Le condotte della donna non possono rientrare nella fattispecie meno grave di cui all'art. 571 c.p. perché l'uso sistematico della violenza, anche se sostenuto da animus corrigendi, è illecito.
Il Tribunale di Gorizia condannava l'imputata per il reato di maltrattamenti aggravato ai danni di alcuni minori che frequentavano la scuola materna ove ella svolgeva la professione di maestra, condannandola altresì al risarcimento dei danniverso i genitori che si erano costituiti parti civili nel procedimento.
Tuttavia, la Corte d'Appello riformava la pronuncia: anzitutto, il fatto veniva riqualificato come delitto di abuso dei mezzi di correzionee di disciplina di cui all'
I genitori dei minori propongono allora ricorso per cassazione, contestando, tra i diversi motivi, il fatto che i Giudici avessero riqualificato la condotta della maestra basandosi esclusivamente sulle intercettazioni audio-video, le quali avevano avuto una durata di soli 14 giorni mentre i fatti contestati si erano protratti per ben 2 anni. Inoltre, la descrizione delle riprese effettuate da parte del consulente tecnico della difesa sminuiva le deposizioni di decine di testi che avevano assistito direttamente ai fatti.
Con la sentenza n. 37747 del 15 ottobre 2024, la Cassazione dichiara fondato il motivo di ricorso, sintetizziamo brevemente i fatti sulla base delle deposizioni dei testi.
Secondo le dichiarazioni di questi ultimi, la maestra imputata era solita impartire ordini ai bambini, insistendo soprattutto affinché mangiassero. Proprio a tal fine, erano emerse diverse condotte a dir poco eccessive, come il fatto che la donna strattonava i bambini a tal fine costringendoli a stare in tavoli separati per punizione.
In un caso, poi, la maestra aveva infilato in un angolo della bocca di una minore un bavaglino allo scopo di tenerla aperta e contemporaneamente le aveva fatto ingoiare una minestra, proseguendo nonostante la piccola piangesse. E ancora, la maestra era stata sorpresa mentre imboccava una bambina tenendole le braccia dietro alla schiena, mentre dava uno schiaffo a un bambino perché non voleva mangiare e mentre minacciava tutti gli scolari dicendo loro che se non avessero mangiato sarebbero finiti tutti sulla brandina, oggetto che veniva utilizzato come mezzo di punizione.
Dal quadro delle deposizioni raccolte era chiaro come le minacce, le coercizioni e le punizioni impartite dall'imputata, per non parlare delle violenze fisiche, ai danni di bambini della scuola materna aventi un'età compresa tra i 3 e i 5 anni non fossero condotte isolate, ma ripetute nel tempo e verso una pluralità di minori. Ciò secondo la Cassazione travalica i limiti dell'uso dei mezzi di correzione poiché possono ritenersi tali solo quelli che per loro natura tendano all'educazione delle persone affidate alle proprie cure, senza trasformarsi in mezzi violenti che contraddicono il fine formativo.
Come ricordano gli Ermellini
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«l'uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore affidato, anche lì dove fosse sostenuto da “animus corrigendi”, non può rientrare nell'ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti». |
La risposta educativa dell'istituzione scolastica deve essere infatti proporzionata alla gravità del comportamento deviante dell'alunno, senza mai consistere in trattamenti lesivi dell'incolumità fisica o afflittiva della personalità del minore, altrimenti non può parlarsi di abuso dei mezzi di correzione.
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In tale contesto, il nesso tra fine di correzione e mezzo utilizzato va valutatosul piano oggettivo e non facendo riferimento all'intenzione dell'agente. |
In sostanza quindi, l'uso sistematico della violenza come trattamento ordinario del minore, anche se sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell'ambito dell'
La sentenza impugnata viene di conseguenza annullata in relazione a tale punto con rinvio al giudice civile competente.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 14/08/2021 il Tribunale di Gorizia ha dichiarato G. B. responsabile del reato di maltrattamenti aggravato, commesso in qualità di insegnante di una scuola dell'infanzia nei confronti dei minori sottoposti alla sua autorità e a lei affidati. Con la medesima sentenza il Tribunale ha condannato l'imputata, in solido con il responsabile civile, Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al risarcimento del danno nei confronti delle persone offese costituite parti civili, danno da liquidarsi in sede civile.
2. In parziale riforma di detta sentenza, la Corte di appello di Trieste, previa riqualificazione del fatto ascritto all'imputata come delitto di abuso di mezzi di correzione e disciplina (art. 571cod. pen.), ha emesso sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione, ha respinto l'appello proposto dalle parti civili R. P. e M. M., in proprio e nella qualità di genitori di E. e I. M., compensando le spese del grado di giudizio tra tali parti e l'imputata.
3. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione le parti civili sopra indicate, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Con il primo motivo di ricorso si denunciano i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in ordine alla riqualificazione del fatto come abuso di mezzi di correzione e disciplina. La Corte di appello ha valorizzato quasi esclusivamente le intercettazioni audio-video, che hanno avuto una durata di 14 gironi, mentre i fatti addebitati all'imputata si sono protratti per due anni scolastici, nonché la descrizione delle riprese effettuata dal consulente tecnico della difesa, sminuendo le deposizioni di decine di testi, che hanno direttamente assistito ai fatti.
La motivazione, inoltre, è contraddittoria perché la stessa Corte riconosce che le condotte tenute dall'imputata sono «connotate da un intervento correttivo sproporzionato rispetto alle violazioni riscontrate», che erano idonee a cagionare un pericolo di malattia nel corpo o nella mente dei minori e che sono stati posti in essere atti di violenza, quali strattona menti.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso si denunciano i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in relazione alla mancata liquidazione della provvisionale richiesta. La Corte ha reputato che la derubricazione del fatto non consentisse di ritenere acquisiti sufficienti elementi per provvedere alla liquidazione di una provvisionale, pur avendo riconosciuto l'idoneità delle condotte a cagionare un pericolo di malattia.
3.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce che la compensazione delle spese processuali, per la parziale soccombenza delle parti civili, è stata effettuata in violazione dell'art. 541, comma 2, cod. proc. pen., che prevede che la compensazione possa esser disposta se vi è richiesta dell'imputato e solo per gravi ragioni.
4. Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicato.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente va osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. Un. 28911 del 28/03/2019, Massaria, Rv. 275953), sussiste l'interesse della parte civile a impugnare la sentenza che ha dichiarato l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, ove con l'impugnazione si contesti l'erroneità di detta dichiarazione. Le Sezioni unite hanno precisato che la legittimazione della parte civile ad impugnare deriva direttamente dalla previsione dell'art. 576, comma 1, cod. proc. pen., che fa riferimento a tutte le sentenze di proscioglimento, fra le quali deve sicuramente ricomprendersi anche la sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato. In questo caso la Corte ha ravvisato l'interesse ad impugnare della parte civile considerando il vantaggio correlato al ribaltamento della prima pronuncia e all'affermazione di responsabilità dell'imputato, sia pure ai soli fini delle statuizioni civili, e, con specifico riferimento al ricorso in cassazione, all'annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile in grado di appello, ex art. 622 cod. proc. pen., senza la necessità di iniziare "ex novo" il giudizio civile.
2. Il primo motivo di ricorso è fondato.
La Corte di appello ha ritenuto che le condotte tenute dall'imputata fossero finalizzate all'educazione dei bambini e che si siano concretizzate, in alcuni casi, in un uso distorto dei mezzi correttivi, senza, però, alcuna sproporzione rispetto alle violazioni ascrivibili agli alunni e senza ricorso alla violenza, tanto che la fattispecie concreta è stata ricondotta a quella prevista dall'art. 571 cod. pen.
Per giungere a questa conclusione la Corte ha visionato le riprese audio-video, installate nel refettorio e nell'aula in cui insegnava l'imputata dal 10 al 26 febbraio 2014, e, richiamando le relazioni del perito nominato dal giudice e del consulente tecnico della difesa incaricati di descrivere le scene riprese, ha ritenuto che in esse non fossero riscontrabili «violenze gratuite, né condotte vessatorie ripetutamente rivolte ai minori» (p. 12). Ha, poi, ritenuto che «nella direzione della inconfigurabilità di una condotta di maltrattamento depongono anche le testimonianze prodotte dalla difesa» che riportano non condotte maltrattanti ma una attività educativa rispettosa dell'integrità fisica e psichica degli alunni; lo stesso utilizzo della brandina, diversamente d quanto ritenuto dal giudice di primo grado, non appariva ispirato a finalità punitive.
Sono, poi, valorizzate le deposizioni dei testi che riferiscono di condotte particolarmente rigide, connotate da un intervento correttivo sproporzionato (si citano M. E., che ha riferito che l'imputata era solita dare ordini ai bambini, insistendo con autorità soprattutto affinché mangiassero; P. C. S., secondo cui il metodo educativo dell'imputata era autoritario, nel senso che si atteggiava verso i bambini cercando di imporre il suo volere, minacciando punizioni e imponendo divieti; E. C., che ha riferito di condotte molto rigorose per quanto riguarda l'alimentazione; D.Z., che ha descritto condotte molto severe e autoritarie).
Nella stessa sentenza, però, si dà atto che la maestra B. strattonava i bambini, li costringeva, per punizione, a stare in tavoli separati (p. 13), minacciava di punirli per imporre il suo volere (p. 14).
Non sono, poi, valutate altre deposizioni, che in parte vengono sintetizzate e in parte vengono richiamate, mediante rinvio alla sentenza di primo grado. Da tali deposizioni emerge:
che, per far mangiare una bambina, l'imputata le ha infilato un bavaglino in un angolo della bocca in modo da tenerla aperta e contemporaneamente le ha fatto ingoiare un cucchiaio di minestra, continuando nella sua azione nonostante la bimba si fosse messa a piangere (episodio narrato dalla teste oculare P. R., la quale ha, altresì, riferito «che l'imputata aveva un modo dittatoriale di porsi nei confronti dei bambini, che costringeva a mangiare ogni cosa [ ...]» e che «i bambini seguiti dalla B. avevano un comportamento diverso dagli altri, che evidenziava uno stato di paura» p. 8);
che, in un'altra occasione, l'imputata è stata vista imboccare una bambina tenendole le braccia dietro la schiena, dare uno schiaffo ad un bambino perché non mangiava, minacciare tutti i minori dicendo che se non avessero mangiato sarebbero finiti sulla brandina. La teste ha, altresì, riferito che quando erano minacciati si mettevano a piangere (teste D. Z., la cui deposizione è richiamata a p. 8 della sentenza impugnata, con rinvio alla deposizione resa all'udienza del 07/03/018, riportata nella sentenza di primo grado);
che la brandina, acquistata allo scopo di consentire ai bambini di dormire veniva impiegata come mezzo di punizione, che una bambina quando vedeva la maestra B. non voleva entrare (teste E. M., che ha anche riferito che di aver appreso dalla propria figlia che un giorno un altro bimbo aveva portato delle forbici a scuola e l'imputata, per fargli capire quanto fossero pericolose, lo aveva punzecchiato sulla mano, finché non aveva cominciato a piangere, p. 8);
Condotte definite espressamente come «maltrattanti» (p. 9) vengono riferite anche da L. C. (che, pur precisando che le condotte non erano mai tenute con violenza, ha riferito che il piccolo E. veniva fatto sdraiare sulla brandina quando era agitato), da M. C. (che ha riferito che l'imputata diceva che i bambini dovevano mangiare tutto altrimenti li puniva, lasciandoli seduti da soli), da E. C. (che ha assistito ad un episodio in cui l'imputata ha costretto una bambina a mangiare). Nella sentenza si dà, infine, atto che venivano posti in essere «strattonamenti eccessivi».
Dall'insieme di tali deposizioni si ricava un quadro di minacce, di coercizioni e pesanti punizioni, di violenze inflitte dall'imputata, maestra di scuola materna, ai bambini affidati alle sue cure di età compresa tra i tre e i cinque anni. Questi comportamenti non erano isolati, ma venivano ripetuti nel tempo nei confronti di una pluralità di minori.
Reputa il Collegio che tali condotte, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, travalichino i limiti dell'uso dei mezzi di correzione, potendosi ritenere tali solo quelli per loro natura a ciò deputati, che tendano cioè alla educazione della persona affidata alla propria cura, senza trasmodare nel ricorso a mezzi violenti, che tali fini formativi contraddicono.
Va condiviso sul punto il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui l'uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore affidato, anche lì dove fosse sostenuto da "animus corrigendi", non può rientrare nell'ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti (Sez. 6, n. 11956 del 15/02/2017, Rv. 269654). Ed infatti, affinché possa essere configurato il reato di abuso dei mezzi di correzione in luogo del reato di maltrattamenti, la risposta educativa dell'istituzione scolastica deve essere sempre proporzionata alla gravità del comportamento deviante dell'alunno e, in ogni caso, non può mai consistere in trattamenti lesivi dell'incolumità fisica o afflittivi della personalità del minore.
Né l'intenzione dell'agente di agire esclusivamente per finalità educative e correttive costituisce un elemento dirimente per far rientrare il sistematico ricorso ad atti di violenza commessi nei confronti di minori nella meno grave previsione di cui all'art. 571 c.p. anziché in quella dell'art. 572 c.p. (Cass. Sez. 6, n. 45467 del 23/11/2010, Rv. 249216). L'intenzione soggettiva non è idonea a far entrare nell'ambito della fattispecie meno grave dell'art. 571 c.p. ciò che oggettivamente ne è escluso, in quanto il nesso tra mezzo e fine di correzione va valutato sul piano oggettivo, con riferimento al contesto culturale e al complesso normativo fornito dall'ordinamento giuridico e non già dalla intenzione dell'agente; deve pertanto essere escluso che l'uso sistematico della violenza quale ordinario "trattamento" del minore, sia pure sostenuto da "animus corrigendi", possa rientrare nell'ambito dell'art. 571 c.p., in considerazione della sicura illiceità di tale uso (Cass. Sez. 6, n. 4904 del 18/03/1996, Rv. 205034).
Da ciò consegue che la fattispecie concreta non poteva essere ricondotta a quella, meno grave, di cui all'art. 571 cod. pen. ma doveva essere fatta rientrare, come ritenuto dal giudice di primo grado, in quella di cui all'art. 572 cod. pen.
Pertanto, la sentenza impugnata va annullata limitatamente agli effetti civili con rinvio, ai sensi dell'art. 622 cod. proc. pen., al giudice civile competente in grado di appello, cui va rimessa anche la liquidazione delle spese tra le parti per il grado di legittimità.
3. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché il provvedimento di liquidazione della provvisionale non è ricorribile per cassazione, in quanto non ha valore vincolante di giudicato in sede civile, essendo destinato ad essere travolto - per il suo carattere di provvisorietà e per la sua natura meramente delibativa - dalle statuizioni definitive sul risarcimento del danno (Sez. 4, Sentenza n. 36760 del 04/06/2004, Cattaneo Rv. 230271 - 01).
4. li terzo motivo di ricorso è fondato.
Nel giudizio di appello le parti civili hanno ottenuto la conferma della statuizione di condanna generica al risarcimento del danno contenuta nella sentenza di primo grado, anche se hanno visto rigettata la propria istanza di liquidazione di una provvisionale. Le spese del secondo grado di giudizio sono state compensate «tenuto conto che a fronte delle spese maturate per la conservazione della condanna generica, si pone la soccombenza relativa al proposto appello» per la liquidazione di una provvisionale.
Tale conclusione non è condivisibile in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la parte civile che, in sede d'appello, resista vittoriosamente all'istanza dell'imputato volta ad escludere il diritto di quest'ultima al risarcimento dei danni conseguenti al reato per cui si procede, ha diritto alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa già anticipate anche se risulti parzialmente o totalmente soccombente in relazione alle proprie richieste (Sez. 6, Sentenza n. 23017 del 19/01/2004 Rv. 229825 che, in applicazione di tale principio, ha accolto il ricorso della parte civile in ordine alla mancata rifusione a favore della medesima delle spese relative al giudizio di appello, nel quale era stato dichiarato inammissibile il gravame di quest'ultima al fine di ottenere il riconoscimento di una provvisionale). Infatti, ai fini della valutazione della soccombenza della parte civile, è decisiva la circostanza che l'imputato sia riuscito ad escludere il suo diritto al risarcimento dei danni conseguenti al reato per cui si procede: se l'impugnazione dell'imputato non ottiene questo risultato, lo stesso è tenuto al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile.
In conclusione, quindi, il terzo motivo di ricorso è fondato.
Provvederà il giudice di rinvio alla liquidazione delle spese sostenute dalla parte civile nel secondo grado di giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.