Svolgimento del processo
1. – Per quanto ricostruibile dagli atti di causa, l’avvocato B.G. svolse attività di assistenza legale a favore del Fallimento P. s.r.l. nel giudizio promosso contro gli amministratori della società fallita per responsabilità ex art. 146 l.fall., conclusosi con la condanna in solido di due di essi al pagamento della somma di circa 550.000,00 euro (poi ridotti in appello a 37.000,00 euro) e di uno di essi al pagamento della somma di circa 331.000,00 euro, cui seguì l’incasso effettivo da parte della curatela fallimentare di circa 131.000,00 euro, di cui 37.000,00 a titolo risarcitorio ed il residuo per spese processuali.
1.1. – L’avvocato chiese quindi la liquidazione dei propri compensi in misura corrispondente a quella giudiziale.
1.2. – Il Curatore prospettò al giudice delegato un addebito di negligenza del legale e propose una rideterminazione del compenso tenuto conto del danno subito dalla massa dei creditori.
1.3. – Il giudice delegato liquidò il compenso “come da proposta del curatore” nella misura di euro 25.269,00 (oltre spese e accessori di legge) e l’avvocato propose reclamo ex art. 26 l.fall.
1.4. – Con il decreto indicato in epigrafe, il Tribunale di Brescia ha accolto il reclamo, disattendendo l’eccezione di inadempimento sollevata dalla curatela fallimentare in relazione alla «mancata corretta indicazione della data di cessazione dalla carica di amministratore» – poiché farne decorrere o meno gli effetti dall’iscrizione nel registro imprese integra una mera “opzione ermeneutica” – e ritenendo che sull’entità dei compensi si fosse formato il giudicato con riguardo ai due gradi del giudizio di merito (mentre in sede di legittimità le spese erano state compensate, stante il rigetto sia del ricorso principale che di quello incidentale). Pertanto, ha provveduto alla seguente riliquidazione: «a) euro 1.180,00 per esborsi ed euro 30.000 per compensi, oltre accessori di legge (se dovuti) per il primo grado (comprensivo della fase cautelare ante causam); b) euro 13.560,00 per compensi oltre accessori di legge (se dovuti) per il giudizio di cognizione di secondo grado; c) euro 1.266,00 per compensi oltre spese generali 15% ed accessori di legge (se dovuti) per l’intervento nella procedura esecutiva immobiliare; d) euro 886,00 per compensi oltre accessori di legge (se dovuti) per la redazione e la notifica dell’atto di precetto e dell’atto di pignoramento indicati in ricorso; fermo per il resto il provvedimento impugnato».
2. – Avverso detto decreto l’avvocato B.G. propone ricorso straordinario per cassazione affidato ad otto motivi, cui il Fallimento P. s.r.l. resiste con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale in tre mezzi, illustrato da memoria, cui il ricorrente replica con controricorso.
Motivi della decisione
2.1. – Con il primo motivo il ricorrente principale si duole che il tribunale in sede di reclamo ex art. 26 l.fall. abbia modificato d’ufficio alcuni capi della liquidazione che nessuna delle parti aveva contestato (rimborso spese generali relative ad alcune parcelle), così ampliando il thema decidendum nonostante la preclusione endoprocedimentale propria di un giudizio di tipo impugnatorio.
2.2. – Il secondo mezzo denunzia la violazione del principio per cui il giudice delegato, «nel provvedere ai sensi dell’art. 25 n. 4 l.f., non può liquidare il compenso del legale del fallimento in misura inferiore a quello liquidato dal giudice di merito a favore del fallimento ed a questo pagato dal soccombente», pena il verificarsi di una ingiusta locupletazione della procedura (Cass. 4269/2016).
2.3. – Il terzo lamenta la violazione dell’art. 13, comma 10, l. n. 247 del 2012 e dell’art. 2, d.m. 55/2014, laddove è stata esclusa «la debenza del rimborso forfettario delle spese generali (calcolato in percentuale sui compensi liquidati)», che spetta al difensore automaticamente, anche senza allegazione specifica né espressa menzione in dispositivo.
2.4. – Il quarto deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., per avere il tribunale negato il rimborso forfettario sui compensi relativi al giudizio d’appello solo perché la relativa sentenza, passata in giudicato, non ne disponeva la liquidazione, potendo il giudicato fare stato solo tra le parti, i loro eredi e gli aventi causa, non anche il loro difensore.
2.5. – Il quinto mezzo lamenta l’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., costituito dal maggior importo che la parte soccombente aveva corrisposto alla procedura a titolo di spese processuali (Cass. 4269/2016).
2.6. – Il sesto censura l’omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. sulla richiesta di rimborso delle “spese vive” sostenute dal legale.
2.7. – Il settimo motivo denuncia violazione dell’art. 6, l. n. 247 del 2012, per avere il tribunale effettuato una liquidazione omnicomprensiva senza indicare le varie fasi né lo scaglione applicato, benché, anche applicando i minimi, il risultato sarebbe doppio di quanto immotivatamente disposto, in aggiunta alla mancata pronuncia sulle spese anticipate e documentate.
2.8. – L’ottavo mezzo lamenta la violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. «per mancata indicazione delle ragioni che hanno determinato la liquidazione fatta delle spese della procedura di reclamo a favore del ricorrente».
3. – Stante la loro parziale connessione, vengono di seguito indicati anche i motivi del ricorso incidentale.
3.1. – Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 25, comma 1, n. 6) l.fall., con riguardo all’affermazione che sull’entità del compenso spettante al legale del Fallimento si sarebbe formato il giudicato in sede di liquidazione delle spese processuali, non rientrando l’avvocato nel novero dei soggetti nei cui confronti fa stato la sentenza passata in giudicato.
3.2. – Il secondo mezzo del ricorso incidentale deduce l’omessa applicazione degli artt. 2233 c.c., nonché 4 e 5 d.m. 55/2014 e, ove ritenuto, dell’art. 5 d.m. 127/2004, sul rilievo che diverso è il titolo della liquidazione dei compensi – nel rapporto tra cliente (Fallimento) e professionista, il contratto di prestazione d’opera, con rinvio alle tariffe professionali; nel rapporto tra parte soccombente e parte vittoriosa (Fallimento), il principio di causalità – e di conseguenza diversi sono le fonti normative che ne disciplinano la liquidazione (da un lato, gli artt. 5, comma 3, d.m. 127/2004 e 4 d.m. 55/2014; dall’altro, gli artt. 5, comma 1, d.m. 127/2004 e 5, d.m. 55/2014).
3.3. – Il terzo lamenta l’omesso esame di fatto decisivo e l’omessa applicazione degli artt. 1176, comma 2, 2236 e 1460 c.c., con riguardo alla dedotta negligenza del legale nell’espletamento del mandato, per l’incertezza ingenerata circa l’efficacia temporale delle dimissioni di uno degli amministratori.
4. – Il ricorso principale va complessivamente accolto, mentre quello incidentale va sostanzialmente respinto, previa parziale correzione della motivazione sulla quale il tribunale ha fondato la decisione.
5. – La questione fondamentale posta da entrambi i ricorrenti è quella veicolata, con argomentazioni opposte, dai motivi secondo, quarto e quinto del ricorso principale e dai primi due motivi del ricorso incidentale.
5.1. – In linea di principio, il provvedimento di liquidazione del compenso al difensore che abbia assistito in una causa la curatela fallimentare, adottato dal giudice delegato ai sensi dell’art. 25, n. 7) l.fall. con un provvedimento di natura giurisdizionale, e non già meramente ricognitiva (Cass. 8742/2016), risponde ad esigenze specifiche della procedura ed è perciò autonomo rispetto alla statuizione sulle spese adottata dal giudice di quella causa, ai sensi dell'art. 91 c.p.c.
5.2. – Risponde infatti ad un principio consolidato che la misura degli onorari dovuti dal cliente al proprio avvocato prescinde dalle statuizioni del giudice contenute nella sentenza che condanna la controparte alle spese e agli onorari di causa, in quanto deve essere determinata in base a criteri differenti da quelli che regolano la liquidazione delle spese fra le parti (quali, tra gli altri, risultato e altri vantaggi non patrimoniali). Ciò dipende dal diverso fondamento dell'obbligo di pagamento degli onorari, che mentre per il cliente sorge dal contratto di prestazione d'opera, per la parte soccombente risiede nel principio di causalità, con conseguente «inefficacia nei confronti dell'avvocato della sentenza che ha provveduto alla liquidazione delle spese, in quanto non parte del giudizio» (Cass. 25992/2018; conf. Cass. 1264/1999, 11448/1992).
Se dunque è vero che il cliente e` comunque obbligato a corrispondere gli onorari e i diritti all'avvocato da lui nominato, è pur vero che la determinazione del relativo ammontare non deve conformarsi alla pronuncia giudiziale sulle spese relative alla causa cui il compenso è riferito, perché, appunto, l’avvocato non e` parte del relativo giudizio.
5.3. – Tale principio vale anche dopo il passaggio dal sistema tariffario a quello dei parametri, con l’entrata in vigore della l. n. 247 del 2012, il cui art. 13, qualora il compenso sia liquidato dal giudice per mancata pattuizione per iscritto tra cliente e avvocato, ne ragguaglia la determinazione non già al principio di causalità`, che governa le statuizioni sulle spese contenute nel provvedimento definitorio del giudizio, bensì ai parametri allegati al d.m. n. 55 del 2014, ossia alle caratteristiche dell'urgenza e del pregio dell'attività` prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti dal numero e della complessità` delle questioni giuridiche e di fatto trattate (Cass. n. 25992/18).
5.4. – Il fatto che l’avvocato non sia parte del giudizio che ha contrapposto il proprio cliente (nella specie la curatela fallimentare) alla controparte non consente allora – diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata e nel ricorso principale – che il passaggio in giudicato delle statuizioni concernenti le spese processuali ne determini l’irretrattabilità` nei suoi confronti, essendo viceversa ben possibile che il compenso liquidato dal giudice delegato al difensore della curatela sia inferiore (o superiore) a quanto disposto in favore di quest’ultima con la sentenza conclusiva del giudizio.
5.5. – Tuttavia, si è detto in Cass. 4269/2016 (invocata tanto dal giudice a quo quanto dal ricorrente principale), ove poi detta sentenza passi in giudicato e il maggiore importo riconosciuto a titolo di spese processuali in favore della curatela riceva una fruttuosa esecuzione, il difensore può invocare quella decisione come titolo per ottenere l'eventuale maggior somma che gli compete per l'opera prestata e che, se incamerata dal cliente, ne determinerebbe un'ingiusta locupletazione.
5.6. – Ritiene il Collegio che, per essere condivisibile il precedente appena citato va interpretato nel modo seguente.
Il passaggio in giudicato delle statuizioni sulle spese processuali ha l’effetto – più limitato rispetto a quanto ritenuto dal giudice a quo e sostenuto dal ricorrente principale – di rendere indiscutibile solo la determinazione del valore della causa trattata, cui associare la valutazione del pregio dell’opera prestata e del risultato ottenuto dal professionista, alla stregua della disciplina applicabile ratione temporis (segnatamente, l’art. 6 del d.m. n. 127 del 2004 all’epoca dei fatti oggetto del giudizio definito da Cass. 4269/2016, e successivamente l’art. 5 del d.m. n. 55 del 2014). Ciò proprio per le ragioni chiarite da questa Corte con la sentenza richiamata, posto che, fino al giudicato, per la determinazione del valore da assumere a base del provvedimento di liquidazione non e` possibile aver riguardo al valore effettivo della causa trattata, sul quale appunto incide anche l'esito delle domande.
Le conseguenze di una liquidazione processuale delle spese maggiore rispetto alla liquidazione del giudice delegato sono invece circoscritte al fatto che il professionista può` invocare la decisione come titolo per ottenere la maggior somma che gli compete per l'opera prestata solo nella misura in cui essa, in quanto effettivamente acquisita alla massa fallimentare, ne determinerebbe altrimenti una ingiusta locupletazione.
E la sede per farlo e` proprio il procedimento di reclamo ex art. 26 l.fall., ove, in caso di contestazione, va svolto l’accertamento dei crediti derivanti dalle liquidazioni di compensi, a norma dell’art. 111-bis l.fall.
5.7. – Deve però aggiungersi che il difensore non è tenuto a dare la prova della ricezione dei maggiori importi liquidati in sede giudiziale da parte della curatela fallimentare, poiché altrimenti il suo diritto resterebbe ancorato alla circostanza – di cui il curatore non e` nemmeno tenuto a dargli comunicazione – che quelle somme siano state o meno versata dalla controparte, spontaneamente o all’esito di azioni esecutive, con evidente rischio di pregiudizio al diritto di azione e di difesa, visti gli stringenti termini posti dal legislatore per la proposizione del reclamo ex art. 26 l.fall.
5.8. – Inoltre va sottolineato che la locupletazione qui in rilievo corrisponde a un impoverimento indiretto del difensore, poiché manca un nesso di causalità diretto fra la prestazione da lui svolta – remunerata dalla liquidazione giudiziale secondo il principio di causalità` e posta a carico della parte soccombente, ossia della controparte – e l’arricchimento, che va a vantaggio della massa, ossia della parte difesa; infatti, le somme incamerate dalla massa, versate dalla controparte, remunerano la prestazione di un terzo, quale è il difensore di chi le riceve (sull’estensione della tutela da ingiustificato arricchimento alle ipotesi in cui l’arricchimento – e, specularmente l’impoverimento – sia indiretto, purché l’arricchito riceva il beneficio a titolo gratuito, vedi Cass., Sez. U, 24772/2008; conf., ex multis, Cass. 29672/2021).
E proprio perché si tratta di impoverimento indiretto, il difensore, anche quando propone reclamo ex art. 26 l.fall. per contestare la liquidazione del proprio compenso che il giudice delegato abbia operato in misura inferiore a quella compiuta dal giudice della causa, non e` in grado di sapere se il proprio corrispondente impoverimento, conseguente all’arricchimento della massa, si sia già verificato con l’incasso della differenza.
5.9. – Deve concludersi, allora, che questa azione generale di arricchimento senza causa, da incanalare come detto nel procedimento di reclamo avverso la liquidazione del compenso, e` chiamata ad assolvere una funzione di obbiettiva reintegrazione dell'equilibrio economico tra le parti (cfr. ex multis Cass. 10810/2020), in tesi attraverso la pronuncia del giudice delegato che riconosca al difensore il “delta” in questione, condizionandone sospensivamente gli effetti all’effettiva acquisizione della somma all’attivo fallimentare.
Di questa valutazione non v’e` però traccia nella pronuncia impugnata, essendosi il tribunale limitato ad opporre, tout court e impropriamente, il giudicato sulle spese processuali, piuttosto che valutarne gli effetti in termini di eventuale “arricchimento senza causa” della massa fallimentare (sul punto si vedano anche le osservazioni svolte a pag. 5 e s. del ricorso incidentale).
6. – Alla luce di quanto precede e nei limiti delle precisazioni fornite possono allora accogliersi i motivi secondo, quarto e quinto del ricorso principale, mentre vanno rigettati i primi due motivi del ricorso incidentale, sebbene in relazione ad essi la motivazione sia da correggere ai sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c., dovendo il tribunale in sede di rinvio attenersi al seguente principio di diritto:
“In tema di fallimento, qualora il giudice della causa in cui si sia costituita la procedura liquidi a titolo di spese legali un importo maggiore rispetto a quello liquidato dal giudice delegato su istanza del difensore e la pronuncia diventi cosa giudicata, il passaggio in giudicato determina la definitività del solo parametro di determinazione del valore della causa trattata e non già della quantificazione delle somme operata, ma il difensore, in sede di reclamo contro il decreto di liquidazione ex art. 26 l.fall., può far valere per la differenza l’eventuale ingiustificato arricchimento della massa fallimentare, che il giudice può riconoscere in via immediata, a fronte dell’effettiva acquisizione all’attivo della somma corrispondente, o con effetto sospensivamente condizionato a detta acquisizione”.
7. – Passando all’esame dei restanti motivi, va innanzitutto accolto il primo motivo del ricorso principale, con assorbimento del terzo, poiché, in assenza di reclamo e di contestazione alcuna sul punto, il tribunale non avrebbe potuto eliminare il rimborso forfettario delle spese generali (rimborsabili ai sensi sia dell'art. 13, comma 10, della l. n. 247 del 2012 che dell'art. 2 del d.m. n. 55 del 2014), che per giurisprudenza consolidata di questa Corte costituisce «una componente delle spese giudiziali, la cui misura è predeterminata dalla legge, e compete automaticamente al difensore, anche in assenza di allegazione specifica e di apposita istanza» (Cass. 13693/2018), tanto da doversi ritenere dovuto anche laddove non espressamente menzionato nel dispositivo della sentenza (Cass. 17046/2’15, 9385/2019, 1421/2021).
7.1. – Anche il sesto motivo del ricorso principale appare fondato, non rinvenendosi pronuncia alcuna sulla richiesta di rimborso per le cd. spese vive (copie esecutive delle sentenze, compensi del precetto, come specificato a pag. 10 del ricorso).
7.2. – Parimenti fondati sono il settimo e l’ottavo motivo del ricorso principale, afferenti la liquidazione delle spese del reclamo, poiché per un verso il tribunale ha ancora una volta omesso di liquidare le spese anticipate (v. pag. 11 del ricorso), per altro verso ha omesso di indicare i valori liquidati per le singole fasi (e financo se abbia applicato il d.m. n. 127 del 2004 o il d.m. n. 55 del 2014), posto che, secondo i conteggi sviluppati a pag. 11 del ricorso, il compenso spettante ai valori minimi risulterebbe pari al doppio di quello liquidato.
8. – Infine, il terzo motivo del ricorso incidentale – afferente il rigetto dell’eccezione di inadempimento formulata dalla curatela per gli errori asseritamente commessi dal difensore nella indicazione della data di cessazione dalla carica di uno dei tre amministratori convenuti – è inammissibile perché impinge nel merito e richiede una valutazione delle risultanze istruttorie che non può avere ingresso in questa sede, essendo esse soggette al prudente apprezzamento del giudice del merito, ex art. 116 c.p.c. (Cass. 30516/2018, 205/2022); del resto, ammettere in sede di legittimità la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle quaestiones facti significherebbe consentire un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (Cass. Sez. U, 28220/2018; Cass. 2001/2023, 28643/2020, 33858/2019,
32064/2018, 8758/2017). E’ appena il caso di aggiungere che effettivamente non vi è unanimità di vedute in dottrina e giurisprudenza circa la decorrenza o meno degli effetti della cessazione dalla carica dell’amministratore dalla data di iscrizione della stessa nel registro delle imprese.
9. – Segue la cassazione con rinvio, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale; cassa il provvedimento impugnato e rinvia alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.