Nessun abuso dei mezzi di correzione quando si usa la violenza: così la Cassazione ha confermato la pronuncia di seconde cure che aveva ribaltato il giudizio assolutorio pronunciato verso un'insegnante della scuola primaria.
Oggetto del processo penale in esame sono le condotte di un'insegnante della scuola primaria, assolta in primo grado ma condannata in secondo, per aver maltrattato i bambini a lei affidati per ragioni di istruzione ed educazione, avendo ella tenuto in classe un comportamento violento e vessatorio che si era sostanziato in percosse, insulti e minacce verso i piccoli.
La difesa...
Svolgimento del processo
1. I difensori di F. C. ricorrono per l'annullamento della sentenza in epigrafe con la quale la Corte di appello di Bari, in accoglimento degli appelli proposti dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Trani e dalle parti civili avverso la sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto emessa all'esito di giudizio abbreviato il 5 ottobre 2018 dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Trani, ha riformato la decisione dichiarando l'imputata, insegnante prevalente della Scuola primaria P. B., VIII C. D. di A., responsabile del reato di maltrattamenti continuato e aggravato nei confronti dei bambini a lei affidati per ragioni di educazione e istruzione, tenendo in classe un comportamento violento, vessatorio, concretizzatosi in percosse, insulti, minacce e umiliazioni con le espressioni riportate nell'imputazione.
1.1 Con unico articolato motivo l'avv. D. P. deduce che l'affermazione di responsabilità dell'imputata si fonda su una prova inutilizzabile, costituita dalle riprese audiovisive effettuate all'interno della classe in cui insegnava la ricorrente, illegittimamente acquisite. Segnala che né il primo giudice né la Corte di appello hanno risposto al tema ripetutamente posto dalla difesa ovvero la mancata acquisizione degli originali o della copia forense, risultando acquisita solo una copia ampiamente maneggiata con conseguente impossibilità di utilizzare le riprese come prova valida. Quanto alla prova dichiarativa postuma segnala che i minori non furono sentiti nel corso delle indagini e la Corte di appello ha colmato la lacuna disponendo, a distanza di otto anni dai fatti, l'audizione delle persone offese, che hanno reso dichiarazioni ragionevolmente costruite e testimonianze del tutto inattendibili, contraddette da una serie di elementi, evidenziati nella sentenza di assoluzione, quali la mancata segnalazione di situazioni di stress, di disagio o di stati di ansia da parte dei genitori e gli attestati di stima inviati alla dirigente scolastica (pag. 11-12). Immotivatamente è stata ritenuta non attendibile la testimonianza della collega dell'imputata, senza rilevare l'anomalia di un comportamento avvertito solo da cinque alunni in una classe di 24 bambini. Si contesta l'analisi degli episodi compiuta in sentenza, segnalando che le condotte non integrano mai un atteggiamento persecutorio nei confronti di alcuni alunni.
Con la memoria dell'l1 maggio 2023 e i motivi aggiunti depositati il difensore ribadisce l'eccezione di nullità della sentenza per mancanza di motivazione, in particolare, in relazione all'inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita, oggetto di distinte memorie dirette al G.u.p. e e allegate al ricorso, nonché per violazione degli art. 267, comma 1, e 268, comma 3, cod. proc. pen. per essere state le stesse eseguite mediante impianti in dotazione alla polizia giudiziaria.
2. Il ricorso dell'avv. S. articola i seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo eccepisce plurimi vizi della motivazione e, in particolare, la violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata.
Segnala la palese, diversa valutazione della prova, definita regina, costituita dalle videoriprese realizzate nella classe ove insegnava la ricorrente: mentre il giudice di primo grado aveva assolto l'imputata, ritenendo che dall'osservazione dei filmati non emergesse l'instaurazione di un clima di tensione tale da ledere la personalità delle vittime, non essendosi le violenze esplicate in sanzioni corporali, la Corte di appello ha ribaltato il giudizio assolutorio sulla base delle testimonianze di alcune persone offese, esprimendo un giudizio opposto di quella stessa prova documentale, senza rendere una motivazione rafforzata, sia in merito all'attendibilità dei testimoni, sia agli elementi obiettivi di riscontro della correttezza della conclusione raggiunta dal primo giudice.
Quanto al primo punto si denuncia la motivazione apparente e illogica resa in merito all'attendibilità dei testimoni sia sotto il profilo della supposta lesione dell'integrità psicofisica delle persone offese che dell'abitualità della condotta. La Corte di appello afferma, ma non giustifica, la ritenuta attendibilità delle persone offese, né argomenta il giudizio negativo espresso sull'altra testimone oculare ovvero l'insegnante di sostegno quasi sempre presente in classe, che ha smentito che vi fosse instaurato un clima di ansia e terrore. L'affermazione dei testimoni di essere stati maltrattati dalla ricorrente sin dalla prima elementare contrasta con il dato valorizzato dal primo giudice ovvero che i genitori degli alunni non avevano mai lamentato comportamenti violenti della ricorrente nei confronti dei loro figli, né la Corte di appello analizza l'attendibilità del M. né i motivi per cui la denuncia fu sporta tre anni dopo e travisa le ragioni del trasferimento del minore in altra scuola, dovuto al cambiamento di domicilio della famiglia e non ai comportamenti della ricorrente, come correttamente rilevato dal primo giudice.
Si censura anche la mancata disamina degli elementi oggettivi contrastanti con il narrato dei testimoni sentiti in appello, che depongono per la mancanza dei presupposti integrativi del reato. Tali elementi si rinvengono: a) nei questionari compilati dai genitori degli alunni che frequentavano la classe della ricorrente, compresi quelli che hanno sporto denuncia, nei quali non si denuncia alcun abuso, ma, anzi, si esprime soddisfazione per i metodi di insegnamento della ricorrente; b) nelle dichiarazioni della dirigente scolastica; c) nelle attestazioni di stima pervenute alla ricorrente da genitori di alunni non appena appreso della sottoposizione ad indagini e poi a giudizio; d) nelle dichiarazioni rese in sede di indagini difensive, allegate al ricorso, di cui si riportano stralci attestanti la stima per l'insegnante. La mancata analisi di tali elementi si risolve in un travisamento per omissione e nella mancanza di motivazione rafforzata. Si sostiene inoltre, che i fatti addebitati alla ricorrente non potrebbero neppure integrare il reato di cui all'art. 571 cod. pen. per insussistenza della condizione di punibilità richiesta dalla norma.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell'art. 603 cod. proc. pen. per avere la Corte di appello immotivatamente omesso di rinnovare l'istruttoria dibattimentale anche con l'audizione di minori testimoni oculari dei fatti, diversi da quelli costituiti parte civile. La Corte di appello ha esercitato il potere officioso di rinnovazione istruttoria in modo parziale e senza fornire logica e ragionevole spiegazione della scelta operata, avendo limitato la rinnovazione alle testimonianze dei soggetti aventi interesse all'esito del processo, escludendo l'apporto di altri testimoni quali i figli dei genitori sentiti in sede di indagini difensive, che avrebbero potuto confermare la ricostruzione operata dal primo giudice, riferendo quanto da loro percepito all'epoca dei fatti.
3. I difensori delle parti civili hanno depositato memorie a sostegno della correttezza della decisione di appello e concluso per il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito illustrate.
1. E' del tutto infondata l'eccezione di inutilizzabilità delle videoriprese eseguite nella classe ove la ricorrente svolgeva il suo compito di insegnante e di educatrice.
All'eccezione il Giudice di primo grado non aveva dato particolare rilievo, limitandosi ad affermare che le operazioni di intercettazione ambientale e video erano state regolarmente autorizzate, poiché aveva ritenuto assorbente la mancanza di un elemento costitutivo del reato, in quanto le asserite violenze non si erano mai tradotte nelle punizioni corporali indicate nell'imputazione; in particolare, secondo il primo giudice, non risultavano episodi di schiaffi a mano aperta sul volto dei minori, emergendo piuttosto che si trattava di scappellotti dati da dietro o sui vestiti e modi bruschi, non integranti insulti o minacce; inoltre, il giudice dava atto che spesso l'insegnante si pentiva di aver alzato il tono della voce e consolava i bambini, mostrandosi affettuosa.
Nel respingere l'eccezione anche la Corte di appello ha ritenuto le operazioni di intercettazione audiovisiva legittimamente eseguite e utilizzabili, in quanto regolarmente autorizzate dal Giudice per le indagini preliminari, senza affrontare in modo specifico il tema ripetutamente posto dal difensore e riproposto nel ricorso, con cui si contesta la mancata acquisizione delle videoriprese originali o di una copia forense.
Tuttavia, l'omessa risposta sul punto deve ritenersi giustificata dalla genericità dell'eccezione, per essersi la difesa limitata ad avanzare un sospetto di manipolazione per il mancato controllo della catena di custodia dei supporti originali, senza indicare in cosa si sostanziasse la presunta alterazione o quali riprese fossero state manipolate, benché visionate nel corso del giudizio di appello in contraddittorio; neppure veniva precisato quali immagini decisive non fossero state esaminate o allegate all'informativa o quale intervento specifico di manipolazione sul contenuto delle tracce foniche duplicate fosse stato effettuato, così da incorrere nell'aspecificità del motivo. Anche il ricorso si limita a rimandare agli argomenti esposti nelle memorie in atti, nelle quali si contesta la mancata adozione di cautele per la conservazione della prova e si collega all'errata conservazione del dato probatorio originario la lesione del diritto di difesa dell'imputata, che avrebbe ottenuto una copia rimaneggiata dalla polizia giudiziaria, che l'aveva utilizzata per due mesi per esaminare e commentare le immagini.
L'eccezione e la prospettata lesione del diritto di difesa si risolvono, quindi, in una congettura, atteso che la non conformità delle copie rilasciate rispetto agli originali è solo supposta, né l'ipotesi può essere avvalorata, come sostenuto nelle memorie, dal ricorso ad impianti di cui è avvalsa la polizia giudiziaria in mancanza di censure relative alla motivazione del decreto del Pubblico Ministero che autorizzava il ricorso ad impianti esterni ex art. 268, comma 3, cod. proc. pen..
Peraltro, va ricordato che questa Corte ha già chiarito che il mancato rispetto di determinate procedure o di protocolli informatici non determina automaticamente l'invalidità o l'inutilizzabilità dei risultati, atteso che, in ossequio alla regola della tassatività delle nullità e della inutilizzabilità dei dati acquisiti in violazione di disposizioni di legge, non sono previste ulteriori fattispecie invalidanti, correlate al mancato rilascio di copie c.d. "forensi" (Sez. 1, n. 50021 del 12/12/2017, dep. 2018, Vannucci, Rv. 273988).
Può, dunque, farsi applicazione del principio secondo il quale il mancato esame, da parte del giudice di secondo grado, di un motivo di appello non comporta l'annullamento della sentenza quando la censura non sarebbe stata già in astratto suscettibile di accoglimento, in quanto l'omessa motivazione sul punto non arreca pregiudizio alla parte (Sez. 3, Sentenza n. 21029 del 03/02/2015, Dell'Utri, Rv. 263980).
2. Gli ulteriori motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, atteso che l'eccezione di natura processuale formulata interseca e ha diretta ricaduta sulla completezza della motivazione e sulla denunciata mancanza di motivazione rafforzata.
Sono noti i principi da tempo dettati in tema di motivazione rafforzata, secondo i quali la sentenza di appello di riforma totale del giudizio assolutorio di primo grado deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione assolutoria, dimostrando puntualmente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, dep. 2006, Aglieri, Rv. 233083).
A tali principi si è attenuta la Corte di appello, che ha disposto la rinnovazione istruttoria, procedendo a visionare in contraddittorio le videoriprese e a disporre l'audizione dei minori, destinatari delle aggressioni verbali e fisiche della ricorrente, al fine di colmare le lacune e risolvere le incongruenze e le contraddizioni ravvisate nel ragionamento del giudice di primo grado.
In particolare, la Corte di appello ha ribaltato il giudizio assolutorio alla luce dell'approfondimento istruttorio disposto, assegnando centralità alle videoriprese, svalutate e interpretate in modo non corretto dal primo giudice, che aveva minimizzato i comportamenti e gli atteggiamenti verbali della ricorrente, ritenendoli bilanciati e contraddetti da atteggiamenti affettuosi verso gli alunni.
2.1 Quanto alla censura di rinnovazione istruttoria parziale, è infondata la dedotta mancanza di una idonea e ragionevole spiegazione della selezione probatoria operata, in quanto la Corte di appello ha chiarito di aver ritenuto necessario sentire direttamente le persone offese sia perché mai ascoltate nel corso delle indagini, trattandosi di minori di dieci anni all'epoca dei fatti, sia perché l'audizione mirava a verificare l'affidabilità di quanto emergeva dalle immagini, visionate in contraddittorio.
In tal modo la Corte ha dato atto di aver rilevato una criticità della sentenza di primo grado, che, pur riscontrando la lacuna istruttoria, costituita dalla mancata audizione protetta dei bambini, non aveva ritenuto necessario colmarla e aveva valutato le risultanze dei filmati in modo contraddittorio, dapprima affermando (pag. da 3 a 5) che le immagini avevano messo in luce la condotta inequivocabilmente maltrattante dell'insegnante nei confronti dei discenti per poi ritenere che i comportamenti e le espressioni verbali registrati non integrassero il reato contestato perché bilanciati da atteggiamenti affettuosi, "al limite dello sdolcinato", potendo al più dimostrare l'inadeguatezza dell'imputata come insegna avendone rivelato il carattere isterico.
In realtà, la Corte ha errato nell'attribuire la valutazione del comportamento maltrattante al giudicante, che, invece, aveva solo riportato (nelle pagine 3-4 della sentenza) il contenuto dell'informativa e aveva poi censurato le valutazioni espresse dagli operanti, i commenti utilizzati e persino stigmatizzato l'iniziativa di estrapolare le immagini ritenute rilevanti (pag. 14 sentenza primo grado), rimarcando che i commenti avevano avuto l'effetto di esaltare la condotta incriminata.
Tali considerazioni avevano indotto il primo giudice a svalutare le risultanze delle videoriprese e a ritenere dirimente la mancata instaurazione di un clima di vessazione e sopraffazione. Aveva, infatti, ritenuto che dalle videoriprese emergesse piuttosto un clima sereno nella classe, una partecipazione attenta dei minori alle lezioni, che sembravano apprezzare e seguire con trasporto (pag. 10 sentenza di primo grado), non risultando che le violenze si fossero tradotte in punizioni corporali come gli schiaffi indicati nel capo di imputazione. Pur dando atto del comportamento ondivago, brusco e severo della maestra, il primo giudice aveva escluso che le condotte avessero reso mortificante o doloroso il rapporto con gli alunni, e ritenuto che in tal senso deponessero anche altri elementi, quali: l'assenza di segnalazione da parte dei genitori di situazioni di stress o disagio dei minori, essendovi, anzi, dichiarazioni di segno opposto del padre del D. G.; la circostanza che il minore D. M. compiva atti di autolesionismo e metteva in pericolo gli altri bambini, spingendoli per le scale, facendoli cadere, e i genitori avevano ammesso di aver riscontrato i disturbi segnalati dalla maestra; inoltre, era emerso che la vera ragione del trasferimento del minore in altra scuola era da collegare al cambio di domicilio della famiglia; la circostanza che la Dirigente scolastica non aveva mai ricevuto reclami o segnalazioni da genitori e gli attestati di stima prodotti dalla difesa.
Alla luce di tutti questi elementi il primo giudice aveva ritenuto che, pur in presenza di condotte di minima violenza, gli elementi acquisiti erano contraddittori e insufficienti a sorreggere un giudizio di condanna.
La sentenza impugnata supera le incertezze e le ambiguità individuate dal primo giudice, rilevando la contraddittorietà del ragionamento e l'erronea ( valutazione del principale dato probatorio e trae dalle dichiarazioni dei minori la chiave interpretativa più fedele delle videoriprese, e ciò in ragione della mancata acquisizione della voce delle vittime, solo indirettamente acquisita tramite il racconto dei genitori, che avevano sporto denuncia.
2.2. Come già detto, non è censurabile di parzialità la scelta di sentire solo minori i cui genitori si sono costituiti parte civile, trattandosi dei minori identificati e risultati destinatari di rimproveri verbali e di condotte violente dell'insegnante (pag.4-5), né può ritenersi assertivo o mancante il giudizio di attendibilità espresso sulle fonti dirette, che a distanza di anni avevano ricordato episodi vissuti e reso dichiarazioni in linea con quanto emergeva dai filmati, analizzati in dettaglio dalla Corte territoriale per ciascuna persona offesa e che smentivano palesemente il clima sereno ravvisato dal primo giudice (pag. da 3 a 6). La Corte di appello ha, infatti, dato atto che le persone offese erano ormai adolescenti, in grado di testimoniare e di riferire episodi, dettagli, espressioni verbali e comportamenti violenti dell'insegnante (umiliazioni, schiaffi sul volto e dietro la nuca, espressioni di disprezzo), che trovavano perfetta corrispondenza nelle videoriprese esaminate.
Ad escludere la fondatezza dell'obiezione difensiva circa il mancato approfondimento sulla attendibilità delle testimonianze perché inevitabilmente condizionate o concertate è sufficiente richiamare la coerente valutazione espressa in merito alla frase ricordata dal M. anche a distanza di anni, ritenuta giustificata dalla natura talmente forte dell'espressione riportata in sentenza, utilizzata dall'insegnante dopo averlo colpito con uno schiaffo (pag. 3). Peraltro, la testimonianza del M. risulta attentamente analizzata e ritenuta logica, spontanea e attendibile anche nella parte in cui il ragazzo aveva spiegato le ragioni del ritardo con il quale aveva riferito ai genitori dei comportamenti della maestra (pag. 4), sicché il ricorso sul punto risulta meramente oppositivo e generico.
La convergenza delle dichiarazioni rese dalle persone offese sull'abituale ricorso della ricorrente ad espressioni umilianti, a gesti sprezzanti o a schiaffi sul viso, sulla testa o sulla nuca, per censurare errori o difetti di apprendimento, ha trovato puntuale riscontro nelle riprese, che mostravano il gesto spontaneo con cui i minori si proteggevano la testa al passaggio dell'insegnante tra i banchi, coerentemente ritenuto indicativo del timore di essere colpiti (pag. 3, 4 e 5). Non meno coerente è il rilievo attribuito alla frequenza delle condotte, alla non episodicità dei comportamenti, integrante l'abitualità del reato contestato sicché risulta pienamente giustificato il ravvisato clima di tensione, di paura e di soggezione derivante dal comportamento vessatorio e incline alla violenza della ricorrente.
2.3. A differenza di quanto sostenuto nel ricorso, non è affatto apodittica né ingiustificata la valutazione espressa sulle dichiarazioni dell'insegnante di sostegno, testimone prudente, che, pur negando di ricordare frasi denigratorie specifiche o gesti di disprezzo, non ha negato pacche dietro la nuca o sulle spalle, riduttivamente qualificate gesti non violenti. La Corte di appello ha chiarito le ragioni del giudizio espresso alla luce delle immagini registrate, dalle quali emergeva il suo atteggiamento passivo (quando un alunno da lei seguito era stato colpito con uno schiaffo sulla mano dalla ricorrente senza che lei intervenisse), atteggiamento riferito come abituale anche da D. N. G. (v. pag. 5).
3. Alla luce di tali elementi risulta corretta la qualificazione giuridica della condotta, avuto riguardo: a) al clima di timore ammesso dalle persone offese e riscontrato dalle immagini, analizzate in sentenza; b) alla ripetitività e frequenza dei gesti, delle espressioni di disprezzo e umilianti registrate; c) alla decisività dei dati emersi dalle videoriprese, letti e interpretati alla luce delle dichiarazioni delle vittime, rispetto ai quali sono stati implicitamente ritenuti recessivi gli elementi indicati dalla difesa, essendo i fatti accertati idonei a instaurare un clima di timore e a ledere l'integrità psicofisica dei minori, che non può essere escluso in ragione del numero limitato delle persone offese rispetto alla composizione della classe, come sembrano prospettare i ricorsi. Si osserva inoltre, che, nonostante la Corte di appello abbia errato nell'individuare la causa del trasferimento in altra scuola del M., non ha errato nel dare rilievo al disagio avvertito dall'alunno e al beneficio derivato dal cambio di istituto (il teste ha, infatti, dichiarato di aver maturato il rifiuto di andare a scuola e di considerare una fortuna l'aver cambiato istituto scolastico, v. pag. 4 sentenza impugnata).
L'analisi attenta delle dichiarazioni dei minori e, soprattutto, dei filmati dà conto della valutazione più completa effettuata dalla Corte di appello, che non ha mancato di attribuire rilievo anche al comportamento ondivago e incostante della ricorrente e alla consapevolezza di tenere un comportamento non adeguato al suo ruolo di educatrice, come si ricavava dai discorsi intercettati con i bambini, nei quali si preoccupava di quello che avrebbero potuto riferire ai genitori nonché dalle riprese, che documentavano l'alternanza di comportamenti affettuosi dopo i rimproveri (pag. 6 sentenza impugnata): colloqui e commenti intercettati non considerati affatto nella sentenza di primo grado.
4. La motivazione risulta completa anche in ordine alla non riconducibilità delle condotte nell'ipotesi di cui all'art. 571 cod. pen. per l'incompatibilità delle condotte aggressive con il potere correttivo e il metodo educativo.
La prospettazione é stata respinta con motivazione corretta, conforme all'orientamento di questa Corte, secondo il quale l'uso della violenza per fini correttivi o educativi non è mai consentito, atteso che l'abuso dei mezzi di correzione presuppone l'uso non appropriato di metodi o comportamenti correttivi, in via ordinaria consentiti, quali l'esclusione temporanea dalle attività ludiche o didattiche, l'obbligo di condotte riparatorie o forme di rimprovero non riservate (Sez. 6, n. 11777 del 21/01/2020, Rv. 278744), mentre l'uso sistematico della violenza quale metodo di trattamento del minore, anche se sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nella fattispecie di abuso di mezzi di correzione, ma concretizza gli estremi del più grave reato di maltrattamenti.
Esula, infatti, dal perimetro applicativo della fattispecie incriminatrice dell'abuso di mezzi di correzione o di disciplina in ambito scolastico qualunque forma di violenza fisica o psichica, ancorché sostenuta da "animus corrigendi", atteso che le condotte connotate da modalità aggressive sono incompatibili con l'esercizio lecito del potere correttivo ed educativo - che mai deve deprimere l'armonico sviluppo della personalità del minore - lì dove l'abuso ex art. 571 cod. pen. presuppone l'eccesso nell'uso di mezzi che siano in sé giuridicamente leciti (Sez. 6, n. 13145 del 03/03/2022, Rv. 283110).
Per le ragioni esposte il ricorso va rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado di giudizio dalle parti civili costituite, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. La condanna, inoltre, alla rifusione delle spese processuali in favore di: D. N. T., in proprio e in qualità di esercente la responsabilità genitoriale nei confronti del figlio minorenne D.N. G.; M. G. e S.T., in proprio e in qualità di esercenti la potestà genitoriale nei confronti del figlio minorenne M.V. e S. A., in proprio e in qualità di esercente la potestà genitoriale nei confronti di Z. M.. liquidando le spese in complessivi euro 5000 oltre accessori di legge per le tre predette parti civili; D. N. R. N. e B. R. in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sulla figlia minorenne D.N. R., liquidando le spese in complessivi euro 2.950,40 oltre accessori di legge; la condanna, inoltre, alla rifusione delle spese giudiziali nei confronti di: M. G., in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sui figli minorenni M. A. F. e M. S. F. e M. V. e L. M. P., in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sul figlio minorenne M. D., parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Bari con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato e dell'avvocato M. G., dichiaratasi antistataria per le parti civili predette.