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13 ottobre 2023
Spese legali compensate se il carattere non ha la grandezza giusta
Una simile applicazione del D.M. n. 110/2023 sulla redazione degli atti processuali preoccupa molto gli avvocati per la sua possibile diffusione.
di La Redazione
Tanto tuonò che piovve. Al centro delle polemiche sin dalla sua progettazione, il D.M. n. 110 del 2023 sulla redazione degli atti processuali ha visto oggi un'applicazione che preoccupa molto gli avvocati per la sua possibile diffusione.
E' accaduto, infatti, che Giudice di Pace di Verona, nell'accogliere una richiesta di decreto ingiuntivo, con il decreto del 29 settembre 2023 abbia deciso di compensare le spese dell'attore-ricorrente.
La scelta del Giudice di Pace è stata fondata sulla violazione dei criteri di forma e redazione degli atti giudiziari ex art. 46 disp. att. c.p.c. in riferimento agli art. 6 e 8 DM n. 110 del 7 agosto 2023 (dimensione caratteri ed interlinea).
Se ben si comprende il tenore del provvedimento non è stata una questione di eccessiva lunghezza dell'atto (peraltro, francamente, difficilmente ipotizzabile in un ricorso monitorio), ma della grandezza dei caratteri (che il Decreto indica in 12 punti) e dell'interlinea (che per il decreto dovrebbe essere di 1.5).
Rispetto alla soluzione del Giudice di Pace ci sono, però, due norme che devono essere richiamate per riflettere sulla compatibilità della decisione con il quadro normativo vigente.
In primo luogo, le indicazioni contenute nell'art. 6 D.M. (che, lo si ripete, non riguardano la lunghezza, ma i caratteri) non sono obbligatorie, ma “raccomandate”: ed infatti, quella norma recita «gli atti sono redatti  mediante  caratteri  di  tipo  corrente, preferibilmente: a) utilizzando caratteri di dimensioni di 12 punti;  b) con interlinea di 1,5; c) con margini orizzontali e verticali di 2,5 centimetri)».
Difficile, quindi (ipotizzando che il ricorrente non abbia utilizzato caratteri “non correnti”) che ci siano i presupposti per una violazione sanzionabile.
In secondo luogo, e in ogni caso, quanto alla sanzione, l'art. 46 disp.att. c.p.c. ha stabilito che «il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione dell'atto non comporta invalidità, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo».
Questa norma nel consentire al giudice di valutare (qualcuno, peraltro, potrebbe dire che il “può” in realtà si deve leggere “deve”) la violazione delle regole del D.M. ai fini delle spese processuali dovrebbe essere intesa nel senso di una modulazione degli importi e non già nella compensazione delle spese che, oggi, è ipotesi eccezionale limitata ad alcune ipotesi proprio perché incide sull'effettività della tutela giurisdizionale dei diritti.
Del resto, una dottrina attenta a questi temi, aveva già avvertito, da un lato, la necessità di non adottare letture troppo rigide e, dall'altro, aveva richiamato l'attenzione sul fatto che la condanna alle spese (deve rispondere pur sempre al criterio della soccombenza, che non è stato sovvertito dalle previsioni del decreto.
In ogni caso, la presa di posizione degli avvocati non si è fatta attendere: l'Unione delle Camere Civili ha scritto al Ministro della Giustizia, e per conoscenza al Presidente del Tribunale di Verona, per richiamare l'attenzione sul tema delle conseguenze della violazione delle indicazioni del D.M. n. 110 del 2023 che non dovrebbero arrivare a privare delle spese legali la parte che ha ragione.
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