Costa 3,7 milioni la sanzione inflitta alla società per aver violato la normativa sul secondary ticketing relativa alla rivendita di titoli di accesso ad attività di spettacolo acquistati dai canali primari autorizzati.
La vicenda in esame ha origine con l'impugnazione della sentenza con la quale il TAR Lazio aveva rigettato il ricorso proposto da una società volto ad ottenere l'annullamento della delibera AGCOM che le infliggeva una sanzione amministrativa pecuniaria di ben 3,7milioni di euro.
Facciamo un passo indietro.
La sanzione arriva al termine di un procedimento che all'origine ha visto l'acquisizione di alcuni esposti formulati da società operanti nel settore dell'organizzazione di eventi musicali, di vendita nel mercato primario di titoli ad eventi musicali nonché di associazioni di categoria, i quali lamentavano che in un dato arco temporale la società ricorrente avessemesso in venditabiglietti a prezzi maggiorati rispetto a quelli nominali presenti sui siti di vendita primari autorizzati con riferimento a 37 eventi tra concerti e spettacoli, rimandando al suo sito web gli interessati.
Espletate le attività di controllo necessarie, l'AGCOM notificava alla ricorrente un atto di contestazione e, dopo l'acquisizione delle difese della società, confermava in parte gli addebiti sanzionandola con la pena pecuniaria sopra menzionata.
Le difese della società si soffermavano perlopiù sulla qualifica da essa rivestita, che era quella di hosting provider passivo, il che avrebbe dovuto escludere, secondo la società, la contestazione di pratica commerciale scorretta addebitata.
In relazione all' attività di hosting provider va precisato che la giurisprudenza ha distinto:
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In relazione a ciò il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 10510 del 5 dicembre 2023, ha evidenziato che non vi è alcuna incompatibilità oggettiva tra la figura del professionista ai sensi della normativa sulle pratiche commerciali scorrette e quella dell'hosting provider ai sensi della normativa sul commercio elettronico. Tuttavia, esse devono essere coordinate nel senso che è possibile sanzionare le condotte che violano le regole della correttezza professionale ma non è consentito che attraverso l'applicazione di tale disciplina si impongano agli hosting provider prestazioni che non sono previste dalla normativa sul commercio elettronico ed escluse dallo specifico contratto concluso.
Detto ciò, i Giudici amministrativi hanno riconosciuto in capo alla società interessata la qualifica di hosting provider “attivo”, rilevando che la contestazione mossa dall'Autorità si basa sul comma 545 dell'
In base a tale norma sono infatti vietati la vendita e ogni altra forma di collocamento di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuate da soggetti diversi dai titolari. Eccezionalmente è consentita la vendita ad un prezzo uguale o inferiore a quello nominale quando è effettuata da unapersona fisica in termini occasionali, purché in assenza di finalità commerciali.
Anche per questa ragione, il Consiglio di Stato respinge il ricorso proposto dalla società.
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza (ud. 23 novembre 2023) 5 dicembre 2023, n. 10510
Svolgimento del processo
Con l’appello di cui in epigrafe la società V. impugnava la sentenza n. 3955 del 2021 del Tar Lazio, di rigetto dell’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto dalla stessa società al fine di ottenere l’annullamento della delibera n. 104/20/CONS, resa all’esito della riunione del Consiglio del 16 marzo 2020 e notificata a mezzo PEC in data 21 aprile 2020, adottata dall’Autorità a conclusione della contestazione n. 02/19/DSD, con cui è stata accertata, inter alia, “la violazione, da parte della società V. A. […] dell’art. 1, comma 545, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 e successive modifiche e integrazioni” e, per l’effetto, è stata irrogata nei confronti della Società una sanzione amministrativa pecuniaria pari ad € 3.700.000,00.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda parte appellante contestava il contenuto della sentenza e le relative argomentazioni, formulando quindi i seguenti motivi di appello:
- violazione del divieto di integrazione postuma (in sede giurisdizionale) della motivazione del provvedimento amministrativo, violazione del giusto procedimento e dell’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione della legge. Avendo il Tar erroneamente fondato la propria valutazione su una motivazione nuova, introdotta dall’Autorità solamente con la memoria depositata in data 15 febbraio 2021, laddove si è sostenuto che la legge non vieta solo “la vendita o qualsiasi forma di collocamento dei titoli di accesso ad eventi di spettacolo” da parte di soggetti non autorizzati, ma anche tutte le attività di pura intermediazione che non comportino una partecipazione giuridica al rapporto di “vendita” o di “collocamento” sul mercato in senso stretto;
- eccesso di potere. travisamento della natura dell’attività svolta dalla ricorrente e, segnatamente, dei compiti dell’hosting provider; conseguente errata imputazione alla società della condotta vietata dalla legge; contraddittorietà e difetto di motivazione nella sentenza. violazione e falsa applicazione della direttiva 2000/31/ce (“direttiva e-commerce”) (artt. 3, 14 e 15) e del d.lgs. di recepimento n. 70/2013 (“decreto e-commerce”) (artt. 16 e 17). La Decisione e la Sentenza si basano sul presupposto erroneo di voler riconoscere in capo alla Società il ruolo di hosting provider attivo
- violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 545 – 545-quinquies della legge 11 dicembre 2016, n. 232 come modificato dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145;
- carenza di motivazione della sentenza sulla incompatibilità della legge e/o del provvedimento sanzionatorio e della sentenza impugnata con norme, principi e diritti fondamentali prevalenti di diritto ue e costituzionali e, segnatamente la direttiva ecommerce (artt. 3 e 14-15), il divieto di restrizioni alla concorrenza e alla libera circolazione dei servizi (art. 56, 102 e 106 tfue, nonché gli artt. 41 e 117, comma 1 cost, anche per interposizione dall’art. 16 della carta dei diritti fondamentali dell’unione europea). in subordine, richiesta di rinvio pregiudiziale e/o di legittimità, rispettivamente, alla corte di giustizia dell’unione europea sull’interpretazione delle predette norme ue e/o alla corte costituzionale sulla compatibilità con le norme costituzionali;
- in via subordinata, sproporzione della sanzione pecuniaria, irragionevolezza e carenza della motivazione; errata applicazione del c.d. cumulo materiale della sanzione amministrativa. violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 8-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689 e delle linee guida agcom di cui all’allegato a della delibera 265/15/cons.
L’Autorità appellata si costituiva in giudizio chiedendo la declaratoria di inammissibilità ed il rigetto dell’appello.
Con ordinanza cautelare n. 4483 del 2021 veniva accolta la domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.
Con ordinanza n. 592 del 2022 veniva sospeso il giudizio e disposto rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE.
All’esito del giudizio in Corte UE, veniva pubblicata la sentenza 27 aprile 2023 che dichiarava il ricorso irricevibile.
Alla pubblica udienza del 23 novembre 2023 la causa passava in decisione.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente, va confermato il rigetto della eccezione di inammissibilità dell’appello, formulata dalla difesa erariale sul presupposto della mera riproposizione delle censure di primo grado.
1.1 In linea generale, ai sensi dell’art. 101 cod.proc.amm. il ricorrente ha l’onere di specificare i motivi di appello, non potendo limitarsi a un generico richiamo delle ragioni già presentate dinanzi al giudice di primo grado, dovendo contestare specificamente sul punto la sentenza impugnata. Il fatto che l’appello sia un mezzo di gravame ad effetto devolutivo, non esclude l’obbligo dell’appellante di indicare nell'atto le specifiche critiche rivolte alla sentenza impugnata e, inoltre, i motivi per i quali le conclusioni del primo giudice non sono condivisibili, non potendo il ricorso in appello limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado.
L'appello deve essere ritenuto ammissibile qualora dallo stesso sia possibile desumere le argomentazioni fatte valere da chi ha proposto l'impugnazione, in contrapposizione a quelle evincibili dalla sentenza impugnata; peraltro, il grado di specificità dei motivi di appello deve essere parametrato e vagliato alla luce del grado di specificità della sentenza contestata (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 3 febbraio 2020, n. 857).
1.2 Nel caso di specie l’atto d’appello è pienamente conforme ai parametri richiamati.
In termini formali contiene una chiara specificazione dei motivi dedotti (cfr. pagg. 5 ss. dell’atto di appello); in termini sostanziali contiene una puntuale critica, nella parte oggetto di contestazione, alle argomentazioni svolte dal Tar in piena adesione al provvedimento impugnato, in merito sia alla natura dell’attività svolta – in specie quale hosting provider passivo e non attivo – sia alla insussistenza dei presupposti di cui alla normativa statale applicata.
2. Passando al merito della vertenza, la soluzione della controversia impone un breve riassunto del procedimento confluito nel provvedimento impugnato, nei termini già evidenziati in sede di rinvio pregiudiziale ma che, a fini di completezza, occorre ribadire in sede di decisione finale.
2.1 A seguito dell’acquisizione di taluni esposti formulati da società operanti nel settore dell’organizzazione di eventi musicali, di società di vendita nel mercato primario di titoli ad eventi musicali e di associazioni di categoria, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha effettuato un’attività di controllo sul sito “(omissis)”, gestito dall’omonima società odierna appellante, all’esito della quale ha rilevato che nell’arco temporale marzo - maggio 2019, sono stati messi in vendita biglietti a prezzi maggiorati rispetto ai prezzi nominali presenti sui siti di vendita primari autorizzati, con riferimento a 37 eventi (concerti e spettacoli) e che, anche tramite il social www.facebook.com/v., si realizza, attraverso il rimando al sito web della società, analoga fattispecie di messa in vendita di biglietti a prezzo maggiorato.
2.2 Quindi l’Autorità notificava alla ricorrente l’atto di contestazione n. 02/19/DSD, con il quale contestava che di aver “messo in vendita titoli di 5 accesso ad attività di spettacolo senza essere titolare dei sistemi per la loro emissione e ad un prezzo superiore al prezzo nominale del mercato primario autorizzato, in violazione di quanto previsto dall’articolo 1, comma 545, legge 11 dicembre 2016, n. 232 e successive modifiche e integrazioni”. Successivamente all’acquisizione delle difese della società, con decisione del 16 marzo 2020, notificata a mezzo PEC in data 21 aprile 2020, l’Autorità confermava in parte gli addebiti, escludendo però le sanzioni circa: (i) la messa in vendita di titoli di accesso senza essere titolare dei sistemi per la loro emissione; e (ii) la promozione dell’attività sul social network www.facebook.com/V., ritenendo la stessa attività non autonomamente sanzionabile, ma quale elemento suscettibile di incidere sulla gravità della lesione per il fatto di amplificare la diffusione delle proposte di vendita.
2.3 L’Autorità conseguentemente dichiarava la violazione dell’art. 1, comma 545 della legge 11 dicembre 2016, n. 232 e successive modifiche e integrazione ed irrogava la sanzione pecuniaria di € 3.700.000,00. Per giungere a tale sanzione l’Autorità ha maggiorato l’importo di base del calcolo della sanzione da € 10.000 a € 100.000 per ciascun dei 37 eventi contestati. Inoltre, l’Autorità ha diffidato la Società, con effetto immediato, dal «porre in essere ulteriori comportamenti in violazione delle disposizioni richiamate».
2.4 A fini di completezza va ricordato che la stessa società odierna appellante abbia ricevuto in precedenza un provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (5 aprile 2017, n. 33840) con cui era stata accertata la commissione da parte della società di una pratica commerciale scorretta consistente: i) nella mancata indicazione del settore o della fila del biglietto offerto; ii) nella omessa informazione in ordine al valore facciale del biglietto, in quanto verrebbe mostrato il solo prezzo proposto dal venditore; iii) nella indicazione della scarsità dei biglietti ricercati e della numerosità di persone interessate ad acquistarli; iv) nella dicitura V.-Sito ufficiale, idonea a confondere «il consumatore in merito alla reale natura delle offerte presenti sul sito del professionista, dove sono rinvenibili biglietti a prezzi diversi e tendenzialmente maggiori di quelli offerti dal rivenditore ufficiale dell’evento». L’Autorità antitrust ha: imposto l’inserimento sulla piattaforma digitale di «campi a compilazione obbligatoria in cui il venditore inserisce i dati relativi al prezzo di vendita del biglietto sul mercato primario» ed obbligato ad inserire «dati relativi al posto a sedere (settore, file e numero) correlato al biglietto stesso»; ha quindi inflitto per tali condotte una sanzione pecuniaria di euro 300.000,00, che è stata, con atto del 7 marzo 2018, aumentata, per inottemperanza, ad euro 1.000.00,00
Tale provvedimento è stato annullato a seguito della decisione di questa sezione, n. 4359 del 2019, che ha accertato la natura di hosting provider passivo in capo alla società esponente.
2.5 A fronte del richiamo espresso, ribadito in sede di appello, dei precedenti della sezione (cfr. ad es. sentenze nn. 4359 del 2019, 1217 del 2020 e 3851 del 2021), occorre svolgere un breve riassunto di quanto ivi chiarito che, seppur relativo alla contestazione di pratica commerciale scorretta, fornisce elementi di fondo rilevanti anche nella specie, in quanto concernenti l’attività stessa della società oggetto di valutazione e sanzione con il provvedimento impugnato in prime cure.
2.6 In linea generale, l’hosting provider è disciplinato dal decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, che ha dato attuazione alla direttiva 2000/31/Ce, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico.
La nozione di «servizi della società dell’informazione» ricomprende i servizi prestati normalmente dietro retribuzione, a distanza, mediante attrezzature elettroniche di trattamento e di memorizzazione ed a richiesta individuale di un destinatario dei servizi stessi (art. 2, lett. a della suddetta direttiva).
2.7 Il provider è il soggetto che organizza l’offerta ai propri utenti dell’accesso alla rete internet e dei servizi connessi all’utilizzo di essa.
Si distinguono, ai sensi del decreto in esame, tre figure di soggetti che operano nel presente mercato, articolate in ragione della tipologia di prestazione resa a cui corrisponde una specifica forma di responsabilità: i) attività di semplice trasporto – mere conduit (art. 14); ii) attività di memorizzazione temporanea – caching (art. 15); iii) attività di memorizzazione di informazione – hosting (art. 16).
2.8 In relazione a tale ultima attività la giurisprudenza europea distingue due figure di hosting provider.
2.8.1 La prima figura è quella di hosting provider “passivo”, il quale pone in essere un’attività di prestazione di servizi di ordine meramente tecnico e automatico, con la conseguenza che detti prestatori non conoscono né controllano le informazioni trasmesse o memorizzate dalle persone alle quali forniscono i loro servizi.
2.8.2 La seconda figura è quella di hosting provider “attivo”, che si ha quando, tra l’altro, l’attività non è limitata a quanto sopra indicato ma ha ad oggetto anche i contenuti della prestazione resa (Corte di Giustizia eur. 7 agosto 2018, punti 47 e 48; si v. anche Cass. civ., sez. I, 19 marzo 2019, n. 7708).
2.9 La Sezione ha già evidenziato come non vi sia una oggettiva incompatibilità tra la figura del professionista, ai sensi della normativa sulle pratiche commerciale scorrette, e quella di hosting provider, ai sensi della normativa sul commercio elettronico.
Esse, però, devono essere coordinate nel senso che è possibile sanzionare le condotte che violano le regole della correttezza professionale ma non è consentito che mediante l’applicazione della disciplina sulle pratiche scorrette si impongano all’hosting provider prestazioni non previste dalla disciplina sul commercio elettronico e dallo specifico contratto concluso.
2.10 In termini di ulteriore approfondimento del ruolo degli internet providers, va evidenziato che, se per un verso, viene riconosciuta l'importanza di questi soggetti sia dal punto di vista economico - essi intermediano la maggior parte delle attività imprenditoriali che hanno luogo in rete - sia dal punto di vista socio-culturale - essi permettono la circolazione e l'accesso all'informazione, per altro verso, da più parti si lamenta che gli illeciti telematici avvengano proprio in virtù dell'attività svolta dagli intermediari di Internet, che devono dunque essere coinvolti nella responsabilità o almeno nelle operazioni di prevenzione e rimozione di tali illeciti.
2.11 Se si guarda al regime di responsabilità degli Internet service providers oggi in vigore nel nostro ordinamento, la scelta operata dal legislatore europeo e, conseguentemente, nazionale è stata quella di affiancare alle normative già esistenti - la disciplina generale sulla responsabilità da fatto illecito di cui all'art. 2043 c.c. e, più in generale, le ordinarie regole della responsabilità civile - alcune norme speciali, ad altro contenuto tecnico, sulla responsabilità dei prestatori di servizi nella società dell'informazione.
2.12 Tali norme, secondo la prospettazione accolta anche dalla giurisprudenza civile (cfr. ad es. Cass. civ. Sez. I, 19 marzo 2019, n. 7708 e 7709), dettano il criterio di imputazione della responsabilità della colpa, che viene ad essere dotato di un contenuto di specificità, e, ad un tempo, conformato e graduato, ex lege, per così dire, ritagliato, a misura dell'attività professionale svolta dai prestatori dei servizi Internet.
Secondo tale condiviso orientamento, va esclusa la responsabilità in caso di mancata manipolazione dei dati memorizzati; in tale contesto si valorizza peraltro la varietà di elementi idonei a delineare la peculiare figura dell'hosting attivo, comprendente attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti pubblicati dagli utenti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l'adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione. Trattasi all’evidenza, anche dinanzi all’evoluzione tecnologica, di indici esemplificativi e che non debbono essere tutti compresenti. Ciò che rileva è che deve trattarsi, in ogni caso, di condotte che abbiano in sostanza l'effetto di completare ed arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte degli utenti, il cui accertamento in concreto non può che essere rimesso al giudice di merito.
3. Applicando le predette coordinate al caso in esame, va premesso che la società appellante agisce nella UE attraverso un’unica piattaforma web “multi-giurisdizione”, che opera come luogo di incontro (marketplace) tra domanda e offerta per la rivendita di biglietti tra utenti
3.1 Il mercato secondario dei biglietti vede agire, dal lato dell’offerta, qualunque soggetto che sia in possesso di un biglietto e intenda venderlo, ad eccezione degli organizzatori o venditori primari dei biglietti (salvo il caso in cui gli operatori primari trattengano dei biglietti per cederli direttamente sul mercato secondario).
Specularmente, dal lato della domanda, agiscono gli utenti che ricerchino un biglietto sul mercato secondario, generalmente perché non più disponibile sul mercato primario, o disponibile solo a prezzi non accessibili. In base alla Legge, la vendita di biglietti sul mercato secondario è lecita se svolta in via occasionale (cioè da consumatori e non in forma professionale) e a prezzi non superiori a quelli nominali stampati sul biglietto
3.2 Nel caso di specie AgCom, a fronte dell’attività posta in essere da V., oltre ad aver proceduto a qualificare l’attività in termini di hosting provider attivo, ha peraltro mosso una contestazione ulteriore ed autonoma, basata sulla norma di cui al comma 545 dell’art. 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232, norma avente chiaro carattere fiscale e repressivo di un’attività professionale come la vendita secondaria di biglietti ( per evitare il fenomeno del c.d. bagarinaggio che lede oltre gli interessi del fisco anche la disciplina del diritto di autore).
3.3 In sostanza, attraverso la previsione sanzionatoria, di cui alla norma applicata nella specie, risulta in definitiva vietata la vendita o qualsiasi altra forma di collocamento di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da soggetto diverso dai titolari, anche sulla base di apposito contratto o convenzione, dei sistemi per la loro emissione. In termini di eccezione, è consentita la vendita ad un prezzo uguale o inferiore a quello nominale di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da una persona fisica in modo occasionale, purché senza finalità commerciali.
3.4 Peraltro, nel caso di V. la finalità commerciale è evidente, stante la natura dell’attività imprenditoriale svolta da una società operante nei servizi della società dell’informazione.
Né risulta applicabile l’eccezione di cui al comma 545 quater, limitato soggettivamente ai “siti internet di rivendita primari, i box office autorizzati o i siti internet ufficiali dell'evento”, né il disposto del d.m. attuativo che – dovendosi interpretare nei limiti dettati dalla legge di riferimento – concerne le reti di comunicazione elettronica riferibili ai soli “titolari dei sistemi di emissione”.
3.5 Invero, seppur in termini non adeguatamente formalizzati, la contestazione di cui al provvedimento finale, impugnato in prime cure, è comprensiva di quanto evidenziato nelle difese erariali, condivise dal Tar: “si è accertata la sussistenza delle violazioni relative alla messa in vendita, a prezzi maggiorati rispetto al prezzo nominale dei medesimi biglietti messi in vendita sui siti di vendita primari autorizzati, e dunque in violazione di legge, dei biglietti relativi ai 37 eventi di diversi artisti, così come riportati ai punti 2-38 dell’atto di contestazione”; per quanto riguarda la mancanza di titolarità, lo stesso atto finale chiarisce che “il punto 1 della contestazione, relativo alla messa in vendita di titoli di accesso senza essere titolare di sistemi per la loro emissione è uno degli elementi costitutivi delle condotte contestate di cui ai successivi punti da 2 a 38”.
Va quindi ribadito come non vi sia spazio per il primo motivo di appello, con cui si lamenta l’integrazione postuma della motivazione; trattasi infatti di chiarimento di motivazione già presente nell’atto.
3.6 Invero, alla luce dell’esteso disposto normativo così come applicato dall’AgCom, quale che sia la qualifica di hosting provider applicata, attivo o passivo, risulta nella sostanza vietato in radice il mercato secondario svolto a fini commerciali.
3.7 Così intesa la normativa applicata, in termini peraltro imposti dallo stesso chiaro disposto letterale (in claris non fit interpretatio) è apparsa rilevante la questione sollevata da parte appellante, con preliminare rilievo rispetto ai principi di origine sovranazionale, laddove si ritiene la misura restrittiva non idonea a distinguere le condotte o attività economiche lesive da quelle non lesive del bene pubblico dalla stessa tutelato; tale disciplina, nell’ottica appellante, non soddisfa il test di proporzionalità ed è quindi incompatibile con le norme fondamentali della UE e costituzionali in materia di divieto di restrizioni alla concorrenza e libera circolazione.
3.7 Invero, la formulazione della norma è tale da estendersi anche agli intermediari attivi e passivi che siano, essendo idonea a colpire egualmente, in astratto, tanto le attività lecite quanto quelle illecite. In altri termini, allo scopo di tutelare i consumatori da imprecisate pratiche dannose e prevenire l’evasione fiscale, si proibisce del tutto l’esercizio di un’attività, sia nelle sue manifestazioni lecite che in quelle eventualmente illecite e tanto si dubitava potesse violare il diritto Ue.
4. Sulla scorta di tali premesse, al fine di sottoporre la normativa con le direttive europee in materia nonché col principio di cui all’art. 106 TFUE, laddove assegna diritti “speciali o esclusivi” in capo agli operatori del mercato primario, che risulterebbero gli unici soggetti in grado di operare quali intermediari nel mercato secondario, con la precedente ordinanza (richiamata nella narrativa in fatto) veniva disposto rinvio pregiudiziale, neppure apparendo ostativa la nazionalità extra Ue della società ovvero e la circostanza che la piattaforma sia ospitata sui server Microsoft Azure negli Stati Uniti d’America; infatti, entrambi gli elementi territoriali evocati dalla difesa erariale non incidono su di un elemento dirimente, cioè la piena operatività della società nell’ambito dei paesi europei, attraverso lo svolgimento di servizi della società dell’informazione a favore di utenti e consumatori europei in relazione ad eventi che si svolgono nel territorio Ue.
4.1 I quesiti proposti erano i seguenti: a) "se la direttiva 2000/31/CE, e in particolare gli articoli 3, 14 e 15, in combinazione con l’art. 56 TFUE, ostino ad un’applicazione della normativa di uno Stato membro sulle vendite di biglietti per eventi sul mercato secondario che abbia l’effetto di precludere ad un gestore di una piattaforma di hosting operante nella UE, quale è la ricorrente nel presente procedimento, di fornire a terzi utenti servizi di annunci di vendita di biglietti per eventi sul mercato secondario, riservando tale attività ai soli venditori, organizzatori di eventi o altri soggetti autorizzati da pubbliche autorità all’emissione di biglietti sul mercato primario con sistemi certificati”;
b) "Se, in aggiunta, il combinato disposto degli artt. 102 TFUE e 106 TFUE osti all’applicazione di una normativa di uno Stato membro sulle vendite di biglietti per eventi che riservi tutti i servizi inerenti il mercato secondario dei biglietti (e in particolare l’intermediazione) ai soli venditori, organizzatori di eventi o altri soggetti autorizzati all’emissione di biglietti sul mercato primario con sistemi certificati, precludendo tale attività ai prestatori di servizi della società dell’informazione che intendono operare come hosting provider ai sensi degli articoli 14 e 15 della Direttiva 2000/31/CE, in particolare laddove, come nel caso di specie, tale riserva abbia l’effetto di consentire ad un operatore dominante sul mercato primario della distribuzione di biglietti di estendere la propria dominanza sui servizi di intermediazione nel mercato secondario”;
c) “se, ai sensi della normativa europea ed in specie della direttiva 2000/31/CE, la nozione di hosting provider passivo sia utilizzabile solo in assenza di qualsiasi attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti pubblicati dagli utenti, intesi come indici esemplificativi e che non debbono essere tutti compresenti in quanto da ritenersi ex se significativi di una gestione imprenditoriale del servizio e /o dell'adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione, o se sia rimesso al giudice del rinvio l’apprezzamento della rilevanza delle predette circostanze in modo che, pur nella ricorrenza di una o più di esse, sia possibile ritenere prevalente la neutralità del servizio che conduce alla qualificazione di hosting provider passivo”.
4.2 Peraltro, all’esito del relativo giudizio la Corte di giustizia UE dichiarava il ricorso irricevibile sei seguenti termini.
4.2.1 In relazione al primo quesito, “non è contestato che la V. è stabilita a Ginevra, ivi ha la propria sede ed ivi centralizza la propria attività economica, malgrado il fatto che essa gestisca i propri siti Internet in versioni accessibili in vari Stati membri dell’Unione e, segnatamente, in Italia. Le prestazioni di servizi di cui si tratta vengono dunque fornite a partire da uno Stato terzo ad opera di una società disciplinata dal diritto di tale Stato terzo. 31 Ne consegue che, contrariamente a quanto presuppone il giudice del rinvio, la direttiva 2000/31 non è invocabile dalla ricorrente di cui al procedimento principale. Poiché l’insieme delle questioni sollevate da detto giudice si ricollega a tale direttiva, la domanda di pronuncia pregiudiziale risulta, per tale motivo, interamente irricevibile”, ….. “la V. non rientra nell’ambito di applicazione ratione personae dell’articolo 56 TFUE e non può, di conseguenza, far valere la violazione di tale articolo nell’ambito della controversia di cui al procedimento principale, di modo che la prima questione, in quanto vertente sull’interpretazione dell’articolo summenzionato, è irricevibile anche sotto questo aspetto”.
4.2.2 In relazione al secondo quesito, “per quanto riguarda gli articoli 102 TFUE e seguenti, e più specificamente l’esistenza di un eventuale abuso di posizione dominante, nessun riferimento viene fatto dal giudice del rinvio agli elementi costitutivi di una posizione dominante, ai sensi del citato articolo 102, nel contesto del procedimento principale”.
4.2.3 Infine, in relazione al terzo quesito, l’irricevibilità veniva dettata per il relativo carattere ipotetico.
5. All’esito del giudizio pregiudiziale, riassunti gli elementi rilevanti della fattispecie nei termini già evidenziati in sede di ordinanza di rinvio, è possibile passare quindi all’esame conclusivo dei restanti motivi di appello anche alla luce delle indicazioni fornite dalla CGE; motivi che risultano infondati.
6. In relazione al primo motivo, come sopra ribadito e comunque già chiarito in sede di ordinanza di rinvio pregiudiziale, la contestazione appariva già individuata nel provvedimento impugnato in termini adeguati e comunque tali da evidenziare l’infondatezza della deduzione di parte appellante; analogamente la sentenza di prime cure appare accompagnata da una approfondita motivazione.
7. In relazione al secondo motivo di appello, concernente il presunto travisamento della natura dell’attività svolta dalla ricorrente e, segnatamente, dei compiti dell’hosting provider, assumono rilievo dirimente due elementi concorrenti.
7.1 Per un verso, la Corte di giustizia ha escluso in radice l’applicabilità, al caso di specie, della disciplina europea invocata da parte appellante nonché posta a fondamento dei precedenti evocati; sul punto, a fronte della conclusione di cui alla sentenza europea, che valorizza la sede svizzera (quindi extra UE) di parte appellante, nulla può rilevarsi oltre.
7.2 Per un altro verso, i precedenti della sezione evocati e la relativa qualificazione di hosting provider passivo non possono assumere il rilievo indicato da parte appellante, in quanto o sono stati resi in relazione ad ipotesi normative distinte dal caso in esame che riguarda l’applicazione di una norma fiscale avente carattere imperativo (i casi invocati come precedenti riguardavano le cc.dd. pratiche commerciali scorrette, per la stessa V.) , ovvero sono caratterizzati da una fattispecie distinta e da una motivazione valutata come carente (cfr. sentenza 7949 del 2022).
7.3 Nel caso di specie, invece, la motivazione della sentenza e degli atti impugnati risulta accompagnata da una serie di elementi indicativi dello svolgimento di un’attività connotata in termini di non mera passività, anche attraverso le seguenti rilevanti azioni, compiutamente evidenziate dagli atti e dalle difese erariali: predisposizione grafica dell’offerta, organizzata per ogni singolo evento (indicizzazione), predisposizione e messa a disposizione delle piante degli impianti (organizzazione), suggerimento dei prezzi (catalogazione e valutazione), aggregazione dei contenuti per singolo evento (aggregazione), cosicché che l’utente finale acquista i biglietti per tipologia e collocazione, non in base ai singoli annunci.
7.4 Peraltro, la normativa applicata, in mancanza di operatività della disciplina unionale evocata (in quanto esclusa in termini dirimenti dalla stessa CGE) assume rilievo dirimente, sulla scorta del dato letterale da intendersi – come già evidenziato in sede di ordinanza di rinvio e sopra richiamato - alla luce del principio “in claris non fit interpretatio”: “Al fine di contrastare l'elusione e l'evasione fiscale, nonché di assicurare la tutela dei consumatori e garantire l'ordine pubblico, la vendita o qualsiasi altra forma di collocamento di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da soggetto diverso dai titolari, anche sulla base di apposito contratto o convenzione, dei sistemi per la loro emissione è punita, salvo che il fatto non costituisca reato, con l'inibizione della condotta e con sanzioni amministrative pecuniarie da 5.000 euro a 180.000 euro, nonché, ove la condotta sia effettuata attraverso le reti di comunicazione elettronica, secondo le modalità stabilite dal comma 546, con la rimozione dei contenuti, o, nei casi più gravi, con l'oscuramento del sito internet attraverso il quale la violazione è stata posta in essere, fatte salve le azioni risarcitorie. L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, di concerto con l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, effettua i necessari accertamenti e interventi, agendo d'ufficio ovvero su segnalazione degli interessati e comminando, se del caso, le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente comma. Non è comunque sanzionata la vendita ad un prezzo uguale o inferiore a quello nominale di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da una persona fisica in modo occasionale, purché senza finalità commerciali”.
7.5 A fronte di un tale chiaro dato letterale non può condividersi la tesi posta a base del motivo di appello per cui “nessuna disposizione di Legge vieta in sé l’attività di vendita o intermediazione sul mercato secondario, né la assoggetta a obblighi di autorizzazione o al possesso di sistemi di emissione certificazione da autorità pubbliche”.
Infatti, la disposizione di legge applicata nella specie vieta espressamente e direttamente proprio tale attività, svolta da V. all’evidenza con finalità commerciali (come reso chiaro dal compenso dalla stessa società appellante percepito in relazione ad ogni singola transazione).
8. Se tali considerazioni rendono evidente l’infondatezza anche del terzo motivo di appello, concernente la presunta violazione della norma nazionale applicata, va altresì evidenziato come tale divieto, se da un canto non può disapplicarsi in base alla disciplina europea (reputata inapplicabile nella specie dalla CGE, in termini non più sindacabili nella presente controversia), da un altro canto – anticipando gli esiti negativi anche per il quarto motivo di appello - neppure appare assumere i caratteri necessari per sollevare una questione di costituzionalità, stante l’ambito di discrezionalità da riconoscere al legislatore, in specie alla luce degli obiettivi dichiaratamente perseguiti, la chiarezza del divieto e dei fini prefissati, nonché i presupposti applicativi connessi alla maggiorazione del prezzo ed alla finalità commerciale, quale che sia il carattere più o meno approfondito del servizio reso dalla piattaforma elettronica.
8.1 È pur vero che, sul versante pratico, il servizio svolto appare rilevante per una gran parte dell’utenza potenziale degli eventi pubblicizzati, a fronte di noti meccanismi che, anche grazie all’intelligenza artificiale, risultano fare incetta di biglietti di eventi di grande interesse per il pubblico. Invero, in linea generale è rispetto a tali fenomeni che risulta carente l’attività di verifica e di accertamento delle autorità anche europee, non sull’ambito posto a valle, dove opera V., di rivendita dei biglietti che non si trovano più sul mercato primario. Peraltro, ciò non rileva ai fini della presente controversia, relativa appunto a quest’ultimo ambito di attività, pacificamente svolta, con evidenti benefici commerciali, dalla odierna appellante, in contrasto con la norma applicata dall’Autorità odierna appellata.
9. In relazione al quarto motivo di appello, oltre a quanto sin qui evidenziato, la manifesta infondatezza della questione emerge sotto due profili concorrenti: da un canto, sulla scorta di quanto ha rilevato la Corte di giustizia; da un altro canto, a fronte della carenza della deduzione, che non indica gli elementi da cui trarre un effettivo contesto di violazione dei principi invocati in tema di abuso di posizione dominante ( che agevolerebbe gli emittenti dei biglietti o il mercato c.d. primario ).
9.1 L’autorizzazione alla vendita di biglietti sul mercato primario ben può essere chiesta da qualsiasi operatore del settore, senza che – salva la verifica dei necessari presupposti normativi – emergano elementi ostativi all’ottenimento di tale titolo ovvero tali da beneficiarne solo alcuni.
9.2 Le considerazioni appena svolte rendono evidente, al pari di quelle poste a base del rigetto del terzo motivo, anche l’insussistenza dei presupposti – in termini di rilevanza oltre che di non manifesta infondatezza - per sollevare questione di costituzionalità della norma applicata nella specie dall’Autorità.
La manifesta infondatezza deve ritenersi perché il legislatore fiscale può decidere di vietare fenomeni che siano per la loro dimensione ed il loro impatto contrari all’ordine economico quali il c.d. bagarinaggio informatico senza che questo divieto risulti ex se risulti violativo della libertà d’impresa. La libertà d’impresa infatti non può svolgersi “in contrasto con l’utilità sociale”. Il divieto di vendita secondaria in forma informatica diffusiva e professionale ben può agevolmente giustificarsi nel bilanciamento dei valori a fronte del rischio che il c.d. bagarinaggio informatico comporta per l’ordine economico ( non per la sicurezza pubblica ).
La vendita secondaria poi è vietata ma non in modo assoluto, è consentita la rivendita a certe condizioni di prezzo e di occasionalità che non sono considerate rischiose al fine della concretizzazione del bagarinaggio ed il divieto in esame al Collegio sembra giustificarsi agevolmente in base alle ragioni del Fisco e della disciplina del diritto di autore (in quanto l’esazione dei diritti Siae potrebbe essere compromessa con lesione dei diritti degli autori).
Si tratta di ragioni riconducibili pacificamente alla nozione di utilità sociale con conseguente manifesta infondatezza della questione posta anche alla luce dei precedenti del giudice delle leggi.
Sono state in tempi risalenti ritenute legittime le limitazioni alla libertà contrattuale in materia commerciale per scopi previsti o consentiti dalla Costituzione ( Corte Cost. n. 30 del 1965 ) o il divieto di licenze per apparecchi di svago che siano utilizzabili come gioco o scommessa ( Corte Cost. n. 125/1963 e Corte Cost. n.12 del 1970). Tali ragioni sono ancora attuali a fronte di un fenomeno di nuova portata come il c.d. bagarinaggio informatico.
La norma poi sceglie la via dell’illecito amministrativo e non penale ed in ciò appare proporzionata.
Va ricordato che l’illecito penale in tempi risalenti era stato ravvisato ipoteticamente per “la violazione del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 115, (Tulps) per attività di vendita di biglietti di ingresso ad una manifestazione, costituendo tale attività un’operazione riconducibile all’apertura di un’agenzia d’affari in assenza della prescritta licenza” e per l’art. 665 codice penale ( poi depenalizzato ).
Tale inquadramento non ha retto nemmeno al vaglio della giurisprudenza civile.
Per Cass. Civ. n. 10881 del 2008 “chi acquista per poi rivendere a proprio rischio e pericolo biglietti per spettacoli e manifestazioni in genere non è tenuto a chiedere alcuna licenza al questore. L’attività in esame, detta volgarmente di “bagarinaggio”, non è riconducibile, infatti, all’esercizio di un’agenzia d’affari per la quale il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza all’art. 155 prevede il permesso dell’autorità locale competente, poiché il bagarino, che rivende biglietti nel proprio esclusivo interesse ed al fine di lucrare un prezzo maggiore di quello d’acquisto, non esercita alcuna intermediazione - neppure atipica – riconducibile all’agenzia d’affari. Per lo svolgimento di questa attività, dunque, non sussistono le ragioni di specifica vigilanza per motivi d’ordine pubblico e sicurezza da cui sorge la necessità della licenza ( in senso analogo Cass. Civ. n. 12826 del 2007 si tratta di sentenze relative al bagarinaggio dei c.d. ambulanti).
A fronte dell’esplosione del “bagarinaggio” c.d. informatico, invero molto impattante sull’economia del settore dei pubblici spettacoli, il legislatore fiscale è intervenuto con norma limitativa, ma compatibile con l’orientamento della giurisprudenza civile perché introduttiva di un mero illecito amministrativo.
La rivendita massiva di biglietti a prezzi maggiorati, unitamente all’incetta dei biglietti che si può fare alla fonte mediante programmi informatici, è un fenomeno che ha attratto l’attenzione del legislatore intervenuto con la norma di cui si eccepisce l’incostituzionalità.
Il fenomeno si è ritenuto in grado di produrre effetti negativi sia per i privati che vogliono partecipare a concerti o a partite di calcio, sia per gli organizzatori degli eventi e gli artisti, che vedono lucrare sconosciuti sul proprio lavoro.
La questione di costituzionalità della norma del c,d.. “antibagarinaggio informatico” è quindi manifestamente infondata.
Va in ultimo notato, in termini altrettanto dirimenti, a fronte dell’impugnativa della sanzione applicata per l’attività svolta sul mercato secondario, oggetto della controversia, la contestazione inerente il mercato primario sottoposta alla Corte Ue su un piano ipotetico e congetturale ( senza una analisi di mercato che provi che la legge abbia determinato un ostacolo agli operatori informatici nel settore che potrebbero munirsi di mandati ed autorizzazioni ) appare – seppur di sicuro interesse generale – posta al di fuori del perimetro contenzioso di legittimità e comunque ritenuta non ammissibile dalla stessa Corte Ue .
10. Infine, in relazione al quinto motivo di appello, relativo al quantum della sanzione irrogata, in via preliminare appare del tutto carente la deduzione che, oltre ad essere proposta in via subordinata, erroneamente afferma che il Tar avrebbe mancato di confutare gli elementi dedotti in prime cure; l’analisi della pronuncia appellata, infatti, evidenzia come il Tar, con dovizia di argomenti, abbia (punto 12 della motivazione, da pagina 16 a pagina 19) con chiarezza enunciato le ragioni poste a base del condivisibile rigetto.
10.1 Nel merito, se da un canto la norma stessa predetermina i parametri quantitativi da applicare, da un altro canto la pluralità di episodi e di condotte accertate e contestate, non solo in termini di biglietti venduti ma anche di eventi pubblicizzati ed oggetto di vendita, ne consente un cumulo che, in termini non viziati da manifesta illogicità o travisamento dei fatti, l’Autorità ha inteso in termini materiali.
10.2 Le condotte sanzionate, sebbene poste nell’ambito della medesima attività di rivendita di biglietti di eventi, constano nella reiterazione della stessa in relazione a diversi biglietti ed a diversi eventi, dando vita, come correttamente rilevato dal Tar e dalla difesa erariale, ad una pluralità e generalità di operazioni, tali da dare vita ad una vera e propria ulteriore piattaforma di vendita, circostanza che concorre a definire la gravità del fatto.
10.3 Così descritta la condotta posta in essere dall’appellante, va evidenziato che l’invocato principio del cumulo giuridico di cui al richiamato art. 8 della L. n. 689/191, trova applicazione nell’ipotesi in cui la pluralità di violazioni discenda da un’unica condotta e non già in presenza di distinte condotte, anche se identiche o analoghe come nella specie (cfr. ad es. anche Cass. civ., Sez. II, 22 giugno 2022, n. 20129).
10.4 In linea generale, i criteri generali di cui fare applicazione in sede di commisurazione delle sanzioni pecuniarie sono rinvenibili nell'ambito dell'art. 11 della l. 689 del 1981, per il quale, "nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell'applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche" (cfr. ex multis, Cons. St., Sez. VI, 24 agosto 2011, n. 4799).
10.5 Nella presente fattispecie l’Autorità ha fatto corretto utilizzo dei parametri di quantificazione di cui alla normativa di principio, valorizzando i seguenti elementi: la gravità della condotta anche per la rilevante diffusione della stessa attraverso i più diffusi social media; l’assenza di qualsiasi comportamento, nel corso del procedimento, finalizzato a eliminare o attenuare le conseguenze della violazione e anzi, all’opposto, l’aver dato vita a comportamenti omissivi alla richiesta di elementi; la personalità dell’agente, dotato di una struttura adeguata e qualificata, e le condizioni economiche dello stesso.
11. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va pertanto respinto.
Sussistono giusti motivi, a fronte della novità della questione, per compensare le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.