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16 ottobre 2024
Condannata per maltrattamenti la maestra che costringeva i bambini a mangiare

Le condotte della donna non possono rientrare nella fattispecie meno grave di cui all'art. 571 c.p. perché l'uso sistematico della violenza, anche se sostenuto da animus corrigendi, è illecito.

di La Redazione

Il Tribunale di Gorizia condannava l'imputata per il reato di maltrattamenti aggravato ai danni di alcuni minori che frequentavano la scuola materna ove ella svolgeva la professione di maestra, condannandola altresì al risarcimento dei danniverso i genitori che si erano costituiti parti civili nel procedimento.
Tuttavia, la Corte d'Appello riformava la pronuncia: anzitutto, il fatto veniva riqualificato come delitto di abuso dei mezzi di correzionee di disciplina di cui all'art. 571 c.p., e poi la donna veniva prosciolta per intervenuta prescrizione.
I genitori dei minori propongono allora ricorso per cassazione, contestando, tra i diversi motivi, il fatto che i Giudici avessero riqualificato la condotta della maestra basandosi esclusivamente sulle intercettazioni audio-video, le quali avevano avuto una durata di soli 14 giorni mentre i fatti contestati si erano protratti per ben 2 anni. Inoltre, la descrizione delle riprese effettuate da parte del consulente tecnico della difesa sminuiva le deposizioni di decine di testi che avevano assistito direttamente ai fatti.

Con la sentenza n. 37747 del 15 ottobre 2024, la Cassazione dichiara fondato il motivo di ricorso, sintetizziamo brevemente i fatti sulla base delle deposizioni dei testi.
Secondo le dichiarazioni di questi ultimi, la maestra imputata era solita impartire ordini ai bambini, insistendo soprattutto affinché mangiassero. Proprio a tal fine, erano emerse diverse condotte a dir poco eccessive, come il fatto che la donna strattonava i bambini a tal fine costringendoli a stare in tavoli separati per punizione.
In un caso, poi, la maestra aveva infilato in un angolo della bocca di una minore un bavaglino allo scopo di tenerla aperta e contemporaneamente le aveva fatto ingoiare una minestra, proseguendo nonostante la piccola piangesse. E ancora, la maestra era stata sorpresa mentre imboccava una bambina tenendole le braccia dietro alla schiena, mentre dava uno schiaffo a un bambino perché non voleva mangiare e mentre minacciava tutti gli scolari dicendo loro che se non avessero mangiato sarebbero finiti tutti sulla brandina, oggetto che veniva utilizzato come mezzo di punizione.
Dal quadro delle deposizioni raccolte era chiaro come le minacce, le coercizioni e le punizioni impartite dall'imputata, per non parlare delle violenze fisiche, ai danni di bambini della scuola materna aventi un'età compresa tra i 3 e i 5 anni non fossero condotte isolate, ma ripetute nel tempo e verso una pluralità di minori. Ciò secondo la Cassazione travalica i limiti dell'uso dei mezzi di correzione poiché possono ritenersi tali solo quelli che per loro natura tendano all'educazione delle persone affidate alle proprie cure, senza trasformarsi in mezzi violenti che contraddicono il fine formativo.
Come ricordano gli Ermellini

giurisprudenza

«l'uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore affidato, anche lì dove fosse sostenuto da “animus corrigendi”, non può rientrare nell'ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti».

La risposta educativa dell'istituzione scolastica deve essere infatti proporzionata alla gravità del comportamento deviante dell'alunno, senza mai consistere in trattamenti lesivi dell'incolumità fisica o afflittiva della personalità del minore, altrimenti non può parlarsi di abuso dei mezzi di correzione. 

attenzione

In tale contesto, il nesso tra fine di correzione e mezzo utilizzato va valutatosul piano oggettivo e non facendo riferimento all'intenzione dell'agente.

In sostanza quindi, l'uso sistematico della violenza come trattamento ordinario del minore, anche se sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell'ambito dell'art. 571 c.p..
La sentenza impugnata viene di conseguenza annullata in relazione a tale punto con rinvio al giudice civile competente.

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