Rigettato il ricorso di un chimico che era stato sospeso dall'esercizio della professione. Per la Consulta, la scelta del Legislatore di procedere per macro “categorie professionali” si spiega con l'esigenza di trovare un criterio certo, univoco e rapido.
Il Tribunale di Genova sollevava le questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli
La controversia trae origine dal ricorso di un chimico, direttore di un laboratorio di analisi anti-inquinamento, sospeso dall'esercizio della professione per inadempimento dell'obbligo vaccinale. Oggetto di censura è la portata dell'obbligo vaccinale, più precisamente la scelta del Legislatore di «sacrificare il diritto allo svolgimento della professione imponendo la vaccinazione anche agli iscritti nell'albo dei chimici e dei fisici, con “un'operazione fondata soltanto su una nomenclatura (“professioni sanitarie”) che è soltanto evocativa di un rapporto di cura, senza che a ciò corrisponda necessariamente alcuna sostanza”».
Investita della questione, la Corte costituzionale si è soffermata in via preliminare sulla perimetrazione dell'imposizione dell'obbligo vaccinale sostenendo che «il legislatore ha effettuato una scelta di carattere generale basata su categorie predeterminate, individuate progressivamente sulla base dell'evoluzione della pandemia».
La prima categoria è stata quella degli esercenti le professioni sanitarie e degli operatori di interesse sanitario A tale primo criterio di portata generale si è, poi, affiancato, tra gli altri, un criterio integrativo legato non alla natura dell'attività professionale, ma al luogo di svolgimento dell'attività lavorativa.
Secondo la Consulta, «l'imposizione dell'obbligo vaccinale per categorie legislativamente predeterminate, gradualmente individuate nei termini anzidetti, non può ritenersi irragionevole e lesiva degli evocati parametri costituzionali».
Una scelta, prosegue la Corte, che «non risulta ovviamente l'unica possibile» ma non può essere qualificata irragionevole essendo mossa «dall'esigenza di garantire linearità e automaticità all'individuazione dei destinatari, così da consentire un'agevole e rapida attuazione dell'obbligo e da prevenire il sorgere di dubbi e contrasti in sede applicativa».
A tali considerazioni va aggiunto che la scelta dell'imposizione dell'obbligo vaccinale per categoria risulta non sproporzionata, considerando «la portata della conseguenza dell'inadempimento dell'obbligo vaccinale – rappresentata dalla sospensione del rapporto lavorativo, peraltro priva di conseguenze disciplinari – e la natura transitoria dell'imposizione dell'obbligo vaccinale, correlata alla sua modulazione in connessione con l'andamento della situazione pandemica in corso».
Alla luce di tutte queste considerazioni, la Corte dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale con sentenza n. 185 del 5 ottobre 2023.
Corte costituzionale, sentenza (ud. 25 maggio 2023) 5 ottobre 2023, n. 185
Svolgimento del processo
1.– Con ordinanza del 22 agosto 2022, iscritta al n. 135 reg. ord. 2022, il Tribunale ordinario di Genova, sezione prima civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 4 e 32 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, come sostituito dall’art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2022, n. 3, «nella parte in cui impone l’obbligo vaccinale – pena la sospensione dall’albo – indistintamente a tutti gli esercenti le professioni sanitarie diversi dagli operatori sanitari, ed in particolare agli iscritti nell’albo dei Chimici e dei Fisici, o comunque lo impone senza alcuna verifica rispetto alle concrete tipologie di svolgimento della professione».
2.– Il giudice rimettente espone di essere investito del ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile proposto da P. P.B., di professione chimico, direttore di un laboratorio di analisi anti-inquinamento, per la sospensione del provvedimento dell’Ordine dei chimici con cui, accertato l’inadempimento dell’obbligo vaccinale, è stato sospeso dall’esercizio della professione di chimico.
Nell’ordinanza di rimessione, il giudice a quo – premessa la rilevanza delle questioni, in quanto passaggio necessario della decisione cautelare derivante dal fatto che la norma censurata, correttamente applicata dall’Ordine professionale nel caso in esame, porterebbe necessariamente alla sospensione ex lege per mancanza di requisiti imposti per l’esercizio della professione – si sofferma sulla loro non manifesta infondatezza, esponendo preliminarmente di non mettere in discussione la sicurezza dei vaccini anti COVID-19 né la loro efficacia e utilità dal punto di vista epidemiologico.
Oggetto di censura è la portata dell’obbligo vaccinale, più precisamente la scelta del legislatore di sacrificare il diritto allo svolgimento della professione imponendo la vaccinazione anche agli iscritti nell’albo dei chimici e dei fisici, con «un’operazione fondata soltanto su una nomenclatura (“professioni sanitarie”) che è soltanto evocativa di un rapporto di cura, senza che a ciò corrisponda necessariamente alcuna sostanza».
Posto che lo scopo della normativa è quello di garantire che lo svolgimento delle cure mediche non sia occasione per la diffusione del contagio del virus in danno di persone fragili come gli ammalati – come indicato dal legislatore che all’art. 4, comma 1, d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito, richiama il «fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza» –, a parere del rimettente non sarebbe ragionevole e sarebbe altresì contrario al principio di eguaglianza «imporre un obbligo vaccinale a tutti gli esercenti le professioni sanitarie “latamente intese”, ossia a tutti quelli che, secondo la legge Lorenzin oggi sono qualificati come esercenti professioni sanitarie, e non soltanto agli operatori sanitari (o al più, come prevede la legge, a quelli che svolgano la loro attività in luoghi di cura)».
I soggetti che svolgono professioni «sanitarie» solo nominalmente tali, come i fisici e i chimici, non potrebbero essere considerati «operatori sanitari» «perché non svolgono relazioni di cura con i pazienti, né [sarebbero] diversi da altri professionisti che sono esenti dall’obbligo, come gli avvocati, i notai, gli operatori commerciali, gli insegnanti, etc. Né quest’obbligo è limitato ai casi in cui questi professionisti operino in luoghi di cura».
Tutto ciò comporterebbe dunque la violazione dell’art. 3 Cost., violazione che sarebbe, inoltre, «correlata con la violazione dell’art. 32 Cost., perché a tali esercenti delle professioni sanitarie che non sono operatori sanitari né operano nei luoghi di cura viene imposto un trattamento sanitario contro la loro volontà, al di fuori delle condizioni indicate dalla Corte costituzionale».
Sarebbe, infine, ravvisabile «la violazione dell’art. 4 Cost e dell’art. 2 Cost. in quanto tali soggetti vengono limitati nel proprio diritto al lavoro (e dello sviluppo della propria personalità): non solo per l’aspetto di diritto personale a poter contribuire con la propria attività professionale allo sviluppo della società, ma anche per gli aspetti più concreti ed economici, essendo queste persone, nel caso che per qualsiasi ragione non intendano vaccinarsi, private della possibilità di trarre reddito e mantenere sé stessi e la propria famiglia con la propria attività professionale».
Il giudice rimettente prosegue evidenziando la sicura afflittività delle conseguenze previste dalla disciplina censurata. In proposito, ricorda come, nel nostro ordinamento, la sospensione da un’attività professionale possa essere disposta dal giudice penale nei soli casi previsti dall’art. 289 cod. proc. civ. e con più definiti limiti temporali rispetto alla fattispecie in esame. E ciò a fronte dell’automatismo della sospensione di cui al censurato art. 4 – che viene disposta dalla pubblica amministrazione senza alcuna discrezionalità e senza alcuna valutazione della situazione personale del soggetto – nonché della sua durata, già molto significativa – oltre sei mesi/un anno – e potenzialmente indefinita, suscettibile di continue proroghe.
Tale trattamento comporterebbe, inoltre, un’evidente «disparità di trattamento rispetto ai soggetti – ad esempio per gli ultra cinquantenni non iscritti all’albo dei Chimici e dei Fisici – che vedono sanzionare il medesimo comportamento con la sola comminazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di minima entità».
Viene, quindi, chiesta la «dichiarazione di incostituzionalità dell’obbligo vaccinale tout court per gli esercenti di una professione sanitaria non comportante una relazione di cura/lo svolgimento di attività in luoghi di cura o, comunque, per gli esercenti la professione di Chimico e Fisico».
3.– È intervenuto in giudizio, con atto depositato il 13 dicembre 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o non fondate.
Viene innanzitutto eccepita l’inammissibilità delle questioni in quanto il giudice rimettente invocherebbe un intervento di questa Corte in una materia riservata alla discrezionalità del legislatore, in assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata.
Quanto al merito, la non fondatezza della questione – già al di là delle recenti decisioni di questa Corte in materia (la cui motivazione non era stata ancora depositata all’epoca della redazione dell’intervento, che cita il solo comunicato stampa) – deriverebbe dalla considerazione che, a seguito dell’inclusione dei fisici e chimici nel novero delle professioni sanitarie, ad opera della legge 11 gennaio 2018, n. 3 (Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute), le attività da questi poste in essere sarebbero da considerarsi a tutti gli effetti sanitarie, analogamente a quanto avverrebbe per le altre professioni sanitarie. Anche per esse, dunque, sussisterebbe il requisito soggettivo di assoggettamento al regime dell’obbligo vaccinale disposto dal legislatore, trattandosi di categorie ex lege esercenti una professione sanitaria. Priva di pregio sarebbe, dunque, l’affermazione del giudice rimettente secondo cui i fisici e i chimici «non sono operatori sanitari perché non svolgono relazioni di cura con i pazienti».
Alla luce della duplice finalità dell’obbligo vaccinale – tutelare in primo luogo l’esercente la professione sanitaria e l’operatore sanitario nell’esercizio della propria attività professionale rispetto al rischio infettivo da contatto accidentale e predisporre, al contempo, una misura strumentale di carattere generale a tutela dell’interesse collettivo della salute ed in specie di tutti coloro che delle prestazioni sanitarie dovrebbero beneficiare in “adeguate condizioni di sicurezza” – viene sostenuta la ragionevolezza della scelta normativa di imprimere un forte impulso alla campagna vaccinale nei confronti delle categorie di professionisti in esame, non potendo ritenersi illogica, in una situazione di emergenza sanitaria globale, la volontà di incentivare alla vaccinazione tutti i lavoratori che appartengono a categorie a qualunque titolo coinvolte nel contrasto alla diffusione dell’epidemia.
L’Avvocatura generale dello Stato evidenzia, poi, sotto altro versante, la non trascurabile difficoltà concreta di distinguere, all’interno della medesima professione sanitaria, tra coloro che svolgono effettivamente un’attività sanitaria in senso stretto e coloro che invece esercitano la loro professione in altri ambiti. Un chimico che si occupa di analisi dell’inquinamento atmosferico – prosegue l’Avvocatura – ben potrebbe, infatti, iniziare a svolgere la propria attività nell’ambito di un laboratorio di analisi cliniche; il che vale a differenziare la posizione del ricorrente del giudizio a quo da quella di chi appartiene a categorie professionali, quali quelle evocate dal rimettente nel preteso confronto con quelle degli avvocati, notai e commercialisti, che mai potrebbero svolgere attività sanitaria e, pertanto, non possono essere assunte quale pertinente tertium comparationis. D’altro canto non sarebbe neanche ipotizzabile una sorta di sospensione “selettiva” dell’interessato, nel senso che al professionista sarebbero precluse le attività sanitarie da svolgersi a contatto fisico con i pazienti e le funzioni diagnostiche, terapeutiche e riabilitative, mentre sarebbero consentite altre attività professionali prive di diretta incidenza nel campo sanitario. Sul punto viene richiamata la giurisprudenza amministrativa che ha sottolineato «il carattere impervio e oneroso di un’eventuale azione di controllo che si prefigga di accertarne, caso per caso, l’effettivo esercizio esclusivamente a distanza della professione» (Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione quinta bis, ordinanza 23 marzo 2022, n. 1987).
A favore della proporzionalità e ragionevolezza della disciplina deporrebbe, altresì, a parere dell’Avvocatura, la temporaneità dell’obbligo vaccinale in questione, nel frattempo venuto anche anticipatamente meno, comportando dunque non una menomazione permanente, ma soltanto una compressione correlata al periodo di emergenza sanitaria delle posizioni giuridiche soggettive dei destinatari dell’obbligo.
Viene, infine, richiamato il parere del Consiglio universitario nazionale emesso all’adunanza del 5 dicembre 2018, con cui la Direzione generale delle professioni sanitarie e delle risorse umane del Servizio sanitario nazionale del Ministero della salute ha chiarito che non sussiste alcun obbligo di iscrizione agli ordini professionali nel caso di professori e ricercatori universitari per lo svolgimento di attività didattiche, di ricerca, consulenza e ogni altra attività intellettuale che non abbia carattere professionale riconducibile agli ambiti di competenza degli ordini o collegi. Tale obbligo sussisterebbe, quindi, solo nel caso in cui gli stessi intendano svolgere attività professionale, libero professionale e di lavoro autonomo relativo ai predetti ambiti di competenza, come nel caso di chimici e fisici che svolgono la relativa attività professionale.
4.- L’associazione Droit Uniforme A.S.B.L. ha presentato una opinio ai sensi dell’art. 6 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, ammessa con decreto presidenziale del 17 aprile 2022. Nell’opinio viene sostenuta, con riferimento agli artt. 10, primo comma, e 32, secondo comma, Cost., l’illegittimità costituzionale dell’imposizione dell’obbligo vaccinale, contestando, in sintesi, la sicurezza e l’efficacia dei vaccini anti COVID-19 oggetto del predetto obbligo oltreché che l’irragionevolezza e sproporzione delle sanzioni previste per l’ipotesi di inadempimento dell’obbligo vaccinale.
Motivi della decisione
1.– Il Tribunale di Genova, sezione prima civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 4 e 32 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito dall’art. 1, comma 1, lettera b) del d.l. n.172 del 2021, come convertito, «nella parte in cui impone l’obbligo vaccinale – pena la sospensione dall’albo – indistintamente a tutti gli esercenti le professioni sanitarie diversi dagli operatori sanitari, ed in particolare agli iscritti nell’albo dei Chimici e dei Fisici, o comunque lo impone senza alcuna verifica rispetto alle concrete tipologie di svolgimento della professione».
Il giudice rimettente sostiene la violazione dell’art. 3 Cost., per contrasto con il principio di ragionevolezza e il principio di uguaglianza, in quanto, rispetto alla finalità della disciplina (individuata dallo stesso art. 4 nella tutela della salute pubblica e nel mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza), si imporrebbe un obbligo vaccinale indiscriminato, basato sulla sola nomenclatura «professioni sanitarie», che includerebbe anche coloro che non svolgono relazioni di cura con i pazienti e che sarebbero, invece, assimilabili ad altre categorie esenti dall’obbligo.
L’art. 3 Cost. risulterebbe, altresì, violato per «disparità di trattamento rispetto ai soggetti – ad esempio per gli ultra cinquantenni non iscritti all’albo dei Chimici e dei Fisici – che vedono sanzionare il medesimo comportamento con la sola comminazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di minima entità».
Il contrasto con l’art. 3 Cost. viene affermato anche con riferimento all’art. 32 Cost., «perché a tali esercenti delle professioni sanitarie che non sono operatori sanitari né operano nei luoghi di cura viene imposto un trattamento sanitario contro la loro volontà, al di fuori delle condizioni indicate dalla Corte costituzionale».
Viene, infine, lamentata la violazione degli artt. 2 e 4 Cost., «in quanto tali soggetti vengono limitati nel proprio diritto al lavoro (e dello sviluppo della propria personalità): non solo per l’aspetto di diritto personale a poter contribuire con la propria attività professionale allo sviluppo della società, ma anche per gli aspetti più concreti ed economici, essendo queste persone, nel caso che per qualsiasi ragione non intendano vaccinarsi, private della possibilità di trarre reddito e mantenere sé stessi e la propria famiglia con la propria attività professionale».
2.– In via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità delle questioni sollevate con riferimento ai parametri di cui agli artt. 2 e 4 Cost. per difetto di adeguata motivazione sulla non manifesta infondatezza, alla luce del costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo cui l’ordinanza di rimessione deve contenere una «autonoma illustrazione delle ragioni per le quali la normativa censurata integrerebbe una violazione del parametro costituzionale evocato» (ex plurimis, sentenze n. 108 del 2023 e n. 237 del 2021).
Il giudice a quo, infatti, non svolge alcuna adeguata argomentazione a supporto delle censure, limitandosi l’apparato argomentativo al passaggio sopra riportato, che assume carattere eminentemente tautologico.
3.– Sempre in via preliminare, va rigettata l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, secondo la quale verrebbe richiesto a questa Corte un intervento manipolativo a fronte di una pluralità di soluzioni possibili e in assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata.
Il giudice a quo reputa irragionevole la generale imposizione dell’obbligo vaccinale agli esercenti le professioni sanitarie diversi dagli operatori sanitari, e in particolare agli iscritti nell’albo dei chimici e dei fisici, disposta in maniera indistinta senza attribuire alcuna rilevanza alle concrete tipologie di svolgimento della professione.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’ammissibilità delle questioni è condizionata non tanto dall’esistenza di un’unica soluzione costituzionalmente obbligata, quanto dalla presenza nell’ordinamento di una o più soluzioni costituzionalmente adeguate, che si inseriscano nel tessuto normativo coerentemente con la logica perseguita dal legislatore (ex plurimis, sentenze n. 73 e n. 46 del 2023; n. 62 del 2022). Il giudice rimettente sollecita, a tal fine, un intervento di questa Corte che consenta di tener conto, ai fini dell’imposizione dell’obbligo vaccinale, delle concrete tipologie di attività professionale.
La circostanza, poi, che siano presenti spazi rimessi alla discrezionalità legislativa circa la concreta individuazione dei soggetti destinatari dell’obbligo vaccinale non implica di per sé la sottrazione delle norme al giudizio sulla legittimità costituzionale, proprio al fine di sindacare l’esercizio in concreto di tale discrezionalità.
4.– Le ulteriori questioni di legittimità costituzionale sollevate non sono fondate.
4.1.– Il giudice rimettente non mette in discussione la sicurezza dei vaccini anti COVID-19 né la loro efficacia e utilità dal punto di vista epidemiologico. Del resto, questa Corte ha già chiarito, vagliando proprio la disposizione in esame, che l’obbligo di vaccinazione e la correlata sospensione per inadempimento allo stesso devono ritenersi misure non irragionevoli e non sproporzionate. E ciò in considerazione, da un lato, del non irragionevole bilanciamento operato dal legislatore tra la dimensione individuale e quella collettiva del diritto alla salute, alla luce della situazione sanitaria dell’epoca e delle conoscenze medico-scientifiche disponibili, e, dall’altro lato, della proporzionalità della misura imposta anche in ragione della sua strutturale temporaneità (sentenze n. 15 e n. 14 del 2023).
Oggetto delle censure è, invece, la dedotta irragionevolezza della scelta del legislatore di imporre la vaccinazione indistintamente a tutti gli esercenti le professioni sanitarie, e in particolare agli iscritti all’albo dei chimici e dei fisici, senza alcuna considerazione delle specifiche tipologie di professione e dell’attività lavorativa in concreto svolta, con la conseguente inclusione nell’obbligo vaccinale di «professioni “sanitarie” solo nominalmente tali».
Nel caso in esame si tratta, dunque, di verificare se sia non irragionevole l’opzione del legislatore di imporre l’obbligo vaccinale per categorie e, più specificatamente, per categorie individuate sulla base dei criteri adottati con il censurato art. 4.
5.– La soluzione delle questioni sottoposte a questa Corte deve necessariamente muovere dalla considerazione della peculiarità delle condizioni epidemiologiche esistenti al momento dell’introduzione dell’obbligo vaccinale e, in particolare, della gravità e dell’imprevedibilità del decorso della pandemia (sentenza n. 14 del 2023).
In tale contesto, nella gestione dell’emergenza sanitaria, il legislatore, a seguito della scoperta di un vaccino ritenuto, alla luce delle conoscenze medico-scientifiche allora disponibili, idoneo a ridurre la diffusione della circolazione del virus, ha operato una chiara scelta in favore di una diffusa vaccinazione.
Ha, quindi, posto in essere un apparato organizzativo deputato alla vaccinazione dell’intera popolazione, offerta gratuitamente sulla base di una massiccia campagna di raccomandazione, e, soprattutto, ha individuato una serie di categorie professionali per le quali la vaccinazione è stata resa obbligatoria.
Con riguardo alla perimetrazione dell’imposizione dell’obbligo vaccinale, il legislatore ha quindi effettuato una scelta di carattere generale basata su categorie predeterminate, individuate progressivamente sulla base dell’evoluzione della pandemia.
La prima categoria è stata quella degli esercenti le professioni sanitarie e degli operatori di interesse sanitario di cui all’art. 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43 (Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali), individuata dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito, sulla base di un criterio inerente, con tutta evidenza, alla natura dell’attività professionale svolta.
A tale primo criterio di portata generale si è, poi, affiancato, tra gli altri, un criterio integrativo – alla base degli artt. 4-bis e 4-ter del d.l. n. 44 del 2021, rispettivamente introdotti dall’art. 2-bis del decreto-legge 6 agosto 2021, n. 111 (Misure urgenti per l’esercizio in sicurezza delle attività scolastiche, universitarie, sociali e in materia di trasporti), convertito, con modificazioni, nella legge 24 settembre 2021, n. 133, e dall’art. 2 del d.l. n. 172 del 2021, come convertito – legato non alla natura dell’attività professionale, ma al luogo di svolgimento dell’attività lavorativa; l’obbligo è stato così esteso a coloro che svolgevano le loro attività, diverse da quelle individuate dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito, in luoghi deputati alla cura e alla diagnosi: strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie (art. 4-bis) e strutture sanitarie e sociosanitarie di cui all’art. 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), (art. 4-ter).
5.1.– Il legislatore, dunque, nel fronteggiare la situazione pandemica in corso, ha modulato la scelta nel tempo e, in parte, ha originariamente anche tenuto conto delle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.
In prima battuta, ha individuato categorie professionali i cui componenti prevalentemente svolgessero attività di natura tale da giustificare l’imposizione dell’obbligo vaccinale: soggetti che risultavano statisticamente maggiormente colpiti e più probabili veicoli di circolazione del virus verso soggetti fragili e verso l’intera popolazione, e che, al contempo, erano determinanti per la tenuta del sistema sanitario, al fine di evitare l’interruzione di servizi essenziali per la collettività (sentenze n. 14 del 2023 e n. 268 del 2017). Finalità, quest’ultima, «particolarmente avvertita in un momento in cui, da un lato, il sistema sanitario nel suo complesso era sottoposto ad un gravissimo stress, dovendo affrontare – oltre a crescenti richieste di assistenza domiciliare – un enorme e incessante incremento di ricoveri per i pazienti affetti da patologia da SARS-CoV-2, con conseguente congestione delle strutture ospedaliere e dei reparti intensivi, e, dall’altro lato, si assisteva a una crescente diffusione del contagio tra il personale sanitario» (sentenza n. 14 del 2023).
Proprio nel perseguimento di tali finalità – in considerazione dell’andamento della pandemia, crescente sia in termini di gravità che di diffusione – il legislatore, in seconda battuta, ha esteso l’obbligo vaccinale ad altri soggetti individuati anche in base al solo luogo di svolgimento dell’attività lavorativa.
6.– L’imposizione dell’obbligo vaccinale per categorie legislativamente predeterminate, gradualmente individuate nei termini anzidetti, non può ritenersi irragionevole e lesiva degli evocati parametri costituzionali.
Deve considerarsi che la scelta per categorie predeterminate costituisce una delle possibili modalità di contemperamento tra la dimensione individuale e quella collettiva del diritto alla salute. Essa, infatti, rappresentava una risposta alla emergenza pandemica portatrice di una serie di vantaggi, in considerazione della situazione sanitaria in atto, per affrontare la quale era indispensabile assicurare una tempestiva e uniforme attuazione dell’obbligo vaccinale.
Tale scelta, anche sulla scorta del dato comparato, non risulta ovviamente l’unica possibile. E lo stesso legislatore italiano, nella prima fase della pandemia, ha adottato un modello che, pur individuando in determinate categorie i destinatari dell’obbligo vaccinale, lo ha delimitato in modo tale da rapportarlo al concreto svolgimento dell’attività lavorativa, ammettendo anche la possibilità di utilizzare diversamente nel contesto lavorativo coloro che non si sottoponessero alla vaccinazione.
Non spetta a questa Corte valutare quali fossero le misure maggiormente rispondenti alle finalità perseguite mediante l’imposizione dell’obbligo vaccinale, essendo tale scelta rimessa alla responsabilità e, quindi, alla discrezionalità del legislatore. Questa Corte deve, però, valutare se la scelta del legislatore sia rispettosa dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità, in particolare quando, come nella specie, vengano in rilievo diritti fondamentali che richiedano di essere ponderati e bilanciati tra loro.
Ebbene, l’imposizione dell’obbligo vaccinale per categorie predeterminate di soggetti rappresenta una scelta non irragionevolmente mossa dall’esigenza di garantire linearità e automaticità all’individuazione dei destinatari, così da consentire un’agevole e rapida attuazione dell’obbligo e da prevenire il sorgere di dubbi e contrasti in sede applicativa. Non è secondario, poi, che l’individuazione direttamente per legge dei destinatari dell’obbligo vaccinale sia coerente con l’esigenza – che trae origine dall’art. 32 Cost. – di determinare con certezza i soggetti la cui libertà di autodeterminazione venga compressa nell’interesse della comunità.
Qualsiasi sistema improntato all’identificazione di carattere individuale, in base alla rispondenza di determinati requisiti e, in particolare, alla tipologia dell’attività lavorativa degli appartenenti alla professioni sanitarie, avrebbe infatti comportato un aggravio – che il legislatore ha reputato insostenibile in termini di tempi, costi e utilizzo di personale altrimenti impiegabile su fronti più urgenti – nella fase dell’individuazione in concreto dei destinatari dell’obbligo, tramite l’accertamento, caso per caso, della rispondenza ai requisiti richiesti, oltre che nella successiva fase di monitoraggio e controllo della loro perdurante sussistenza.
La scelta si è fondata sulla significativa criticità della situazione sanitaria nella quale tutte le risorse, di personale e organizzative, dovevano essere finalizzate alla gestione dell’emergenza pandemica, sicché il sistema avrebbe mal tollerato, in capo alle singole amministrazioni datrici di lavoro, un’attività di cernita (a monte) e controllo (a valle) delle singole tipologie di attività professionali.
Il legislatore ha, inoltre, considerato che l’adozione di un sistema per categorie già predeterminate – grazie al suo carattere semplificato e automatico – consentiva di rimettere l’attività di accertamento e monitoraggio agli ordini professionali competenti e ai datori di lavoro, esonerando da tale impegnativo compito le aziende sanitarie locali, le regioni e le province autonome, inizialmente coinvolte in base all’originario impianto normativo, antecedente alle modifiche introdotte con il d.l. n. 172 del 2021, come convertito.
7.– A tali considerazioni sulla non irragionevolezza della scelta dell’imposizione dell’obbligo vaccinale per categorie va aggiunto che essa risulta non sproporzionata.
Ciò che – come sopra ricordato – questa Corte ha già avuto modo di affermare quando ha sottolineato la portata della conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale – rappresentata dalla sospensione del rapporto lavorativo, peraltro priva di conseguenze di tipo disciplinare – e la natura transitoria dell’imposizione dell’obbligo vaccinale, correlata alla sua rigorosa modulazione in stretta connessione con l’andamento della situazione pandemica in corso (sentenza n. 15 del 2023).
Sotto quest’ultimo profilo, in coerenza con la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 14 del 2023 e n. 5 del 2018), depongono nel senso della non fondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale la genetica transitorietà della disciplina nonché la previsione di elementi di flessibilizzazione e monitoraggi che consentivano l’adeguamento delle misure all’evoluzione della situazione di fatto che tali misure erano destinate a fronteggiare.
8.– Alla luce di tutte le considerazioni sin qui svolte devono quindi dichiararsi non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, come sostituito dall’art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia dal COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2022, n. 3, «nella parte in cui impone l’obbligo vaccinale – pena la sospensione dall’albo – indistintamente a tutti gli esercenti le professioni sanitarie diversi dagli operatori sanitari, ed in particolare agli iscritti nell’albo dei Chimici e dei Fisici, o comunque lo impone senza alcuna verifica rispetto alle concrete tipologie di svolgimento della professione», sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 4 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Genova, sezione prima civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e come sostituito, «nella parte in cui impone l’obbligo vaccinale – pena la sospensione dall’albo – indistintamente a tutti gli esercenti le professioni sanitarie diversi dagli operatori sanitari, ed in particolare agli iscritti nell’albo dei Chimici e dei Fisici, o comunque lo impone senza alcuna verifica rispetto alle concrete tipologie di svolgimento della professione», sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost., dal Tribunale ordinario di Genova, sezione prima civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe.