
La presunzione di responsabilità a carico del conducente del veicolo ex art. 2054 c.c. concorre con (ma non prevale su) la presunzione di responsabilità a carico della PA ex art. 2052 c.c..
Svolgimento del processo
1. M. M. convenne in giudizio, dinanzi al Giudice di pace di Macerata, la Regione Marche, domandandone la condanna al risarcimento dei danni subiti dalla sua autovettura a seguito della inevitabile collisione, avvenuta sulla Strada Provinciale (omissis) (omissis), con un animale selvatico (cinghiale), che, dopo avere invaso all’improvviso la sede stradale, si era posto imprevedibilmente dinanzi alla traiettoria di marcia del veicolo.
L’attrice dedusse che la Regione Marche era venuta meno ai propri obblighi di controllo e limitazione della proliferazione eccessiva della fauna selvatica, e che non aveva adottato alcuna misura idonea a prevenire i sinistri stradali causati da quest'ultima.
Il Giudice di pace adìto accolse la domanda e condannò la Regione Marche a pagare a M. M., a titolo risarcitorio, la somma di Euro 2.700,00.
2. Il Tribunale di Macerata, in accoglimento dell’appello proposto dalla Regione Marche e in riforma della decisione del Giudice di pace, ha invece rigettato la domanda.
Al riguardo, il giudice di appello ha anzitutto premesso che, con riguardo alla responsabilità della pubblica amministrazione per i danni provocati dalla fauna selvatica, si sono succeduti, nella giurisprudenza di legittimità, due orientamenti, in quanto a quello, più risalente, che riteneva applicabile la regola generale di cui all’art.2043 cod. civ., è seguito quello, più recente, che ritiene invece applicabile il criterio di imputazione speciale di cui all’art.2052 cod. civ..
Ciò premesso, il Tribunale ha osservato che, nella fattispecie, la domanda era stata formulata invocando la regola generale di cui all’art.2043 cod. civ., «onde l’accoglimento sulla scorta della responsabilità del custode [sarebbe andato] incontro al vizio di ultra-petizione».
In applicazione della regola generale di cui all’art.2043 cod. civ., dunque, l’invocata responsabilità della Regione doveva essere esclusa, poiché l’attrice non aveva assolto l’onere di provare la condotta colposa della convenuta, essendosi limitata ad evidenziare la violazione dell’obbligo di controllo e di limitazione della proliferazione eccessiva della fauna selvatica, nonché l’omessa predisposizione di misure idonee a prevenire gli incidenti stradali da essa provocati.
In ogni caso, anche se si fosse applicato l’art.2052 cod. civ., la domanda avrebbe dovuto ugualmente essere rigettata, per non essere stata data la prova che «la condotta di guida del conducente dell’autovettura fosse connotata da speciale prudenza … e che la condotta dell’animale selvatico [avesse] avuto effettivamente e in concreto un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui – nonostante ogni cautela – non sarebbe stato comunque possibile evitare l’impatto» (p.5 della sentenza impugnata). Infatti, la presunzione di cui all’art.2052 cod. civ. avrebbe potuto trovare applicazione solo dopo che fosse stata superata la contraria presunzione di cui all’art.2054, primo comma, cod. civ. (che imponeva all’attrice di provare, oltre al nesso causale tra la condotta dell’animale selvatico e l’evento dannoso, anche che il conducente avesse fatto tutto il possibile per evitare il danno), con la conseguenza che, solo nel caso in cui il danneggiato avesse assolto tale onere probatorio, sarebbe scattato a carico della Regione quello di dimostrare, in funzione liberatoria, che la condotta dell’animale si era posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, concretando una causa autonoma, eccezionale, imprevedibile – e, pertanto, esclusiva – dell’evento dannoso.
3. Ricorre per cassazione M. M., sulla base di cinque motivi. Resiste con controricorso la Regione Marche.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ..
Il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni scritte.
Sia ricorrente che controricorrente hanno depositato memoria.
Svolgimento del processo
1. Il quinto motivo del ricorso ha carattere pregiudiziale e, pertanto, va esaminato con priorità.
Con esso viene denunciato «difetto di valida rappresentanza processuale ad appellare – nullità della procura ad impugnare».
La ricorrente sostiene di avere eccepito nel corso del giudizio di appello, già con la comparsa di costituzione e risposta, l’irregolarità della costituzione in giudizio della Regione appellante, per la mancanza nella procura ad litem del richiamo agli estremi della delibera autorizzativa della Giunta regionale.
Si duole che il Tribunale non abbia esaminato questa eccezione dalla cui delibazione avrebbe dovuto evincere il dedotto difetto di rappresentanza.
1.1. Il motivo è infondato, in quanto la Regione controricorrente ha depositato copia degli atti amministrativi di autorizzazione alla proposizione del gravame, con la prova dell’avvenuta produzione di essi nel corso del giudizio di appello.
2. Con il primo e il secondo motivo – che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione – è denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2052 e 2043 cod. civ..
La ricorrente premette che nella giurisprudenza di legittimità è ormai prevalso l’indirizzo secondo il quale la responsabilità della pubblica amministrazione per i danni provocati dalla fauna selvatica è soggetta al criterio speciale di imputazione di cui all’art.2052 cod. civ., con la conseguenza che il danneggiato è onerato di provare il nesso causale tra l’evento dannoso e la condotta dell’animale, nonché l’appartenenza di quest’ultimo al patrimonio indisponibile dello Stato, ai sensi della legge n. 157 del 1992, mentre compete alla Regione la prova liberatoria che l’animale si sia posto del tutto al di fuori della sua sfera di controllo.
Ciò premesso, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso di delibare la domanda risarcitoria alla luce di tale criterio speciale di imputazione, sull’erroneo rilievo che il suo accoglimento, «sulla scorta della responsabilità del custode», avrebbe concretato il vizio ultra-petizione.
Sostiene che, al contrario, l’applicabilità al caso di specie dell’art. 2052 cod. civ. avrebbe potuto essere affermata anche per la prima volta in grado di appello, sebbene il giudice di primo grado avesse qualificato l’azione come riconducibile all’art.2043 cod. civ. e tale statuizione non fosse stata oggetto di specifico gravame, atteso che la diversa qualificazione giuridica avrebbe comunque lasciato immodificati i fatti costitutivi della fattispecie di responsabilità invocata con la domanda introduttiva.
Osserva, ulteriormente, che, se fosse stato correttamente applicato l’art.2052 cod. civ., la sua domanda sarebbe stata verosimilmente accolta, poiché, mentre, da un lato, ella, oltre alla dinamica del sinistro, aveva altresì debitamente provato l’inevitabilità della collisione con l’animale, così vincendo la presunzione di cui all’art.2054 cod. civ., dall’altro lato, sarebbe stata sollevata dall’onere di provare la colpa della Regione.
Conclude che, pertanto, la decisione d’appello sarebbe erronea sia nella parte in cui ha ritenuto preclusa la possibilità di delibare la domanda alla luce del criterio di imputazione speciale di cui all’art.2052 cod. civ.; sia, conseguentemente, nella parte in cui, in applicazione di quello generale di cui all’art.2043 cod. civ., ha addossato ad essa attrice l’onere di provare la colpa della pubblica amministrazione.
2.1. Secondo la Regione Marche, il ricorso proposto da M. M. – ma l’eccezione deve reputarsi indirizzata precipuamente ai primi due motivi di esso, oggetto dell’attuale esame – sarebbe inammissibile, in ragione della formazione del giudicato interno sulla qualificazione della domanda.
La controricorrente deduce, al riguardo, che la sentenza di primo grado aveva espressamente escluso l’applicabilità del criterio speciale di imputazione di cui all’art.2052 cod. civ., e l’attrice non solo non aveva impugnato tale statuizione con appello incidentale, ma, nella comparsa di costituzione in appello, aveva espressamente riaffermato che il titolo dell’invocata responsabilità dell’ente andava rinvenuto nell’art.2043 cod. civ.; pertanto, la presunzione di cui all’art. 2052 cod. civ., dopo «un inammissibile e tardivo richiamo in sede di comparsa conclusionale in appello» (p. 9, § “B” del controricorso), sarebbe stata invocata per la prima volta soltanto in sede di legittimità.
2.2. L’eccezione di giudicato interno sollevata dalla Regione è infondata, mentre sono fondati, nei termini che si vanno a precisare, i primi due motivi del ricorso per cassazione proposto da M. M..
2.2.a. Va premesso che, contrariamente a quanto sostenuto dall’ente controricorrente (pp.10-11 del controricorso), la presunzione di responsabilità di cui all’art.2052 cod. civ. trova effettivamente applicazione nelle fattispecie in cui si invoca il risarcimento dei danni cagionati dalla fauna selvatica.
In tal senso si è infatti pronunciata questa Corte in numerose decisioni (ex multis, Cass. 20/04/2020, n. 7969; Cass. 29/04/2020, n. 8384; Cass. 29/04/2020, n. 8385; Cass. 23/05/2020, n. 16550; Cass. 22/06/2020, n. 12113; Cass. 06/07/2020, n. 13848; Cass. 02/10/2020, n. 20997; Cass. 09/02/2021, n. 3023; Cass. 23/05/2022, n. 16550), con argomenti – cui può qui rinviarsi ai sensi dell’art. 118, primo comma, disp. att. cod. proc. civ. – i quali resistono alle obiezioni sollevate dalla Regione Marche nel controricorso e nella memoria.
2.2.a.I. Al riguardo, in particolare, non viene in rilievo l’invocata ordinanza n. 4 del 2001 della Corte costituzionale, con cui fu ritenuta non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2052 cod. civ., sollevata sul presupposto che, secondo l’interpretazione in allora prevalente, la norma fosse applicabile ai soli danni provocati da animali domestici e non anche a quelli causati dalla fauna selvatica.
Tale pronuncia escluse, in riferimento all’art.3 Cost., l’incostituzionalità dell’interpretazione restrittiva dell’art.2052 cod. civ., diretta a circoscriverne l’operatività a talune fattispecie, escludendone altre, ma non precluse la possibilità di una interpretazione estensiva, diretta ad espanderne l’ambito di applicazione, la quale, parificando quoad culpam tutti i proprietari di animali, domestici e selvatici, avrebbe, al contrario, prevenuto in radice la possibilità di violazione del principio di eguaglianza sotto il profilo della disparità di trattamento.
2.2.a.II. Sotto altro aspetto, non sembra condivisibile, al fine di escludere l’applicazione del criterio speciale di imputazione della responsabilità, l’affermazione secondo cui allo Stato – e non alle Regioni – spetterebbero i poteri sugli animali selvatici, posto che, al contrario, proprio la legge statale attribuisce alle Regioni a statuto ordinario il potere di emanare norme relative alla gestione e alla tutela della fauna selvatica (art. 1, comma 3, legge n. 157 del 1992).
2.2.a.III. Ancora, il rilievo secondo cui le Regioni non avrebbero potere sul singolo animale selvatico, oltre che essere inesatto (alla luce delle competenze relative all’allocazione e al controllo della fauna, attribuite all’ente regionale), non sembra comunque pertinente ai fini dell’applicazione, o meno, dell’art.2052 cod. civ., in quanto tale disposizione subordina la speciale responsabilità da essa contemplata alla proprietà dell’animale, non al potere o al controllo su di esso.
2.2.a.IV. Infine, l’esigenza di accedere ad una interpretazione estensiva dell’art.2052 cod. civ. trova conferma, nell’attuale contesto socio-economico, nella notoria situazione di incontrollata proliferazione della fauna selvatica, nella sua continua interferenza con la circolazione stradale e nel conseguente costante pericolo da essa provocato all’incolumità ed alla vita stessa delle persone; al riguardo, le rilevazioni statistiche pongono in evidenza come negli ultimi anni sia vertiginosamente aumentato il numero di sinistri provocati da animali selvatici, sicché la previsione di presupposti più rigorosi di responsabilità per i danni derivati da tali sinistri corrisponde alle accresciute istanze di tutela dei diritti fondamentali della persona alla vita e alla salute, prevalenti su qualsiasi contrapposto diritto od interesse.
2.2.b. Tanto premesso, tornando all’eccezione di giudicato interno sollevata dalla Regione sulla «natura extracontrattuale ex art. 2043 c.c. dell’invocata responsabilità», va rilevato che, in linea di principio, questa Corte ha in diverse occasioni riconosciuto che la qualificazione giuridica, operata dal giudice di primo grado e non impugnata in appello dalla parte interessata, è suscettibile di passare in giudicato, con conseguente preclusione della possibilità di invocare una diversa qualificazione in sede di legittimità.
2.2.b.I. Ciò è accaduto, ad es., nell’ipotesi in cui il giudice di primo grado abbia qualificato la responsabilità del convenuto come contrattuale (Cass.12/05/2023, n. 13037; Cass. 18/07/2008, n. 19938) o abbia qualificato un’opposizione esecutiva come “opposizione agli atti esecutivi” (Cass. 12/10/2022, n. 29763) o, ancora, abbia qualificato un’obbligazione come “obbligazione di valuta” (Cass. 30/09/2005, n. 19212) e tali statuizioni non siano state censurate in appello.
2.2.b.II. La regola secondo cui il giudicato possa formarsi anche sulla qualificazione giuridica non è tuttavia senza eccezioni; essa, infatti, trova dei limiti e il giudicato sulla qualificazione giuridica non si forma quando: a) la qualificazione giuridica data dal giudice di merito alla domanda «non ha condizionato l’impostazione e la definizione dell'indagine di merito» (Cass., Sez. Un., 09/06/2021, n. 16084, § 46 dei “Motivi della decisione”; Cass. 17/4/2019, n. 10745; Cass. 01/06/2018, n. 14077); b) l'appellante, pur non censurando la qualificazione giuridica adottata dal primo giudice, abbia formulato difese di merito incompatibili con essa (Cass., Sez. Un., 09/06/2021, n. 16084, cit., in motivazione; Cass. 04/02/2021, n. 2612; Cass. 12/04/2018, n.9048); c) la qualificazione giuridica di un rapporto non abbia formato oggetto di contestazione tra le parti (Cass. 21/02/2017, n. 4455; Cass. 08/05/2023, n. 12159, con riferimento proprio ad una fattispecie identica a quella oggetto dell’attuale esame).
2.2.b.III. Ipotesi diversa dalla qualificazione giuridica in senso proprio è quella in cui si tratti soltanto di stabilire, fermi i fatti accertati, quale norma debba applicarsi ad una determinata fattispecie. In questa ipotesi, il concetto stesso di giudicato non può trovare applicazione poiché, in virtù del principio iura novit curia, è sempre consentito al giudice – anche in sede di legittimità – «valutare d'ufficio, sulla scorta degli elementi ritualmente acquisiti, la corretta individuazione» della norma applicabile (ex multis, Cass. 05/03/2019, n. 6341). In applicazione di questo principio, non solo si è affermato, ad es., che, proposta impugnazione sulla questione della sospensione della prescrizione, la Corte di cassazione possa rilevare d’ufficio la norma applicabile all’individuazione del dies a quo (Cass. 03/10/2022, n. 28565; per una diversa fattispecie, ma in senso analogo, Cass. 18/02/2021, n. 4272); ma si è anche più volte ritenuto che possa prospettarsi per la prima volta in appello o, persino, in Cassazione la questione della norma disciplinante un determinato fatto illecito (Cass. 08/05/2015, n. 9294; Cass. 06/07/1973, n. 1920; Cass. 09/05/1964, n. 1103; Cass. 18/07/2011, n. 15724; Cass. 05/09/2005, n. 17764, con riferimento al danno da cose in custodia).
2.2.b.IV. Nel caso di specie, nessun “giudicato interno” può ritenersi formato sulla “qualificazione giuridica” della domanda, in quanto ricorre proprio l’ipotesi appena sopra illustrata, nella quale, fermi i fatti dedotti ed accertati, il giudice è chiamato ad individuare la norma applicabile alla fattispecie.
In primo luogo, infatti, lo stabilire se la domanda proposta dall’attrice debba decidersi applicando l’art. 2043 cod. civ. o l’art. 2052 cod. civ. costituisce, non già una questione di qualificazione giuridica della domanda (la quale resta invariata nell’uno come nell’altro caso: il risarcimento del danno da fatto illecito), bensì una questione di individuazione della norma applicabile, da risolvere in base al principio iura novit curia.
In secondo luogo, l’individuazione della disciplina applicabile (ius) non comporta una immutazione della fattispecie (factum), la quale rimane cristallizzata in quella originariamente dedotta (danno cagionato da animale selvatico appartenente ad una specie protetta rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato); pertanto, se, da un lato, nella scelta della regola applicabile, il giudice non pone in essere una qualificazione della domanda, ma esercita il proprio potere di rendere alla fattispecie la sua disciplina, dall’altro lato, nell’esercizio di questo potere, anche se svolto su sollecitazione della parte (che invoca l’applicazione di una disciplina più favorevole), il giudice non trova limite nel giudicato eventualmente formatosi sulla fattispecie poiché l’applicazione della regola speciale di cui all’art.2052 cod. civ., in luogo di quella generale di cui all’art.2043 cod. civ., non implica, nel caso concreto, una immutazione degli elementi di fatto costitutivi della fattispecie medesima, come dedotti ed accertati, ma soltanto un diverso giudizio sul riparto dell’onere della prova e, quindi, la correzione di un error in procedendo, come tale immune alla formazione del giudicato sostanziale.
In terzo luogo, se dall’angolo visuale del potere del giudice di individuazione della norma applicabile alla fattispecie, si passa a quello della parte che sollecita l’esercizio di tale potere in funzione dell’applicazione di una disciplina più favorevole, si ha che, nella vicenda in esame, l’attrice, nell’invocare l’applicazione di un criterio speciale di imputazione della responsabilità (oggettiva o aggravata che sia) in luogo di quello generale, si è limitata a formulare un’istanza alternativa rispetto alla domanda originaria, senza modificare i fatti posti a suo fondamento. Non sussisteva, pertanto, alcuna preclusione al riguardo, in quanto questa Corte, nel suo massimo consesso (Cass., Sez. Un., 15/06/2015, n.12310), prendendo posizione sui concetti di “domanda nuova”, “domanda precisata” e “domanda modificata”, non solo ha statuito che la modifica della domanda è sempre ammissibile quando riguardi la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’atto introduttivo o, comunque, sia con questa collegata o connessa, quanto meno per alternatività (p.22 della motivazione); ma, prima ancora, ha osservato, in termini più generali, che non si pone mai una questione di novità della domanda dinanzi ad una «mera diversa qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, per la quale neppure sarebbe necessaria un'apposita previsione e addirittura la concessione di termini e controtermini» (p.21 della motivazione).
2.2.c. Esclusa la fondatezza dell’eccezione di giudicato interno sulla qualificazione della domanda – ed escluso, conseguentemente, che fosse precluso all’attrice o inibito al giudice, rispettivamente, di invocare (persino in sede di legittimità e, dunque, a fortiori, in sede di comparsa conclusionale in appello) ed applicare (anche officiosamente) il criterio speciale di imputazione di responsabilità in luogo di quello generale originariamente invocato e applicato – si conferma l’erroneità in iure della sentenza impugnata sia nella parte in cui ha ritenuto preclusa la delibazione della domanda ai sensi dell’art. 2052 cod. civ., sia, nella parte in cui, facendo invece indebita applicazione dell’art.2043 cod. civ., ha addossato all’attrice l’onere di provare la colpa della pubblica amministrazione.
In proposito, non coglie nel segno l’eccezione sollevata dalla Regione controricorrente, secondo la quale il giudice di appello avrebbe delibato la domanda anche ai sensi dell’art. 2052 cod. civ. e l’avrebbe rigettata in ragione del mancato superamento, da parte dell’attrice-appellata, della presunzione di cui all’art.2054, primo comma, cod. civ., per non avere essa dato la prova della speciale prudenza osservata nella condotta di guida, nonché della inevitabilità dell’impatto con l’animale (pp.13-14 del controricorso).
2.2.c.I. Questa statuizione – che, secondo la prospettazione dell’eccipiente, avrebbe costituito una autonoma ratio decidendi idonea a sorreggere il dispositivo di rigetto della domanda attorea – deve, in realtà, considerarsi tamquam non esset, in quanto emessa, ad abundantiam, dopo che il giudicante si era spogliato del potere di delibare la questione dell’applicabilità dell’art.2052 cod. civ., avendola ritenuta inammissibile per non incorrere nel vizio di ultra- petizione.
2.2.c.II. Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, hanno già in epoca ormai risalente affermato – e più volte successivamente ribadito – che, ove in una sentenza, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), siano state impropriamente inserite argomentazioni sul merito della controversia, la parte soccombente non ha l’onere di (né l’interesse ad) impugnarle, poiché tali ulteriori statuizioni sono state emesse dal giudice dopo essersi spogliato della “potestas iudicandi” (Cass., Sez. Un., 20/02/2007, n. 3840; Cass., Sez. Un., 17/06/2013, n. 15122; Cass., Sez. Un. 27/11/2019, n.31024 Cass., Sez. Un., 01/02/2021, n. 2155; tra le pronunce a Sezione semplice cfr. Cass.16/06/2020, n. 11675; Cass. 19/9/2022, n. 27388; Cass. 04/01/2023, n.155).
2.2.c.III. Alla luce di questo consolidato principio, la statuizione sul merito di una domanda, resa ad abundantiam dopo che la stessa è stata dichiarata inammissibile con una pronuncia sul rito, non produce alcun effetto e deve ritenersi come mai avvenuta, sicché, nella vicenda in esame, la ricorrente era onerata di impugnare per cassazione, non già la (inefficace e, persino, inesistente) decisione di merito concernente il mancato superamento della presunzione di cui all’art. 2054, primo comma, cod. civ., ma la (esistente ed efficace) statuizione sul rito predicativa dell’inammissibilità della delibazione della domanda ai sensi dell’art.2052 cod. civ.; impugnazione che è stata puntualmente proposta.
2.2.d. Nondimeno il Collegio, anche al fine di prevenire ulteriore contenzioso, ritiene doveroso rilevare come sia erronea in punto di diritto la suddetta statuizione di merito del Tribunale, nella parte in cui afferma che, nel caso di sinistri stradali causati da fauna selvatica, il giudicante debba dapprima accertare se il danneggiato abbia fatto tutto il possibile per evitare il sinistro, sicché, solo dopo che sia stata fornita tale prova, scatterebbe la presunzione di colpa di cui all’art. 2052 cod. civ. a carico del proprietario dell’animale.
Questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato che nel caso di sinistro stradale causato da un animale, la presunzione di responsabilità a carico del conducente del veicolo, di cui all’art. 2054, primo comma, cod. civ., concorre con (ma non prevale su) la presunzione di responsabilità a carico del proprietario dell’animale, stabilita dall’art.2052 cod. civ. (Cass. 23/05/2022, n. 16550; Cass. 07/03/2016, n. 4373; Cass. 09/01/2002, n. 200; Cass. 27/06/1997, n. 5(omissis)3; Cass. 19/04/1983, n. 2717; Cass. 05/02/1979, n. 7(omissis); Cass. 09/12/1970, n. 2615; Cass. 08/09/1970, n. 1356; Cass. 28/07/1969, n. 2875).
Anche al di fuori della materia dei sinistri stradali, del resto, questa Corte ha ammesso il concorso, nel caso di responsabilità per danni da rovina di edificio, tra la presunzione a carico del proprietario ex 2053 cod. civ., e quella a carico del conduttore ex 1218 cod. civ. (Cass. 12/07/1962, n. 1860).
Ne discende che: se solo uno dei soggetti interessati superi la presunzione posta a suo carico, la responsabilità graverà sull'altro soggetto; se tutti e due vincono la presunzione di colpa, ciascuno andrà esente da responsabilità; se nessuno dei due raggiunga la prova liberatoria, la responsabilità graverà su entrambi in pari misura (Cass. 27/06/1997, n. 5(omissis)3).
2.2.e. Devono dunque affermarsi i seguenti principi:
“lo stabilire se un fatto illecito sia disciplinato dall’art. 2043 cod. civ. o dall’art. 2052 cod. civ., quando non vi sia mutamento dei fatti costitutivi della domanda, è questione di individuazione della norma applicabile e non di qualificazione giuridica della domanda, e può essere prospettata per la prima volta anche nel grado di appello”;
“la responsabilità della pubblica amministrazione per i danni provocati dalla fauna selvatica è disciplinata dall’art. 2052 cod. civ., norma applicabile non solo agli animali domestici ma anche alle specie selvatiche protette ai sensi della legge n. 157 del 1992, le quali rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema”;
“nel caso di sinistro stradale causato da un animale selvatico, la presunzione di responsabilità a carico del conducente del veicolo, ex art. 2054, primo comma, cod. civ., concorre con (ma non prevale su) la presunzione di responsabilità a carico della pubblica amministrazione per il danno cagionato dall’animale, ex art.2052 cod. civ.; pertanto: a) se solo uno dei soggetti interessati superi la presunzione posta a suo carico, la responsabilità graverà sull'altro soggetto; b) se entrambi vincono la presunzione di colpa, ciascuno andrà esente da responsabilità; c) se nessuno dei due raggiunga la prova liberatoria, la responsabilità graverà su entrambi in pari misura”.
2.2.f. Accertata l’erroneità in iure della sentenza impugnata (sia nella parte in cui ha ritenuto inammissibile l’applicazione dell’art. 2052 cod. civ, sia nella parte in cui ha indebitamente applicato alla fattispecie l’art.2043 cod. civ.) e rilevata l’infondatezza delle eccezioni sollevate dalla Regione, i primi due motivi di ricorso – congiuntamente esaminati – devono essere accolti.
3. Con il terzo e il quarto motivo vengono denunciate, rispettivamente, la violazione dell’art.132 cod. proc. civ. e quella degli artt.115 e 116 cod. proc. civ..
La sentenza impugnata sarebbe viziata, da un lato, per apparenza della motivazione e, dall’altro, per avere posto a fondamento della decisione favorevole alla Regione prove da questa non dedotte, omettendo, per contro, di considerare le prove contrarie dedotte dall’attrice.
3.1. Il terzo e il quarto motivo restano assorbiti dall’accoglimento dei primi due.
4. In conclusione, devono essere accolti i primi due motivi di ricorso, devono dichiararsi assorbiti il terzo e il quarto e deve essere rigettato il quinto.
La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa al Tribunale di Macerata, in persona di diverso magistrato, che rinnoverà l’esame nel merito della domanda risarcitoria proposta da M. M., attenendosi agli enunciati principi.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità (art. 385, terzo comma, cod. proc. civ.).
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti il terzo e il quarto e rigetta il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa al Tribunale di Macerata, in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.