in un rafforzamento – grazie all’adozione – del vincolo solidaristico che si è di fatto già instaurato con l’adottando, oppure che vogliono semplicemente dare continuità al proprio cognome e al proprio patrimonio, creando un legame giuridico con l’adottando, con cui, di norma, hanno consolidato un rapporto affettivo.
Risulta allora evidente come proprio la latitudine dell’istituto –esemplificativamente evocata – renda ulteriormente palese l’irragionevolezza di una regola priva di un margine di flessibilità.
La rigidità di una previsione insensibile alle esigenze di tutela del diritto alla identità personale dell’adottando rischia di frapporre irragionevoli ostacoli a talune delle funzioni che l’istituto svolge a livello sociale, oltre chiaramente a ledere la stessa identità personale.
L’adottando maggiore d’età può essere una persona per la quale è importante l’anteposizione del proprio cognome, rispetto a quello dell’adottante, nei casi in cui la sua identità sia fortemente correlata al cognome originario. Quest’ultimo potrebbe avere una particolare incidenza sulla sua identificabilità nel mondo professionale, oltre che nei rapporti sociali; così come il cognome potrebbe essere stato trasmesso ai propri figli.
E non si deve trascurare che, anche nel caso del maggiorenne, che era stato affidato da minorenne all’adottante o che sia figlio del coniuge (o del convivente) dell’adottante, potrebbero emergere ragioni tali da giustificare l’anteposizione del cognome che, sino a quel momento, ha connotato l’identità del maggiore d’età.
8.– In definitiva, è irragionevole e lesivo dell’identità personale, e, dunque, contrasta con gli artt. 2 e 3 Cost., non consentire al giudice – con la sentenza che fa luogo all’adozione – di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore d’età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto.
Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore d’età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto.
È assorbita la censura sollevata dal rimettente in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento.
Nel perimetro della questione prospettata a questa Corte non rientra l’adozione in casi particolari del minore d’età.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, del codice civile, nella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore d’età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, cod. civ. sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nonché all’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dalla Corte d’appello di Salerno, sezione civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe.