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Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Svolgimento del processo e deduzione delle parti.
Con ricorso ex art. 633 c.p.c., A.C.I s.r.l. chiedeva ingiungersi in solido nei confronti di T.M. e C.G. il pagamento di € 29.877,10, a titolo di saldo residuo del contratto di mutuo stipulato con i soggetti ingiunti.
Con decreto n. 1661-2020, il Tribunale di Busto Arsizio ingiungeva a T.M. e C.G., in solido, il pagamento di € 29.877,10 oltre interessi.
Con atto di citazione, tempestivamente notificato, T.M. e C.G. proponevano opposizione avverso il citato decreto, del quale domandavano la revoca.
Gli opponenti disconoscevano le sottoscrizioni riportate nel contratto di prestito prodotto in sede monitoria (doc. 2), ed in particolare le seguenti: a) alla terza pagina una sottoscrizione riferita a “Il correntista”, tre sottoscrizioni riferite a “Il Richiedente”, tre sottoscrizioni riferite a “Il Coobligato/Garante”; b) alla quinta pagina una sottoscrizione relativa a “Firma (Cliente)”. Eccepivano dunque la nullità del contratto.
In via riconvenzionale, M.T. domandava la declaratoria di nullità del contratto posto a fondamento della pretesa monitoria e la condanna della parte convenuta alla restituzione dell’importo di euro € 12.052,80, precedentemente versato dall’attore opponente in favore di SILF s.p.a. e successivi aventi diritto.
Con comparsa di risposta tardivamente depositata (oltre lo spirare del termine di cui all’art. 166 c.p.c.) si costituiva in giudizio A.C.I s.r.l., che insisteva per il rigetto dell’opposizione e la conferma del decreto opposto. La convenuta rilevata come gli opponenti non avessero contestato la ricezione della somma oggetto di mutuo, e come gli stessi avessero in parte restituito l’importo mutuato senza mai eccepire la nullità del contratto: circostanze, queste, incompatibili con il disconoscimento effettuato nella citazione in opposizione. In ogni caso, dichiarava di volersi avvalere del documento contestato dall’opponente, chiedendo la verificazione delle firme ivi apposte.
La convenuta opposta rilevava che, anche qualora le firme apposte sul contratto fossero effettivamente ritenute apocrife, gli opponenti dovrebbero comunque essere condannati a rifondere ad A.C.I, la differenza tra il capitale loro erogato e le somme versate, pari a euro 12.247,20. Insisteva in ogni caso per il rigetto della domanda riconvenzionale, osservando che l’importo di 12.052,80 è stato versato dagli opponenti alla (allora) creditrice UBI, e non ad A.C.I S.r.l. In via subordinata, l’opposta domandava dunque la condanna dell’opponente al pagamento di euro 12.247,20.
All’udienza ex art. 183 c.p.c., parte attrice opponente eccepiva la prescrizione la prescrizione del diritto ad ottenere la restituzione dell’importo mutuato.
Con memoria ex art. 183 co 6 n. 1 c.p.c. , gli opponenti precisavano di aver stipulato in data 08 aprile 2009 un contratto di finanziamento con SILF S.p.A. - Banca 24-7 del gruppo UBI Banca, per l’importo di euro € 24.300,00. Precisavano che M.T. e G.C. avevano provveduto al pagamento di alcune delle rate (nell’importo complessivo di euro 12.052,80) nella convinzione di adempiere al contratto anzidetto, e non in virtù di quello oggi oggetto del decreto ingiuntivo opposto.
Il Giudice disponeva ctu grafologica sulle firme apposte al contratto di cui al doc. 6 fascicolo monitorio. All’esito del deposito della relazione, fissava udienza di precisazione delle conclusioni.
2. Decisione.
Ad avviso di questo Giudice l’opposizione è fondata e merita accoglimento. Per contro, risulta solo parzialmente fondata la domanda riconvenzionale svolta da parte opponente.
Tanto premesso, la motivazione prenderà le mosse dall’accertamento del credito monitorio e dall’esame dei rilievi svolti sul punto dall’opponente, e al contestuale esame della domanda riconvenzionale di declaratoria della nullità del contratto. In un secondo momento si procederà all’esame della domanda riconvenzionale volta alla ripetizione delle somme versate.
Il contratto prodotto da A. in sede monitoria è allegato al doc. 6 fascicolo monitorio.
L’allegato, contiene tre documenti: la richiesta di prestito avente numero di pratica n. 1402571, la missiva di accettazione da parte dell’ente finanziatore, e le condizioni generali di contratto. I primi due sono datati al 31.3.2019.
A quanto si evince dall’allegato in questione, il mutuo oggetto del ricorso monitorio risulta essere stato concordato per euro 24.300,00, ad un TAN dell’11,04% e un TAEG del 12,12%, con restituzione prevista in n. 120 rate mensili da € 334,80 cadauna. Il testo negoziale in questione vede figurare quale ente erogante la società S. S.p.A. - Banca 24-7 del gruppo UBI Banca, quale “richiedente” T.M., e quale “coobbligato” C.G..
Il documento riporta a pag. 3 due sottoscrizioni riferite al “richiedente” e alla persona “coobbligata”, e a pag. 5 (documento di accettazione della richiesta di finanziamento) la firma per ricevuta del “richiedente”. Dette sottoscrizioni, come a breve si dirà, sono state oggetto di accertamento grafologico.
A quanto si evince dall’estratto conto di cui al doc. 8 fascicolo monitorio, il rapporto contrattuale in esame è stato registrato dall’istituto di credito con il n. 3130133.
Il contratto di cui al doc. 6 fascicolo monitorio, che costituisce la causa petendi del ricorso monitorio, deve reputarsi nullo, alla luce dei condivisibili rilievi svolti sul punto dal ctu.
Prima di procedersi all’esame delle risultanze peritali, deve svolgersi una premessa metodologica.
In punto di diritto, deve richiamarsi l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità per cui "ove la copia fotostatica o fotografica riguardi un contratto per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem, la parte interessata deve necessariamente produrre in giudizio il contratto in originale o in copia autenticata al fine della dimostrazione della sua esistenza e del suo contenuto e può avvalersi della prova per testimoni o per presunzioni soltanto se abbia dedotto e previamente dimostrato la perdita incolpevole del documento originale" (Cass., sez. II, 18 febbraio 2000, n. 1831; Cass. 21.1.1985, n. 212; Cass. 19.10.1999, n. 11739).
Nella medesima linea interpretativa, è stato rilevato che "in tema di contratti per i quali sia richiesta, per legge o per volontà delle parti, la forma scritta "ad probationem" ovvero "ad substantiam", colui che intenda avvalersi del documento in giudizio ha, ove la sottoscrizione non sia stata autenticata al momento dell'apposizione né riconosciuta, ancorché tacitamente, dalla controparte, l'onere di avviare, pur senza formule sacramentali, il procedimento di verificazione, producendo in giudizio il contratto in originale, non potendosi avvalere della prova testimoniale né di quella per presunzioni per dimostrare l'esistenza, il contenuto e la sottoscrizione del documento medesimo, salvo che ne abbia previamente dedotto e dimostrato la perdita incolpevole dell'originale" (Cass. civ. Sez. II Sent., 16/10/2017, n. 24306).
Inoltre, è consolidato l’assunto secondo il quale quando la parte, contro la quale sia prodotta la copia fotostatica non autenticata da pubblico ufficiale di un documento dalla medesima almeno apparentemente sottoscritto "la disconosca come falsa e, comunque, come non conforme all'originale, nessuna delle parti può produrre l'istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c. - istanza che concerne soltanto i documenti originali - ma incombe alla controparte fornire nei modi ordinari la dimostrazione dei fatti risultanti dalla copia suddetta" ne consegue che "detta controparte è tenuta o ad esibire l'originale - ed, in ipotesi affermativa, a chiedere la verificazione della scrittura, se l'avversario insisterà nel disconoscerla - o a fornire altre prove del suo asserto, nei limiti ordinari della loro ammissibilità e, quindi, anche prove testimoniali, ove dimostri, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2724 c.c., n. 3, di avere senza sua colpa smarrito il documento" (Cass. civ. Sez. II, Sent., 30- 06-2014, n. 14804 conforme a Cass. 14.5.1992, n. 5738).
Nel caso di specie, riguardo al citato doc. 6, prodotto in copia fotostatica in sede monitoria, parte opponente ha espresso disconoscimento ai sensi dell’art. 214 c.p.c. Parte opposta ha svolto istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c. Il documento originale non è stato depositato in atti da alcuna delle parti in causa, e pertanto il procedimento di verificazione, e la relativa ctu grafologica, sono stati espletati sulla copia fotostatica.
In quanto svolto sulla copia e non sull’originale, l’accertamento peritale non può assumere gli effetti propri del procedimento di verificazione, che si concretano nell’accertamento della autenticità del documento fino a querela di falso.
Cionondimeno, deve osservarsi che nel caso di specie è incontestata la conformità della copia prodotta dalla convenuta opposta all’originale. Parte opponente non ne ha infatti disconosciuto la conformità ex art. 2719 c.c.
Da tale premessa discende che il procedimento peritale, pur inidoneo ad attribuire al documento il grado di attendibilità proprio delle scritture private riconosciute, cionondimeno è idoneo a fornire elementi liberamente valutabili dal Giudice circa la autenticità o falsità delle firme apposte sul documento.
Orbene, ad avviso di questo Giudice le risultanze della ctu grafologica sono pienamente condivisibili e fruibili ai fini della decisione. A tal proposito è opportuno evidenziare che le conclusioni cui è giunto il CTU sono sostanzialmente condivisibili ed idonee ad essere poste a fondamento della decisione, in quanto raggiunte sulla scorta di un congruo esame dei documenti ritualmente versati in causa; inoltre le operazioni peritali si sono svolte nel pieno rispetto del principio del contraddittorio e le valutazioni del CTU risultano sviluppate ed applicate secondo un percorso argomentativo immune da vizi logici.
Il ctu ha accertato la natura apocrifa di tutte le firme inserite nella richiesta di prestito e nella lettera di accettazione contenute nel citato doc. 6, precisando in particolare quanto segue: “le firme in verifica ad apparente nome “T.M.” e “C.G.” apposte rispettivamente nella terza pagina del doc. 6 fascicolo monitorio accanto alle voci “il correntista” (una sottoscrizione), “il richiedente” (tre sottoscrizioni), il “coobbligato/garante” (tre sottoscrizioni), nonché la firma ad apparente nome “T.M.” apposta alla quinta pagina del doc. 6 fascicolo monitorio sotto la voce “il cliente”, esaminate dapprima autonomamente e successivamente in via confrontuale con le firme autografe dei sigg.ri T.M. e C.G., non sono risultate ascrivibili alla mano dei predetti T.M. e C.G.” (pag. 72 relazione).
Ne consegue la carenza di forma scritta del contratto e la nullità ai sensi dell’art. 117, comma 3, del d.lgs. n. 385 del 1993. Deve dunque accogliersi la domanda riconvenzionale di declaratoria della nullità del contratto.
Tanto chiarito, deve a questo punto accertarsi se la pretesa creditoria possa fondarsi su titoli alternativi. Viene dunque in rilievo la domanda svolta in via subordinata da parte convenuta opposta.
Onde procedere a tale disamina, è necessario svolgere tre premesse.
Anzitutto deve chiarirsi che la domanda in questione è ammissibile, nonostante la tardività della costituzione del convenuto opposto. Essa infatti non si qualifica come domanda nuova, bensì come mera modifica della pretesa originaria. La domanda svolta in via subordinata infatti da un lato riqualifica sotto il profilo giuridico la domanda originaria (prospettandola quale domanda di ripetizione dell’indebito, in luogo dell’azione di adempimento posta a fondamento del ricorso monitorio), e dall’altro ne riduce il petitum. La diversa qualificazione giuridica della domanda, così come la sua riduzione, non costituisce tuttavia profili di novità, considerato che può essere in ogni caso effettuata dal Giudice anche d’Ufficio.
Inoltre, deve reputarsi inammissibile l’eccezione di prescrizione svolta da parte opponente nella prima udienza ex art. 183 c.p.c. L’eccezione mira a precludere l’esigibilità del credito monitorio, e dunque poteva e doveva essere proposta già con l’atto introduttivo del giudizio a cognizione piena.
In terzo luogo, devono definirsi i rapporti fra il contratto di cui al doc. 6 fascicolo monitorio e la documentazione contrattuale prodotta da parte attrice opponente.
Nella fase a cognizione piena, la parte opponente ha prodotto la documentazione contrattuale datata 8.4.2009, contenente la lettera di accettazione emessa dalla Banca e sottoscritta dagli odierni opponenti e il documento di sintesi. I documenti in esame, da nessuno disconosciuti nel presente giudizio, si riferiscono al rapporto contrattuale di mutuo intercorso fra le medesime parti del testo negoziale di cui al citato doc. 6 fasc. mon., contenente le stesse condizioni (prestito da € 24.300,00 ad un TAN dell’11,04% e un TAEG del 12,12%, impegnandosi a restituirlo in n. 120 rate mensili da € 334,80 cadauna), e riportante il medesimo numero di pratica (n. 1402571). L’annesso estratto conto prodotto da parte attrice opponente riporta il medesimo numero di rapporto dell’estratto conto di cui al doc. 8 fasc. mon. (n. 3130133).
La difesa di parte opponente ha sostenuto la eterogeneità dei due rapporti contrattuali, da reputarsi del tutto autonomi; parte convenuta opposta, per contro, ne ha propugnato la identità, costituendo il documento di sintesi prodotto da parte opponente la mera prosecuzione e perfezionamento dell’iter contrattuale avviato con la richiesta di mutuo di cui al doc. 6 fasc. mon.
Ad avviso di questo Giudice nessuna delle due tesi può essere condivisa.
Deve anzitutto negarsi la tesi della sovrapponibilità dei due rapporti contrattuali, smentita dal dato che in entrambi gli allegati (sia nel doc. 6 fasc. mon., sia nel documento prodotto da parte opponente) figura un documento identico riportante due date diverse: la lettera di accettazione sottoscritta dagli opponenti.
Sotto altro profilo, non può sottacersi che entrambi i testi contrattuali riportano lo stesso numero di pratica e le stesse condizioni, e figurano con il medesimo numero di rapporto negli estratti conto bancari. Tali circostanze precludono l’autonomia ed eterogeneità dei rapporti in esame.
Piuttosto, deve ritenersi che le parti abbiano proceduto nell’aprile 2019 alla rinnovazione del contratto di cui al doc. 6 fascicolo monitorio, reiterandone le clausole ma predisponendolo in forma diversa.
Infatti, la sottoscrizione apposta al citato doc. 6 risulta come si è detto apocrifa, ragion per cui tale documento non può ritenersi redatto nella forma scritta prevista ad substantiam per i contratti bancari; per contro, il testo negoziale dell’aprile 2019 rispetta i requisiti di forma previsti dall’art. 117 Tub.
Il contratto rinnovato, pur ripetitivo dell’originario contenuto negoziale, presenta entità autonoma rispetto al primo negozio, ed integra dunque una causa petendi diversa da esso.
Effettuate tali premesse, può procedersi con l’esame della domanda svolta in via subordinata da parte opposta, che risulta infondata per le ragioni che seguono.
Accertata la nullità del contratto del marzo 2019 (doc. 6 fasc. mon.) il credito alla restituzione delle somme versate potrebbe astrattamente fondarsi su due distinte causae petendi, entrambe inidonee nel caso di specie a fondare la pretesa monitoria.
La prima, implicitamente invocata da parte opposta, è il diritto alla ripetizione dell’indebito.
La sussistenza di un tale diritto presuppone che il credito sia stato effettivamente erogato dall’istituto bancario, e che il medesimo sia erogato sine titulo. Entrambe le circostanze tuttavia non risultano provate nel caso di specie. Infatti, lato parte attrice opponente ha contestato la stipula del contratto di cui al doc. 6 cit. (e dunque ha contestato la erogazione del credito, trattandosi di contratto reale), e parte convenuta opposta non ha in alcun modo provato la relativa erogazione. In secondo luogo, considerato che le parti hanno proceduto alla stipula di un nuovo contratto nell’aprile 2019, parte convenuta opposta, per vedere accolta la sua domanda, avrebbe dovuto dimostrare che l’erogazione del credito non è avvenuta in forza del successivo contratto dell’aprile 2019 , e che è pertanto stata effettuata sine titulo. Quest’ultima circostanza non è stata dimostrata, e risulta al contrario (per circostanza incontestata) che parte convenuta opposta abbia effettivamente erogato l’importo mutuato con il contratto dell’aprile 2019.
La seconda possibile causa petendi è rappresentata dal contratto dell’aprile 2019, che tuttavia integra per le ragioni anzidette un negozio autonomo e distinto da quello azionato nel presente giudizio, e che pertanto non può costituirne oggetto e non può fondare la pretesa monitoria.
Pertanto, il credito azionato in sede monitoria risulta privo di ragione giustificativa. Ne consegue l’accoglimento dell’opposizione e la revoca del decreto opposto.
Deve a questo punto esaminarsi la domanda riconvenzionale di condanna alla restituzione delle somme versate svolta da parte opponente, qualificabile alla stregua di domanda di ripetizione dell’indebito.
La domanda è infondata per le ragioni che seguono.
Per vedere accolta la propria domanda ex art. 2033 c.c., l’attore è onerato della prova del pagamento e dell’assenza di titolo giustificativo.
Nel caso di specie, deve osservarsi in via assorbente che l’attore opponente non ha dimostrato l’assenza di titolo giustificativo. Come già si è osservato, le parti hanno stipulato un nuovo contratto di mutuo nell’aprile 2019, il cui estratto conto (prodotti in questa sede dall’opponente) riporta il medesimo numero di rapporto contrattuale del contratto posto a fondamento della pretesa monitoria. Alla luce di tale contesto negoziale, l’attore opponente avrebbe dovuto dimostrare che il pagamento di cui chiede la restituzione non è avvenuta in forza del contratto dell’aprile 2019, e che è per contro stata effettuata in esecuzione del precedente negozio nullo (di cui al doc. 6 fasc. mon.) e dunque sine titulo.
Tale circostanza non è stata in alcun modo dimostrata dalla parte opponente. Pertanto, la domanda riconvenzionale dev’essere rigettata.
Il rigetto della domanda riconvenzionale di ripetizione dell’indebito da un lato, e l’accoglimento dell’opposizione dall’altro, determinano la soccombenza reciproca e giustificano la compensazione integrale delle spese di lite.
Quanto alle spese di ctu, le spese vengono poste definitivamente a carico di parte convenuta opposta, considerato l’accoglimento dell’opposizione.
P.Q.M.
il Giudice, definitivamente pronunciando per quanto di ragione, ogni diversa domanda, istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così decide:
1) accoglie l’opposizione svolta da T.M. e C.G. contro A.C.I s.r.l., avverso il decreto ingiuntivo n. 1661-2020, e per l’effetto revoca il decreto ingiuntivo opposto;
2) accoglie la domanda riconvenzionale di declaratoria della nullità svolta da T.M. e C.G. contro A.C.I s.r.l. e per l’effetto dichiara la nullità del contratto posto a fondamento del ricorso di cui all’art. 633 c.p.c.;
3) rigetta la domanda svolta in via principale ed in via subordinata da A.C.I s.r.l. contro T.M. e C.G.;
4) rigetta la domanda riconvenzionale di ripetizione dell’indebito svolta da da T.M. e C.G. contro A.C.I s.r.l.;
5) compensa integralmente le spese di lite;
6) pone le spese di ctu definitivamente a carico di A.C.I s.r.l.