Quando viene adottato un unico atto di esclusione del socio di cooperativa e di risoluzione del suo rapporto di lavoro, l'avvenuta impugnazione della delibera di esclusione consente l'applicazione della tutela “restitutoria” propria della disciplina delle cooperative.
Svolgimento del processo
1.- In data 01/08/2006 F. M. era stata ammessa come socia lavoratrice della società ed assunta con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con mansioni di impiegata amministrativa, presso la sede di (omissis).
Deduceva che il rapporto di lavoro si era regolarmente svolto fino al gennaio 2015, epoca in cui, senza motivo, era stata estromessa dal posto di lavoro, né era stata riammessa in Servizio nonostante le sue reiterate richieste. Assumeva che tale situazione di inattività era durata sino al 28/09/2017, data in cui aveva inviato una diffida chiedendo l’immediata riammissione in Servizio. Precisava che invece in data 31/10/2017 le era stata comunicata la delibera di risoluzione del rapporto associativo e di lavoro.
2.- La F. impugnava entrambi gli atti e chiedeva la declaratoria di nullità per il loro carattere ritorsivo rispetto alla sua volontà di non soggiacere all’estromissione di fatto operata dalla cooperativa nel gennaio 2015, con conseguente condanna della cooperativa a ricostituire sia il rapporto associativo, sia il rapporto di lavoro e a pagare tutte le retribuzioni medio tempore maturate; in subordine, chiedeva l’annullamento per illegittimità sia della delibera di esclusione, sia del licenziamento con conseguente condanna della cooperativa a ricostituire retroattivamente sia il rapporto associativo, sia il rapporto di lavoro e a pagare tutte le retribuzioni medio tempore maturate; in ulteriore subordine chiedeva la declaratoria di illegittimità del solo licenziamento e l’accertamento del suo conseguente diritto al risarcimento del danno nella misura massima di dieci mensilità di cui alla legge n. 604/1966.
3.- il Tribunale di Alessandria, in parziale accoglimento della domanda, dichiarava illegittimo il licenziamento per insufficiente prova del fatto oggettivo addotto a giustificazione e ai sensi dell’art. 18, co. 5^, L. n. 300/1970, condannava la cooperativa a pagare solo l’indennità risarcitoria pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione di fatto, compensava un terzo delle spese e condannava la Cooperativa a rimborsare alla F. i residui due terzi.
4.- Adìta dalla cooperativa con appello principale e dalla F. con appello incidentale, la Corte d’Appello di Torino, con la sentenza in epigrafe, in parziale accoglimento di entrambi i gravami, dichiarava illegittima la delibera di esclusione e rideterminava le spese di primo grado per l’intero in euro 7.025,00.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) con il primo motivo di appello incidentale, da esaminarsi prioritariamente per ragioni di ordine logico, la F. ribadisce la natura ritorsiva del licenziamento, a suo dire dimostrata dalla successione degli eventi (illegittima estromissione dal posto di lavoro nel gennaio 2015, sua richiesta di rientrare in Servizio a settembre 2017, licenziamento dopo soli quindici giorni);
b) il motivo è infondato, poiché l’onere della prova della natura ritorsiva del licenziamento è a carico del lavoratore e la F. non lo ha assolto, non avendo allegato né dedotto a prova le ragioni, asseritamente illegittime, per le quali è stata allontanata dal posto di lavoro a gennaio 2015 e non più riammessa in Servizio per oltre due anni, pur continuando a percepire la retribuzione (circostanza pacifica);
c) è invece fondato il secondo motivo di appello incidentale, con cui la lavoratrice lamenta che il Tribunale ha respinto la sua domanda di accertamento dell’illegittimità della delibera di esclusione da socia senza alcuna motivazione, né in fatto né in diritto;
d) la delibera di esclusione è illegittima, poiché essa fa riferimento a ragioni oggettive, quali la necessità di “rivedere l’organizzazione aziendale” in conseguenza della “risoluzione di alcuni contratti in essere relativi a lavori presso i siti di …”, che avrebbe condotto la cooperativa ad “adottare provvedimenti che comportano sensibili ridimensionamenti” A.;
e) diversamente, i casi di esclusione del socio sono indicati nell’art. 2533 c.c. che dopo aver rinviato alle ipotesi nell’atto costitutivo, elenca fattispecie che conseguono a condotte del socio, ovvero a suoi stati (come interdizione, inabilitazione, fallimento etc.), tutti riconducibili alla persona del socio, ma non anche a ragioni di difficoltà economiche o a esigenze riorganizzative;
f) anche nello statuto di GSA non sono previsti casi di esclusione per ragioni riconducibili a sofferenza di natura economica oppure organizzativa della cooperativa;
g) quindi la delibera di esclusione deve essere dichiarata illegittima;
h) l’appello principale è fondato unicamente in punto di liquidazione delle spese processuali.
5.- Avverso tale sentenza F. M. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
6.- G. S. A. Soc. coop. in liquidazione non si è costituita ed è rimasta intimata.
7.- La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione o falsa applicazione” degli artt. 1218, 1324, 1345, 1375, 1418, 2697, 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto non allegato né provato il motivo ritorsivo e, quindi, per avere rigettato la domanda di declaratoria di nullità sia del licenziamento, sia della delibera di esclusione. In particolare lamenta che la Corte d’appello, con errore metodologico, non sia partita proprio dall’insussistenza della causale posta a fondamento del recesso, quale primo e più grave indizio della sua natura ritorsiva.
Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
Il motivo è inammissibile laddove tende a sollecitare una nuova e diversa valutazione degli indizi da parte di questa Corte, attività esclusa nel giudizio di legittimità perché riservata al giudice del merito.
Il motivo è, in parte, infondato, poiché l’insussistenza (o la mancata prova) del fatto posto a base del licenziamento può essere un indizio della sua ritorsività, ma ritenuto non sufficiente a dimostrare l’eventuale motivo ritorsivo. Quest’ultimo, infatti, per determinare la nullità negoziale ex art. 1345 c.c. deve essere esclusivo e determinante e, quindi, deve essere dimostrato “in positivo”.
Sul piano metodologico la Corte territoriale ha seguito il procedimento corretto: sulla base del convincimento del Tribunale – confermato in appello – della mancata prova del fatto posto a giustificazione del licenziamento, è andata alla ricerca delle allegazioni e della relativa prova della sua natura ritorsiva, quest’ultima astrattamente configurabile proprio in virtù dell’inesistenza (o della mancata prova) del fatto giustificativo del recesso datoriale. Ed ha infine ritenuto che tali oneri di allegazione e prova, a carico della lavoratrice, non fossero stati assolti.
La valutazione espressa dalla Corte territoriale circa alcuni elementi ritenuti a tal fine insufficienti è insindacabile in sede di legittimità, qualora – come nella specie – il convincimento sia stato adeguatamente motivato con riferimento a specifiche circostanze (come ad esempio il fatto che per ben due anni la F. non avesse avanzato alcuna richiesta di riammissione in Servizio e ciononostante avesse continuato a percepire la retribuzione).
2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione o falsa applicazione” degli artt. 2526, 2527 c.c. e della legge n. 142/2001 come modificata dalla legge n. 30/2003 per avere la Corte territoriale omesso di applicare la tutela reale restitutoria propria dell’illegittimità della delibera di esclusione oltre che del licenziamento.
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente lamenta l’omessa pronunzia su un capo di domanda, in violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché l’incompleta trascrizione delle conclusioni dell’appello incidentale, in violazione dell’art. 132, co. 1, n. 3) c.p.c.
In particolare addebita alla Corte territoriale di avere omesso la pronunzia sulla domanda relativa agli effetti derivanti dall’accertata illegittimità della delibera di espulsione e di licenziamento.
I due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono fondati.
Secondo i principi di diritto affermati da questa Corte in funzione nomofilattica (Cass. sez. un. n. 27436/2017), mentre la mancata impugnazione della delibera di esclusione impedisce di applicare la tutela reale a seguito dell’impugnazione del solo licenziamento pur illegittimo; per converso, l’avvenuta impugnazione della delibera di esclusione consente di applicare la tutela “restitutoria” propria della disciplina delle cooperative, sicché, annullata la predetta delibera, il giudice deve ordinare il ripristino sia del rapporto associativo, sia di quello di lavoro.
Al riguardo va infatti ribadito che l’estinzione del rapporto di lavoro del socio di società cooperativa può derivare dall'adozione della delibera di esclusione, di cui costituisce conseguenza necessitata ex lege, o dall'adozione di un ulteriore e formale atto di licenziamento. Solo in quest'ultimo caso, in presenza dei relativi presupposti, vi sarà spazio per l'esplicazione delle tutele connesse alla cessazione del rapporto di lavoro: soltanto la tutela risarcitoria, ai sensi dell'art. 8 della legge n. 604/1966, in caso di perdita della qualità di socio per effetto di delibera di espulsione non impugnata o in caso di rigetto dell'opposizione avverso la stessa, proposta ai sensi dell'art. 2533 c.c.; la tutela obbligatoria o quella reale, nell'ipotesi di adozione di un provvedimento di licenziamento in assenza di delibera di espulsione (Cass. n. 35341/2021).
Nel caso di specie, essendo stato adottato un unico atto di esclusione della socia e di estinzione del relativo rapporto di lavoro, l’annullamento dell’esclusione determina la conseguente tutela ripristinatoria di entrambi i rapporti giuridici, quello societario e quello di lavoro, visto il collegamento “unidirezionale” fra i due rapporti come delineato dalla legge n. 142/2001 (Cass. sez. un. n. 27436 cit.).
Quindi risulta fondata la censura relativa alla mancata applicazione degli artt. 2 e 5, co. 2, L. n. 142/2001.
L’art. 5, co. 2, L. cit. dispone: “Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile …”. Alla luce di tale norma l’esclusione del socio è atto sufficiente ad estinguere entrambi i rapporti (associativo e di lavoro), mentre non accade il contrario, ossia il recesso estingue solo il rapporto di lavoro, dando luogo alla figura del c.d. socio inerte (v. Cass. sez. un. n. 27436 cit.).
Con tale norma, dunque, il legislatore ha inteso attribuire alla delibera di esclusione una duplice efficacia, estintiva sia del rapporto associativo, sia di quello di lavoro. Ciò non esclude, tuttavia, che il rapporto di lavoro possa essere in concreto estinto da un diverso, distinto ed ulteriore, sia pure coevo, atto, quello di licenziamento. Anche in tal caso, se è stato impugnato (anche) l’atto di esclusione, il regime di tutela applicabile è quello proprio della cooperativa, tanto è vero che l’art. 2, co. 1, L. n. 142/2001 espressamente dichiara applicabili ai soci lavoratori l’intera legge n. 300/1970, ad esclusione appunto dell’art. 18 relativo al sistema di impugnazione del licenziamento e ai regimi di tutela. Ciò sul presupposto essenziale dell’avvenuta impugnazione di entrambi gli atti, come nel caso in esame.
Quindi, come ha precisato Cass. sez. un. n. 27436/2017, va applicata la tutela “restitutoria” propria della disciplina delle cooperative, sicché, annullata la delibera di esclusione, il giudice deve ordinare il ripristino del rapporto associativo e di quello di lavoro.
Sul piano risarcitorio, tuttavia, si applica il regime civilistico e non quello dettato dall’art. 18 L. n. 300/1970, norma quest’ultima espressamente esclusa dall’art. 2, co. 1, L. n. 142 cit. Quindi spettano certamente le retribuzioni perdute, quale lucro cessante, ma a decorrere dalla costituzione in mora.
Ne consegue che la Corte territoriale, dichiarata illegittima la delibera di esclusione, doveva trarre tutte le conseguenze, ivi compresa l’invocata tutela ripristinatoria dei due rapporti (associativo e di lavoro), visto che la domanda di tutela restitutorio/ripristinatoria effettivamente era stata avanzata e riproposta anche in sede di appello incidentale, in via subordinata rispetto alla domanda principale di declaratoria di nullità per ritorsività.
3.- Con il quarto motivo, logicamente proposto in via subordinata ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente lamenta l’omessa pronunzia su un capo di domanda, in violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché l’incompleta trascrizione delle conclusioni dell’appello incidentale, in violazione dell’art. 132, co. 1, n. 3) c.p.c.
In particolare addebita alla Corte territoriale di avere omesso la pronunzia sulla domanda relativa agli effetti derivanti dall’accertata illegittimità del licenziamento pure nel caso di ritenuta legittimità della delibera di esclusione. In relazione a tale motivo non vi è dovere di pronunzia, atteso che la condizione alla quale la predetta domanda era (ed è) subordinata non si è verificata.
4.- La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio, affinché sia decisa anche la domanda di tutela ripristinatoria dei due rapporti, associativo e di lavoro, in conseguenza dell’accertata illegittimità della delibera di esclusione, uniformandosi al seguente principio di diritto:
“1) qualora sia adottato un unico atto di esclusione del socio di cooperativa e di risoluzione del suo rapporto di lavoro, l’avvenuta impugnazione della delibera di esclusione consente di applicare la tutela “restitutoria” propria della disciplina delle cooperative, sicché, annullata la predetta delibera, il giudice deve ordinare il ripristino sia del rapporto associativo, sia di quello di lavoro;
2) in tal caso la tutela risarcitoria relativa al rapporto di lavoro non è quella prevista dall’art. 18 L. n. 300/1970, bensì quella della disciplina civilistica comune delle obbligazioni e dei contratti, sicché il danno si configura e può essere liquidato soltanto dalla costituzione in mora”.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo ed il terzo, dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, per la decisione del merito in relazione ai motivi accolti, nonché per la regolazione delle spese anche del giudizio di legittimità.