Sì, dice la Cassazione, in quanto il titolare della prestazione non è solo il figlio, ma anche l'altro genitore che nel frattempo ha provveduto alle spese necessarie per mantenerlo poiché, seppur maggiorenne, egli non era economicamente autosufficiente.
La Corte d'Appello di Genova riformava parzialmente la pronuncia di primo grado assolvendo l'imputato dal reato di omesso versamento dell'assegno di mantenimento alla figlia maggiorenne perché non punibile per particolare tenuità del fatto. Tuttavia, la Corte del merito confermava le statuizioni di condanna al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio civile, oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile, cioè l'ex moglie divorziata dell'imputato che si era costituita in proprio.
Contro tale decisione propone ricorso per cassazione l'imputato, insistendo circa l'estromissione dell'ex moglie per difetto di legittimazione attiva, poiché unica legittimata a costituirsi parte civile era la figlia, secondo il ricorrente.
Con la sentenza n. 1474 del 12 gennaio 2024, la Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, ribadendo che il genitore separato o divorziato cui il figlio sia stato affidato durante la minore età conserva, anche dopo il compimento dei 18 anni, il diritto di chiedere all'altro genitore il versamento dell'assegno di mantenimento e il rimborso pro quota delle spese già sostenute per il mantenimento del figlio che, seppur maggiorenne, non sia ancora economicamente autosufficiente e coabiti con esso, in assenza di un'autonoma richiesta da parte del figlio.
Le applicazioni giurisprudenziali confermano tale assunto affermando la natura assistenziale del mantenimento anche quando erogato in favore del figlio maggiorenne e precisando che esso continua a “riguardare” anche l'altro genitore in quanto obbligato al mantenimento.
Come osserva la Corte:
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«il vero discrimen, nel rapporto genitori/figli, non è condizionato, nella prospettiva del legislatore, da fatti contingenti ma da un unico aspetto che è quello della incapacità a mantenersi riferibile sia al minore che al figlio maggiorenne ma non autonomo dal punto di vista economico». |
Da ciò consegue che, in presenza di inadempimento avente ad oggetto la mancata corresponsione dell'assegno fissato in sede di divorzio e volto al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, il creditore della prestazione non è solo il figlio, nelle vesti di titolare del diritto, ma anche l'altro genitore che resta titolare del diritto a ricevere il contributo alle spese necessarie per tale mantenimento cui provvede materialmente, essendo quindi titolare di un diritto autonomo, anche se concorrente, dato dal fatto che “sopporta” l'onere del mantenimento di un soggetto che non è ancora capace dal punto di vista economico di provvedere a sé stesso.
Ciò è proprio quanto accaduto nel caso in esame, ove l'ex moglie divorziata si era costituita parte civile in via autonoma perché punto di riferimento stabile della figlia maggiorenne, la quale, anche se era andata a vivere per conto suo, continuava a rivolgersi a lei per provvedere alle sue esigenze materiali.
Segue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Genova, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Genova del 29 giugno 2021, ha assolto S. P. perché non punibile per particolare tenuità del fatto e ha confermato le statuizioni civili della sentenza di primo grado con riferimento al reato di cui all'articolo 570-bis cod. pen. perché ometteva il versamento dell'assegno di mantenimento in favore della figlia, D. P., nata il (omissis), dal 15 gennaio 2020 al 29 giugno 2021. La Corte di appello ha confermato le statuizioni di condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, da liquidarsi in separato giudizio civile, e al pagamento, a titolo di provvisionale della somma di 1.500 €, oltre alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza in favore della parte civile, C. R. L. L., coniuge divorziata dell'imputato, costituitasi in proprio.
2. Con un unico motivo di ricorso, il difensore dell'imputato denuncia violazione degli articoli 74, 77, 78 e 80 cod. proc. pen. e insiste nella richiesta di estromissione della costituita parte civile per difetto di legittimazione attiva essendosi costituita in giudizio personalmente la signora C. R. L. L., ex coniuge dell'imputato e madre della destinataria dell'assegno, poiché unica persona legittimata a costituirsi parte civile sarebbe stata esclusivamente D. P., figlia maggiorenne dell'imputato già al momento della costituzione nel giudizio di primo grado. Sostiene che tale richiesta, proposta in primo grado e reiterata con i motivi di impugnazione, era stata erroneamente disattesa dai giudici di merito e richiama giurisprudenza di legittimità che ritiene legittima la costituzione in giudizio della madre del destinatario dell'assegno di mantenimento, ma solo in relazione a figlio minore.
3. Il ricorso è stato trattato con procedura scritta, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 137 del 28 ottobre 2020 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 176 del 18 dicembre 2020, la cui disciplina continua ad applicarsi per effetto della proroga da ultimo disposta dall'art. 17 del d.l. 22 giugno 2023 n. 75.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi manifestamente infondati.
Il ricorrente, fin dal momento della costituzione in giudizio della parte civile, in proprio, quale madre della beneficiaria dell'assegno di mantenimento imposto dal giudice in sede di divorzio al padre in favore della figlia maggiorenne ma non autosufficiente economicamente, ne ha eccepito il difetto di legittimazione, eccezione che è stata disattesa, fin dal primo grado, sulla base di rilievi corrispondenti alla ratio dell'istituto e alle coordinate che, nella materia, attengono alla individuazione della persona danneggiata dal reato.
Si è, infatti, rilevato dai giudici di merito che l'esercizio della pretesa civilistica era riconducibile all'iniziativa, in proprio, della madre della destinataria dell'assegno, genitore presso la quale era collocata la figlia, già maggiorenne nel momento in cui il giudice civile aveva rimodulato l'importo dell'assegno e che non aveva agito in giudizio contro il padre, per conseguire il pagamento.
L'imputato, con il ricorso, non ha contestato la sussistenza dei presupposti del giudizio di colpevolezza, relativi all'inadempimento e alle condizioni della beneficiaria del mantenimento (la figlia maggiorenne, ma non autosufficiente dal punto di vista economico), tanto è vero che, in appello, è stata dichiarata la particolare tenuità del fatto, ma ha insistito sulla illegittimità della condanna civile, per carenza di un ineludibile presupposto, costituito dalla mancanza di capacità processuale della parte civile in quanto non legittimata, in proprio, all'esercizio dell'azione, che poteva, in tesi, spettare alla figlia maggiorenne.
A tal riguardo ha evidenziato come, nella presente vicenda, si sia in presenza di una situazione di fatto diversa da quella per la quale la Corte di legittimità ha riconosciuto la legittimazione alla costituzione di parte civile del genitore affidatario rispetto a figlio minorenne.
2. La tesi è manifestamente infondata.
Fin dalla più risalente decisione del giudice delle leggi (sentenza n. 472 del 1989) investita della questione di illegittimità costituzionale della previsione recata dall'art. 12-sexies della legge 898 del 1970 (e oggi prevista dall'art. 570-bis cod. pen.), si era osservato come il legislatore abbia formulato l'articolo 12- sexies cit. in termini tali da ricomprendere nella nuova fattispecie incriminatrice, accanto all'assegno di divorzio, anche l'assegno di mantenimento relativo ai figli quasi conglobandolo in un tutt'uno con l'altro così da assicurare al coniuge divorziato un'ulteriore tutela rispetto a quella già esistente. Era stato, altresì chiarito, che la destinazione dell'assegno di mantenimento ai figli minori (in particolare previsto dall'art. 6, comma 11, poi novellato ad opera dell'art. 11 l. 64 del 1987) non sta a significare che sono essi i creditori della relativa prestazione: creditore di quest'ultima è da intendersi il coniuge affidatario.
Nel sanzionare il comportamento di chi si sottrae all'obbligo di corrispondere l'assegno dovuto a norma dell'art. 12-sexies si tutela, dunque, un'ulteriore posizione creditoria dell'altro coniuge, che, sia pure destinata al preciso scopo di contribuire al mantenimento dei figli e quindi finalizzata a soddisfare le loro esigenze si aggiunge alla posizione creditoria sottostante l'assegno dovuto a norma del comma 5: il ché vale pure a spiegare l'impiego del singolare nella formula assegno dovuto a norma degli art. 5 e 6, come se si trattasse di un tutt'uno.
In linea con la descritta impostazione, in materia civile, si era affermato, che il genitore separato (o divorziato), cui il figlio sia stato affidato durante la minore età, continua, pur dopo che questi sia divenuto maggiorenne, ma coabiti ancora con lui e non sia economicamente autosufficiente, ad essere legittimato "iure proprio", in assenza di un'autonoma richiesta da parte dello stesso, a richiedere all'altro genitore tanto il rimborso, "pro quota", delle spese già sostenute per il mantenimento del figlio, quanto il versamento di un assegno periodico a titolo di contributo per detto mantenimento. (Sez. 1, Sentenza n. 4188 del 24/02/2006, Rv. 590762 - 01).
Tale principio si combina con l'affermazione più recente secondo cui il genitore separato o divorziato tenuto al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e convivente con l'altro genitore, non può pretendere, in mancanza di una specifica domanda del figlio, di assolvere la propria prestazione nei confronti di quest'ultimo anziché del genitore istante. Invero, anche a seguito dell'introduzione dell'art. 155-quinquies cod. civ. ad opera della legge 8 febbraio 2006, n. 54, sia il figlio, in quanto titolare del diritto al mantenimento, sia il genitore con lui convivente, in quanto titolare del diritto a ricevere il contributo dell'altro genitore alle spese necessarie per tale mantenimento, cui materialmente provvede, sono titolari di diritti autonomi, ancorché concorrenti, sicché sono entrambi legittimati a percepire l'assegno dall'obbligato (Sez. 1, n. 25300 del 11/11/2013, Rv. 628819).
Le conclusioni che possono trarsi da tali risalenti principi non sono suscettibili di revisione a seguito della introduzione, per effetto dell'art. 55 del d. lgs. n. 154 del 2013, dell'art. 337-septies cod. civ.
Le applicazioni giurisprudenziali, confermano la natura assistenziale del contributo di mantenimento, anche quando erogato a favore del figlio maggiorenne, precisando che tale forma di contribuzione continua a "riguardare" anche l'altro genitore in quanto obbligato al mantenimento del figlio.
Si è, infatti, affermato con chiarezza che in materia di separazione dei coniugi, la legittimazione "iure proprio" del genitore a richiedere l'aumento dell'assegno di mantenimento del figlio maggiorenne non ancora autosufficiente economicamente, che non abbia formulato autonoma richiesta giudiziale, sussiste quand'anche costui si allontani per motivi di studio dalla casa genitoriale, qualora detto luogo rimanga in concreto un punto di riferimento stabile al quale fare sistematico ritorno e sempre che il genitore anzidetto sia quello che, pur in assenza di coabitazione abituale o prevalente, provveda materialmente alle esigenze del figlio, anticipando ogni esborso necessario per il suo sostentamento presso la sede di studio. (Sez. 1-, Sentenza n. 29977 del 31/12/2020, Rv. 660113 - 01).
Si trae da tale disciplina la conseguenza che il vero discrimen, nel rapporto genitori/figli, non è condizionato, nella prospettiva del legislatore, da fatti contingenti ma da un unico aspetto che è quello della incapacità a mantenersi riferibile sia al minore che al figlio maggiorenne ma non autonomo dal punto di vista economico.
Al di là delle incertezze che hanno caratterizzato la ricostruzione della disposizione di cui all'art. 337-septies cod. civ. (che sembrerebbe avere introdotto un intervento giudiziario finalizzato alla costituzione di un diritto del figlio all'assegno di mantenimento, prima inesistente), rileva la Corte che il compimento della maggiore età nulla cambia nel rapporto genitori-figli poiché gli artt. 147 e 315-bis cod. civ. nonché 30 della Costituzione non fanno alcun riferimento all'età dei figli: il dovere dei genitori di provvedere ai bisogni nasce dalla filiazione e prosegue senza cesure fino all'indipendenza economica.
3. Il necessario precipitato logico di tale inquadramento, in presenza di inadempimento che ha ad oggetto la mancata corresponsione dell'assegno fissato in sede di divorzio e finalizzato al mantenimento del figlio maggiorenne ma non autosufficiente economicamente, è che il creditore della prestazione non è solo il figlio, in quanto titolare del diritto al mantenimento, ma anche l'altro genitore in quanto titolare del diritto a ricevere il contributo alle spese necessarie per tale mantenimento cui materialmente provvede e che, pertanto, è titolare di un autonomo, ancorché concorrente, diritto dal momento che sopporta l'onere del mantenimento di un soggetto economicamente incapace di farvi fronte da se e destinatario di un provvedimento giudiziario - non revocato, come possibile, in presenza di mutate situazioni di fatto.
4. Ne consegue la manifesta infondatezza del motivo di ricorso poiché correttamente la ex coniuge dell'imputato, madre della persona maggiorenne non economicamente autosufficiente beneficiaria dell'assegno di mantenimento, è stata ritenuta quale soggetto legittimato alla costituzione, iure proprio, di parte civile in quanto persona danneggiata dal reato e, pertanto, destinataria della condanna al risarcimento del danno. La madre della beneficiaria è rimasta in concreto, il punto di riferimento stabile al quale la figlia, anche se recatasi a vivere per suo conto, si è rivolta e che ha provveduto materialmente alle esigenze della figlia, anticipando ogni esborso necessario per il suo sostentamento.
5. Segue alla inammissibilità del ricorso, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, della somma in favore della Cassa delle ammende nonché al pagamento, in favore della parte civile, delle spese di questo grado liquidate come in dispositivo, in applicazione cieli criteri di cui al d. m. 147 del 13 agosto 2022.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile L. L.C. R. che liquida in complessivi euro 3.686, oltre accessori di legge.