Secondo i Giudici di merito il fatto non sussiste, mentre la Cassazione respinge il ricorso presentato dal Magistrato.
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Bari, in riforma della pronunzia di primo grado, ha assolto V. C. per il reato di diffamazione aggravata commesso ai danni di P. L. perché il fatto non sussiste.
2. Avverso la sentenza ricorre ai soli effetti civili il P. nella sua qualità di parte civile deducendo erronea applicazione della legge penale. In tal senso il ricorrente lamenta anzitutto che la Corte territoriale avrebbe indebitamente scisso il contenuto dello scritto del Volpi, ritenendo irrilevante la parte relativa ad un presunto accordo di matura eversiva tra politica e magistratura, relegandola nel perimetro delle mere opinioni, senza considerare, peraltro, come, per la consolidata interpretazione giurisprudenziale, la manifestazione di queste ultime è giustificata solo se il fatto che ne costituisce l'origine presenta un nucleo di verità. Quanto alla seconda parte dello scritto, quella in cui si adombra che il ricorrente sarebbe al centro di "feroci polemiche" conseguenti al presunto "insabbiamento" di alcune indagini quando lo stesso era in servizio alla Procura di Reggio Calabria, parimenti ingiustificato sarebbe il riconoscimento dell'esercizio del diritto di critica da parte dell'imputato. Infatti, il fondamento oggettivo della critica sarebbe costituito da un unico articolo di stampa, di per sé inidoneo a giustificare i giudizi espressi dal Volpi, tanto più che la sua esistenza non lo esimeva dall'obbligo di accertare la verità di quanto affermato e non gli consentiva di attribuire in maniera generica alla persona offesa imprecisati comportamenti illeciti. Non solo, in maniera del tutto autonoma rispetto a quanto riportato dalla presunta fonte, l'imputato avrebbe individuato proprio nel P. e non già nell'ufficio in cui all'epoca presta servizio, il "centro" delle citate polemiche.
3. Il difensore dell'imputato ha depositato memoria con la quale ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile o in subordine rigettato.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
2. Infondate sono le censure svolte dal ricorrente in merito alle conclusioni assunte dalla Corte territoriale con riguardo al contenuto della prima parte dello scritto incriminato. Premesso che l'imputato in essa mai ha operato riferimento ad un concreto e specifico accordo - e dunque ad un fatto storico preciso e definito - intervenuto tra ambienti politici e giudiziari, ma ha semplicemente affermato esservi convergenza tra "politica" e "magistratura" nella volontà di "eliminare" con le "carte bollate" quei magistrati che fanno il loro dovere soprattutto "nei confronti di altri magistrati", la critica della motivazione con la quale i giudici dell'appello hanno escluso la stessa rilevanza penale di tali affermazioni non considera in maniera compiuta lo sviluppo argomentativo dell'apparato giustificativo della sentenza impugnata. Infatti la Corte, facendo espresso riferimento alle dichiarazioni rese nel dibattimento dalla stessa parte civile, ha evidenziato come attraverso le suddette espressioni l'autore dello scritto avesse inteso veicolare una critica alla posizione assunta su una nota vicenda giudiziaria - che vedeva per l'appunto contrapposti i magistrati di diversi uffici - da parte della giunta dell'ANM, in allora presieduta dal P.. E' questo e non altro il fatto - non messo in dubbio nemmeno dal ricorrente - al quale si riferiscono le critiche svolte dall'imputato e del cui significato "politico" queste ultime forniscono la personale interpretazione dell'autore dello scritto, ovviamente discutibile, ma che correttamente la Corte ha qualificato in termini di legittimo esercizio della libertà di manifestazione del pensiero. E' sì vero che il giudice dell'appello, nel prosieguo, ha altresì escluso anche la stessa tipicità della condotta, giungendo a negare in maniera assertiva che l'opinione in quanto tale sarebbe sottratta alla verifica della sua verità. Ma è evidente dal complesso dello sviluppo motivazionale che in tal senso la Corte non abbia inteso contraddire il consolidato insegnamento giurisprudenziale richiamato dal ricorrente in merito al rapporto che deve comunque sussistere tra l'esercizio del diritto di critica e la verità del fatto dal quale lo stesso prende spunto, ma, più semplicemente, ribadire che l'opinione in quanto tale non può essere valutata secondo il canone di verità. Affermazione che di per sé risulta in linea con la citata giurisprudenza.
3. Nel loro complesso infondate sono anche le censure del ricorrente relative alla seconda parte dello scritto. Anzitutto che la fonte di riferimento dell'imputato sia stato un unico articolo è affermazione apodittica del ricorrente, con la quale egli ha inteso smentire quanto riportato dalla sentenza - che invece parla di una pluralità di articoli comparsi sul periodico "Il Dibattito" - senza però dimostrare il proprio assunto attraverso i dovuti riferimenti alle risultanze processuali ed alla loro acquisizione. Ma l'asserzione risulta generica anche perché la Corte in realtà ha fatto esplicito riferimento anche ad una interrogazione parlamentare che aveva dato seguito alla campagna di stampa. Manifestamente infondata è poi l'obiezione per cui l'imputato avrebbe autonomamente arricchito il dato informativo tratto dalle fonti indicate, posto che la sentenza ha specificato come in uno degli articoli - intitolato "I processi insabbiati" - si facesse espresso riferimento anche alla persona del P., specificamente indicato come uno dei destinatari della "sollecitazione" dell'articolista ad approfondire una determinata indagine. Se dunque, contrariamente a quanto sostenuto con il ricorso, questa e non altra è la base informativa alla quale l'imputato ha fatto riferimento, non appare né illogica, ne contraria all'interpretazione giurisprudenziale dell'esimente di cui all'art. 51 c.p. la valutazione compiuta dai giudici del merito delle critiche espresse dall'imputato, il quale ha indicato come "fatto" di riferimento non ipotetiche responsabilità disciplinari o penali del P., bensì che egli era stato coinvolto in polemiche che avevano riguardato il suo operato come magistrato. Fatto che presenta un oggettivo nucleo di verità che nemmeno il ricorrente è stato in grado di mettere in dubbio. Le censure si riducono dunque alla stigmatizzazione dell'aggettivo "feroci" utilizzato per definire le suddette polemiche, ma va da sé che la valutazione della loro consistenza non ha una base oggettiva e rientra ancora una volta nel recinto delle opinioni espressione della libera manifestazione del pensiero. Né colgono nel segno i rilievi finali del ricorrente, atteso che l'accostamento tra le due parti dello scritto non genera una informazione falsa, ma semplicemente manifesta il giudizio negativo dell'autore sull'opportunità che a diramare il comunicato dell'ANM fosse un magistrato al centro delle descritte polemiche.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.