Secondo il Consiglio di Stato, «la realizzazione di un intervento edilizio, prima del rilascio del titolo prescritto dalla legge, ne comporta irrimediabilmente l'abusività, quantomeno formale, alla quale può ovviarsi con il diverso procedimento di accertamento di compatibilità urbanistica o di condono, sempreché ne ricorrano i presupposti».
A seguito di presentazione di istanza di condono e di una SCIA per la ristrutturazione di un locale sottotetto, il Comune intimava la demolizione delle opere realizzate per totale difformità con la SCIA.
Successivamente, gli attuali ricorrente presentavano una SCIA autodefinitasi “in sanatoria” per ottenere i benefici della L.R. n. 21/2010 relativa alla demolizione di un tetto di copertura e recupero di un locale sottotetto. Il Comune dichiarava l'inefficacia della SCIA invitando i privati a conseguire prima il condono straordinario e, se del caso, a ripresentare una nuova SCIA. Inoltre, notificava ai medesimi privati un'ordinanza-ingiunzione di pagamento di una sanzione pecuniaria per abusivismo edilizio.
La controversia giunge dinanzi al Consiglio di Stato, ove i ricorrenti sostengono che la presentazione di una domanda di sanatoria renderebbe inefficace l'ordinanza di demolizione e gli eventuali atti successivi. Il Comune avrebbe dovuto adottare un provvedimento di diniego inibitorio e successivamente un nuovo provvedimento demolitorio essendo pendente l'ulteriore procedimento a seguito dell'istanza di riesame in sanatoria.
Tuttavia, nel caso in esame, alla SCIA in sanatoria presentata non avrebbe fatto seguito alcun provvedimento inibitorio e demolitorio, per cui l'ordinanza-ingiunzione di pagamento sarebbe illegittima.
Con sentenza n. 4200 del 26 aprile 2023, il Consiglio di Stato rigetta l'appello.
Sulla questione sostiene che «la presentazione di una SCIA in sanatoria non determina la sospensione dell'efficacia dell'ordinanza di demolizione, atteso che la realizzazione di un intervento edilizio, prima del rilascio del titolo prescritto dalla legge, ne comporta irrimediabilmente l'abusività, quantomeno formale, alla quale può ovviarsi con il diverso procedimento di accertamento di compatibilità urbanistica, di cui all'art. 36 del
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza (ud. 6 dicembre 2022) 26 aprile 2023, n. 4200
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. I fatti principali, utili ai fini del decidere, possono essere così riassunti in cronologico:
a) il 24 maggio 1986 è stata presentata una istanza di condono dal padre dei ricorrenti per il fabbricato ubicato nel comune di Zaccanopoli, centro, zona A, foglio di mappa n. 2, particelle n. 78 e n. 626, in via (omissis);
b) in data 28 luglio 2011 è stata presentata una s.c.i.a. (n. 1681) per la ristrutturazione di un locale sottotetto;
c) con ordinanza 26 agosto 2011 n. 189 (rimasta inoppugnata) il comune ha intimato la demolizione delle opere realizzate per totale difformità con la s.c.i.a.;
d) il 27 aprile 2012 i germani M. hanno presentato una s.c.i.a. prot. n. 1290 auto definitasi “in sanatoria” per ottenere i benefici della l.r. n. 21 del 2010 (“piano casa”) relativa alla demolizione di un tetto di copertura e recupero di un locale sottotetto;
e) il 23 maggio 2012 il comune, con la determinazione prot. n. 1548, rimasta inoppugnata, ha dichiarato la inefficacia della s.c.i.a. per una pluralità di ragioni e ha invitato i privati in ogni caso a conseguire prima il condono straordinario, la documentazione tecnica necessaria (documentazione fotografica, perizia giurata) e se del caso ripresentare una nuova s.c.i.a. per sfruttare gli eventuali benefici della l.r. n. 7 del 2012 recante la novella alla l.r. n. 21 del 2010;
f) il 17 agosto 2012 il comune ha notificato ai coeredi germani una ordinanza ingiunzione (datata 13 agosto 2012) rimasta inoppugnata, di pagamento di una sanzione pecuniaria per abusivismo edilizio, in relazione a un abuso non meglio specificato e di cui non si conosce la base legale;
g) il 5 ottobre 2012 è stato rilasciato dal comune ai germani un permesso di costruire - n. 7 per condono straordinario, ai sensi delle leggi n. 32 del 2003 e n. 47 del 1985 - a suo tempo richiesto dal padre per la sopraelevazione e l’ampliamento di un fabbricato nel centro urbano di Zaccanopoli;
h) il 31 ottobre 2012 è stata presentata una seconda s.c.i.a. in sanatoria sempre per ottenere i benefici del c.d. “piano casa”;
i) nel 2015 è stato formato il ruolo n. 001274 e sono state notificate il 17 settembre 2015 una serie di cartelle di pagamento ai coobbligati (signori A., L., C. e P.M.): n. (omissis), rispettivamente notificate il 17 settembre 2015, il 4 settembre 2015, il 30 settembre 2015, e il 30 settembre 2015.
2. Avverso le su indicate cartelle è stato proposto il ricorso di primo grado, affidato ai seguenti cinque motivi:
I. Violazione e falsa applicazione dell’art. 31, 33, 37 d.P.R. n. 380 del 2001, invalidità inefficacia derivata, difetto di istruttoria, eccesso di potere per presupposto erroneo, travisamento, illogicità, contraddittorietà, carenza di motivazione, sviamento.
II. Violazione e falsa applicazione dell’art. 25, d.P.R. n. 602 del 1973 – Nullità invalidità della cartella per inosservanza del termine di decadenza per la riscossione e/o l’iscrizione a ruolo e la notifica della cartella.
III. Violazione e falsa applicazione degli artt. 26 d.P.R. 602/1973, 148 c.p.c., inesistenza, nullità, annullabilità della notifica della cartella.
IV. Violazione e falsa applicazione degli artt. 21 septies L. n. 241 del 1990, 25 e 50 d.P.R. n. 602 del 1973, 480 c.p.c., inesistenza/nullità dell’atto per mancata sottoscrizione.
V. Violazione e falsa applicazione degli artt. 7, l. 212/2000, art. 20 d.P.R. n. 602 del 1973, assoluta genericità nel dettaglio degli addebiti.
3. L’impugnata sentenza – T.a.r. per la Calabria, sez. II, n. 1865 del 10 dicembre 2015 -:
i) ha dichiarato il difetto di giurisdizione in relazione alle censure concernenti vizi di forma del procedimento di esecuzione e delle cartelle esattoriali (motivi dal secondo al quinto), capo non impugnato;
ii) ha respinto il primo motivo negando la possibilità che le due s.c.i.a. del 2012 abbiano estinto la sanzione pecuniaria;
iii) ha compensato le spese di lite.
4. L’appello, proposto soltanto da tre (signori A.M., C.M., M.P.) degli originari quattro germani ricorrenti, è affidato a un unico complesso motivo (da pagina 4 a pagina 9 del gravame).
5. Le intimate amministrazioni non si sono costituite in giudizio.
6. A seguito dell’invio dell’avviso di perenzione del 16 giugno 2020 gli appellanti hanno dichiarato di avere interesse alla decisione – memorie del 27 luglio 2022 e del 27 settembre 2022, e hanno chiesto la fissazione dell’udienza di merito.
6.1. Gli stessi appellanti hanno depositato memoria e documenti in data 27 luglio 2022.
7. Alla udienza pubblica del 6 dicembre 2022 la causa è stata spedita in decisione.
8. Preliminarmente il Collegio osserva che gli appellanti hanno dichiarato di non volere interporre appello avverso il capo della sentenza che ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, per cui su tale capo della sentenza è sceso il giudicato.
8.1. L’appello ha ad oggetto la legittimità dei provvedimenti, repressivi e sanzionatori, emanati dal comune che i ricorrenti ritengono illegittimi per il fatto che è pendente la richiesta di sanatoria.
Avverso tali provvedimenti è stato proposto il primo motivo del ricorso di primo grado laddove con gli ulteriori quattro motivi sono state articolate censure avverso le cartelle di pagamento.
9. Conseguentemente il primo motivo del ricorso coincide con il thema decidendum dell’atto di appello.
9.1. Nel merito, i ricorrenti, con il primo motivo del ricorso originario, sostengono che la presentazione di una domanda di sanatoria renderebbe inefficace l’ordinanza di demolizione e gli eventuali atti successivi.
9.2. Il comune avrebbe dovuto adottare un provvedimento di diniego inibitorio e successivamente un nuovo provvedimento demolitorio essendo pendente l’ulteriore procedimento a seguito dell’istanza di riesame in sanatoria.
9.3. Gli stessi ricorrenti osservano altresì che, secondo la disciplina del procedimento di s.c.i.a., introdotta dalla legge 30 luglio 2010 n. 122, in sede di conversione del d.l. 31 marzo 2010 n. 78 con le modifiche apportate con il d.l. 21 giugno 2013 n. 69, convertito con l. 9 agosto 2013 n. 98, l’attività edilizia può essere iniziata dalla data di presentazione della segnalazione.
L’amministrazione nei trenta giorni successivi può effettuare le verifiche e i controlli e, in caso di irregolarità, qualora sia possibile, può invitare il privato interessato a rendere l’intervento conforme alla normativa vigente entro un termine prefissato.
9.4. Trascorsi i trenta giorni, il comune può intervenire, peraltro solo in presenza di pericolo di danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale, qualora non sia possibile regolarizzarne l’attività, con provvedimento espresso.
Nel caso in esame, alla s.c.i.a. in sanatoria presentata non avrebbe fatto seguito alcun provvedimento inibitorio e demolitorio, per cui l’ordinanza ingiunzione di pagamento sarebbe, sotto questo profilo, illegittima.
10. Le censure sono infondate.
10.1. In primo luogo la pretesa dei ricorrenti non può essere accolta in fatto non risultando impugnate:
a) l’ordinanza 26 agosto 2011 n. 189, con la quale il comune ha intimato la demolizione delle opere realizzate per la totale difformità con la s.c.i.a.;
b) la determinazione prot. n. 1548 del 23 maggio 2012 che ha dichiarato l’inefficacia della s.c.i.a. per plurime ragioni;
c) l’ordinanza ingiunzione di pagamento della sanzione pecuniaria per abusivismi edilizio datata 13 agosto 2012.
10.2. La prospettazione degli appellanti non è accoglibile neppure in diritto.
Sui punti controversi è sufficiente osservare che la realizzazione di un intervento edilizio, prima del rilascio del titolo prescritto dalla legge, ne comporta irrimediabilmente l’abusività (quantomeno quella c.d. formale), alla quale può ovviarsi con il diverso procedimento di accertamento di compatibilità urbanistica, di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, sempreché ne ricorrano i presupposti (della c.d. doppia conformità sostanziale).
Pertanto, perché si possa produrre la sospensione dell’effetto della ordinanza di demolizione, è necessario presentare una formale istanza di condono o di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001 (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 5746 del 8 luglio 2022), ma nel caso di specie non è stato provato che dette istanze siano state presentate.
10.3. Parimenti non si ammettono la d.i.a. o la s.c.i.a. in sanatoria presentate successivamente al completamento dell’opera abusiva ed utilizzate come strumento di sanatoria giacché gli illeciti edilizi in questione, ad eccezione dei casi contemplati dall’ art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001, possono essere sanati soltanto in forza di titolo edilizio per condono straordinario o per accertamento di conformità (Cons. Stato, sez. VI, n. 5746 del 2022; sez. IV, ordinanza n. 4573 del 9 ottobre 2010).
10.4. In base al principio di tipicità degli atti amministrativi, una istanza di permesso di costruire o una s.c.i.a. può avere ad oggetto solo lo svolgimento di attività edilizia futura ed è comunque escluso, in base all’indirizzo prevalente del Consiglio di Stato, che il comune debba emanare una nuova ordinanza di demolizione dopo che è stata presentata una formale istanza di accertamento di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 e sia stata esitata negativamente (Cons. Stato, sez. VI, n. 1432 del 2021; sez. II, n. 1925 del 2020).
10.5. Per completezza si evidenzia che la tesi di parte ricorrente si infrange con il principio generale secondo cui, di norma, è impossibile realizzare ulteriori opere sul medesimo bene abusivamente edificato pur se oggetto di condono straordinario (Cons. Stato, sez. IV, n. 1326 del 2017, sez. V, n. 673 del 2015).
11. Conclusivamente tutte le censure sono infondate.
12. In assenza di costituzione delle Amministrazioni intimate nulla si dispone sulle spese.
13. Il Collegio rileva, inoltre, che l’infondatezza del ricorso in appello si fonda su ragioni manifeste in modo da integrare i presupposti applicativi dell’art. 26, comma 2, c.p.a. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 2205 del 2018; n. 2879 del 2017; 5497 del 2016, cui si rinvia ai sensi dell’art. 88, comma 2, lettera d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della sanzione), conformemente ai principi elaborati dalla Corte di cassazione (cfr. da ultimo sez. VI, n. 11939 del 2017; n. 22150 del 2016).
13.1. A tanto consegue il pagamento della sanzione nella misura minima di legge di euro 2.000,00 per ciascun ricorrente, pari a complessivi euro 6.000,00 (seimila) (cfr. sul punto, fra le tante, Cons. Stato, sez. IV, n. 2205 del 2018; n. 2116 del 2018; n. 364 del 2017; cui si rinvia a mente dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a.); siffatta condanna è computata nel quantum separatamente per ogni ricorrente: in caso di ricorso collettivo, infatti, i rapporti processuali restano distinti e per così dire “paralleli”, di talché la misura della sanzione prevista dal più volte menzionato art. 26, co. 2, c.p.a. (“non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio”, nella specie pari ad € 975,00) non può che riferirsi a ciascuna “parte soccombente”.
13.2. Del resto, trattandosi di una sanzione pecuniaria, trova applicazione il principio generale sancito dall’art. 5, l. n. 689 del 1981 secondo cui, quando più persone concorrono nella medesima violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa prevista, non potendosi configurare una situazione di solidarietà salvo che una norma di legge non disponga diversamente; circostanza questa che non si verifica nella specie, nulla disponendo al riguardo né l’art. 26 c.p.a. né l’art. 96, co.3, c.p.c. (sull’applicazione dei principi di cui alla l. n. 689 del 1981 alla sanzione pecuniaria sancita dall’art. 26 c.p.a., cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2205 del 2018; n. 2116 del 2018; n. 364 del 2017; sez. V, n. 1733 del 2012 e n. 3252 del 2011; sulla natura sanzionatoria di tale misura si argomenta anche da Corte cost., n. 152 del 2016 che ha esplicitamente ravvisato tale indole nella misura pecuniaria sancita dal menzionato art. 96, co.3, c.p.c.); dal punto di vista sistematico, infine, tale soluzione appare coerente con quanto stabilito dall’art. 97 c.p.c., nella parte in cui prevede la solidarietà passiva solo in relazione al pagamento delle spese di lite e del risarcimento dei danni cagionati dal processo.
14. La condanna dell’appellante, ai sensi dell’art. 26, comma 2, c.p.a. rileva, infine, anche agli eventuali effetti di cui all’art. 2, comma 2-quinquies, lettere a) e d), della legge 24 marzo 2001, nr. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sull’appello r.g.n. 4606/2016, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla si dispone sulle spese di giudizio.
Condanna, altresì, ciascuno degli appellanti, ai sensi dell’art. 26, comma 2, c.p.a., al pagamento della somma di euro 2.000,00 (duemila) da versare secondo le modalità di cui all’art. 15 disp. att. c.p.a., mandando alla Segreteria per i conseguenti adempimenti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.