Nel caso di specie, la Corte d'Appello non aveva correttamente verificato che il bene, pacificamente appartenente ad un genere differente da quello desiderato ed indicato nel contratto, fosse stato comunque effettivamente accettato dall'acquirente.
Svolgimento del processo
M. B. evocava R. N. e G. S. avanti il Tribunale di Milano, chiedendo l’accertamento dei gravi vizi e difetti, mancanza di abitabilità e irregolarità urbanistiche dell’appartamento che aveva acquistato da questi ultimi con atto notarile del 5 agosto 2009. Nella resistenza delle controparti, il giudice adito dichiarava la risoluzione del contratto di compravendita e condannava i convenuti alla restituzione del prezzo di € 121.500,00, nonché al risarcimento del danno per complessivi € 4.600,00.
Su gravame di R. N. e G. S., con sentenza n. 2515, depositata il 5 agosto 2021, la Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava “improcedibili la domanda di risoluzione e connessa domanda risarcitoria, proposte dall’odierno appellato B. M.”.
Il giudice di secondo grado sosteneva che l’azione di risoluzione sarebbe stata preclusa dall’oggettiva rilevanza della utilizzazione definitiva della cosa viziata, legata alla volontà dell’acquirente di accettare la res nonostante la presenza del vizio, avendo l’acquirente deciso di far definitivamente propri gli effetti della vendita, rivendendo il bene a terzi. Il principio, seppure riferito ad ipotesi di responsabilità ex art. 1492 c.c., avrebbe comunque avuto valenza generale, applicabile ad ogni ipotesi di domanda di risoluzione del contratto.
M. B. ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di due motivi, illustrati da successiva memoria. Resistono con controricorso R. N. e G. S., che propongono, a loro volta, ricorso incidentale.
Il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1) Con la prima doglianza, introdotta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., il ricorrente assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 1492 c.c., anziché degli artt. 1453 e 1458 c.c. per il caso di aliud pro alio e conseguentemente dell’art. 2038 c.c., quanto agli effetti restitutori. La sentenza impugnata avrebbe erroneamente applicato la disciplina della garanzia per vizi rispetto ad una fattispecie, nella quale – secondo il contratto inter partes - il ricorrente avrebbe inteso acquistare un’abitazione mentre si sarebbe ritrovato con un immobile ad uso e destinazione incerti, realizzato in violazione dei regolamenti locali e della legislazione urbanistica. Pertanto, la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare la normativa riguardante la vendita di aliud pro alio, ed accogliere altresì l’azione di indebito arricchimento.
2) Mediante la seconda censura, il B. denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la nullità del contratto per violazione dell’art. 46 D.P.R. n. 380/01 e dell’art. 2038 c.c., quanto agli effetti restitutori derivanti dalla risoluzione. Infatti, benché la DIA autorizzativa risultasse espressamente richiamata nel rogito di vendita, la stessa sarebbe stata interrotta fin dal 2011 e neppure più procedibile.
2.1) Il secondo motivo, che deve essere valutato con priorità logica, non è fondato.
Il Collegio ritiene di dover ribadire l’orientamento della più recente giurisprudenza, secondo cui la nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della l. n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3° dell’art. 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità "testuale", con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile proprio a quell’immobile. Pertanto, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato (Sez. U, n. 8230 del 22 marzo 2019; Sez. 3, n. 538 del 15 gennaio 2020).
3) Il primo motivo è invece fondato.
La Corte d’appello ha ritenuto applicabile, come principio generale, la disciplina di cui all’art. 1492 comma 3° c.c. anche alla vendita di aliud pro alio, reputando conseguentemente che l’alienazione della res avesse precluso la domanda di risoluzione e che avrebbe piuttosto dovuto condurre ad una domanda di riduzione del prezzo, però non proposta. In proposito, ha affermato che “la ratio deve essere ricondotta non tanto all’impossibilità di ripristino della situazione in cui le parti si trovavano al momento della conclusione del contratto, ma alla volontà dell’acquirente di accettare la cosa nonostante la presenza del vizio”. Da ciò la conclusione che “se l’acquirente, nonostante tutto, abbia deciso di accettare la cosa, per ciò stesso rinuncia alla maggiore tutela dell’azione risolutoria”.
3.1) In realtà, il predetto ragionamento non è corretto.
Da tempo, la giurisprudenza più recente di questa Suprema Corte ha affermato che l’alienazione o la trasformazione della cosa affetta da vizi, di per sé, non è sufficiente ad escludere a favore del compratore l’azione di risoluzione del contratto per vizi della cosa venduta, ai sensi dell’art. 1492, comma 3, c.c. occorrendo a tal fine che quel comportamento evidenzi univocamente come l’acquirente abbia inteso accettare la cosa. Nel caso in cui l’azione di risoluzione per vizi, nonostante il perimento del bene, non sia preclusa, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 1492 c.c., all’obbligo della restituzione specifica dei beni periti si sostituisce quello della restituzione per equivalente, che opera in via automatica, senza necessità di una specifica domanda da parte dell’acquirente (Sez. 2, n. 2429 del 31 gennaio 2018; Sez. 2, n. 18202 del 29 luglio 2013).
3.2) Se pertanto appare condivisibile l’esclusione dell’applicazione dell’art. 2038 comma 1° c.c. – trattandosi di norma riferita unicamente ad obbligazioni nascenti dalla legge – la sentenza impugnata non ha motivato circa gli elementi, indiziari e logici, che avrebbero dovuto convincere della volontà del B. di accettare comunque la res, benché pacificamente appartenente ad un genere differente (aliud pro alio) da quello desiderato e riferito al contratto e non essendo il cespite oggettivamente in grado di soddisfare le esigenze concrete di sua utilizzazione, diretta o indiretta, ad opera del compratore.
3.3) E tanto a voler sottacere che, in ogni caso, l’azione di risoluzione del contratto di compravendita per vizi, che si fonda sul disposto degli artt. 1490, 1492 e 1495 cod. civ., costituendo una disciplina particolare rispetto all’azione di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 cod. civ., non può esprimere principi generali validi anche rispetto alla consegna di "aliud pro alio", costantemente qualificata dalla giurisprudenza come res di genere del tutto diverso o che presenti difetti tali da impedire ad essa di assolvere alla sua funzione naturale o a quella ritenuta essenziale dalle parti (Sez. 2, n. 6496 del 5 aprile 2016; Sez. 2, n. 10188 del 3 agosto 2000).
Il motivo di ricorso incidentale, che prende spunto dall’omessa pronunzia della Corte d’appello circa la domanda restitutoria dell’immobile, resta assorbito dall’accoglimento del ricorso avversario.
La sentenza impugnata va dunque cassata ed il giudice del rinvio, che si designa nella Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, dovrà verificare se l’alienazione della res da parte del ricorrente corrispondesse alla sua volontà di rinunciare alla richiesta risoluzione del contratto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Dichiara assorbito il ricorso incidentale.