Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 24/4/2023 la Corte di Appello di Roma ha dichiarato inammissibile, ai sensi degli artt. 89 d.lgs. 150;'2022 e 581 c:o. 1 ter e 1 quater cod. proc. pen. l'appello proposto da C. F. avverso la sentenza del Tribunale dì Roma del 2/2/2023, disponendo l'esecuzione del provvedimento impugnato e condannando l'imputato alle spese del grado.
Il F. è stato condannato alla pena di mesi 3 di arresto ed euro 2.500 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, con la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente dì guida per un anno, in quanto riconosciuto colpevole del reato di cui all'art. 186 co. 2 lett. b e co. 2 sexies, co. 2 bis d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285 e succ. mod., perché circolava in orario notturno alla guida del veicolo ALFA ROMEO 147, targato (omissis), provocando un incidente stradale, in stato di ebbrezza dovuta ad assunzione di bevande alcoliche, come accertato dal personale della Polizia Roma Capitale-I Gruppo, che, dapprima, riscontrava i sintomi comportamenti tipici dello stato di ebbrezza alcolica 'alito vinoso' e, quindi, accertava mediante l'esame etilometrico esperito, con apparecchiatura tipo 7110 MK III ARNII-0047, che evidenziava, nelle due prove intervallate, eseguite ai sensi dell'art. 379 Regolamento cod. strada. un tasso alcolemico pari a 1.38 g/i alle ore 2: 14 e pari a 1.31 g/I alle ore 2.24. Fatto commesso in Roma, il 4/12/2018.
La Corte capitolina, preso atto che la sentenza di primo grado, è stata emessa e depositata in data 2/2/2023 e che avverso la stessa, con atto depositato il 17/2/2023, è stato proposto appello da parte del difensore dell'imputato, ha rilevato che:
a. gli artt. 581 co. 1 ter e 1 quater cod. proc. pen. (così come introdotti dall'art. 33 del d.lgs. 150/2022, la c.d. Riforma Cartabia) richiedono che unitamente all'atto di impugnazione delle partì private e dei difensori sia depositata, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o l'elezione di domicilio ai finì della notificazione del decreto di citazione a giudizio (art. 581 co. 1 ter), nonché, ove trattasi dì imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza che, unitamente all'atto di appello sia depositato, a pena di inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l'elezione di domicilio dell'imputato ai fini della notificazione del decreto che dispone il giudizio (art. 581 co. 1 quater);
b. tale disposizione, ai sensi dell'art. 89 co. 3 d.lgs. 150/2022, si applica per le impugnazioni proposte avverso le sentenze pronunciate in data successiva all'entrata in vigore del succitato decreto, ossia dopo il 30.12.2022;
c. che, nel caso di specie, l'appello proposto avverso la sentenza del 2/2/2023 manca dello specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l'elezione di domicilio dell'imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio;
Ha dichiarato, dunque, l'inammissibilità dell'appello.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, il F., a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo, i motivi, cli seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, co. 1, disp. att., cod. proc. pen.
Il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio motivazionale in relazione ad una mancata interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni di cui agli artt. 89 d.lgs. 150/02 e dell'art. 581 co. 1 ter e 1 quater cod. proc. pen. in riferimento agli artt. 3, 24, 27 e 111 della Costituzione. E contestualmente solleva questione di legittimità costituzionale degli artt. 89 d.lgs 150/22 e 581 co. 1-ter e 1-quater cod. proc. pen. per violazione dei principi di uguaglianza, effettività della tutela giurisdizionale, presunzione di non colpevolezza e giusto processo, di cui agli artt. 3, 24, 27 e 111 della Costituzione.
Per il ricorrente non v'è chi non veda come tali disposizioni, introdotte dalla c.d. Riforma Cartabia nell'ottica evidente di deflazionare l'accesso al secondo grado di merito, privino, di fatto, il difensore d'ufficio dell'imputato giudicato in assenza di depositare la dichiarazione di impugnazione, così come anche il potere di impugnazione del difensore di fiducia risulterebbe neutralizzato laddove non fosse in condizione di mettersi in contatto con l'imputato in pendenza dei termini per impugnare, specie nell'ipotesi di pronuncia della sentenza di condanna con motivazione contestuale, laddove un soggetto si trovasse, per esempio, all'estero e non fosse in grado di fare rientro in Italia nei quindici giorni utili per il deposito dell'impugnazione.
L'impugnazione della sentenza di condanna -secondo la tesi proposta in ricorso- rappresenta all'evidenza, una delle componenti essenziali del diritto di difesa sancito dall'art.24 Cast.: non a caso, la disposizione costituzionale in oggetto tutela l'attività defensionale con esplicito riferimento ai diversi "gradi" del procedimento, nella piena consapevolezza dell'assoluta centralità assunta dai meccanismi di impugnazione nell'ambito di un sistema processuale finalizzato a prevenire il rischio di una ingiusta condanna, con conseguente indebita limitazione della libertà personale. Allo stesso modo, nel riconoscere il valore costituzionale della presunzione di non colpevolezza, l'art.27 Cost evoca espressamente in senso contrario il presupposto della "definitività" dell'eventuale condanna, con evidente richiamo al possibile ribaltamento - nei gradi successivi - dell'inqiusta sentenza che dovesse essere stata pronunciata in primo grado nei confronti dell'imputato.
Sotto altro aspetto -prosegue il ricorso- l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giudiziari sancito dall'art. 111 Cast. trova poi a sua volta fondamentale corollario nella comune possibilità di verifica della effettiva legittimità dei medesimi, ed a maggior ragione a fronte di eventuali decisioni di "condanna" che incidono direttamente sulla libertà dei cittadini e tali, pertanto, da determinare l'esigenza di un controllo più diffuso, completo e penetrante, destinato appunto ad esplicarsi proprio attraverso il "sistema" delle impugnazioni tradizionalmente previsto nell'ordinamento a garanzia dell'imputato.
Pur in assenza di un esplicito riconoscimento formale all'interno degli art. 24, 27 e 111 Cast. (che richiama espressamente il solo ricorso per cassazione) la facoltà di appellare le sentenze di condanna a pena detentiva senza limiti e preclusioni ingiustificate, rappresenta, pertanto, secondo il ricorrente un profilo assolutamente insopprimibile del diritto di difesa dell'imputato, così come concretamente strutturato nell'assetto costituzionale vigente.
Si ricorda in ricorso che, anche di recente, la Corte Costituzionale ha avuto infatti modo di sottolineare che «il potere di impugnazione dell'imputato si correla al fondamentale valore espresso dal diritto di difesa (art. 24 Cast.), che ne accresce la forza di resistenza al cospetto di sollecitazioni di segno inverso (sentenze n. 274 del 2009, n. 26 del 2007 e n. 98 del 1994», ricordando che a livello sovranazionale, l'art. 14, paragrafo 5, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881, e l'art. 2 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98 garantisce appunto «il diritto a far riesaminare la decisione da una giurisdizione superiore, o di seconda istanza» proprio «a favore della persona dichiarata colpevole o condannata per un reato» (in questi termini. Corte Cast. n. 34 del 2020).
Nel quadro costituzionale appena richiamato, l'insopprimibile correlazione fra il diritto all'impugnazione della sentenza di condanna di primo grado e la difesa "tecnica" garantita all'imputato dall'art. 24 Cost. è poi chiaramente enunciata per il ricorrente dall'art. 571 cod. proc. pen. secondo il quale «può proporre impugnazione il difensore dell'imputato al momento del deposito del provvedimento ovvero il difensore nominato a tal fine», fermo restando che «l'imputato, nei modi previsti per la rinuncia, può togliere effetto all'impugnazione proposta dal suo difensore». Secondo la tesi proposta in ricorso, il le 1islatore, introducendo con I'art.581 comma 1-quater cod. proc. pen., una specifica disposizione relativa alla forma dell'impugnazione concernente il solo imputato assente, avrebbe determinato un surrettizio stravolgimento del precedente assetto sistematico. Ciò perché, mentre la "legittimazione" all'impugnazione resta disciplinata dall'art. i71 cod. proc. pen., il mancato deposito del mandato ad impugnare rilasciato dopo !'impugnando provvedimento dovrebbe determinare la inammissibilità dell'atto del difensore a ciò legittimato, in ragione di un vizio che afferirebbe appunto alla forma dell'impugnazione in tal modo proposta.
Orbene, secondo il ricorrente, a fronte del surrettizio stravolgimento dell'assetto delle impugnazioni concernenti le sentenze di condanna emesse a carico di un imputato assente che consegue inevitab1ilmente alla disposizione così introdotta, vi sarebbero evidenti profili di collisione con le norme costituzionali di riferimento.
Sotto un primo profilo, verrebbe in rilievo il mancato rispetto del principio di parità fra le parti ai tini dell'impugnazione e l'inammissibile svuotamento della difesa tecnica proprio al cospetto di un passag1;iio quanto mai decisivo per l'estrinsecazione del diritto di difesa.
Nella richiamata sentenza n. 26 del 2007 la Corte costituzionale ha infatti affermato che il principio di parità fra le parti rappresenta un connotato essenziale dell'intero processo e deve essere pertanto adeguatamente garantito anche nell'ambito del sistema delle impugnazioni, di talché le possibili menomazioni del potere spettante alla pubblica accusa, nel confronto con lo speculare potere dell'imputato, devono risultare esse stesse sorrette da una "ragionevole giustificazione", in assenza della quale sono inevitabilmente destinate ad assumere specifici profili di illegittimità costituzionale, come era stato appunto ritenuto nel caso di specie.
Lungo questa linea ricostruttiva, il giusto processo descritto dall'art.111 Cast. informerebbe, quindi, all'evidenza anche il regime delle impugnazioni in una prospettiva costantemente ancorata al raggiungimento - all'esito dei vari gradi del processo - di una "decisione corretta" e tesa a valorizzare armonicamente le opposte facoltà di contestazione dell'approdo proposto dal primo giudicante, nel rispetto del diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cast.
Nella richiamata sentenza n. 34 del 2020 -prosegue il ricorso- i giudici delle leggi hanno ha poi posto esplicitamente in rilievo la più pregnante rilevanza costituzionale del diritto all'impugnazione del condannato rispetto al potere di impugnazione nel merito della sentenza di primo grado da parte del pubblico ministero, il quale presenta appunto «margini di "cedevolezza" più ampi, a fronte di esigenze contrapposte, rispetto a quelli che connotano il simmetrico potere dell'imputato» (sentenza n.26 del 2007), di talché la complessiva valutazione in merito all'effettivo rispetto della parità fra le parti nella "messa in discussione" della sentenza di primo grado non potrebbe giammai indurre a sacrificare la posizione del condannato rispetto a quella della pubblica accusa.
Viceversa, nel quadro appena tratteggiato, la prevista limitazione dell'autonoma facoltà di appello del difensore dell'imputato assente, che dovrebbe ora sollecitare il suo assistito al rilascio di uno specifico "mandato ad impugnare" nei ristretti termini previsti per l'impugnazione, determinerebbe, innanzitutto, una evidente asimmetria con il potere che resta per converso riconosciuto al Pubblico Ministero in caso di assoluzione.
All'esito di eventuali condanne ingiuste, il difensore dovrebbe infatti attivarsi, proprio al cospetto di un imputato assente e per questo non facilmente raggiungibile, per sollecitarlo a valutare l'opportunità cli assumere - suo tramite - una specifica iniziativa processuale a tutela dei suoi diritti, mentre il rappresentante della pubblica accusa impegnato nello stesso giudizio in qualità di semplice Sostituto del Procuratore della Repubblica manterrebbe intatto il suo potere di appellare la sentenza di assoluzione senza alcun ulteriore passaggio.
Alla lettura del dispositivo, i rappresentanti dell'accusa e della difesa chiamati ad incarnare ed a garantire il contraddittorio proprio attraverso la loro "necessaria" presenza finirebbero in realtà per esprimere, in conseguenza della limitazione in esame, una asimmetria davvero evidente, astrattamente colmabile solo nel caso in cui l'imputato dovesse venire a sua volta a conoscenza della sentenza emessa a suo carico.
Sotto tale profilo, un'ingiustificata disparità di trattamento si rileverebbe, inoltre, anche in relazione alla posizione della parte civile, la quale vede tuttora riconosciuto il suo diritto all'impugnazione sulla base di una procura rilasciata anche "prima" della sentenza da impugnare.
Sul punto le Sezioni Unite -prosegue il ricorrente- hanno a tal punto evidenziato la naturale ampiezza delle facoltà connaturate al ruolo di difensore della parte civile da riconoscere al medesimo il potere di interporre gravame pur in presenza di una procura o di un mandato alle liti non contenente alcun espresso riferimento all'impugnazione o ai gradi successivi (sentenza n. 44712/2004).
Ancora una volta, la concreta limitazione delle modalità di espressione del diritto all'impugnazione risulterebbe paradossalmente rivolta proprio nei confronti dell'imputato, pur a fronte dell'esplicito riconoscimento costituzionale e convenzionale della posizione di "maggior tutela" cl1e gli deve essere necessariamente garantita in forza dell'art.24 Cost.
In relazione alla posizione dell'imputato, per il ricorrente verrebbe poi limitato proprio l'eventuale appello proposto dal suo difensore, restando invece ferma la possibilità del medesimo di proporre impugnazione per il tramite di un procuratore "nominato anche prima dell'emissione del provvedimento". A risultare incrinata, in una disciplina siffatta, è a ben vedere la stessa logica di una "difesa tecnica" posta in grado di operare con continuità e senza inutili ostacoli lungo l'intero percorso processuale (percorso costituzionalmente rappresentato - come detto - da una pluralità di gradi di giudizio), in modo da poter supplire alle limitate cognizioni dell'imputato (o del suo eventuale procuratore speciale) in ordine alle modalità di svolgimento del processo penale, ai suoi tempi ed ai suoi possibili approdi sì da porlo, per l'appunto, in una condizione di "parità" con la pubblica accusa. Già di per sé stessa, una simile forma di "cesura" nella continuità del rapporto defensionale dovrebbe necessariamente accompagnarsi, per poter risultare "ragionevole", con una formale comunicazione all'imputato dell'esito del giudizio di primo grado, in linea con la pregressa disciplina del c.d. estratto contumacictle che viene invece in questo caso del tutto pretermessa.
Se, come affermato nella relazione dal Massimario, la previsione in questione risulta infatti determinata dalla «esigenza di selezione in entrata, le impugnazioni, caducando quelle che non siano espressione di una scelta ponderata e rinnovata, in limine impugnationis, ad opera della parte> , è evidente che in una prospettiva costituzionale la parte dovrebbe essere posta allora in condizione di esercitare consapevolmente la scelta in questione. Al contrario, l'art.581 co. 1-quater esprime la volontà di utilizzare a scopo deflattivo la mancata conoscenza della sentenza di condanna da parte dell'imputato assente e non certo quella di favorire una scelta ponderata e consapevole da parte del medesimo.
Al cospetto di una disciplina generale, quale quella contenuta nell' art. 571 cod. proc. pen. che valorizza appunto - in chiave costituzionale - la comune facoltà di impugnazione del difensore (ferma restando la possibilità di un successivo intervento processuale dell'imputato di segno contrario a scopo "revocatorio"), la norma di recente introduzione - apparentemente finalizzata a disciplinare le sole "forme" dell'impugnazione - finisce pertanto per azzerarne il significato introducendo a tal fine una assenta "inammissibilità" legata a ragioni formali.
Alla luce di tali rilievi, per il ricorrente deve pertanto affermarsi l'evidente inammissibilità - nell'attuale assetto costituzionale - di un regime normativo che giunga ad "interrompere" la libera estrinsecazione del ruolo difensivo senza che l'imputato abbia ricevuto effettiva conoscenza del presupposto che dovrebbe determinare la richiamata cesura, ovverosia dell'avvenuta pronuncia di una sentenza di condanna a suo carico, non potendo ammettersi alcuna forma di preminenza sul diritto di difesa di eventuali esigenze attinenti alla riduzione del carico giudiziale.
In quest'ottica, la prevista compressione del diritto di difesa dell'imputato "inattivo", con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di condanna pronunciata a suo carico all'esito del primo grado,. risponderebbe infatti a ben vedere ad esigenze sostanzialmente esogene, eventualmente attinenti (sia pur in modo indiretto) alla ragionevole durata del processo. A tale riguardo, non si può allora fare a meno di richiamare il chiaro dettato della Corte Costituzionale, da ultimo ribadito nella sentenza n. 111 del 2022, sulla preminenza del diritto di difesa.
Per il ricorrente va ricordato che la sentenza n. 317 del 2009 ha già precisato che il diritto di difesa ed il principio di ragionevole durata del processo non possono entrare in comparazione, ai fini del bilanciamento, indipendentemente dalla completezza del sistema delle garanzie, in quanto ciò che rileva è esclusivamente la durata del «giusto» processo, quale delineato proprio dall'art. 111 Cost.
In tale sentenza si è, quindi, affermato che «[u]na diversa soluzione introdurrebbe una contraddizione logica e giuridica all'interno dello stesso art. 111 Cost., che da una parte imporrebbe una piena tutella del principio del contraddittorio e dall'altra autorizzerebbe tutte le deroghe ritenute utili allo scopo di abbreviare la durata dei procedimenti. Un processo non "giusto", perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata. In realtà, non si tratterebbe di un vero bilanciamento, ma di un sacrificio puro e semplice, sia del diritto al contraddittorio sancito dal suddetto or!. 111 Cost., sia del diritto di difesa, riconosciuto dall'art. 24, co. 2, Cost.: diritti garantiti da norme costituzionali che entrambe risentono dell'effetto espansivo dell'art. 6 CEDU e della corrispondente giurisprudenza della Corte di Strasburgo».
In secondo luogo, anche laddove si ritenesse di poter superare i rilievi attinenti allo stravolgimento dell'assetto costituzionale del sistema delle impugnazioni ed all'inammissibile interruzione del rapporto difensivo "all'insaputa dell'imputato", deve poi rilevarsi, sotto altro profilo, anche !l'ingiustificata differenziazione della disciplina relativa all'imputato "assente" rispetto a quella dell'imputato presente, scientemente attuata dall'art. 581 comma 1-quater cod. proc. pen. proprio in ragione degli obiettivi "pratici" perseguiti dal IE gislatore ed al di fuori di qualsiasi coerenza sistematica.
La necessità di uno specifico mandato ad impugnare viene infatti riferita al solo imputato assente e non invece all'imputato presente, il cui difensore mantiene ancora intatta la propria facoltà di autonoma impugnazione a prescindere dal "deposito" del "mandato": già sotto il profilo lo1;iico, una simile distinzione appare quindi intrinsecamente irragionevole, in quanto fondata su un dato di per sé stesso irrilevante ai fini della impugnazione, ovvero l'avvenuta partecipazione dell'imputato ad una delle udienze.
Per il ricorrente la norma in esame mostra, invece, di prescindere completamente dal fatto che l'imputato sia venuto o meno a conoscenza della sentenza pronunciata nei di lui confronti, ovvero dell'unico parametro che potrebbe astrattamente assumere una sua rilevanza al fine di imporre al medesimo uno specifico onere di attivazione.
In questo quadro, anche volendo ragionare lungo l'inconsistente percorso argomentativo asseritamente sotteso alla disposizione in esame,. afferente per l'appunto alla pretesa valorizzazione della "scelta" dell'imputato ai discapito di quella del suo difensore, non si vede davvero per quale motivo l'impugnazione proposta dal difensore dell'imputato presente dovrebbe ritenersi "espressione di una scelta ponderata e rinnovata" da parte del condannato, al contrario di quella proposta dal difensore dell'imputato assente ritenuta invece intrinsecamente priva di un simile avallo.
In termini di effettività del diritto di difesa, la disposizione di cui all'art. 581, co. 1 quater cod. proc. pen. si rivelerebbe, poi,, non soltanto illo,gica, ma addirittura paradossale: a fronte dell'esigenza costituzionale di evitare condanne ingiuste, proprio l'imputato assente - come tale più frequentemente i,;inaro dell'esito del giudizio di primo grado e delle motivazioni addotte a sostegno della sua condanna - dovrebbe essere infatti garantito, a maggior ragione, proprio dal potere di impugnazione del suo difensore.
A tale riguardo, la Corte Costituzionale ha del resto già avuto modo di richiamare espressamente le insuperabili indicazioni fornite dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa con la risoluzione del 21 maggio 1975, n. 1:L, con la quale sono state espressamente individuate le garanzie che devono essere comunque assicurate all'imputato assente, stabilendo, tra le <•:regole minime», che «ogni persona giudicata in sua assenza deve poter impugnare la decisione con tutti i mezzi di gravame che le sarebbero consentiti qualora fosse stata presente» (Corte Cost. sentenza n.317/2009).
La stessa disposizione normativa relativa al mandato ad impugnare dispone altresì, sempre a pena di inammissibilità, che l'impugnazione si accompagni al deposito, ai fini del decreto di citazione a giiudizio, della "dichiarazione" o della "elezione di domicilio dell'imputato".
Già sotto il profilo letterale e sistematico, la norma in questione solleva pertanto evidenti perplessità, atteso che l'imputato "appellante" ha già avuto modo di dichiarare o di eleggere domicilio in precedenza per l'intero procedimento a suo carico, con espresso avvertimento dell'esigenza di comunicarne l'eventuale modifica, mentre l'art. 164 cod. proc. pen. chiarisce che detta elezione avrà appunto effetto proprio per l'atto di citazione in giudizio ai sensi dell'art.601 cod. proc. pen. Da un lato, non si ravvisa pertanto l'esigenza di alcun ulteriore adempimento in sede di impugnazione, dall'altro il previsto "deposito" sembrerebbe in ogni caso potersi riferire anche alla "elezione di domicili10" già presente in atti.
Sul piano costituzionale, la previsione in parola si presterebbe, ovviamente, alle stesse censure sopra richiamate nella miisura in cui sembra poter pregiudica anch'essa la possibile impugnazione della sentenza di condanna nel caso in cui l'imputato non venga tempestivamente a conoscenza della stessa.
A tali censure si aggiungerebbe, inoltre, la palese irragionevolezza di una norma che risulta asseritamente finalizzata a semplificare "la notificazione del decreto di citazione a giudizio", valorizzando in tal modo una esigenza rispetto alla quale sarebbe persino ovvio prevedere che in assenza di una rinnovata elezione di domicilio o di un nuovo deposito della elezione in atti l'imputato possa eventualmente divenire domiciliato ex lege presso il difensore, ma non certo una paradossale inammissibilità dell'impugnazione determinata dalla assenta "difficoltà di notifica" in tal modo causata.
Del tutto irragionevole appare, infine, per il ricorrente anche la norma di diritto intertemporale riguardante il mandato ad impugnare del difensore dell'imputato assente.
Alcune delle motivazioni addotte nel vano tentativo di giustificare la limitazione del potere di impugnazione del difensore dell'imputato assente ponevano infatti in evidenza la contestuale valorizzazione di una diretta partecipazione dell'imputato al giudizio di primo grado, o quantomeno la garanzia di una sua reale conoscenza dell'accusa mossa a suo carico nell'ambito del procedimento in questione. Tuttavia, il legislatore ha inteso affermare l'applicabilità dell'art.581, comma i -quater cod. proc. pen. anche nei confronti degli imputati che fossero stati dichiarati "assenti" sulla base della pregressa disciplina, individuando quale unico parametro di riferimento la data della sentenza.
L'evidente lesione del diritto di difesa prodotta da una simile disciplina ha peraltro indotto il legislatore ad estendere l'applicazione delle disposizioni dell'art. 175, nuovo co 2.1, cod. proc. pen. a parziale "compensazione" del maggior onere ora previsto per l'impugnazione "ordinaria" dall'art. 581, co. 1 -quater mediante il possibile ricorso ad un rimedio post iudicatum.
Un simile tentativo di compensazione mostra tuttavia di pretermettere le evidenti problematiche connesse ai rimedi post iudicatum in termini di libertà personale, potendo gli stessi attivarsi solo in un momento nel quale si siano già verificati gravi danni per effetto del passaggio in giudicato della sentenza e del conseguente inizio di esecuzione della pena detentiva.
Nel caso di specie, l'eccezione è da ritenersi rilevante e non manifestamente infondata in ragione dell'assenza dell'imputato e del fatto che il predetto si trovava per ragioni lavorative in provincia di Belluno, ragion per cui, senza colpa, non aveva avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e non aveva potuto proporre impugnazione nei termini mettendosi in contatto con il difensore per la sottoscrizione dello specifico mandato ad impugnare con elezione di domicilio.
3. Il PG presso questa Corte ha reso le conclusioni scritte riportate in epigrafe.
Motivi della decisione
1. I motivi sopra illustrati sono infondati laddove richiedono a questa Corte di legittimità un'interpretazione diversa, che si assume costituzionalmente orientata, da quella operata dalla Corte territoriale quanto all'applicabilità al caso in esame degli artt. 581 co. 1 ter e 1 quater cod. proc. vigenti. E la subordinata questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata, per i motivi che andranno ad evidenziarsi. Il proposto ricorso va, pertanto, rigettato.
2. La difesa del F., formula un unico motivo di gravarne e in via subordinata ipotizzando una fattispecie di illegittimità costituzionale dell'art. 581 cod. proc. pen. nella parte in cui prevede come requisito di ammissibilità dell'appello nei processi con imputato assente, l'elezione di domicilio dell'imputato (co. 1 ter) e il deposito di uno specifico mandato a impugnare rilasciato successivamente al provvedimento impugnando (co. 1 quater).
In realtà tutto il ricorso (sia la dedotta violazione di le,;:ige, sia appunto la sollecitazione a sollevare questione di legittimità costituzionale) è imperniato sulla questione di compatibilità costituzionale della norma citata. E il ricorrente si sofferma per lo più sull'art. 581 co-1 quater e sull'asserito restringimento che, a suo dire, la stessa porrebbe al diritto ad impugnare dell'imputato assente rispetto ad altri soggetti del processo (il PM, la parte civile, etc.).
Ebbene, va subito detto che la doglianza secondo cui l'introduzione di tali norme stravolgerebbe il sistema delle impugnazioni, a cominciare dalla legittimazione all'impugnazione disciplinata dall'art. 571 cod. proc. pen., appare generica e non connotata da concreta specificità e pertinenza censoria.
Il d. lgs. 10 ottobre 2022, n.150 è stato adottato sulla base della delega legislativa conferita dalla legge 27 settembre 2021, n.134 (<(Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari») e che la nuova disposizione dell'art.581, co. 1 ter, cod. proc. pen., così carne sopra riportata, riproduce pedissequamente quanto previsto dall'art. 1, comma 13, lett. a) della legge delega: «fermo restando il criterio di cui al comma 7, lettera h), dettato per il processo in assenza, prevedere che con l'atto di impugnazione, a pena di inammissibilità, sia depositata dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio di impugnazione».
Nella Relazione illustrativa al d.lgs. n..150/2022 si leg9e «Il comma 1 ter dell'art. 581 cod. proc. pen., in attuazione del criterio di cui alll'art. 1, comma 13, lett. a) della legge delega, introduce un'ulteriore condizione di ammissibilità dell'impugnazione: con l'atto d'impugnazione deve essere presentata la dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione. In caso di impugnazione del difensore dell'imputato assente, per attuare la delega sono aumentati di quindici giorni i termini per impugnare previsti dall'art. 585, comma 1».
Analogo riscontro, nella relazione che ha accompagnato la legge, vi è per l'art. 581 co. 1 quater.
Lo scopo manifesto della novella legislativa, come ricorda lo stesso ricorrente, è quello di selezionare in entrata le impugnazioni, caducando quelle che non siano espressione di una scelta ponderata e rinnovata, in limine impugnationis, ad opera della parte.
Ebbene, ritiene il Collegio che si tratti di una norma che appare del tutto ragionevole ed esercizio di una legittima scelta discrezionale attribuita al legislatore, e che non collide con alcuna delle norme costituzionali invocate.
3. L'asserito contrasto con i principi costituzionali poggia su un'indimostrata restrizione della facoltà d'impugnazione che deriverebbe dal chiedere all'imputato, assente per sua scelta al processo che lo ha riguardato di cui pure era stato posto a conoscenza, di indicare un domicilio che renda più agevole il processo di notificazione dell'atto d'impugnazione e, soprattutto, di rinnovare la propria volontà di proseguire in un ulteriore grado di giudizio, con possibili conseguenze negative per lui, quanto meno sotto il profilo della possibile condanna ad ulteriori spese.
In realtà, a ben guardare, proprio in una delle pronunce del giudice delle leggi che il ricorrente invoca a sostegno della propria tesi, ovvero la sentenza della Corte costituzionale n.34 del 26 febbraio 202:0 - che si è pronunciata nel senso della manifesta infondatezza dei motivi proposti in un caso in cui, nel proporre il gravame, il Procuratore generale aveva eccepito l'illegittimità costituzionale dell'art. 593 cod. proc. pen., come sostituito dall'art. 2, co. 1, lett. a), del d.lgs. n. 11 del 2018, nella parte in cui prevede che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di condanna «solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato» - si 1·inviene, come costante, l'affermazione per cui «nel processo penale, il principio di parità tra accusa e difesa non comporta necessariamente l'identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell'imputato: potendo una disparità di trattamento «risultare giustificata, nei limiti della ragionevolezza, sia dalla peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero, sia dalla funzione allo stesso affidata, sia da esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia» (sentenze n. 320, n. 26 del 2007 e, nello stesso senso, n. 298 del 2008; ordinanze n. 46 del 2004, n. 165 del 2003, n. 347 del 2002 e n. 421 del 2001; quanto alla giurisprudenza anteriore alla legge cast. n. 2 del 1999, nello stesso senso in,:licato, sentenze n. 98 del 1994, n. 432 del 1992 e n. 363 del 1991; ordinanze n. 426 del 1998, n. 324 del 1994 e n. 305 del 1992)». E vi si ribadisce che il processo penale è caratterizzato da una asimmetria «strutturale» tra i due antagonisti principali, cosicché le differenze che connotano le rispettive posizioni impediscono di ritenere che il principio di parità debba (e possa) indefettibilmente tradursi, nella cornice di ogni singolo segmento dell'iter processuale, in un'assoluta simmetria di poteri e facoltà.
Soprattutto, in tale pronuncia, i giudici delle leggi hanno anche ribadito che la garanzia del doppio grado di giurisdizione non fruisce, di per sé, di riconoscimento costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 274 e n. 242 del 2009, n. 298 del 2008, n. 26 del 2007, n. 288 del 1997, n. 280 del 1995; ordinanze n. 316 del 2002 e n. 421 del 2001), anche se a livello sovranazionale, l'a1-t. 14, paragrafo 5, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881, e l'art. 2 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 19B4, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98, prevedono il diritto a far riesaminare la decisione da una giurisdizione superiore, o di seconda istanza, a favore della persona dichiarata colpevole o condannata per un reato e sebbene la riconducibilità del potere d'impugnazione al diritto di difesa sancito dall'art.24 Cast. renda meno disponibile tale potere a interventi limitativi.
Ma -come si diceva- le norme tacciate d'incostituzionalità non prevedono affatto un restringimento della facoltà di impugnazione, bensì perseguono il legittimo scopo di far sì che le impugnazioni vengiano celebrate solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza della sentenza emessa da parte dell'imputato, per evitare la pendenza di regiudicande nei confronti di imputati non consapevoli del processo, oltre che far sì che l'impugnazione sia espressione del personale interesse dell'imputato medesimo e non si traduca invece in una sorta di automatismo difensivo.
4. Altrettanto condivisibile, ragionevole e logica appare la ratio legis di operare una diversa scelta tra l'imputato presente nel processo e quello che ha deciso di non parteciparvi, se non attraverso la sua difesa tecnica.
Il ricorrente lamenta che vi sarebbe comunque un aggravio di tempo che potrebbe stridere con i tempi a disposizione per poter proporre l'impugnazione, ma proprio ad evitare ciò e a garantire la compatibilità costituzionale della nuova disciplina, il legislatore ha contemplato tutele compensative rispetto alla nuova previsione, quali l'ampliamento di quindici giorni del termine per impugnare per l'imputato assente e l'estensione del rimedio della restituzione in termini per impugnare.
Il nuovo comma 1-bis dell'art. 585 codi. proc. pen., che disciplina i termini per t'impugnazione, prevede, infatti, che i termini, previsti a pena di decadenza, per proporre impugnazione di cui al comma l (15, 30 e 45 giorni a seconda dei casi) sono aumentati di quindici giorni (30, 4S e 60 giorni) per l'impugnazione del difensore dell'imputato giudicato in assenza. E il nuovo comma 2.1 dell'art. 175 cod. proc. pen. prevede, poi, che l'imputato 1iudicato in assenza sia restituito, a richiesta, nel termine per proporre impugnazione, qualora dia prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa.
Il ricorrente parla dell'imputato assente come di una sorta di irreperibile. Ma non è così. E a dimostrarlo basterebbe la circostanza che, ai fini della proponibilità del ricorso che ci occupa, il difensore si è premurato ed è riuscito nei termini a munirsi di specifico mandato ad impugnare ex art. 581 co. 1 quater cod. proc. pen. (cfr. la nomina del 15/5/2023, in atti), sul corretto presupposto che trattasi di norma applicabile anche al giudizio di cassazione (cfr. in proposito la recente e condivisibile Sez. 5 n. 39166 del 4/7/20236, Nappi, non mass., alla cui motivazione sul punto cui si rimanda).
La norma riguarda l'imputato assente ovvero quello che, a conoscenza del processo a suo carico, sceglie, qualunque sia la ragione, di essere assente e di farsi rappresentare dal difensore (art. 420-bis, co. 4 cod. proc. pen.).
La sua scelta deve essere volontaria e consapevole e il giudice è tenuto ad accertarlo (art. 420-bis, co. 1 e 2). Il difensore, pertanto, non dovrebbe incontrare soverchie difficoltà a farsi rilasciare, dopo la sentenza di primo grado, il mandato specifico ad appellare.
Del resto, già il comma 3 dell'art. 571, soppresso dall'art. 46 della I. 16 dicembre 1999, n. 479, stabiliva che, contro una sentenza contumaciale, il difensore potesse proporre impugnazione solo se munito di specifico mandato, anche se tale mandato poteva essere rilasciato con la nomina o anche successivamente nelle forme per questa previste.
In ogni caso, il difensore, qualora abbia motivo di riternere che non riuscirà a farsi rilasciare il mandato specifico in tempo utile, potrà suggerire all'imputato, anche prima dell'emissione della sentenza, di nominare un procuratore speciale, come previsto dall'art. 571, co. 1, che abbia il potere di propo1-re l'impugnazione.
È chiaro, comunque, che la disposizione in esame non pensa all'imputato che, dopo il primo impatto con le forze di polizia (la designazione di un difensore d'ufficio e quant'altro la legge prevede), sparisca senza lasciare traccia alcuna di sé.
Costui, infatti, non potrà mai essere legittimamente dichiarato assente. Il percorso processuale che lo riguarda è diverso e confluirà, di regola, nella sentenza di non luogo a procedere per mancata conoscenza delta pendenza del processo di cui all'art. 420-quater.
Analogamente, non si rinviene alcun contrasto con le norme costituzionali nell'aver imposto all'imputato assente la dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.
La nuova disposizione dell'art.581, co. 1 ter, cod. proc. pen., così come l'analoga incombenza imposta dall'art. 581 co. 1 quater cod. proc. pen., riproduttiva, come in precedenza ricordato, dell'art. 1, comma 13, lett. a) della legge delega, si coordina perfettamente con il novellato art. 157-ter co. 3 cod. proc. pen. secondo cui «3. In caso di impugnazione proposta dall'imputato o nel suo interesse, la notificazione dell'atto di citazione a g1iudizio nei suoi confronti è eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell'articolo 581, commi 1 ter e 1 quater» e con l'art. 164 (rubricato «Durata del domicilio dichiarato o eletto»), che stabilisce ora quanto segue «La determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida per le notificazioni dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, degli atti di citazione in giudizio ai sensi degli articoli 450, comma 2, 456, 552 e 601, nonché del decreto penale, salivo quanto previsto dall'articolo 156, comma l.». Il dettato normativo, sostituendo l'inciso contenuto nell'art.164 cod. proc. pen. in base al quale la dichiarazione o l'elezione di domicilio era valida per ogni stato e grado del procedimento, ha dunque escluso che la dichiarazione o l'elezione di domicilio già presente in atti possa esimere l'impuçinante dal deposito di una nuova dichiarazione o elezione di domicilio.
Ebbene, le già spese considerazioni circa il fatto che l'imputato assente non è affatto irreperibile valgono anche per l'ulteriore onere richiestogli di indicare il domicilio ove indirizzargli la notifica del nuovo decreto di citazione.
Tali considerazioni consentono di ritenere costituzionalmente compatibile - nel delineato nuovo quadro di garanzie - la novella legislativa in questione.
S. Al rigetto del ricorso consegue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.