La Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 291, primo comma, c.c. nella parte in cui, per l'adozione di maggiorenni, non consente al giudice di ridurre l'intervallo minimo di età di diciotto anni fra adottante e adottando nei casi di esiguo scostamento e sempre che sussistano motivi meritevoli.
La controversia trae origine dalla richiesta di adozione da parte di una signora, coniugata con un vedovo, nei confronti del figlio maggiorenne dello stesso che, dall'età di cinque anni, ha convissuto con costoro, dopo il matrimonio. Investito della questione, il Tribunale di Firenze sollevava innanzi alla Consulta, in riferimento agli
Nelle sue argomentazioni, la Corte ha rilevato come «l'adozione di persone maggiori di età abbia perduto l'esclusiva funzione tradizionale di trasmissione del cognome e del patrimonio e, divenuto strumento duttile e sensibile alle sollecitazioni della società, sia volta a suggellare legami “affettivo-solidaristici” che, consolidatisi di fatto nel tempo e preesistenti al riconoscimento giuridico, sono rappresentativi dell'identità dell'individuo e di istanze di solidarietà». A tal proposito, la Consulta prende come figura di riferimento quella delle così dette famiglie ricomposte, in cui alle preesistenti relazioni di parentela si aggiungono nuovi legami definiti da una misura di affetti e solidarietà che è propria della comunità familiare.
La Consulta ha quindi stabilito che, «nell'attuale conformazione dell'istituto dell'adozione del maggiorenne, sia palese l'irragionevolezza di una regola sul divario di età priva di un margine di flessibilità in quanto destinata ad entrare in frizione, nell'assolutezza della previsione, con il diritto costituzionale inviolabile all'identità personale (art. 2 Costituzione)».
Ciò detto, la Corte costituzionale individua il punto di equilibrio tra la regola del divario di età fissata dal Codice civile ed il diritto all'identità della persona nell'accertamento rimesso al giudice: quest'ultimo dovrà valutare, caso per caso e nel bilanciamento degli interessi coinvolti, se esistano motivi meritevoli che consentano di derogare alla previsione del Codice civile nel caso in cui la riduzione di quel divario risulti esigua.
L'intervallo ordinario di diciotto anni continua a valere quale regolagenerale che richiama la necessità di conservare una ragionevole limitazione del divario esistente in natura tra genitore e figlio.
Corte costituzionale, sentenza (ud. 23 novembre 2023) 18 gennaio 2024, n. 5
Svolgimento del processo
1.– Con ordinanza del 17 gennaio 2023, iscritta al n. 62 del registro ordinanze 2023, il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima civile, ha sollevato – in riferimento agli artt. 2, 3, 10, primo comma (in relazione agli artt. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e 16 della Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948), e 30 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 291, primo comma, del codice civile, «nella parte in cui non consente al giudice di dichiarare l’adozione di maggiorenne derogando al limite del divario di età tra adottante ed adottando imposto in 18 anni nei casi di esigua differenza di età».
2.– Il rimettente riferisce che G. S., nata nel 1946, ha chiesto al Tribunale di Firenze di procedere alla dichiarazione di adozione del maggiorenne A. M., rappresentando che questi, nato nel 1963, orfano di madre e il cui padre, G. M., aveva contratto matrimonio con l’istante nel 1968, era sempre vissuto con il padre e, dall’età di 5 anni, anche con la stessa richiedente, che lo aveva accudito e cresciuto come un figlio senza differenza alcuna rispetto alla figlia biologica, nata dal matrimonio con G. M.
Nel farsi carico della circostanza che la differenza di età rispetto al figlio del coniuge è pari a 17 anni e 3 mesi, sicché non risulta nella specie pienamente sussistente il requisito del divario minimo di età di 18 anni, imposto dall’art. 291, primo comma, cod. civ., l’istante ha evidenziato che il legame affettivo che esiste tra lei e A. M. merita tutela in ossequio ai principi costituzionali, tra cui quello dell’unità familiare (art. 30 Cost.) e del rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU).
3.– Sull’indicata premessa, il Tribunale rimettente, dato atto delle dichiarazioni di consenso all’adozione espresse all’udienza camerale innanzi al giudice relatore dalla richiedente e dall’adottando, dell’assenso del padre di quest’ultimo e della figlia nata dal matrimonio tra G. M. e G. S., nonché della moglie di A. M., rileva che, nella specie, essendo G. S. nata nel 1946 e A. M. nel 1963, risulta oggettivamente non rispettato il differenziale di età fra la richiedente l’adozione e l’adottando, prescritto dall’art. 291, primo comma, cod. civ. Tuttavia, è pacifica l’esistenza di un lungo e positivo legame di affetto e solidarietà tra gli aspiranti all’adozione, tipico del rapporto genitoriale. Risulta, altresì, evidente, secondo il giudice a quo, il requisito della convenienza all’adozione, ai sensi dell’art. 312, numero 2), cod. civ., trovando l’interesse del figlio del coniuge dell’adottante effettiva e reale rispondenza nella comunione di intenti di tutti i membri della famiglia (si cita la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 3 febbraio 2006, n. 2426).
Ciò posto, il Collegio rimettente rileva la «mutata configurazione sociologica» dell’istituto dell’adozione dei maggiorenni nella conseguita funzione «di riconoscimento giuridico di una relazione sociale, affettiva ed identitaria, nonché di una storia personale, di adottante e adottato» e di strumento «volto a consentire la formazione di famiglie tra soggetti che, seppur maggiorenni, sono tra loro legati da solidi vincoli personali, morali e civili, in ossequio ai principi costituzionali dell’unità familiare (art. 30 Cost.) e del rispetto della vita privata e familiare (art. 8 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo)».
Alla stregua di tali considerazioni, il Tribunale di Firenze ritiene che l’art. 291, primo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente al giudice alcuna discrezionalità nel derogare al limite del divario di età, e, di conseguenza, «non permette di dar luogo ad adozione del maggiorenne anche se il difetto della differenza di età richiesta tra adottante e adottando sia minimo (come nel caso di specie, pari a 9 mesi)», presenti possibili profili di illegittimità costituzionale per violazione:
1) degli artt. 2 e 30 Cost., per la lesione sia della capacità dell’individuo di autodeterminarsi, come singolo e nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità, tra le quali rientra anche la famiglia, sia del diritto-dovere di mantenere, educare ed istruire i figli, «atteso che nel caso in esame appare evidente il profondo legame tra l’adottante ed il figlio del coniuge che la prima ha allevato ed educato sin da quando questi aveva 5 anni (avendone ad oggi 59), del tutto parificabile ad un rapporto di filiazione»;
2) dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto all’adozione del minore in casi particolari, di cui all’art. 44, commi 1, lettera b), e 5, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), in relazione alla quale il legislatore ha previsto che il giudice possa ridurre il divario di età in presenza di validi motivi attinenti all’unità familiare, con conseguente irragionevole discriminazione tra maggiorenne e minorenne «a fronte della affinità assiologica dei due istituti»;
3) dell’art. 10 Cost., per mancato rispetto della normativa europea ed internazionale cui l’ordinamento giuridico italiano è tenuto a conformarsi (sono evocati l’art. 8 CEDU e l’art. 7 CDFUE, nel rimarcato diritto dell’individuo al rispetto della propria vita privata e familiare, che ha quale corollario il divieto di “ingerenza di una autorità pubblica”, nonché l’art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti umani, nel diritto di uomini e donne, in età adatta, di fondare una famiglia, definita quale «nucleo naturale e fondamentale della società» che «ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato».
4.– Il rimettente fa menzione quindi della sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 3 aprile 2020, n. 7667, che, attraverso una rivisitazione storico-sistematica dell’istituto, ha fornito una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, coincidente con l’intervento additivo auspicato; non ritiene, tuttavia, tale interpretazione praticabile nella chiarezza ed univocità dell’enunciato normativo.
L’assenza di una specifica previsione derogatoria, che superi sul punto la rigidità del sistema, non si tradurrebbe neppure in lacuna legislativa, sicché sarebbe precluso al giudice comune di affrancarsi per via meramente esegetica dalla disciplina positiva.
5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in giudizio con atto depositato il 6 giugno 2023, con il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata.
5.1.– L’interveniente richiama le sentenze n. 500 del 2000 e n. 89 del 1993, con le quali questa Corte ha giudicato conforme a Costituzione la disposizione censurata, esaminando la questione sotto profili identici a quelli in scrutinio, che non potrebbero essere nuovamente posti in discussione.
La difesa erariale ricorda che questa Corte ha escluso che possa essere un valido parametro di comparazione, ai sensi dell’art. 3 Cost., il diverso regime dettato in materia di adozione del minore in casi particolari (art. 44, commi 1, lettera b, e 5, della legge n. 184 del 1983).
Nel riportare un ampio stralcio della sentenza n. 89 del 1993 – nella parte in cui ha ritenuto che l’adozione dei maggiorenni non implichi «necessariamente l’instaurarsi o il permanere della convivenza familiare» e «non determin[i] la soggezione alla potestà dei genitori adottivi, né impon[ga] all’adottante l’obbligo di mantenere, istruire ed educare l’adottato» –, l’interveniente osserva che il controllo sui requisiti che legittimano l’adozione di persone maggiori di età, all’interno del ristretto potere rimesso al giudice di valutare «se l’adozione “conviene” all’adottando (art. 312 del codice civile)», non comprenderebbe alcun apprezzamento discrezionale dell’“interesse” dell’adottando, né prevederebbe quei controlli “incisivi”, stabiliti invece per l’adozione del minorenne.
Risulterebbe, pertanto, giustificata una diversità di disciplina, anche in punto di superamento del limite del divario di età, tra il trattamento del minore – che, ai fini della sua educazione e del suo mantenimento, deve essere collocato in un contesto familiare, esigenza che permane anche nell’istituto dell’adozione in casi particolari – e il trattamento del maggiore di età, che ben può conservare il legame con la propria famiglia di origine senza che vengano in valutazione i doveri dei genitori verso la prole ed i diritti di quest’ultima.
5.2.– Rileva poi l’interveniente che la violazione dell’art. 8 CEDU viene denunciata tramite il richiamo a un parametro non pertinente, l’art. 10, primo comma, Cost., riferibile, invece, alle norme del diritto internazionale generale, mentre l’incidenza indiretta del diritto internazionale pattizio avrebbe dovuto impegnare gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., non evocati dal rimettente.
5.3.– Espone ancora la difesa erariale che la visione convenzionale della famiglia di cui agli artt. 8 e 12 CEDU è incentrata sulla protezione dei singoli componenti più che «della cellula familiare in quanto tale», che riceverebbe invece tutela nella sua dimensione «comunitarista» in altre carte internazionali (si citano: la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, agli artt. 12 e 16; il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966; la Convenzione americana sui diritti dell’uomo, agli artt. 11 e 17; la Carta araba dei diritti dell’uomo, agli artt. 21 e 33; la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli del 1981; la Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’Islam del 1990; il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966, all’art. 10).
L’interveniente ricorda la natura non assoluta dei diritti sanciti dagli artt. 8 e 12 CEDU, nonché il sindacato esercitato, al riguardo, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sulla conformità ai principi di legalità, necessità e proporzionalità delle misure statali di «ingerenza» in tali diritti, e l’elaborazione degli «obblighi positivi» a carico degli Stati, a promozione e protezione della vita privata e familiare.
La difesa erariale espone come, in applicazione del criterio del «margine di apprezzamento» e in esecuzione degli «standard convenzionali», l’operato dei singoli Stati debba coniugare l’esigenza di tenuta dei contesti nazionali e il perseguimento degli obiettivi di interesse generale in maniera adeguata al fine e rispettosa delle prerogative dei singoli, restando il riconoscimento, in via giurisprudenziale, dei nuovi diritti subordinato al consenso europeo in materia.
Osserva ancora l’Avvocatura generale dello Stato che la teoria «dei diritti addizionali» – elaborata al fine di obbligare gli Stati che in via autonoma scelgono di riconoscerli a garantirne il godimento senza restrizioni irragionevoli o discriminatorie – è stata utilizzata dalla Corte EDU a proposito del «diritto di adottare», seppur quest’ultimo non sia ricavabile dalla Convenzione neppure tramite una sua lettura evolutiva. La tutela sarebbe tuttavia assicurata attraverso l’estensione del divieto di discriminazione (art. 14 CEDU) ad ogni settore ricadente nell’«ambito di influenza» («tombent sous l’empire») delle disposizioni convenzionali.
Nella descritta prospettiva, la previsione sulla necessaria differenza di età prevista dall’art. 291 cod. civ. non sarebbe discriminatoria avendo ad oggetto una situazione, l’adozione civile o dei maggiori di età, del tutto eterogenea rispetto all’altra posta a raffronto (l’adozione del minorenne), e rientrerebbe, in modo giustificato e proporzionato, nel margine di apprezzamento degli Stati in materia.
5.4.– Secondo l’Avvocatura, l’adozione dei maggiori di età, esito della riforma di cui alla legge n. 184 del 1983, riveste, rispetto all’adozione dei minori nelle forme legittimanti, caratteristiche peculiari, che si lasciano apprezzare sia quanto alla collocazione della disciplina, interamente contenuta nel codice civile, anziché in leggi speciali, sia sul piano sostanziale. Laddove le altre forme di adozione mirano ad offrire al minore una famiglia alternativa a quella di origine, lo scopo dell’adozione civile è invece quello di conferire all’adottato maggiorenne uno status filiale che si aggiunge al precedente senza intaccarlo (si menzionano l’anteposizione del cognome dell’adottante; l’acquisto unilaterale dei diritti successori in capo all’adottato; il mantenimento da parte dell’adottato dei diritti ed obblighi verso la famiglia di origine, ai sensi dell’art. 300 cod. civ.).
5.5.– L’esistenza di una differenza minima di età sarebbe quindi coerente con l’istituto dell’adozione del maggiorenne, avente la natura giuridica di una concessione giudiziale, nella indisponibilità negoziale degli stati familiari, che risulterebbe intaccata dall’introduzione di indefiniti criteri di flessibilità in materia di divario di età.
5.6.– L’intervento additivo, richiesto dal rimettente a questa Corte, non sarebbe, comunque, l’unica soluzione costituzionalmente conforme. La stessa nozione di “esigua differenza di età” richiederebbe «di essere accompagnata da specifici criteri ai quali il giudice dovrebbe ispirarsi per valutare i casi in cui nei quali il divario [di età] di 18 anni potrebbe essere disapplicato».
Motivi della decisione
1.– Il Tribunale di Firenze, sezione prima civile, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 291, primo comma, cod. civ. «nella parte in cui non consente al giudice di dichiarare l’adozione di maggiorenne derogando al limite del divario di età tra adottante ed adottando imposto in 18 anni nei casi di esigua differenza di età», in riferimento agli artt. 2, 3, 10, primo comma (in relazione agli artt. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e 16 della Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948), e 30 Cost.
In punto di fatto, il rimettente riferisce che G. S., nata nel 1946, si era rivolta al Tribunale di Firenze per la dichiarazione di adozione del maggiorenne A. M., nato nel 1963, che, orfano di madre e il cui padre, G. M., aveva contratto matrimonio con l’istante nel 1968, era sempre vissuto con il padre e, dall’età di cinque anni, con la stessa istante. Ad avviso del rimettente l’esistenza di un legame di affetto e solidarietà tra le parti durato oltre cinquant’anni, e paragonabile a quello esistente tra genitori e figli, aveva trovato riconoscimento nelle dichiarazioni di consenso incondizionato rese in giudizio da adottante ed adottando e nell’assenso pieno espresso dagli altri interessati, nella comune loro volontà di avvalersi dell’adozione per formalizzare il rapporto.
Ravvisata nella specie la ulteriore condizione della “convenienza” all’adozione (art. 312, numero 2, cod. civ.), intesa quale rispondenza effettiva e reale dell’interesse dell’adottando alla comunione di intenti di tutti i membri della famiglia (si cita Cassazione, sentenza n. 2426 del 2006), il rimettente rileva come l’istituto dell’adozione di maggiorenni, anche alla luce della «mutata configurazione sociologica intervenuta negli ultimi decenni, abbia da ultimo assunto la funzione di riconoscimento giuridico di una relazione sociale, affettiva ed identitaria, nonché di una storia personale, di adottante e adottato in quanto strumento volto a consentire la formazione di famiglie tra soggetti che, seppur maggiorenni, sono tra loro legati da solidi vincoli personali, morali e civili, in ossequio ai principi costituzionali dell’unità familiare (art. 30 Cost.) e del rispetto della vita privata e familiare (art. 8 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo)».
2.– Alla stregua delle predette considerazioni, il Collegio a quo censura la disciplina codicistica che, nel caso dell’adozione di maggiorenne, non ammette deroga alcuna al requisito del divario minimo di età di 18 anni tra adottante ed adottando, neppure quando tale divario si discosti in misura esigua dal predetto limite, come nel caso di specie, in cui la differenza di età tra richiedente e adottando è pari a 17 anni e 3 mesi.
2.1.– Il rimettente sospetta il contrasto della disposizione di cui si tratta con gli artt. 2 e 30 Cost., per la lesione, conseguente alla rigidità del limite del divario minimo di età, della capacità dell’individuo di autodeterminarsi come singolo e nella formazione sociale familiare, e del diritto-dovere dell’adottante di mantenere, educare ed istruire i figli in presenza di una situazione «del tutto parificabile» alla filiazione biologica.
2.2.– Ravvisa, poi, un vulnus all’art. 3 Cost. nell’irragionevole disparità di trattamento tra l’adozione del maggiorenne e quella del minore in casi particolari, rispetto alla quale «il Legislatore ha previsto che il giudice possa ridurre il divario di età tra adottante ed adottando in presenza di validi motivi che garantiscano l’unità familiare» (art. 44, commi 1, lettera b, e 5, della legge n. 184 del 1983), nonostante l’«affinità assiologica dei due istituti».
2.3.– Il rimettente deduce, ancora, la violazione dell’art. 10 Cost. – recte, artt. 11 e 117, primo comma, Cost. – sotto il profilo del mancato rispetto, da parte della disposizione censurata, della normativa europea ed internazionale cui l’ordinamento giuridico italiano è tenuto a conformarsi, evocando, quali parametri interposti, l’art. 8 CEDU e l’art. 7 CDFUE, in relazione al diritto dell’individuo al rispetto della propria vita privata e familiare, che ha quale corollario il divieto di “ingerenza di una autorità pubblica”, nonché l’art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti umani, con riguardo al diritto di uomini e donne, in età adatta, di fondare una famiglia, definita quale «nucleo naturale e fondamentale della società» che «ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato».
2.4.– Esclusa la praticabilità di una interpretazione costituzionalmente orientata, contrariamente a quanto ritenuto dalla Cassazione con la sentenza n. 7667 del 2020, come il ricorso all’analogia legis o iuris, di cui all’art. 12, secondo comma, delle Preleggi, il Tribunale di Firenze reputa necessario promuovere l’incidente di legittimità costituzionale nei termini indicati.
3.– Deve, al riguardo, preliminarmente darsi atto che correttamente il giudice a quo ha escluso la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, così sottoponendo allo scrutinio di questa Corte il proprio dubbio. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, infatti, «l’onere di interpretazione conforme viene meno, lasciando il passo all’incidente di costituzionalità, allorché il giudice rimettente sostenga, come nel caso di specie, che il tenore letterale della disposizione non consenta tale interpretazione» (sentenza n. 104 del 2023; nello stesso senso, sentenze n. 102 del 2021, n. 253 del 2020 e n. 232 del 2013).
Nella specie, la formula perentoria del primo comma dell’art. 291 cod. civ., nella parte in cui legittima l’adozione dei maggiorenni ai richiedenti che «superano di almeno diciotto anni l’età di coloro che essi intendono adottare», integra all’evidenza detto limite all’onere di interpretazione conforme.
4.– Ancora in via preliminare deve essere esaminata l’eccezione della difesa erariale, con cui si fa valere l’inammissibilità della dedotta questione di legittimità costituzionale, in tesi derivante dal sostanziale carattere manipolativo del petitum stante la mancanza di una «unica soluzione costituzionalmente conforme».
4.1.– L’eccezione non è fondata.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale risulta condizionata non tanto dall’esistenza di un’unica soluzione costituzionalmente obbligata, quanto dalla presenza nell’ordinamento di una o più soluzioni costituzionalmente adeguate, che si inseriscano nel tessuto normativo coerentemente con la logica perseguita dal legislatore (ex plurimis, sentenze n. 221 del 2023, n. 252 e n. 224 del 2020). Solo «se manca una soluzione costituzionalmente adeguata o se “il superamento dei prospettati dubbi di legittimità costituzionale esige un intervento di sistema del legislatore” (sentenza n. 47 del 2023), allora la questione è inammissibile» (sentenza n. 221 del 2023, che cita, in termini, le sentenze n. 202, n. 143, n. 100 e n. 1 del 2022, n. 151, n. 59, n. 33 e n. 32 del 2021, n. 80 e n. 47 del 2020).
Nella specie, dalla esposizione che segue emerge la esistenza di soluzioni costituzionalmente adeguate al dubbio di legittimità costituzionale sollevato dal rimettente.
5.– Venendo al merito delle questioni poste, prima di procedere alla valutazione delle singole censure, appare opportuno ricostruire la cornice storico-normativa e giurisprudenziale all’interno della quale si inseriscono le questioni sollevate di legittimità costituzionale.
5.1.– Fino ai primi anni del ‘900 l’adozione ha conservato, mutuandola dal diritto romano, la natura di strumento della tradizione aristocratica e dell’alta borghesia, utilizzato da coloro che non avessero discendenti ai quali trasmettere il proprio cognome e il proprio patrimonio, ed avessero raggiunto un’età in cui presumibilmente non avrebbero potuto più averne, e si è fondata sul consenso scambiato tra persone adulte.
Fu solo attraverso la legislazione speciale (in particolare, il regio decreto-legge 31 luglio 1919, n. 1357, recante «Norme per l’adozione degli orfani di guerra e dei nati fuori di matrimonio nel periodo della guerra», convertito, con modificazioni, nella legge 6 dicembre 1925, n. 2137), con norme di favore intervenute in aiuto dei minori rimasti senza famiglia e senza soccorso, in seguito ai grandi rivolgimenti causati dal primo conflitto mondiale, che si cominciò a prendere in considerazione la esigenza di allevare ed educare il figlio adottivo in seno alla nuova famiglia, esigenza corrispondente, oltre che a finalità filantropico-assistenziali, all’intento di supplire e meglio imitare la natura.
Si consentì in tal modo «l’adozione degli orfani di guerra e dei trovatelli nati in quel periodo che non avessero raggiunto il limite di età (e quindi senza il loro consenso)» (sentenza n. 11 del 1981, punto 4 del Considerato in diritto), in deroga alla disciplina del codice civile del 1865, che fissava per gli adottandi il limite dei diciotto anni.
5.2.– Solo con la promulgazione del codice civile del 1942 si introdusse in via generale la possibilità di adottare minori attraverso una disciplina che, unificata, era riferibile anche ai fanciulli a partire dagli otto anni di età. Si trattava, peraltro, pur sempre, di un contratto tra il genitore del bambino da adottare e l’adottante, che non doveva necessariamente essere coniugato: l’obiettivo continuava ad essere essenzialmente quello di garantire la successione a chi non avesse discendenti.
Il divario minimo di età di diciotto anni tra l’adottante, di età non inferiore ai cinquant’anni, e l’adottando, fissato dal richiamato art. 291 cod. civ., incontrava una possibilità di deroga laddove si stabiliva che in caso di «eccezionali circostanze […] la Corte d’appello può autorizzare la adozione se l’adottante ha raggiunto almeno l’età di anni quaranta e se la differenza di età tra l’adottante e l’adottando è di almeno sedici anni».
Si era dinanzi ad una previsione che, non contenuta nel Progetto ed inserita nel testo definitivo, venne motivata nella relazione del Guardasigilli con riferimento sia alla facoltà riconosciuta alla Corte d’appello di «valutare le circostanze del caso» (sentenza n. 44 del 1990, punto 3 del Considerato in diritto), sia alla circostanza che «la differenza minima di sedici anni» valeva pur sempre a salvare il tradizionale principio dell’adoptio imitatur naturam.
5.3.– Con la legge 5 giugno 1967, n. 431 (Modifiche al titolo VIII del libro I del Codice civile “Dell’adozione” ed inserimento del nuovo capo III con il titolo “Dell’adozione speciale”), in accoglimento di istanze che avevano evidenziato la necessità di una disciplina specifica per l’adozione di minori, da diversificare rispetto a quella dettata per i maggiorenni, fu introdotto, nel codice civile, l’istituto dell’adozione speciale con efficacia legittimante.
Si trattava di un «complesso normativo, chiaramente indirizzato alla tutela dell’interesse del minore infraottenne in stato di abbandono» (sentenza n. 11 del 1981, punto 4 del Considerato in diritto) che, derivato dalla Convenzione europea sull’adozione dei minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967, ratificata e resa esecutiva con legge 22 maggio 1974, n. 357, spostava in modo definitivo la disciplina dell’adozione sugli interessi dell’adottando e, attribuendo centralità alla figura del minore, giungeva ad equipararne la regolamentazione alla filiazione naturale.
L’adozione ordinaria continuava ad applicarsi ai maggiorenni e ai minorenni a partire dagli otto anni, con il mantenimento della differenza minima d’età tra adottante ed adottando in diciotto anni e con la fissazione dell’età minima per adottare a trentacinque anni, limite riducibile, in casi eccezionali, a trenta anni.
5.4.– Il successivo e fondamentale snodo lungo il percorso di progressivo affrancamento dell’adozione dei minorenni da quella ordinaria si ebbe quindi con la legge n. 184 del 1983, con la quale la disciplina dell’adozione dei soggetti minori di età venne interamente trasferita al di fuori del codice civile.
5.4.1.– Con tale intervento normativo l’adozione del minore, quale nuova figura generale, diviene funzionale alla creazione di una famiglia per il fanciullo che ne sia privo. L’adozione determina la cessazione dei rapporti dell’adottato con la famiglia d’origine e l’acquisizione, in capo a lui, del nuovo status di figlio degli adottanti, i quali debbono essere tra loro coniugati da almeno tre anni, fermo il rispetto del divario di età con l’adottando di almeno diciotto anni e di non oltre quaranta. Si realizza così un duplice effetto sullo status dell’adottato, costitutivo ed estintivo, che «si collega al presupposto stesso dell’adozione: la dichiarazione di adottabilità fondata sullo stato di abbandono […] (art. 8, comma 1, della legge n. 184 del 1983)» (sentenza n. 183 del 2023, punto 8.1. del Considerato in diritto).
I predetti limiti di età sono stati incisi da ripetuti interventi di questa Corte (sentenze n. 283 del 1999, n. 349 del 1998, n. 303 del 1996 e n. 148 del 1992), che ne hanno in vario modo temperato la rigidità, al fine di scongiurare che dalla mancata adozione potesse derivare un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore, fermo restando che la differenza di età dovesse restare compresa in quella che di solito intercorre tra genitori e figli. Il divario massimo di età è poi stato innalzato a quarantacinque anni dalla legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori», nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile), che ha previsto la generale derogabilità dei limiti di età, qualora il tribunale per i minorenni accerti appunto che dalla mancata adozione derivi un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore.
La legge n. 184 del 1983 ha regolato, all’art. 44, “casi particolari” di adozione di minori, che non versino in stato di abbandono e che non siano stati previamente dichiarati in stato di adottabilità. In tutti questi casi è stabilito che l’adottante superi di almeno diciotto anni l’età di colui che intenda adottare. Quest’ultima previsione, relativamente al caso dell’adozione pronunciata rispetto a minore che sia già figlio, anche adottivo, del coniuge dell’adottante (art. 44, comma 1, lettera b), è stata dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza di questa Corte n. 44 del 1990, nella parte in cui non consentiva al giudice competente di ridurre, quando sussistano validi motivi per la realizzazione dell’unità familiare, l’intervallo di età di diciotto anni. Il legislatore si è conformato alla indicata pronuncia all’atto della riforma attuata con la legge n. 149 del 2001.
5.4.2.– L’adozione dei maggiorenni resta invece regolata, dopo la riforma del 1983, dal codice civile e, riservata al rapporto tra gli adulti (nelle modifiche introdotte dagli articoli da 58 a 60 della legge n. 184 citata), non crea, a differenza dell’adozione del minore di età, una relazione di parentela con i discendenti dell’adottante (artt. 74, 300, secondo comma, e 567, secondo comma, cod. civ.) ed è revocabile (articoli da 305 a 309 cod. civ.).
5.5.– L’istituto, pur avendo perso l’antica centralità, resta sotto l’attenzione della giurisprudenza, impegnandola in una lettura coerente con il rinnovato contesto di riferimento.
5.5.1.– Con la sentenza n. 557 del 1988, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 291 cod. civ., nella parte in cui non consentiva l’adozione a persone aventi discendenti maggiorenni, legittimi o «legittimati» (figura, quest’ultima, poi soppressa dall’art. 105, comma 4, del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, recante «Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219»), purché questi esprimano il loro assenso all’adozione, già richiesto rispetto al coniuge dell’adottante. A sostegno della decisione si pone la rilevata necessità che la norma scrutinata «non comporti delle limitazioni eccessive – e come tali irrazionali – rispetto allo scopo perseguito, sì da violare l’art. 3 Cost.» (punto 2 del Considerato in diritto).
La necessità del consenso del figlio maggiorenne dell’adottante per l’adozione del maggiorenne è stata ribadita con la sentenza n. 245 del 2004 con riferimento anche ai figli naturali riconosciuti dall’adottante.
Con la sentenza n. 345 del 1992, questa Corte ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 291 cod. civ., sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., sul presupposto che la norma non permettesse a chi avesse figli legittimi o legittimati, maggiorenni, incapaci di esprimere il proprio assenso, di adottare altra persona maggiore di età. Il carattere generale della disciplina sulla derogabilità degli assensi, contenuta nell’art. 297, secondo comma, ultima parte, cod. civ., che attribuisce al giudice ordinario il potere di intervenire in via surrogatoria, ne consente infatti – ha rilevato la Corte – l’applicazione anche ai discendenti maggiorenni dell’adottante di cui sia impossibile ottenere l’assenso per incapacità. La valutazione giudiziale «si riferisce a tutte le persone chiamate ad esprimere il proprio assenso alla adozione» (punto 3 del Considerato in diritto), nell’intervenuto ampliamento della platea degli interessati all’adozione.
Attraverso una deviazione «dalla logica dell’istituto», attuata con il «temperamento» dei divieti e dei limiti preesistenti e con l’estensione del «potere di valutazione comparativa degli interessi in gioco attribuito dalla norma al tribunale» (sentenza n. 252 del 1996, punto 2 del Considerato in diritto), l’istituto si è aperto a funzioni diverse da quella primaria di procurare un figlio a chi non l’ha avuto in natura e nel matrimonio (adoptio in hereditatem).
5.5.2.– Né smentisce tale linea evolutiva la riaffermazione della più antica funzione dell’istituto dell’adozione del maggiorenne contenuta nella ordinanza n. 170 del 2003, che, in presenza di figli minori, incapaci di prestare idoneo consenso, reputa costituzionalmente adeguata la previsione di un intervento giudiziale. In questo caso, infatti, la decisione è motivata dalla considerazione che l’intervento richiesto dal giudice rimettente era diretto ad escludere l’assenso dei figli, anziché, come nel caso che ha dato luogo alla richiamata sentenza n. 345 del 1992, a far fronte alla incapacità degli stessi di esprimere la propria volontà.
5.5.3.– Se sul fronte dei limiti soggettivi all’applicazione dell’istituto la giurisprudenza costituzionale si è mostrata favorevole ad una ragionevole riduzione degli stessi, superando i tradizionali confini dell’adozione del maggiorenne, quanto al requisito della differenza di età di «almeno» diciotto anni (art. 291, primo comma, cod. civ.) che deve intercorrere tra adottante ed adottando questa Corte ha confermato la legittimità costituzionale della rigidità della formula, eco del criterio dell’adoptio imitatur naturam, ovvero del suo storico significato di strumento idoneo a replicare il rapporto esistente tra genitore e figlio (sentenze n. 500 del 2000 e n. 89 del 1993; ordinanza n. 82 del 2001).
L’indirizzo si è affermato in risposta ad una pluralità di sollecitazioni con le quali i giudici rimettenti – ora deducendo il diverso trattamento riservato all’adozione “in casi particolari” del minore, laddove figlio del coniuge dell’adottante (art. 44, comma 1, lettera b, della legge n. 184 del 1983), ora denunciando l’irragionevolezza intrinseca del meccanismo – facevano valere l’illegittimità costituzionale di una disciplina che, in materia di adozione del maggiore di età, non consentiva al giudice competente di derogare alla differenza minima di diciotto anni tra adottante e adottando pur in presenza di validi motivi per la realizzazione dell’unità familiare.
In tale contesto, questa Corte ha sottolineato, quanto alla lamentata disparità di trattamento tra l’adozione del maggiorenne e quella del minore in casi particolari, che la prima «non implica necessariamente l’instaurarsi o il permanere della convivenza familiare, non determina la soggezione alla potestà dei genitori adottivi, né impone all’adottante l’obbligo di mantenere, istruire ed educare l’adottato» (sentenza n. 89 del 1993, punto 3 del Considerato in diritto e, negli stessi termini, sentenza n. 500 del 2000).
Essa è inoltre «essenzialmente determinata dal consenso dell’adottante e dell’adottando, giacché il controllo del Tribunale verte sui requisiti che legittimano l’adozione, essendo rimesso al giudice il ristretto potere di valutare se l’adozione “conviene” all’adottando (art. 312 del codice civile)» (sentenza n. 89 citata, punto 3 del Considerato in diritto). Nell’adozione di persone maggiori di età al giudice non è attribuito alcun discrezionale apprezzamento dell’interesse della persona dell’adottando, né possono essere effettuati quegli incisivi controlli previsti per l’adozione di minori, che significativamente rispecchiano la diversità di presupposti e di finalità dei due istituti. Risulta, quindi, secondo questa Corte, «razionalmente giustificata una diversità di disciplina anche nel superamento – consentito solo per l’adozione di minori, in casi eccezionali che esigono una specifica indagine e la rigorosa valutazione del giudice – del limite posto dal divario di età ordinariamente richiesto tra adottante e adottando, superamento che si giustifica in ragione del raccordo tra l’unità familiare ed il momento ineliminabilmente formativo ed educativo, che caratterizza lo sviluppo del minore in una famiglia ed esige una particolare protezione che solo quella famiglia può assicurare» (ancora sentenza n. 89 del 1993).
Rispetto alla denunciata irragionevolezza intrinseca della disposizione censurata, questa Corte ha rilevato che tale tesi poggia sul presupposto interpretativo secondo il quale l’adozione ordinaria consentirebbe la costituzione di un “legame giuridico familiare” in particolare tra il maggiorenne adottato e i figli degli adottanti, presupposto palesemente erroneo poiché essa non induce alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante (ordinanza n. 82 del 2001).
5.5.4.– Con una sentenza di poco successiva alla metà degli anni Duemila (Cassazione, sentenza n. 2426 del 2006), i giudici di legittimità, confrontandosi anche con nuove realtà familiari in cui convivono figli maggiorenni e minorenni nati in differenti contesti matrimoniali, hanno valorizzato l’istituto dell’adozione ordinaria al fine di dare veste formale a tali nuove situazioni e al sottostante rapporto affettivo-familiare di fatto, consolidatosi nel tempo, che anticipa, anziché seguire, la costruzione del rapporto giuridico.
In tale prospettiva, la Corte di legittimità (sezione prima civile, sentenza 14 gennaio 1999, n. 354) aveva già ritenuto possibile l’applicazione, in via analogica, al figlio maggiorenne della disciplina dell’istituto dell’adozione in casi particolari del minore figlio del coniuge dell’adottante (art. 44, comma, 1, lettera b, della legge n. 184 del 1983): l’avvertita esigenza era quella di rinsaldare la formazione di nuove famiglie, dotate di figli nati da un precedente matrimonio.
Più recentemente i giudici di legittimità (Cassazione, sentenza n. 7667 del 2020), nel dare riconoscimento ai legami familiari di fatto stabili nel tempo, hanno individuato nell’adozione del maggiorenne una espressione del diritto all’identità della persona (art. 2 Cost.).
6.– È in siffatto contesto che si inseriscono i sollevati dubbi di legittimità costituzionale.
6.1.– La censura relativa alla violazione dell’art. 2 Cost. è fondata.
Induce alla rimeditazione dell’illustrato orientamento della giurisprudenza costituzionale – peraltro sviluppatosi essenzialmente sul solo tema delle differenze di struttura, funzione ed effetti tra l’adozione del maggiorenne e quella del minore in casi particolari ¿ la descritta linea evolutiva della stessa giurisprudenza costituzionale e di quella di legittimità in relazione anche alla mutata configurazione sociologica dell’adozione del maggiorenne, sottolineata dal giudice a quo. In siffatto quadro complessivo, in cui l’istituto ha da ultimo assunto anche la funzione di riconoscimento giuridico di nuove formazioni sociali in cui vivano relazioni identitarie ed affettive, il giudice a quo – senza contestare il significato sotteso alla generale previsione di un tendenziale divario di età tra adottante e adottato – correttamente si duole dell’automatismo del meccanismo che, nella sua fissità, che prescinde completamente dall’apprezzamento della esiguità dello scostamento rispetto alla differenza minima di età prescritta, sacrifica aprioristicamente il diritto alla identità della persona.
6.2.– L’adozione di persone maggiori di età non persegue più, e soltanto, per come vive attualmente nell’ordinamento, la funzione tradizionale di trasmissione del cognome e del patrimonio, con conseguenze destinate a riverberarsi sul mero piano di disciplina relativa agli alimenti e alle successioni, ma è divenuto uno strumento duttile e sensibile alle sollecitazioni della società, in cui assumono crescente rilevanza i profili personalistici, accanto a quelli patrimoniali.
L’istituto – suggellando sovente l’effettiva e definitiva coincidenza tra situazione di fatto e status – formalizza legami affettivo-solidaristici che, consolidatisi nel tempo e preesistenti al riconoscimento giuridico, sono rappresentativi dell’identità dell’individuo.
Il perimetro di riferimento è innanzitutto segnato dal fenomeno delle così dette famiglie ricomposte – in cui alle preesistenti relazioni di parentela si aggiungono nuovi legami, che trovano fondamento e consistenza in quella misura di affetti e solidarietà che è propria della comunità familiare – per poi spingersi ad assecondare altre istanze, in cui l’esigenza solidaristica resta variamente declinata.
6.3.– Nelle nuove riconosciute fattispecie rientrano, come rilevato da questa Corte con la sentenza n. 135 del 2023, «il caso dell’adottando maggiorenne, che già viveva nel nucleo familiare di chi lo adotta, in ragione di un affidamento non temporaneo deciso nel momento in cui era minorenne, o ancora quello del figlio maggiorenne del coniuge (o del convivente) dell’adottante che vive in quel nucleo familiare», ma ancora «situazioni in cui persone, spesso anziane, confidano in un rafforzamento – grazie all’adozione – del vincolo solidaristico che si è di fatto già instaurato con l’adottando, oppure che vogliono semplicemente dare continuità al proprio cognome e al proprio patrimonio, creando un legame giuridico con l’adottando, con cui, di norma, hanno consolidato un rapporto affettivo» (punto 7.2. del Considerato in diritto).
6.4.– Le abitudini di vita acquisite e le relazioni affettive instaurate tra persone maggiori di età, stabilizzate nel tempo, ricevono riconoscimento giuridico in quanto descrivono storie personali di crescita e integrazione, come già ritenuto da questa Corte nella sentenza n. 79 del 2022, che ha riconosciuto l’incidenza dei rapporti affettivi sull’identità personale. La valorizzazione di una storia affettiva, per la parte in cui ha già trovato solida espressione sociale, riflette l’esistenza di un maturato percorso di identità personale, che non può essere privato del dovuto riconoscimento giuridico, pena la violazione dell’art. 2 Cost.
La disposizione censurata, non consentendo al giudice di intervenire, derogando, se del caso, al limite minimo nel divario di età tra adottante e adottando, si rivela in radice incapace di tutelare situazioni affettive largamente affermatesi, senza che tale assoluto sacrificio trovi coerente giustificazione compensativa.
L’attuale conformazione dell’istituto rende, anche in questo caso, «palese l’irragionevolezza di una regola priva di un margine di flessibilità» (sentenza n. 135 del 2023, punto 7.2. del Considerato in diritto), in quanto destinata ad entrare in frizione, nell’assolutezza della previsione, con il diritto costituzionale inviolabile all’identità personale.
7.– L’esigenza della temperata derogabilità dei limiti di età nell’adozione ha già trovato ripetuta affermazione nella giurisprudenza di questa Corte (vedi supra, punto 5.4.1.). L’ordinario divario di età tra adottante e adottato mantiene intatta, del resto, la sua valenza. È la assoluta inderogabilità di esso che entra in frizione con i richiamati principi costituzionali. Il punto di equilibrio è nell’accertamento rimesso al giudice (come previsto, in tema di assensi, dall’art. 297, secondo comma, cod. civ.), che, caso per caso e nel bilanciamento degli interessi coinvolti, individuati in ragione della nuova funzionalità dell’istituto, provvederà ad apprezzare se esistano motivi meritevoli che consentano di derogarvi nel caso in cui la riduzione di quel divario risulti esigua.
Non è necessario che la nozione di esiguità sia ulteriormente definita tramite l’indicazione di criteri più specifici, ai quali il giudice dovrebbe ispirarsi nel valutare i singoli casi in cui il limite minimo dei diciotto anni possa essere derogato. Essa rappresenta una clausola generale, che richiama la necessità di conservare una ragionevole imitazione del divario esistente in natura tra genitore e figlio, la cui impellenza è destinata ad affievolirsi via via che aumenta l’età dell’adottato.
8.– L’art. 291, primo comma, cod. civ. deve essere pertanto dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, per l’adozione del maggiorenne, non consente al giudice di ridurre, nei casi di esigua differenza e sempre che sussistano motivi meritevoli, l’intervallo di età di diciotto anni fra adottante e adottando.
Restano assorbite le ulteriori censure formulate dal rimettente.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 291, primo comma, del codice civile nella parte in cui, per l’adozione del maggiorenne, non consente al giudice di ridurre, nei casi di esigua differenza e sempre che sussistano motivi meritevoli, l’intervallo di età di diciotto anni fra adottante e adottando.