Incostituzionale l'art. 69, comma 4, c.p. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 648-ter.1, comma 2, c.p. sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p..
La pronuncia in esame scaturisce da tre furti commessi nel 2019 da un uomo presso tre diverse gioiellerie e dal tentato autoriciclaggio di tali beni che egli avrebbe cercato di rivendere lo stesso giorno in un “compro oro”.
Il Tribunale che si è occupato del caso è quello di Firenze, il quale ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'
Con la sentenza n. 188 depositata oggi, la Corte costituzionale dichiara fondate le questioni formulate dal Giudice rimettente, rilevando come in numerose occasioni la Consulta abbia dichiarato costituzionalmente illegittimo l'
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«Prevedendo per l'autoriciclaggio una pena dimezzata, tanto nel massimo quanto nel minimo, allorché il delitto presupposto sia di minore gravità – segnatamente quando esso sia punito con pena inferiore acinque anni di reclusione -, il legislatore ha inteso differenziare nettamente il disvalore oggettivo di questa ipotesi rispetto alla fattispecie base, la quale è peraltro caratterizzata da un quadro sanzionatorio di notevole severità, calibrato su fenomeni criminosi ben più gravi – anche per la loro dimensione offensiva del sistema economico, imprenditoriale e finanziario – rispetto a condotte come quelle oggetto del procedimento disciplinare». |
Tuttavia, quando il reato sia aggravato dalla recidiva reiterata, tale intento del Legislatore viene frustrato agli effetti pratici dalla norma censurata che vincola il giudice ad infliggere una pena non inferiore al minimo previsto dalla fattispecie base di autoriciclaggio. Ciò finisce per tradursi in una violazione del canone della proporzionalità, oltre a creare un vulnus al principio di offensività.
Alla luce di tali argomentazioni, la Corte costituzionale dichiara costituzionalmente illegittimo l'
Corte costituzionale, sentenza (ud. 27 settembre 2023) 12 ottobre 2023, n. 188
Svolgimento del processo
1.– Con ordinanza del 18 luglio 2022, il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del delitto di autoriciclaggio, di cui all’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. (nella versione ratione temporis applicabile) sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
In via subordinata, il giudice a quo ha censurato la medesima norma, per contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza di più circostanze attenuanti sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
1.1.– Il rimettente deve giudicare della responsabilità di A. M., imputato di tre furti di monili commessi il 14 marzo 2019 presso tre diverse gioiellerie della medesima città – tutti contestati con le aggravanti di cui agli artt. 61, primo comma, numero 2), 625, primo comma, numero 4), e 99, quarto comma, cod. pen. – e del tentato autoriciclaggio dei beni sottratti, che egli avrebbe cercato di vendere, lo stesso giorno del furto, presso un «compro oro»: condotta, quest’ultima, che secondo la pubblica accusa configura il delitto di cui agli artt. 56 e 648-ter.1 cod. pen., anch’esso aggravato dalla recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen.
1.1.1.– All’esito dell’istruttoria dibattimentale, il giudice a quo rileva che, rispetto ai tre furti, sussistono l’aggravante della destrezza (art. 625, numero 4, cod. pen.) – non invece quella del nesso teleologico ex art. art. 61, numero 2), cod. pen. rispetto al tentato autoriciclaggio –, nonché la contestata recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen. Il certificato penale di A. M. evidenzia infatti numerosi precedenti specifici e recenti, tra cui una sentenza di condanna del 2019 per indebito utilizzo continuato di carte di credito, che aveva già applicato la recidiva reiterata.
Ad avviso del rimettente, potrebbero però riconoscersi all’imputato le circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen., in ragione sia della «modesta gravità del caso concreto», in cui tutti i beni sottratti, di valore non elevato, sono stati recuperati dalla polizia il giorno stesso della commissione dei reati e riconsegnati alle persone offese nell’arco di pochi giorni; sia delle condizioni di disagio personale e familiare di A. M., padre di quattro figli, di cui una affetta da grave disabilità; sia infine del percorso terapeutico intrapreso dall’imputato in relazione alla propria ludopatia.
Con riferimento ai delitti di furto, il giudizio di bilanciamento tra le circostanze aggravanti della destrezza e della recidiva reiterata specifica, e le circostanze attenuanti generiche dovrebbe formularsi in termini di equivalenza, con conseguente applicazione della pena base, il cui massimo edittale è pari a tre anni.
1.1.2.– Rispetto invece al tentato autoriciclaggio – ritenuto effettivamente integrato, per l’idoneità della condotta a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni sottratti, «in ragione della natura del soggetto destinatario del trasferimento, vale a dire un esercizio […] che normalmente ritrasferisce gli oggetti acquistati, che vengono modificati o addirittura destinati alla fusione» – il Tribunale di Firenze rileva che andrebbe riconosciuta, oltre alle circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen. per le ragioni già esposte, anche la circostanza attenuante di cui al secondo comma dell’art. 648-ter.1 cod. pen.
Quest’ultima, nella versione introdotta dall’art. 3, comma 3, della legge 15 dicembre 2014, n. 186 (Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio) e vigente fino alla sua sostituzione a opera dell’art. 1, comma 1, lettera f), numero 3), del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 195, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/1673 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2018, sulla lotta al riciclaggio mediante diritto penale», prevedeva che alla condotta di autoriciclaggio si applicasse – in luogo della pena base della reclusione da due a otto anni e della multa da 5.000 a 25.000 euro – la reclusione da uno a quattro anni e la multa da 2.500 a 12.500 euro ove il denaro, i beni o le altre utilità impiegate, sostituite o trasferite in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative provenissero dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Ad avviso del rimettente, il calcolo del massimo edittale del delitto presupposto – che deve essere appunto inferiore ai cinque anni per l’applicazione dell’attenuante ex art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. – andrebbe effettuato in relazione alla cornice edittale della fattispecie base, senza considerare le circostanze, aggravanti o attenuanti, da cui il concreto fatto di reato sia connotato. Non sarebbe in proposito condivisibile la valorizzazione delle circostanze aggravanti, effettuata da alcune pronunce di legittimità in relazione al contiguo delitto di riciclaggio, per cui è prevista un’analoga circostanza attenuante (sono citate Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenze 23 novembre-21 dicembre 2021, n. 46754; 18 ottobre 2019-31 gennaio 2020, n. 4146; 23 maggio-2 agosto 2019, n. 35445; 12-27 gennaio 2017, n. 3935). Il computo del massimo edittale alla luce della sola cornice base del reato presupposto sarebbe, in effetti, l’opzione interpretativa più aderente al tenore letterale dell’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. – criterio guida da seguire nell’esegesi dei criteri per la selezione dei reati che facciano riferimento alla quantità di pena (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 31 marzo-1° settembre 2016, n. 36272) – e condurrebbe a ritenere applicabile l’attenuante in parola, essendo il furto (reato presupposto) punito con una pena base di tre anni di reclusione nel massimo.
Quand’anche poi si ritenesse che il massimo edittale del delitto presupposto vada calcolato valorizzando il fatto di reato circostanziato, andrebbero prese in considerazione, in assenza di specificazioni normative di segno contrario, tutte le circostanze, aggravanti e attenuanti, comuni e speciali (sono citate Corte di cassazione, sezioni unite penali sentenza 28 febbraio-13 giugno 2013, n. 25939 e sezione quinta penale, sentenza 7 febbraio-27 aprile 2022, n. 16169, in tema di reato continuato). Attribuendo rilievo a tutte le circostanze – aggravanti e attenuanti – che connotano i tre delitti di furto, il giudizio di equivalenza tra le stesse condurrebbe comunque ad assumere come pena rilevante dei reati presupposto la pena base del furto, pari a tre anni nel massimo, con conseguente applicabilità dell’attenuante ex art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen.
1.2.– Tutto ciò premesso, considera il rimettente che, in relazione al delitto di tentato autoriciclaggio, le circostanze attenuanti di cui agli artt. 62-bis e 648-ter.1, secondo comma, cod. pen., «per la loro pregnanza – ed in particolare per la tipologia e la modesta gravità in concreto dei reati presupposto e per la situazione di disagio in cui viveva l’imputato e il percorso successivamente intrapreso – meriterebbero di essere ritenute prevalenti» rispetto alla recidiva reiterata specifica (in specie correttamente contestata ed effettivamente applicabile) e di «essere applicate nella loro estensione massima o quasi massima».
Tale operazione sarebbe tuttavia preclusa dall’art. 69, quarto comma, cod. pen., il quale prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.; divieto che potrebbe essere rimosso solo da una pronuncia di questa Corte. Di qui la rilevanza delle questioni.
Non scalfirebbe tale rilevanza la modifica, successiva ai fatti in contestazione, dell’art. 648-ter.1 cod. pen. ad opera del d.lgs. n. 195 del 2021, che ha trasformato la circostanza di cui al secondo comma in attenuante a efficacia comune e l’ha ricollocata nel terzo comma della disposizione. La nuova disciplina sarebbe infatti più sfavorevole per l’imputato (minore essendo l’efficacia attenuante della circostanza), per cui – stante il divieto di applicazione retroattiva delle norme penali successive sfavorevoli – dovrebbe trovare ancora applicazione la disciplina originaria introdotta dalla legge n. 186 del 2014.
1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate in via principale – che si appuntano sul divieto di prevalenza dell’attenuante ex art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. sulla recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen. – il rimettente rammenta che questa Corte si è già pronunciata in molteplici occasioni sulla legittimità costituzionale del censurato art. 69, quarto comma, cod. pen.
Il giudice a quo cita in particolare le considerazioni svolte da questa Corte nella sentenza n. 251 del 2012, secondo cui il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee «consente al giudice di “valutare il fatto in tutta la sua ampiezza circostanziale, sia eliminando dagli effetti sanzionatori tutte le circostanze (equivalenza), sia tenendo conto di quelle che aggravano la quantitas delicti, oppure soltanto di quelle che la diminuiscono” (sentenza n. 38 del 1985)». Eventuali deroghe al bilanciamento – sindacabili «soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio» (sentenza n. 68 del 2012) – «in ogni caso non possono giungere a determinare un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilità penale» (è ancora citata la sentenza n. 251 del 2012).
Nel caso di specie, il divieto contenuto nell’art. 69, quarto comma, cod. pen. trasmoderebbe in una «manifesta irragionevolezza», in relazione alla circostanza attenuante di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen., che – nella versione ratione temporis applicabile – comporta, per i fatti di minor offensività (in relazione alla minor gravità del reato presupposto), una diminuzione di pena «a effetto speciale e determinata in modo indipendente dalla fattispecie base», e conduce a un dimezzamento della cornice edittale.
La condotta e l’oggetto materiale del delitto di autoriciclaggio sarebbero individuati dall’art. 648-ter.1 cod. pen. in modo assai ampio e suscettibile di abbracciare una vasta gamma di comportamenti (ossia le condotte di chiunque «impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa»). Parimenti ampio sarebbe il ventaglio dei possibili reati presupposto, identificati in qualunque delitto non colposo (catalogo esteso, nella nuova versione della disposizione, ai delitti colposi e alle contravvenzioni più gravi). La risposta sanzionatoria si connoterebbe poi per «un’apprezzabile severità».
In questo contesto, la circostanza attenuante di cui al secondo comma dell’art. 648-ter.1 cod. pen. svolgerebbe «la funzione essenziale di mitigare il citato rigore sanzionatorio per quelle fattispecie che presentino una minore gravità oggettiva in ragione della provenienza del denaro o dei beni oggetto delle condotte di autoriciclaggio da delitti di minore gravità».
Il trattamento sanzionatorio, significativamente più mite, assicurato ai fatti di autoriciclaggio aventi ad oggetto denaro, beni e utilità provenienti dai reati presupposto meno gravi esprimerebbe per l’appunto «una dimensione offensiva la cui effettiva portata è disconosciuta dalla norma censurata, che indirizza l’individuazione della pena concreta verso un abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento delle componenti oggettive del reato» (è citata la sentenza n. 251 del 2012). E invero, «due fatti – quello di autoriciclaggio di denaro, beni o utilità provenienti dai delitti più gravi (ad es. sequestro a scopo di estorsione, rapina, concussione, peculato, bancarotta fraudolenta, ecc.) e quello di autoriciclaggio di denaro, beni o utilità provenienti da delitti decisamente meno gravi (ad es. furto, truffa, esercizio arbitrario delle proprie ragioni, reato di cui all’art. 388 c. p., ecc.)», «che lo stesso assetto legislativo riconosce come profondamente diversi sul piano dell’offesa, vengono ricondotti alla medesima cornice edittale, e ciò “determina un contrasto tra la disciplina censurata e l’art. 25, secondo comma, Cost., che pone il fatto alla base della responsabilità penale”» (è nuovamente richiamata la sentenza n. 251 del 2012).
Aggiunge il rimettente che, nell’ipotesi contemplata dall’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. per effetto dell’equivalenza tra la recidiva reiterata e l’attenuante in questione, l’imputato «verrebbe di fatto a subire un aumento di pena sensibilmente superiore a quello previsto dallo stesso art. 99 co. 4 c.p.: l’annullamento di una riduzione pari alla metà equivale infatti ad un aumento del 100% anziché ad un aumento della metà o dei due terzi, quale quello previsto a seconda dei casi dall’art. 99 co. 4 c.p.».
1.4.– Alla luce di queste considerazioni, emergerebbe il contrasto del divieto di prevalenza contenuto nell’art. 69, quarto comma, cod. pen. con gli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost., poiché la norma censurata «determina l’applicazione irragionevole della stessa pena a fatti oggettivamente diversi e in modo non rispettoso del principio di offensività».
Sarebbe altresì violato l’art. 27, terzo comma, Cost., «sotto il profilo del principio di proporzionalità della pena e della finalità rieducativa della stessa».
Questa Corte avrebbe infatti già osservato che l’art. 69, quarto comma, cod. pen., nel precludere la prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata, realizza «una deroga rispetto a un principio generale che governa la complessa attività commisurativa della pena da parte del giudice, saldando i criteri di determinazione della pena base con quelli mediante i quali essa, secondo un processo finalisticamente indirizzato dall’art. 27, terzo comma, Cost., diviene adeguata al caso di specie anche per mezzo dell’applicazione delle circostanze» (è citata la sentenza n. 205 del 2017).
In specie, il divieto di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen., in relazione (anche) alla circostanza attenuante ex art. 648-ter.1, cod. pen., secondo comma, impedirebbe il necessario adeguamento della pena edittale alle circostanze del caso concreto, determinando un trattamento sanzionatorio sproporzionato e dunque inidoneo a esplicare una funzione rieducativa. E invero, «il condannato – che per effetto della recidiva reiterata si veda assoggettato ad una pena enormemente più alta di quella che gli sarebbe altrimenti applicata – non potrebbe che percepire come irragionevole la pena stessa e non aderirebbe quindi al trattamento rieducativo».
1.5.– In relazione alle questioni formulate in via subordinata, che censurano l’art. 69, quarto comma, cod. pen. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza di più circostanze attenuanti (in specie, quelle ex artt. 648-ter.1, secondo comma, e 62-bis, cod. pen.) sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen., il rimettente osserva che tale divieto «comporta a maggior ragione un trattamento sanzionatorio sproporzionato, ancor maggiore essendo l’incidenza sullo stesso delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata».
Sarebbe dunque ancor più evidente l’attrito tra la deroga al giudizio di bilanciamento introdotta dall’art. 69, quarto comma, cod. pen. e i principi di ragionevolezza, proporzionalità e finalità rieducativa della pena.
2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio.
Motivi della decisione
1.– Con l’ordinanza di cui in epigrafe, il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, solleva, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del delitto di autoriciclaggio, di cui all’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. (nella versione ratione temporis applicabile), sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
In via subordinata, il giudice a quo censura la medesima norma, per contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza di più circostanze attenuanti sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
2.– Le questioni sono ammissibili.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini della verifica della rilevanza della questione è necessario e sufficiente che il rimettente motivi in modo non implausibile sulle ragioni, in fatto e in diritto, che lo conducono a ritenere applicabile la norma della cui legittimità costituzionale dubita nel giudizio principale (ex multis, sentenze n. 139 del 2023, punto 3 del Considerato in diritto; n. 94 del 2023, punto 2.2. del Considerato in diritto; n. 192 del 2022, punto 2 del Considerato in diritto).
Il che è quanto puntualmente avviene nell’articolata ordinanza introduttiva del presente giudizio.
2.1.– Il rimettente motiva anzitutto in modo non implausibile – richiamando, in particolare, una pronuncia della Corte di cassazione (seconda sezione penale, sentenza 14 settembre-5 ottobre 2021, n. 36180) relativa a un caso di specie sovrapponibile a quello di cui è causa nel giudizio a quo – sulla riconducibilità della condotta contestata all’imputato alla figura legale dell’autoriciclaggio.
In tal modo, il giudice a quo scioglie in senso affermativo un dubbio interpretativo di per sé non futile, alla luce anche del quadro sanzionatorio di particolare rigore previsto da un’incriminazione che punisce autonomamente condotte successive alla commissione di un reato, funzionali a consolidarne il profitto in capo allo stesso autore: e cioè se sia sufficiente la mera vendita della res furtiva a integrare almeno uno dei requisiti normativi alternativi dell’“impiego”, “sostituzione” o “trasferimento” dei beni provenienti dalla commissione del delitto di furto in «attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative»; dubbio che deve essere sciolto prima della verifica della sussistenza dell’ulteriore requisito normativo concernente l’idoneità della condotta a «ostacolare concretamente l’identificazione della […] provenienza delittuosa» dei beni sottratti.
2.2.– Una densa motivazione è poi dedicata dall’ordinanza di rimessione all’ulteriore dubbio interpretativo concernente le modalità di calcolo della pena prevista per il reato presupposto, che ai sensi della norma censurata deve essere «inferiore nel massimo a cinque anni».
Il rimettente opta per la soluzione secondo cui decisivo sarebbe il riferimento alla pena prevista per il reato base, senza considerare le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti che connotano in concreto il delitto presupposto, confrontandosi estesamente – in parte in senso critico, ma in assenza di diritto vivente sul tema specifico – con la giurisprudenza della Corte di cassazione formatasi su problemi interpretativi contigui. Tanto basta ai fini della verifica, che questa Corte è chiamata a compiere, della plausibilità della soluzione interpretativa adottata, che condiziona a sua volta la rilevanza delle questioni sollevate.
2.3.– Il rimettente muove dall’implicito presupposto che l’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. costituisca circostanza attenuante a effetto speciale, anziché fattispecie autonoma di reato: qualificazione, quest’ultima, che priverebbe di rilevanza le questioni, rendendo in radice inapplicabile nel giudizio a quo il censurato art. 69, quarto comma, cod. pen.
Per quanto non manchino voci in dottrina che hanno sostenuto la tesi della natura di fattispecie autonoma della disposizione in parola, la tesi opposta – implicitamente accolta dal giudice a quo, e prevalente presso la stessa dottrina – corrisponde alla soluzione pacificamente adottata dalla giurisprudenza con riferimento alla contigua previsione di cui all’art. 648, quarto comma, cod. pen., che prevede un autonomo quadro edittale per la ricettazione «di particolare tenuità» (Corte di cassazione, sezione settima penale, ordinanza 8 luglio-21 ottobre 2022, n. 39944; sezione seconda penale, sentenza 13 maggio-1° luglio 2021, n. 25121). La qualificazione su cui si fonda l’ordinanza di rimessione, inoltre, appare in linea con gli orientamenti delle sezioni unite della Corte di cassazione, che in generale tracciano la linea distintiva tra circostanze a effetto speciale e fattispecie autonome in base al «criterio strutturale della descrizione del precetto penale», ravvisando in linea di principio una mera circostanza allorché non vi sia una «immutazione degli elementi essenziali delle condotte illecite», che restano quelle descritte dalla fattispecie base (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 27 ottobre 2011-7 febbraio 2012, n. 4694; si vedano altresì le sentenze 21 giugno-24 settembre 2018, n. 40982; 24 giugno-5 ottobre 2010, n. 35737; 26 giugno-10 luglio 2002, n. 26351).
A fronte di tali considerazioni, e in assenza di precedenti in senso contrario presso la giurisprudenza di legittimità, deve pertanto ritenersi che una specifica motivazione sul punto non fosse necessaria ai fini del vaglio, da parte di questa Corte, sulla rilevanza delle questioni sollevate, non potendo l’onere motivazionale del giudice a quo spingersi sino a dover confutare tutti i dubbi interpretativi sollevati in dottrina, o comunque astrattamente prospettabili, sulle disposizioni che condizionano la rilevanza della questione.
2.4.– Il rimettente si sofferma, per contro, puntualmente sulle ragioni per cui ritiene non applicabile nel giudizio a quo il nuovo testo dell’art. 648-ter.1, terzo comma, cod. pen., (Autoriciclaggio) che – nella formulazione novellata dall’art. 1, comma 1, lettera f), numero 3), del d.lgs. n. 195 del 2021 – stabilisce che «[l]a pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni».
Giustamente il giudice a quo rileva, infatti, che tale disposizione, stabilendo una diminuzione di pena inferiore a quella prevista al momento del fatto dall’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. nella versione allora vigente, è più sfavorevole per l’imputato, e pertanto risulta a lui inapplicabile ai sensi dell’art. 2, quarto comma, cod. pen.
2.5.– Infine, il rimettente articola due gruppi distinti di questioni di legittimità costituzionale, in chiaro rapporto di subordinazione: il che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis, sentenze n. 7 del 2022, punto 2.3. del Considerato in diritto; n. 152 del 2020, punto 2.2.1. del Considerato in diritto), gli è certamente consentito, a differenza di ciò che sarebbe accaduto ove i distinti petita fossero stati proposti in modo meramente alternativo e – pertanto – ancipite, con conseguente devoluzione alla Corte di una «impropria competenza di scegliere tra ess[i]» (ordinanza n. 221 del 2017).
3.– Nel merito, le questioni formulate in via principale sono fondate, con riferimento a tutti i parametri evocati.
In numerose precedenti occasioni questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza di altrettante circostanze attenuanti sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen. In particolare nella recente sentenza n. 94 del 2023 (punto 10 del Considerato in diritto) sono state rammentate e sinteticamente illustrate le varie rationes decidendi sottese alle sentenze anteriori, riconducibili peraltro all’esigenza di mantenere – con le parole della successiva sentenza n. 141 del 2023 (punto 3.1. del Considerato in diritto) – «un conveniente rapporto di equilibrio tra la gravità (oggettiva e soggettiva) del singolo fatto di reato e la severità della risposta sanzionatoria, evitando in particolare quella che la sentenza “capostipite” n. 251 del 2012 già aveva definito l’“abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento delle componenti oggettive del reato” (punto 5 del Considerato in diritto) creata dall’art. 69, quarto comma, cod. pen.».
Tale criterio generale non può non condurre anche in questo caso alla dichiarazione di illegittimità costituzionale auspicata dal rimettente.
Prevedendo per l’autoriciclaggio una pena dimezzata, tanto nel massimo quanto nel minimo, allorché il delitto presupposto sia di minore gravità – segnatamente quando esso sia punito con pena inferiore a cinque anni di reclusione –, il legislatore ha inteso differenziare nettamente il disvalore oggettivo di questa ipotesi rispetto alla fattispecie base, la quale è peraltro caratterizzata da un quadro sanzionatorio di notevole severità, calibrato su fenomeni criminosi ben più gravi – anche per la loro dimensione offensiva del sistema economico, imprenditoriale e finanziario – rispetto a condotte come quelle oggetto del procedimento principale.
Allorché però il delitto risulti aggravato dalla recidiva reiterata – situazione statisticamente assai frequente allorché il reato presupposto sia un furto, come nel caso oggetto del giudizio a quo –, l’intento legislativo di prevedere un trattamento sanzionatorio sensibilmente meno severo per i fatti di riciclaggio conseguenti ai delitti oggettivamente meno gravi viene, agli effetti pratici, frustrato dalla norma censurata, che vincola il giudice all’irrogazione di una pena non inferiore al minimo previsto per la fattispecie base di autoriciclaggio.
Ciò ridonda anzitutto in una violazione del canone della proporzionalità della pena fondato sugli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., il quale si oppone a che siano comminate dal legislatore – e conseguentemente applicate dal giudice – pene manifestamente sproporzionate rispetto al disvalore oggettivo e soggettivo del reato (sentenza 141 del 2023, punto 3.2. del Considerato in diritto).
Dalla norma censurata scaturisce altresì un vulnus al principio di offensività di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., il quale esige che la pena sia sempre essenzialmente concepita come risposta a un singolo “fatto” di reato, e non sia invece utilizzata come misura primariamente volta al controllo della pericolosità sociale del suo autore, rivelata dalle sue qualità personali (sostanzialmente in questo senso sentenza n. 249 del 2010, punto 9 del Considerato in diritto, nonché – con riferimento specifico al divieto di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen. – sentenze n. 205 del 2017, punto 5 del Considerato in diritto; n. 105 del 2014, punto 4 del Considerato in diritto; n. 251 del 2012, punto 5 del Considerato in diritto). Il che accade, per l’appunto, per effetto della norma ora censurata, da cui discende addirittura il raddoppio della pena minima, a parità di disvalore oggettivo del fatto, in considerazione dei soli precedenti penali dell’autore.
L’art. 69, quarto comma, cod. pen. deve, pertanto, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. (nella versione introdotta dall’art. 3, comma 3, della legge n. 186 del 2014, e vigente fino alla sua sostituzione a opera dell’art. 1, comma 1, lettera f, numero 3, del d.lgs. n. 195 del 2021) sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. – nella versione introdotta dall’art. 3, comma 3, della legge 15 dicembre 2014, n. 186 (Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio), e vigente fino alla sua sostituzione a opera dell’art. 1, comma 1, lettera f), numero 3), del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 195, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/1673 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2018, sulla lotta al riciclaggio mediante diritto penale» – sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.